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Autore: Ksyl    15/06/2018    4 recensioni
3x22 - Los Angeles
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Capitoli:
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"You know when you've found it,
There's something I've learned
'Cause you feel it when they take it away"
-Amie, Damien Rice

2 - Castle

Si svegliò di soprassalto, confuso e agitato, imprigionato dalle lenzuola attorcigliate intorno al suo corpo tremante, mentre la realtà faticava a intrufolarsi nella sua mente ottenebrata. Ed era completamente solo, come una rapida ricognizione condotta a occhi semichiusi e pesti gli rivelò. Il cuore accelerò con tonfi sempre più rapidi, come se fosse in pericolo e non sapesse da dove sarebbe arrivata la minaccia. Aveva una sete terribile, si rese conto deglutendo a fatica, e lo stomaco contratto.
Si sfregò la fronte con una mano. Non sapeva che cosa accidenti gli stesse succedendo, perché fosse tanto disorientato e oppresso dall'impellente sensazione di una catastrofe imminente. Doveva agire in fretta, scrollarsi di dosso quell'angoscia che si irradiava dal centro del suo petto fino a raggiungere le periferie.

Respirò, costringendosi a farlo più volte e profondamente. Il panico che l'aveva assalito andò scemando e ne riconobbe l'origine soltanto quando realizzò che l'altra parte del letto era sì attualmente vuota, ma conservava in modo inoppugnabile i segni della permanenza di una persona che non doveva aver abbandonato da molto il posto che le era spettato. Quindi, non era stato un sogno. Era un buon punto di partenza, credette.

Non era certo quello l'epilogo che aveva avuto in mente quando si era arreso alle lusinghe del rilassato torpore che l'aveva lambito qualche ora prima, senza che lui potesse opporre resistenza, nonostante i tentativi via via sempre meno agguerriti. Se era colpevole di qualcosa, era di essere stato vinto da una prosaica stanchezza.
E non era il tipo di risveglio che, a dirla tutta, aveva immaginato in infinite e piacevoli varianti nei mesi – anni – precedenti, con generoso dispiego di dettagli che prevedevano, tanto per cominciare, che Beckett fosse sdraiata nel letto accanto a lui e non chissà dove, una volta che avesse ceduto alle forze del Destino, eccetera.

Si sforzò di mettere a fuoco meglio quello che era successo la notte precedente, rendendosi conto di aver immagazzinato nella memoria un miscuglio caotico di fatti che ricordava vividamente, ma forse non secondo il corretto ordine cronologico, e altri che giacevano scomposti in una confusione così insolita per lui.
Una sola era la convinzione inattaccabile a cui si aggrappava gelosamente.
L'ultima volta che l'aveva vista, lei era stata stesa accanto a lui, altrettanto insonnolita, calda e abbandonata. La scena era nitida nella sua mente e l'avrebbe conservata finché avesse avuto vita.

L'aveva abbracciata, lei gli si era avvinghiata già con gli occhi chiusi, e solo allora – quando aveva sentito di aver creato un nido confortevole e sicuro per entrambi - aveva concesso alla sua coscienza vigile di regredire per qualche minuto, che era tutto quello che aveva inteso concedersi, per poi tornare a godersi la straordinaria esperienza che la sorte benevola gli aveva offerto in dono.
Non si era addormentato da solo, quindi. E prima di farlo, non c'erano stati improvvisi silenzi imbarazzati, o goffe frasi di circostanza tra due persone che non sapessero che cosa fare di loro stesse, dopo averlo invece saputo benissimo.
Ricordava perfettamente di aver realizzato con stupore che di tutte le cose situabili al di fuori del suo raggio immaginativo piuttosto ampio, c'era la scoperta sorprendente di quanto Beckett amasse il contatto fisico. Prolungato. Con lui.
Non ci aveva mai riflettuto con troppa attenzione – era qualcosa che perfino lui aveva creduto irrealizzabile - ma era stato inconsciamente convinto, forse, che lei avrebbe amato i suoi spazi anche in un letto enorme e confortevole come quello. Non era stato così.
Si sentiva vittima di un inquietante straniamento, nello svegliarsi da solo, mentre il suo corpo vibrava ancora vividamente a causa dell'impronta da lei lasciata.

Probabilmente la stava facendo più lunga e tragica di quella che era, si rimproverò sfregandosi entrambi gli occhi con violenza, decidendo che era necessaria una doccia per tornare del tutto lucido e rendersi presentabile – sveglio, quantomeno- , ma il desiderio di sapere dove fosse si fece sempre più urgente.
Era un peccato non aver goduto di un risveglio meno traumatico, si disse, simulando una sicurezza che non provava, ma non c'era motivo per cui non potessero essercene altri in futuro. Non era da lui focalizzarsi sull'ipotesi peggiore. Sorrise languidamente all'immagine che si materializzò nel suo cervello. E poi la cancellò rapidamente.
Non doveva sognare a occhi aperti. Non che quello che era successo la notte appena passata non fosse stato più che reale, ma sul futuro prossimo e imminente, doveva darsi una calmata.
La vicinanza che avevano condiviso era stata magnifica, perché inaspettata e perché aveva superato ogni aspettativa, rito magico, incantesimo propiziatorio, desiderio vivissimo. Ed era onestamente convinto che quanto successo potesse essere ricondotto a un significato superiore e più complesso, rispetto alla mera descrizione degli eventi.
Ma questo, lo capì con una dolorosa stretta al cuore, non deponeva a favore di nessuno sviluppo a lui disperatamente gradito.

Doveva alzarsi, per prima cosa, per andare a cercarla e scoprire di che umore fosse, o almeno sapere di che morte dovesse morire. Prelevò l'accappatoio del bagno, ammirandone come sempre la morbidezza, lo indossò evitando di darsi un'occhiata allo specchio, perché non aveva voglia di vedere quale mesto spettacolo stesse dando quel mattino. O forse solo un'aggiustatina ai capelli, concesse alla propria vanità.
Aprì la porta simulando una grande calma e un sorriso che voleva essere rassicurante, ma che venne fuori incerto e poco incoraggiante. Era il meglio che potesse fare.

La trovò seduta al tavolo e comprese istantaneamente, dalla rigidità della postura, lo sguardo fisso davanti a lei, e il modo in cui stringeva con troppa forza una tazza tra le mani, di aver perso ancora prima di aver potuto giocare la partita.
Era assente. Lontanissima, anche se a pochi passi di distanza. Gli sembrò di essere finito sul serio in un universo parallelo, ma non in quello che aveva sperato, bensì in una variante ostile che non avrebbe mai augurato a nessuno.

In un gesto automatico di autodifesa si girò a guardare la stanza che aveva appena lasciato, per assicurarsi che non fosse davvero stato un sogno, un'allucinazione, magari. No, le tracce di lei erano più che visibili ovunque. La notte precedente era un evento che non si poteva cancellare, nonostante probabilmente lei stesse cercando di farlo.
Se ne era già andata. Era lì, fisicamente presente, ma altrove. Il suo cuore cadde con un tonfo, e si frantumò ai suoi piedi, ma senza schianto, senza fare rumore, in un'agonia silenziosa che lo rese incredibilmente triste.

Non aveva notato il suo arrivo, e questo era l'unico dettaglio che strideva rispetto al solito. Lei era sempre guardinga, era impossibile coglierla di sorpresa. Forse anche lei era un po' scossa dagli eventi, nonostante l'estrema impassibilità dimostrata che, sperò, fosse simulata, almeno in parte.
"Buongiorno", la salutò, desiderando, contro ogni probabilità concreta, che lei si voltasse verso di lui sorridendogli e proponendogli di abbandonare l'indagine per fuggire lontano, in un paradiso tropicale. Era eccessivo anche per i suoi sogni di gloria, ne era consapevole, ma avrebbe accettato qualsiasi variante tra i due estremi, a parte l'estremo stesso che, temette, era proprio quello che gli era riservato.

Girò la testa lentamente verso di lui.
Castle percepì l'onda alta del rifiuto nell'atteggiamento scostante che si trovò a fronteggiare, la freddezza poco celata nei suoi occhi e qualcosa d'altro che si impose di non interpretare, perché istintivamente spaventoso.
"Ehi", lo salutò a sua volta, educata ma senza sorridere. E quindi era così. Erano destinati all'epilogo più scontato, più sconfortante di sempre.
"Ti sei alzata presto", mormorò, chiedendosi se non fosse un approccio troppo diretto, con quel riferimento alla notte precedente. Non conosceva le coordinate di quel mondo nuovo e terrificante dentro il quale l'aveva costretto a muoversi e aveva paura di compiere un passo falso, in qualsiasi direzione.
Gli rivolse un'occhiata neutra, che lo frenò dal dirle tutto quello che avrebbe voluto esprimere, prima che fosse troppo tardi, prima di essere trascinato ancora più lontano da quella corrente gelida esistente tra loro. "Ho ordinato del caffè anche per te", gli indicò la tazza, come per dimostrargli le sue buone intenzioni. "Ma è passato del tempo e temo che adesso sia imbevibile", dichiarò con cortesia, anche se era evidente che si stesse sforzando.

Si era alzata da parecchio, l'aveva forse drogato? Perché non ucciso e fatto scomparire visto che la sensazione, più o meno, era la stessa. Avrebbe preferito qualsiasi altro approccio e lo intendeva sul serio. Perfino un litigio sarebbe stato preferibile, anche se non capiva perché mai dovessero litigare. Il trattamento che aveva deciso di riservargli era inconcepibile, e tutto sommato perfino svilente, tenendo conto di quello che avevano vissuto insieme, che non meritava una conclusione tanto ingloriosa. Perché di quello si trattava. Erano già arrivati alla fine.
Lei non aveva nessuna intenzione non solo di parlare di quanto successo -, figurarsi riviverlo -, ma nemmeno di registrarne l'esistenza.

Abbassò lo sguardo, sentendosi vinto. Colpevole di qualcosa di ignoto che a lei era invece tanto evidente, ma di cui non lo avrebbe messo al corrente. Si sentì così abbandonato, d'improvviso, che gli venne voglia di ritrarsi, isolarsi, nascondersi dalla sua vista, forse piangersi un po' addosso. Il buio della solitudine lo attraeva, si sentiva spinto verso i margini estremi della non accettazione, privo di valore, impossibile da amare. Era più che terrificante, soprattutto perché era una sensazione sconosciuta, non gli era mai successo di sentirsi così. O forse sì, in un lontanissimo passato, che lo pungeva ancora quando abbassava la guardia e che era tornato a galla. Era esposto, indifeso. E tremendamente solo. Come accidenti aveva fatto a ridurlo in poltiglia nel giro di pochi minuti e senza quasi parlare? E perché lo aveva fatto?
Si sentì inadeguato con il suo accappatoio, con le sue belle speranze, il cuore spezzato che bruciava nel petto.

Nonostante tutto, non voleva lasciarla andare in quel modo. Doveva esserci qualcosa che potesse fare, almeno per non perderla definitivamente. Sorrise amaramente. Il problema non era lasciarla andare, lei se ne era già andata. Quello che pensava avessero condiviso, quel legame che aveva avvertito tangibile tra le sue mani, era stato solo un'illusione, per quanto inscenata alla perfezione. Attento a quello che desideri...
"Non preoccuparti. Ne ordinerò dell'altro. Hai mangiato?".
Lei gli rivolse un sorriso colmo di rimpianto che lo frenò e che non seppe interpretare. Non gli pareva di averle chiesto niente di strano, voleva solo informarsi se stesse bene, se si fosse nutrita. Non era il caso di andarsene in giro a stomaco vuoto solo perché loro... ma aveva capito il messaggio. Era una donna adulta, poteva fare quello che decideva fosse meglio per lei, anche digiunare. Lui non era contemplato nell'equazione.

Notò solo allora la lavagna ingombrante che stazionava impavida al centro del salotto. Aveva del tutto perso la sua solita attenzione ai dettagli che componevano l'ambiente circostante.
"L'hai impacchettata e messa in valigia?", chiese, il suo solito spirito a fare capolino in mezzo a quelle nebbie di infelicità che lo attanagliavano.
Lei gli sorrise. Il primo autentico sorriso della giornata.
"No. Ho fatto richiesta alla reception e me l'hanno mandata dopo dieci minuti. Il servizio in questo albergo è ottimo".
Naturalmente. E adesso avrebbero parlato delle temperature gradevoli di Los Angeles in quel periodo. "Pensavo potesse essere utile per chiarirci le idee e fare il punto della situazione insieme", aggiunse con meno sicurezza, spiandolo.
Oh, lui era d'accordo. Dissentiva solo sull'argomento. Ma apprezzò, con una punta di sollievo, che lei avesse deciso di coinvolgerlo. Ormai non era più sicuro di niente. A quel punto poteva perfino aver deciso che il loro rapporto dovesse chiudersi per sempre.

"Sarà meglio che mi faccia una doccia, prima", le comunicò fingendosi allegro, fingendo che tra di loro non ci fosse quella distanza che solo lui avvertiva e che si stava espandendo vertiginosamente.
Aspettò una risposta che non arrivò. Si chiese stupidamente se non fosse il caso di forzare la situazione, giocarsi la sua ultima mano, fare quello che sentiva. Non era quello che consigliavano sempre? Sii te stesso, dai retta all'intuito, non preoccuparti delle conseguenze. Lui lo aveva fatto e in che razza di situazione si era cacciato?

Fantasticò di avvicinarsi, accarezzarle i capelli, augurarle un ben altro tipo di buongiorno, baciarle una tempia e poi la curva del collo, sfilarle quella maglietta di cui notò, per quanto turbato fosse, la perfetta aderenza alle sue forme, cancellare con le labbra quello sguardo cupo, farla tornare la donna vibrante che era stata solo qualche ora prima.
Avrebbe preferito sapere che il sogno si sarebbe riavvolto e sarebbe scomparso per sempre. Ma non poteva dirsi di essere stato colto del tutto di sorpresa. Rimpianse soltanto l'ultimo bacio che non le avrebbe mai dato. Era stato così naturale, così semplice solo la notte prima. Aveva sbagliato qualcosa e non se ne era accorto? Era colpa sua? Doveva esserlo per forza.

Il silenzio si fece teso, palpabile. Gli rimase soltanto un'unica cosa da fare, e cioè andarsene, alleggerirla del peso della sua presenza, lasciarla sola, e tornare a occupare il solito posto nella vita di lei. O forse, questa volta ancora più lontano.

   
 
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