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Autore: Royal Blood    18/06/2018    2 recensioni
Quando Ben promette di eliminare la barriera una volta per tutte la ciurma dei Lost Revenge implode in festeggiamenti entusiasti. Anche Harry Hook si lascia trascinare dall'euforia e bacia Gil.
Ma quel bacio cambierà tutto.
Quando poi Harry, Uma e Gil entreranno all'Auredon Prep dovranno affrontare un ostacolo più grande: la consapevolezza di essere totalmente fuori posto. Riusciranno ad ambientarsi o il destino ha in serbo per loro qualcosa di crudele?
Hill con qualche accenno di Huma
Dal testo:
"A volte il confine tra bene e male è labile. A volte i buoni compiono azioni malvagie."
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gil, Harry Hook, Uma, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho sempre amato i pirati.



Cotillion
 


 
La locanda era lercia. All'Ursula's Fish&Chips si puliva forse una volta al mese, se qualcuno ne aveva voglia.
Quella sera oltre la ciurma dei Lost Revenge, non c’era nessuno. Harry Hook aveva cacciato via tutti non appena era entrato. Il volto era scuro. Non poteva credere che Uma se ne fosse andata senza di lui. Per anni non avevano fatto altro che parlare del giorno in cui, ammainate le vele, avrebbero preso il largo lasciandosi quella prigione alle spalle.
E ci credevano veramente.
«Magari non è andata via davvero» tentò Gil, ma Harry lo trafisse con un’occhiataccia. Il ragazzone allora aprì la bocca per dire qualcosa ma gli occhi rabbiosi dell’amico gliela fecero richiudere. Harry aveva abbandonato uncino e cappello sul tavolo e camminava a grandi falcate per la locanda, incapace di formulare un solo pensiero. Il resto della ciurma sedeva mestamente, gli occhi bassi per non incorrere nell’ira del loro compagno.
 
Compagno.
 
Harry era uno di loro: un pirata. Forse aveva il portamento e la tenacia di un capitano, il carisma fiero ed eccentrico, ma era solo un marinaio, esattamente come loro. I Lost Revenge non ce l’avevano più, un capitano. Se ne era andata. Probabilmente per sempre.
Eppure Harry faticava a credere che Uma avesse davvero superato la barriera senza di loro. Forse avrebbe lasciato indietro parte della ciurma, ma certo non lui, non Harry.
 
Prima che potesse anche solo fiatare, però, la porta della taverna si spalancò lasciando entrare un’ondata di aria fredda e salmastra. Puzzava di pesce avariato. Sulla soglia stava un esserino tutt’ossa, le costole gli sporgevano pericolosamente sotto i brandelli dei vestiti. I capelli erano biondi ma la fuliggine li aveva tinti di nero, talmente unti da poterci condire il rancio che servivano al molo.
Arrancò fino al figlio di Capitan Uncino, ancora in piedi, e gli posò una mano sudicia sulla spalla. Una serie di occhi spauriti si alzarono sulla coppia. Nessuno parlava mai con Harry Hook quando era incazzato.
«La tv» biascicò il ragazzo, Gonzo, piegandosi leggermente con le ginocchia per prendere fiato. «Uma è in tv; trasmettono il cotillion da Auredon».
Harry Hook sgranò gli occhi a quelle parole e, svelto come un’anguilla, diede ordine di accendere il vecchio televisore a tubo catodico della locanda. Raggiunse il tavolo a grandi balzi e si appollaiò sullo sgabello accanto a Gil. La fronte era aggrottata e sul viso esibiva ancora i segni della collera, ma negli occhi –nel buio della pupilla- c’era una luce, speranza forse.
 
Ci volle un po’ perché il televisore si accendesse. Lo schermo era tutto grigio, come il mare in burrasca, ed emetteva un suono terribile. Sembrava che un omino ci si fosse infilato dentro e grattasse sui fili. Poi, dopo un tempo apparentemente interminabile, il vecchio apparecchio si mise in sesto e mandò in onda qualcosa. Inizialmente Harry non vide niente se non un ammasso di colori che si muovevano in sincrono. C’era un sacco di blu, o azzurro, e qualche tocco di giallo sparso qua e là. I suoi occhi si persero in quel movimento sinuoso, in quella danza, finché il suo cervello non riconobbe due figure umane ballare al suono di una tromba. La melodia gli era sconosciuta, ma non importava. Una corona d’oro in testa, i capelli pettinati, il portamento regale … quello doveva essere re Ben, ne era certo. Era quasi buffo che fino a poche ore prima fosse legato all’albero della sua nave, senza via di scampo, e ora se ne stava lì a danzare come nulla fosse.
Come fosse uno scarafaggio, non lo degnò ulteriormente di uno sguardo e rivolse tutta la sua attenzione alla dama con cui re Ben si accompagnava. Indossava un abito fatto di conchiglie, azzurro come la schiuma del mare, e portava i capelli raccolti in uno chignon che, ne era certo, odorava di alghe.
Intorno a lui i suoi compagni trattennero il fiato.
«Gamberetto!» esclamò Gil.
Uma era meravigliosa, tutta agghindata a festa e smagliante, con un sorriso che non aveva nulla da invidiare alle perle degli abissi. Harry non sapeva che dire. Aveva passato tutta la sua vita nel fetore del porto. Quando era piccolo, di sera, poteva affacciarsi all’oblò e annusare fuori: tra le stradicciole vicino al molo si consumavano dozzine di piccole pire intorno alle quali si accalcavano i più sfortunati. Harry non poteva vedere le fiamme ardere da dove si trovava, ma poteva percepirne l’odore di bruciato. Poi qualche vecchio si allungava per afferrare il pane raffermo di qualcun altro e subito il molo si riempiva di grugniti e urla. “Mi hai arrubbato, carogna! T’accoppo!” Le grida proseguivano anche per ore finché qualcuno non ci rimetteva la pelle o veniva buttato in mare con un sonoro splash! Il mattino dopo un ometto arcigno si trascinava per il molo infastidendo i marinai: borbottava che i pesci dovevano essere più grassi quel giorno, perché avevano mangiato.
Harry era cresciuto in mezzo a tutto questo, circondato da bruti che non sapevano contare e non si sognavano a insegnare ai ragazzini a parlare, figuriamoci a leggere. Puttanate da ricchi, dicevano; e scansavano i mocciosi dalla strada con poderosi spintoni. Harry si era fatto forte in quel clima di violenza, ma non avrebbe mai dimenticato gli orrori che si consumavano in quella parte dell’isola. Per questo passava tanto tempo sugli scogli, nel punto più distante dalla riva, e si perdeva ad ammirare l’acqua scura e salmastra che come d’incanto sbiadiva non appena superata la barriera, limpida e cristallina. Aveva sempre avuto il mare nelle vene invece del sangue, e il suo cuore era una bussola il cui ago puntava dritto ad Auredon. Per mesi interi era rimasto appollaiato a quello scoglio, appuntamento fisso di ogni mattina d’estate, a fissare il profilo distante e irraggiungibile della terra ferma. Del regno libero.
Per anni aveva vissuto nell’ombra, avvinghiato agli abissi più oscuri dell’oceano in attesa di qualcosa, qualcuno, che lo aiutasse a riemergere in superficie. Harry aveva trovato quel qualcuno in Uma, nella sua bellissima piratessa, ed era divenuto il suo braccio destro. Infido e sleale come solo il figlio di Capitan Uncino poteva essere, aveva borseggiato i più deboli per arricchire la sua sirena, finché lei non lo aveva lasciato. Le sue orecchie erano così abituate al suo canto soave e ipnotico che l’improvviso silenzio lo aveva reso sordo.
E ora lei era là, ad Auredon. Harry vedeva la sua bellezza sgorgare dal televisore come un ruscello e improvvisamente si chiese se le interferenze che facevano tremolare le immagini non fossero dovute ad Uma, come se la tv non fosse abbastanza potente per trasmettere anche solo una parte della sua bellezza. Solo chi conosceva lo splendore del mare e viveva della sua potenza poteva apprezzare una visione tanto estatica. Il pensiero che Uma in quel momento si trovasse al cospetto di re Ben invece che lì con lui mandò Harry su tutte le furie. Quel moccioso non aveva la capacità di vederla per davvero. Come poteva un principe vissuto tra gli sfarzi di corte riconoscere e apprezzare un simile gioiello? Ne aveva a miliardi di gemme preziose, i suoi occhi sbrilluccicavano di agi e ricchezze, così abituato a vederle da non saperle riconoscere.
Harry invece la vedeva bene. Dalla bettola sozza in cui si trovava, con gli abiti smessi che aveva raccattato in giro per il mercato e il trucco slavato, Harry poteva apprezzare la bellezza di Uma.
 
Qualcosa lo colpì alla gamba, ridestandolo. Gil doveva essersi mosso appena, aveva ancora lo sguardo puntato al televisore. Harry lo imitò e si concentrò meglio su quello che stava accadendo. Uma e Ben non ballavano più, l’atmosfera sembrava essersi fatta tesa e alle loro spalle stava una vetrata piena di colori. L’immagine era talmente piccola sul televisore che Harry dovette assottigliare gli occhi per scorgere quella che, a tutti gli effetti, doveva essere Mal. Sembrava smagliante nel suo abito viola, il suo colore preferito, e accanto a lei re Ben l’ammirava in ginocchio, completamente perduto nei meandri dell’amore. A Harry tutto ciò fece rivoltare lo stomaco.
A un tratto Uma riprese il sorriso.
«Perché non dici a tutti qual è il regalo che hai pensato  per me, Ben?» La sua voce era strana alla tv, troppo meccanica.
Re Ben parve ricordare qualcosa di importante e si voltò verso la folla.
«Ho un annuncio da fare» proclamò a gran voce. «Uma entrerà a far parte della corte come mia dama».
Il re suo padre sembrava più confuso che mai. Tentò di farsi ascoltare dal figlio, ma Ben lo scansò di malo modo. Anche lui sembrava confuso, rintontito. Non era da lui urlare addosso agli altri. Per quel poco che si erano conosciuti, Harry si era fatto un’idea precisa del giovane re e il ragazzino isterico che stava al di là del televisore non sembrava affatto Ben. Qualcosa non andava, sembrava sotto l’effetto di qualche sortilegio.
 
Silenzio.
 
Harry Hook ciondolò con la testa da un lato; re Ben era sotto un incantesimo.
Finalmente le cose cominciarono ad avere un senso nella sua testa. La lama di un sorriso tagliò in due le sue preoccupazioni. Altro che sirena! Eccola, la sua strega! Si diede del mozzo per aver dubitato della sua fedeltà. In un gesto automatico la sua mano destra corse a prendere il cappello da pirata che aveva abbandonato sul tavolo una mezz’ora prima. Se lo portò al capo. I suoi occhi affamati divoravano la superficie dello schermo: re Ben era ancora confuso e Harry smaniava per sentirgli dire quello che tutti alla locanda aspettavano da tempo.

«Ehm, come mio regalo per lei ho deciso … che eliminerò la barriera una volta per tutte.»

Il cuore di Harry mancò un battito. Il senso di sordità gli ottenebrò la vista per qualche istante. Non stava respirando. Ma poi l’eccitazione fu troppa da contenere e i suoi polmoni si riempirono di aria putrida. Non riusciva a contenere l’entusiasmo.
«Ciurma!» chiamò all’appello, pronto a pronunciare quelle agognate parole che avevano riempito i suoi sogni per diciassette lunghissimi anni. Batté i pugni sul tavolo e si alzò in piedi: «Salpiamo con l’alta marea!»
Grida di giubilo si levarono dai suoi compagni che portarono le mani in alto e cominciarono a strillare e agitarsi per la locanda. Alcuni di loro si rovesciarono sui tavoli in preda all’euforia mentre altri emettevano versi animali con smorfie e boccacce. Qualcuno corse dietro il bancone per prendere da bere. Anche Harry era eccitato per quella notizia, i suoi neuroni erano in palla e non aveva nessuna intenzione di connetterli. Senza neanche pensarci si rimise seduto e agguantò Gil dalla giacca roteando con lo sgabello. Il figlio di Gaston era troppo distratto a festeggiare per opporre resistenza e in un attimo si ritrovò con la schiena sulle ginocchia di Harry, bocca contro bocca.
 
Era solo un bacio.
 
Un bacio idiota, pensò Harry. Anzi, non ci pensava nemmeno! La sua lingua fece tutto da sola. Non appena le sue labbra incontrarono quelle calde, quasi bollenti, di Gil, Harry aprì la bocca e lasciò che la sua lingua si infiltrasse tra le labbra dell’altro. Un brivido freddo gli percorse tutta la spina dorsale e la sua mano destra si posò sulla guancia di Gil senza che Harry se ne rendesse conto. Il suo corpo sembrava attualmente fuori dal suo controllo, cosa per cui nei giorni a venire il figlio di Capitan Uncino si sarebbe dannato.
Dopo quella che sembrava un’eternità il bacio, da impetuoso e frenetico com’era cominciato, quasi per gioco, si fece più lento, più serio. Harry teneva gli occhi chiusi, completamente immerso nelle sensazioni che quel contatto gli donava. Il cuore gli batteva forte, forse troppo, sembrava un cavalluccio marino a una corsa ippica tra i coralli. La sua mano sinistra era avvinghiata ai vestiti di Gil, talmente a suo agio da non soffrire la mancanza dell’uncino.
Quando i polmoni cominciarono a bruciare smaniando per l’ossigeno Harry si staccò finalmente dal suo amico, senza fiato e con gli occhi sbarrati. Sentiva nel petto un calore mai provato prima e aveva smesso di tremare, l’entusiasmo per la conquista della libertà non era che un vago ricordo in quel momento.
Non guardò Gil negli occhi, troppo scosso per mettere insieme un pensiero. Intorno a lui gli altri continuavano a festeggiare ma le loro esaltazioni sembravano venire da lontano, quasi inudibili. Harry non capiva più niente.
 
Dentro di lui il cavalluccio marino continuava a galoppare.







 
  
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