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Autore: Sayami    19/06/2018    0 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.3


Samuel era proprio di fronte a lei.
Laney si pietrificò. Sentiva la testa leggera, uno strano formicolio che le tormentava le mani e la bocca dello stomaco.
Il ragazzo non si era neppure accorto della sua presenza; armeggiava goffamente con alcune bottiglie di plastica, cercando di incastrarle nel bidone stracolmo di pattume, mentre reggeva una busta biodegradabile.
Indossava vestiti semplici: i pantaloni grigi di una tuta, una t-shirt bianca e sneakers consumate dello stesso colore. I capelli, castano ramato alla luce del giorno, gli ricadevano a ciocche disordinate sulla fronte e intorno alle tempie, conferendogli un'aria sbarazzina e disinvolta che gli calzava a pennello.
Quando ebbe finito, indietreggiò e rivolse il viso al cielo. Sembrava che stesse riflettendo, ma Laney non c'avrebbe giurato. Dopotutto, non lo conosceva più.
"Siamo due perfetti estranei."
Quel pensiero le diede i brividi. Per qualche ragione, il ricordo del ragazzino con le ginocchia nodose e le capannelle tra i denti stava svanendo, ingoiato dalla proiezione di un nuovo Samuel, cresciuto, cambiato, diverso, e parte di un mondo agli antipodi del suo.
Laney assaporò l'amaro della sconfitta in fondo alla gola.
Samuel, Veronika... tutti gli altri stavano andando avanti, lottando per i propri sogni passo dopo passo, conquista dopo conquista, mentre lei se ne stava lì, immobile in fondo alla coda, a osservare gli altri che diventavano sempre più piccoli, in lontananza, fino a scomparire.
Eppure Laney aveva tentato la via più di una volta. Si era rimboccata le maniche, aveva stretto i denti e intrapreso il cammino, ma ormai il conto di sgambetti, spintoni e sabotaggi si era allungato troppo perché potesse tenerlo. Era tornata indietro miliardi di volte, e miliardi di volte aveva deciso di ricominciare da capo. 
E poi, alla fine, stremata dalla fatica e logorata dal dolore, si era arresa.
Che senso aveva affannarsi, se poi veniva sempre rispedita all'inizio? Per quale ragione si ostinava a lottare, se aveva già perso in partenza? 
Laney non credeva che avrebbe potuto farcela. 
E quella era la sua pillola, disgustosa da ingollare, impossibile da addolcire, pastosa, cruda, rivoltante: la pura verità.
Mentre era presa in queste e altre riflessioni, però, accadde qualcosa: Samuel la vide. Quasi fosse riuscito a leggerle nella mente, si voltò nella sua direzione e la squadrò dalla testa ai piedi, come fosse stata un'apparizione mistica.
Laney smise di respirare. Sentì il cuore caderle in fondo allo stomaco, pesante come un blocco di granito. Sarebbe morta di lì a poco, se lo sentiva, e forse non sarebbe stata neppure una grande tragedia. Dopotutto, la sua vita non era stata altro che grigiore e sconforto, negli ultimi anni.
Samuel continuava a fissarla dalla distanza, e sembrava che neppure lui si aspettasse di incontrarla: la sua espressione era un miscuglio di sorpresa, confusione e diffidenza.
Come biasimarlo? Era lei quella che l'aveva piantato in asso alla festa di Vera, quasi due settimane prima, senza che avesse fatto nulla per meritarselo.
Ora che si ritrovavano faccia a faccia, che cosa avrebbe potuto dire a sua discolpa? Samuel non avrebbe mai, mai capito i motivi che si celavano dietro al suo comportamento. Ai suoi occhi, doveva apparire solo una stupida ragazzina, maleducata e per giunta ridicola.
"Hai rovinato tutto" si mortificò. "Hai cancellato ogni possibilità che ti restava."
Eppure, immerso nella luce morente dell'ennesima estate sprecata, Samuel non le sembrava altro che un sogno, una visione irreale.
Magari si stava immaginando tutto. Forse lui non era veramente lì e non la stava nemmeno guardando, in piedi davanti a quella fila di cassonetti puzzolenti.
Trascorsero attimi che a Laney parvero secoli interi, spesi l'uno negli occhi dell'altra. Poi lui parlò. Disse quattro lettere, una sola parola, la più semplice e naturale del mondo. -Ciao.-
Ma a Laney sarebbe bastato anche molto di meno per avere un crollo di nervi. Riscuotendosi dallo stato di torpore in cui era caduta, la ragazza sobbalzò, schizzò all'indietro e lasciò andare tutte le buste che aveva con sé.
Con un gran fracasso, il contenuto dei sacchi compost si riversò quasi interamente al suolo: lattine vuote di pelati rotolarono via per il marciapiede, fazzoletti svolazzanti e involucri di cartone scivolarono a destra e a manca e tutto intorno a lei diventò un cimitero di bottiglie e contenitori di plastica usata.
Solo il cartoccio dei rifiuti organici, spiaccicato a terra con un sonoro splat!, sembrava essere stato mosso a pietà, dal momento che almeno non si era disfatto in mille scarti disgustosi.
Laney era paralizzata. La sua frequenza cardiaca era alle stelle e un fischio sordo le sibilava nei timpani.
Cosa aveva appena combinato? Avrebbe voluto strillare fino a sputare i polmoni, strapparsi la pelle, scappare via a gambe levate. Invece rimase inebetita dove si trovava, lo sguardo fisso sullo spettacolo raccapricciante di tutta quell'immondizia che giaceva sull'asfalto.
Non aveva neppure il coraggio di guardare Samuel. Dov'era? Si stava godendo la scena? L'avrebbe presa in giro?
Che fare?
CHE FARE?!
"Raccoglila" le intimò il suo cervello con l'ultimo briciolo di razionalità conservato. "Inginocchiati e raccoglila."
E fu proprio quello che Laney fece.
Trattenendo il respiro, la ragazza si accartocciò su sé stessa, sperando quasi di diventare invisibile mentre compiva quell'operazione. Dopodiché, con le mani che tremavano come foglie al vento, si portò i ricci dietro alle orecchie e iniziò a ficcare rifiuti alla rinfusa nel primo sacco compost che le capitò a tiro.
"Perché a me?" si chiese. "Che cosa ho fatto per meritare tutto questo?"
La sua gola, secca e riarsa dall'afa, ora era ingombrata da un groppo grosso e doloroso. Non poteva piangere. Nossignore, era fuori discussione. Avrebbe soltanto aggravato la sua posizione già irrecuperabile.
Tirò su col naso e si sforzò così tanto di trattenere le lacrime che le venne il mal di testa.
Fu proprio allora che fu colta di sorpresa una seconda volta. Laney udì lo scalpiccio di alcuni passi. Passi lenti e controllati, passi regolari che avanzavano nella sua direzione.
Alzò lo sguardo: Samuel si stava avvicinando, e sul suo viso non c'era traccia di disprezzo, scherno o ripugnanza. L'unica cosa che Laney notò fu la cauta circospezione dei suoi movimenti, quasi stesse cercando di accostare un animale spaurito.
In una frazione di secondo, la ragazza passò dal terrore più puro all'imbarazzo più completo. Era così che lui la vedeva? Gli ricordava una bestia selvatica?
"Uno scarafaggio, piuttosto."
"Perché sei così patetica?"  
Aveva tanto caldo che sarebbe potuta svenire da un momento all'altro.
Pochi minuti prima, quando lui l'aveva salutata, Laney non gli aveva neppure risposto. Forse, nonostante l'apparenza, aveva intenzione di prendersi gioco di lei? Perché avvicinarsi, altrimenti?
In ogni caso, dì lì a poco l'avrebbe scoperto: Samuel l'aveva raggiunta.
Il ragazzo si piegò sulle ginocchia e si rannicchiò di fronte a lei, poi afferrò uno dei sacchi che le erano scivolati di mano e iniziò a raccattare bottiglie di plastica, scatolette di tonno e confezioni di yogurt vuote, quasi lo facesse tutti i giorni.
Per la prima volta dopo tanto tempo, la mente di Laney si svuotò, dominata dalla sola, totale e completa incredulità. Spalancò la bocca, sgranò gli occhi, smise perfino di respirare.
Samuel la stava aiutando, disinvolto e rilassato, senza battere ciglio.
Allora qualcosa vibrò, una corda del suo animo che non ricordava neppure di possedere. Era un'emozione forte ma... positiva, piacevole come una carezza fra i capelli, simile alla più genuina soddisfazione.
Era gratitudine. Laney si sentì grata, immensamente riconoscente. E anche un po' spaesata.
Perché?
Che cosa aveva spinto Samuel ad aiutarla? Gli aveva fatto pena? Tutto ciò che la ragazza riusciva a fare era fissarlo in silenzio, impietrita dallo stupore.
Ma quando anche Samuel tentò di rubarle un'occhiata furtiva, i loro sguardi si incontrarono e, per un istante, il tempo si fermò.
Gli occhi di lui, due lunghe lame luccicanti infossate nelle sue orbite, riflettevano gli ultimi raggi solari in modo incantevole.
Laney riusciva ancora a specchiarsi, a distinguere le pagliuzze dorate immerse nelle sue iridi e a decifrare i messaggi sottesi a ogni sua singola ruga d'espressione. Ipnotizzata, analizzò con minuzia i suoi lineamenti armonici, la pelle olivastra e i capelli, sottili e lucenti come fili di seta scura.
Nessuno dei due osò muoversi per attimi interminabili, trafitti, piantati sul posto.
Laney si chiese più volte se anche lui stesse facendo lo stesso, se stesse pensando che era diversa.
"Chissà se mi trova bella?"
A quel pensiero, si sentì annegare nella vergogna, ma non emise neppure un fiato.
Poi, a un tratto, vide Samuel avvampare e abbassare in fretta e furia il capo, quasi fosse stato scottato.
Laney si sbrigò a imitarlo. Perché accidenti si era messa a fissarlo con tanta insistenza? "Penserà che sei strana" le ricordò severa la sua coscienza.
-Anche tu sei stata spedita a buttare la spazzatura?- le chiese all'improvviso Samuel.
Con un riflesso involontario, Laney tornò a guardarlo. Ora era tutto preso a sistemare involucri in plexiglas e bottiglie vuote di acqua tonica, ma aveva ancora le guance arrossate.
Laney capì che stava cercando di allentare la tensione, quindi si decise a rispondere.
-- disse, cercando di ostentare una sicurezza che non possedeva, ma non appena udì la propria voce, desiderò ardentemente sprofondare nel sottosuolo.
"Stridula come un fischietto rotto."
Decise che la cosa migliore sarebbe stata tacere per il resto dell'eternità e fare in modo di svignarsela il prima possibile, così riprese a sistemare le ultime tracce del disastro che aveva combinato.
Samuel, tuttavia, non si arrese. -È incredibile- aggiunse ancora. -Ci trattano come schiavi.-
Laney ebbe un mancamento. "E adesso?" pensò. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondere per non sembrare una completa imbranata. Come si esprimevano le persone normali in certe occasioni? Di cosa parlavano? Perché le relazioni sociali dovevano essere così difficili?
Ma proprio quando aveva iniziato a passare in rassegna una lunga serie di colorite imprecazioni mentali, Samuel si allungò verso di lei e le sfilò di mano il sacco compost ormai straripante di spazzatura. Dunque si alzò in piedi, si avvicinò ai cassonetti e, in un gran trambusto di latta e plastica, gettò via tutto quanto.
Non appena si accorse di ciò che lui aveva fatto, Laney si affrettò a raccogliere da terra il cartoccio dei rifiuti organici e a gettarlo a sua volta nella pattumiera.
Ora si trovavano sul bordo del marciapiede, in piedi uno di fianco all'altra, ma nessuno dei due accennava a dire una parola.
L'imbarazzo era palpabile; Laney riusciva a indovinare che anche Samuel era teso dalla postura rigida e dall'espressione contrita sul suo viso, completamente diversa da quella che le aveva mostrato alla festa, quando l'aveva riconosciuta.
Una fitta di dispiacere le calciò lo sterno. In fin dei conti, era lei il problema: Samuel si era mostrato gentilissimo, e per tutta risposta lei non aveva fatto altro che trattarlo con avversione. Continuava a dimenticare che lui non sapeva nulla delle sue cicatrici, nulla dei suoi incubi, nulla della sua insopportabile condizione.
Ma allora... perché non fingere che gli anni non fossero mai trascorsi? Non avrebbe potuto diventare un fantasma del passato? Non avrebbe potuto, solo per un attimo, dimenticare?
Prendendo coraggio, Laney si impose di non abbassare lo sguardo, né il tono della voce, mentre pronunciava queste parole: -Grazie. Dico s-sul serio.-
Si sentì assalire dall'agitazione, mentre Samuel si voltava verso di lei. Che cosa le avrebbe risposto?
Ma proprio mentre Laney attendeva di scorgere il segno della repulsione, o perfino dell'odio, sul volto di Samuel si aprì uno splendido sorriso.
Fu solo un istante, ma Laney rivide lo stesso ragazzino che l'aveva lasciata barare un miliardo di volte a Poker, che le aveva regalato un bellissimo pupazzo di Buzz Lightyear, nonostante fosse il suo preferito, e che aveva giurato di non essersi fatto niente quando era caduto dalla bicicletta, giù per la discesa di Hollow Churchyard.
Proprio lo stesso, anche se ora era tutto diverso. -Non c'è di che- le disse.
Laney si sentì inspiegabilmente leggera, come se un gigantesco masso le fosse rotolato via dal petto. Ma anche... irrequieta. Forse era l'opprimente calura estiva, o forse era la sola presenza di lui a destabilizzarla. In entrambi i casi, la compagnia di Samuel le stava facendo un effetto alquanto bizzarro: di punto in bianco,Laney fu presa da un'incontenibile smania di parlare.
Avrebbe voluto raccontargli ogni cosa e chiedergli altrettanto, chiacchierare fino a sentire la bocca asciutta, fare battutine perfide sulle loro conoscenze comuni e salutarlo, alla sera, sentendo una punta di tristezza pizzicarle la pancia come un insetto fastidioso.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma da quando aveva rivisto Samuel, una strana fantasia aveva cominciato a farsi strada nella mente di Laney. C'era la possibilità, anche se remota e improbabile, che le cose andassero diversamente? Sarebbe mai potuto esistere un universo in cui aveva un amico?
-Samuel- chiamò, agendo d'impulso, senza pensare a nessuna delle sue paure.
Samuel si voltò e la guardò sorpreso, ma rimase in ascolto.
-Io, ecco... mi piacerebbe molto che noi...-
Ma una grossa risata sguaiata riecheggiò per la strada, riportandola di colpo alla realtà. Una risata orribile, che Laney conosceva fin troppo bene e che associava ad alcuni dei momenti più brutti della sua vita.
Il suo corpo reagì in maniera automatica, fulminato sul posto. Sentiva che il respiro iniziava di nuovo a mancarle, ma questa volta non si trattava di ansia o di angoscia, bensì di vero e proprio terrore.
Laney vide gli occhi di Samuel scorrere sul suo viso, poi superarla e fissarsi su qualcuno alle sue spalle. 
-Oh?- fece, inclinando di lato il collo. -Ci sono Tyler e i suoi amici.-
Quella semplice affermazione fu sufficiente a spedire una scarica di brividi attraverso di lei. Il sudore iniziò a colarle a rivoli lungo schiena e tempie, le mani le tremarono così forte che fu costretta a stringerle a pugno per controllarne le mozioni. Ma il peggio doveva ancor venire, lo sapeva bene.
Samuel non la guardava più, ora. Osservava invece la fine della strada, dietro di lei, e sorrideva.
"Scappa!" gridò il suo cervello. "Lui è con loro. Corri finché sei in tempo!"
Ma allora perché l'aveva aiutata, poco prima? Perché continuava a trattarla con quella gentilezza inaudita?
"Forse non sa che...?"
Laney non ebbe neppure il tempo di concludere quel pensiero: da un momento all'altro, l'uragano Tyler le piombò addosso. Anche se si trattava solo di un piccolo assaggio di ciò che l'attendeva a scuola, bastò a farla sentire uno schifo.
-Hey, Samuel! Come va?- urlò il ragazzo dall'altra parte della strada. Laney, che gli dava le spalle, non poteva vederlo, ma riuscì a immaginare vividamente il suo faccione squadrato deformato in un ghigno malefico. -Che ci fai con la spazzatura?-
Alla battuta di Tyler seguirono scrosci incontrollati di risa.
Laney non batté ciglio, fin troppo abituata a quel genere di trattamento, ma si sentì una grandissima imbecille. Come aveva potuto anche solo sperare che sarebbe cambiato qualcosa? Aveva davvero creduto di poter rimanere in pace? Stupida, stupida ragazzina.
Quando fu sul punto di girare i tacchi e tornarsene a casa, però, un dettaglio la colpì.
Samuel stava ancora fissando Tyler e il suo branco, sulla carreggiata opposta, ma ora non sorrideva più. Le sue labbra, al contrario, si erano tirate in una mezzaluna dura e infastidita. -Cosa hai detto? Non ho capito- riecheggiò per tutto l'isolato.
Per qualche istante, un pensiero le balenò nella mente: se Samuel si fosse unito a tutti gli altri, lei avrebbe potuto accettarlo. Si era già abituata all'idea, l'aveva focalizzata, maneggiata, assaporata fino a farla sedimentare, come un relitto, nei recessi della sua psiche.
Ma se, per causa sua, il ragazzo fosse diventato uguale a lei, se fosse stato risucchiato nella stessa spirale di dolore e distruzione, deriso, ripudiato da tutti, allora Laney sarebbe arrivata a detestarsi, a odiare sé stessa con ogni atomo del proprio corpo. E questo non poteva permetterlo.
-Scusa- farfugliò frettolosamente, gli occhi fissi tra le crepe dell'asfalto. -D-devo andare.-
E, detto questo, ruotò sul posto e si fiondò via, veloce come un razzo, diretta verso casa.
La distanza che la separava dal vialetto era breve, ma Laney fu comunque costretta ad annullare ogni stimolo esterno, lungo il tragitto: ignorò le risatine canzonatorie di Tyler, la nausea, la paura stringente che le gravata addosso e, infine, anche la voce di Samuel che chiamava: "Laney!", mentre lei si allontanava a grandi falcate.
Non poteva trascinarlo nel suo stesso ghetto, non si sarebbe voltata. Che la odiasse, piuttosto, non le importava.
Quando fu finalmente di fronte alla porta di casa, Laney non esitò un istante a spalancarla e a scivolarvi attraverso. Poi, dopo che si fu chiusa dentro, consapevole di essere al sicuro, si lasciò andare a un lungo e sofferto respiro di sollievo.
Ora era al riparo dal resto del mondo. Tyler, Samuel, tutti i suoi problemi erano rimasti dall'altra parte della soglia, non avrebbero potuto raggiungerla in alcun modo, barricata com'era. Ma era solo questione di tempo: qualche altro giorno, una manciata di ore, poi sarebbe stata costretta ad affrontarli.
Laney sollevò piano gli occhi. Suo padre, seduto sul divano, la scrutava preoccupato.
"Lo so, papà" pensò. "Lo so."

ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Ciao, cutipies!
1) Come state?
2) Ma quante pare mentali si fa Laney???
Un bacione. <3
Sayami98.
 
   
 
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