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Autore: Soul Mancini    19/06/2018    4 recensioni
18 settembre 2017.
Forse il mondo intero ha ricominciato a vivere normalmente, ma non Mike. Lui deve ancora fare i conti con la realtà, deve ancora elaborare il lutto. Un lutto troppo grande e doloroso.
Ma, per le soleggiate vie di Los Angeles, un bizzarro incontro stravolgerà la sua giornata.
DAL TESTO:
«La riconobbi immediatamente: era Crawling. La nostra Crawling.
Strabuzzai gli occhi, incredulo, mentre sentivo un improvviso calore avvolgere il mio corpo, infiammandomi le guance. Cercai di ascoltare meglio e appresi che non si trattava di un cantante, ma un intero coro di voci che intonava il ritornello del brano. [...]
Fu allora che li vidi, radunati attorno al melo più grande: erano tanti, forse una trentina o una quarantina.»
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mike Shinoda, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ReggaeFamily

Una normale giornata di fine estate




Il sole, che già da qualche ora lottava per baciare l'orizzonte e nascondervisi dietro, tingeva di giallo e oro la città. Una leggera brezza salmastra accarezzava gli abbronzati e sorridenti passanti, facendoli rabbrividire e stringere nelle giacche leggere.

Io camminavo a passo spedito, a testa bassa, riparandomi dalla luce accecante solo con la visiera del cappello che indossavo. Non mi andava di incrociare lo sguardo di nessuno, non ero in vena di chiacchierare; avevo scelto quella zona tranquilla proprio per poter compiere una passeggiata in solitudine.

Solo, seppur circondato dalla caotica Los Angeles.

Non che amassi particolarmente andarmene a zonzo per i larghi marciapiedi della città, ma ogni tanto tutti hanno bisogno di evadere, staccare da tutto, lasciare il cellulare a casa e immergersi nei propri pensieri.

E, per quanto questi ultimi fossero tetri, era proprio ciò che stavo facendo.

Era il 18 settembre, una normale giornata di fine estate. Famiglie e gruppi di teenagers, di ritorno dal mare, si erano fermati a consumare una pizza o un gelato in qualche locale; venditori di panini e chincaglierie richiamavano l'attenzione della gente sulla loro bancarella, proclamando a gran voce strepitose offerte; dalle porte spalancate di bar e negozi si diffondevano le note di canzoni estive e famose hit del momento.

Tutto era nella norma attorno a me. C'era solo un piccolo particolare che stonava con il resto.

Era il sessantesimo giorno senza Chester.

Io, così come il resto della band, cercavo di ignorare il tempo che scorreva inesorabilmente, e spesso ci riuscivo: mi sembrava di aver visto il mio vecchio amico giusto il giorno prima, mentre aggrottava le sopracciglia davanti all'ennesimo commento negativo al nostro ultimo album.

Sai Mike, in fondo non me ne fotte”, diceva. “Io ci ho messo la faccia e il cuore, e mi va bene così.”

E io sapevo bene che non era vero, avrebbe tanto voluto l'appoggio dei suoi vecchi fan, ma ogni volta tacevo e lasciavo che lui raccontasse balle a noi e a se stesso.

Mi mancava, cazzo. Ci mancava. Mancava a tutti.

E non passava giorno che non mi maledicessi: forse avrei potuto fare qualcosa per salvarlo, forse sarei dovuto stare più attento e accorgermi che aveva bisogno di aiuto, forse noialtri dei Linkin Park ci saremmo dovuti impegnare per stargli più vicino.

O forse non sarebbe bastato neanche questo, chi lo poteva sapere? Ormai il tempo per le congetture era scaduto.

Dovevo ricacciare quei pensieri, immediatamente. Non avevo portato con me neanche un paio di occhiali da sole, dietro i quali poter nascondere i miei occhi lucidi. Quindi non mi sembrava il caso di dare spettacolo in mezzo alla strada, non ero mai stato particolarmente esibizionista.

A nessuno doveva importare che uno dei miei amici più stretti si era tolto la vita.

Tirai la tesa del cappello ancora più giù, in modo che mi oscurasse completamente il viso.

Mentre scendevo il gradino del marciapiede, pronto a superare l'imbocco di una stradina secondaria, un suono attirò la mia attenzione, facendomi tendere le orecchie.

Pareva una canzone, o meglio, una linea vocale, accompagnata da un ritmo appena udibile. Probabilmente delle percussioni.

Nulla di strano: poteva trattarsi di uno dei numerosi artisti di strada che si incrociavano spesso in ogni angolo della città; ma ciò che mi colpì fu la canzone.

La riconobbi immediatamente: era Crawling. La nostra Crawling.

Strabuzzai gli occhi, incredulo, mentre sentivo un improvviso calore avvolgere il mio corpo, infiammandomi le guance. Cercai di ascoltare meglio e appresi che non si trattava di un cantante, ma un intero coro di voci che intonava il ritornello del brano.

Solo quando un gruppo di ciclisti mi superò suonando i campanelli mi resi conto che ero rimasto impalato in mezzo alla strada, indeciso sul da farsi. Una parte di me avrebbe voluto seguire quel suono e capire da dove provenisse, ma avevo anche paura di imbattermi in un capannello di fan inopportuni, e non ero proprio dell'umore giusto per scattare una valanga di selfie.

Ah, 'fanculo” mormorai tra me; spinto da una curiosità morbosa, lasciai la via su cui mi trovavo e imboccai la stretta stradina, laddove il suono riecheggiava tra le pareti.

Superati i numerosi bar, palazzine più o meno anonime e un gruppo di ragazzini che sghignazzavano con bottiglie di birra in mano, mi imbattei in una piazza quasi del tutto ricoperta d'erba verde. Lo spazio aperto si faceva largo tra due strutture alte dalle pareti gialle ed era disseminato di panchine e aiuole; da queste ultime si ergevano grandi meli dalle fronde fitte e poderose, che fornivano molte zone d'ombra.

Dietro la piazza, quasi come un miraggio, faceva capolino il mare con i suoi riflessi argentei.

Fu allora che li vidi, radunati attorno al melo più grande: erano tanti, forse una trentina o una quarantina. Qualcuno stazionava in piedi accanto al tronco dell'albero e della panchina adiacente, alcuni si erano accomodati per terra, altri si muovevano a ritmo e si spostavano continuamente. Al centro del gruppo, seduti sulla panchina in legno, due chitarristi suonavano con estrema concentrazione la seconda strofa della canzone, mentre un ragazzo teneva il tempo con un cajon e una ragazza si cimentava invece con uno djambé; qualcun altro armeggiava con piccole percussioni.

Tutti, nessuno escluso, cantavano: chi sommessamente, chi a gran voce, chi senza sapere con precisione il testo, chi con qualche stonatura. Ma tutti col cuore.

Strabuzzai gli occhi e schiusi leggermente le labbra, incredulo. Quella scena mi aveva lasciato senza parole, sentivo solo il nodo alla gola che mi si stava formando, sempre più forte. Ancora una volta stavo ricacciando le lacrime.

Nessuno mi aveva notato e, stranamente, non avevo paura che ciò accadesse; rimanevo semplicemente lì, ipnotizzato da quella scena, da quel quadro così intimo e così fottutamente commovente.

Un gruppo di persone si era riunito, senza troppe pretese, per cantare insieme in onore di Chester.

Non so spiegare perché, ma in quel momento avvertii l'impulso di ringraziarli, uno per uno, e soprattutto unirmi a loro. Così, senza neanche rendermene conto, mi ritrovai a muovere qualche passo nella loro direzione.

Il primo a notarmi fu un ragazzino di circa undici anni, che non appena mi avvistò si portò le mani di fronte alla bocca e strillò: “Mike!”.

A quel punto quasi tutti si volsero verso di me, dando vita a un eterogeneo insieme di reazioni: un gruppo di ragazze scoppiò a piangere, molti impallidirono e alcuni ammutolirono, ma i musicisti non si interruppero e si limitarono a sorridermi, raggianti.

Mi pentii subito di essermi intromesso in quel momento, avevo completamente rovinato l'atmosfera. Ero fuori luogo.

Arrossii e abbassai lo sguardo, indeciso se darmela a gambe senza dire una parola o chiedere scusa. Che idiota ero stato!

Proprio in quel momento i due chitarristi eseguirono gli ultimi accordi del brano; senza posare il suo strumento, uno di essi – un giovane sui vent'anni dai lunghi capelli – mi si rivolse: “Ehi! Vieni, avvicinati!”.

Beh, veramente...” cominciai io con voce esitante, sinceramente sorpreso da quella sua proposta.

In quel momento il ragazzino che mi aveva riconosciuto per primo parve riscuotersi dallo shock e mi si avvicinò, agitato più che mai. “Mike Shinoda, oddio, non ci posso credere! Sei il mio cantante preferito, ascolto i Linkin Park da quando sono nato, so tutti i tuoi testi a memoria e...” Si interruppe all'improvviso e arrossì.

Intenerito, gli arruffai affettuosamente i capelli. “Ehi, è un piacere conoscerti, come ti chiami?” gli domandai accennando un sorriso.

Alex” borbottò lui.

Qualcuno tra i più giovani, ragazzi e ragazze intorno ai vent'anni, mi si avvicinarono e mi strinsero la mano. Mi bastava guardarli negli occhi per capire che erano molto emozionati di avermi lì tra loro.

Sperai di riuscire a trasmettere lo stesso attraverso il mio sguardo e le mie strette di mano, tanto non sarei mai riuscito a trovare le parole adatte per esprimere l'uragano di emozioni che mi stava travolgendo. Il cuore mi esplodeva di gioia e non capivo neanche il perché, mentre il vuoto che mi portavo dentro da ormai due mesi si faceva sempre più pressante.

Mancava Chester. Lui avrebbe adorato quest'amichevole riunione di anime legate dalla musica.

Ma se Chester fosse stato ancora lì, probabilmente tutto questo non sarebbe mai successo.

Pian piano mi feci largo tra la folla, salutando tutti con calore, e giunsi di fronte ai musicisti.

Posso fare una foto con te?” saltò su una ragazzina dai capelli azzurri, sventolando in aria il suo smartphone, ma subito venne fulminata da colui che mi aveva invitato ad avvicinarmi. Quest'ultimo aveva posato la sua chitarra ed era balzato giù dalla panchina, sulla quale era appollaiato.

Piacere, Derek” si presentò, stringendomi la mano. “Che ci facevi da queste parti, Mike? Se non hai fretta puoi restare, abbiamo cominciato giusto da qualche minuto il nostro memorial!”

Mi guardai attorno, poi posai i miei occhi sui suoi, grandi e scuri. “Un memorial... per Chester?”

Certo! Questo è il raduno di noi poveracci che non abbiamo i soldi per organizzare un vero e proprio evento!” spiegò Derek con semplicità, stringendosi nelle spalle.

Nessun biglietto da pagare, nessun limite di partecipanti... quindi anche tu sei il benvenuto!” precisò il secondo chitarrista, un uomo sui quarant'anni, calvo e dal viso simpatico. “Io sono George, comunque” si presentò poi.

Ero indeciso. “Non so se è il caso, non vorrei disturbare...”

Disturbare? Scherzi?! Finalmente qualcuno che sa fare bene rap, finora è stato un delirio!” commentò una tipa con un cappellino da baseball e il viso pieno di piercing.

Ehi, non è mica facile cantare i suoi testi!” protestò un tipo al suo fianco, forse un suo amico o il suo ragazzo.

Io so rappare perfettamente!” si difese un altro.

Li osservai mentre battibeccavano e ridacchiai. L'atmosfera che si respirava era talmente magica che non sarei riuscito ad andarmene nemmeno se avessi voluto. “D'accordo, ci sto! Non so come ringraziarvi” accettai quindi, e finalmente mi sciolsi in un enorme sorriso.

Derek mi strinse rapidamente in un abbraccio fraterno e si mise nuovamente in piedi sulla panchina, imbracciando la chitarra. “Allora, cosa c'era in scaletta adesso? Cazzo, dovevamo stampare un foglio...”

One Step Closer!” propose qualcuno.

Perché non facciamo In The End?” suggerì invece la ragazza allo djambé.

Da ogni angolo rimbalzavano titoli di canzoni da poter eseguire, non riuscivo neanche a coglierli tutti.

Facciamo decidere al nostro ospite d'onore!” strillò infine la ragazza dai capelli blu, avvicinandomisi e battendomi una mano sulla spalla.

Io? No, ragazzi, dai... sono qui solo in veste di spettatore” rifiutai, scuotendo leggermente la testa.

Alex, scegli tu!” esclamò Derek, rivolgendosi al ragazzino che ancora non mi aveva staccato gli occhi di dosso.

Vada per In The End!” ribatté lui con convinzione.

Mmh, bene... è probabile che venga una merda, ma se abbiamo dei buoni coristi tutto si risistema!” affermò il ragazzo al cajon, ammiccando al resto del gruppo.

Mentre la canzone aveva inizio, sgattaiolai in un angolino meno esposto. Ero circondato da gente che continuava a fissarmi, ma non mi andava di essere anche stavolta il protagonista della serata.

Mi ritrovai accanto a una ragazza dai lunghissimi e liscissimi capelli neri, completamente vestita di nero, dalla pelle bruna e i lineamenti mediorientali. Proprio accanto a lei c'era un ragazzino dal viso paffuto, molto simile a lei, dai capelli arruffati e gli occhi grandi. Probabilmente erano fratelli. Non mi rivolsero la parola e sbirciarono nella mia direzione solo con la coda dell'occhio, come se avessero paura o si sentissero in soggezione.

Ma del resto non avevano aperto bocca da quando ero arrivato, nemmeno per comunicare tra loro.

Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai nel bel mezzo della prima strofa di In The End e cominciai a intonarla automaticamente. Per me cantare le mie canzoni era come respirare, camminare, parlare.

Molti cercarono di seguirmi, ma ad alcuni sfuggivano delle parole e alla fine ci rinunciarono. Alex invece non ne mancò neanche una, nonostante mi trovassi lontano da lui potevo percepire la concentrazione e la dedizione con cui recitava il testo.

Quando udii le prime parole del ritornello, cedetti.


I tried so hard

And got so far

But in the end

It doesn't even matter


Tutti cantavano, mentre io ero scoppiato a piangere senza ritegno. Un po' mi vergognavo di espormi tanto davanti a degli sconosciuti, di mostrarmi vulnerabile, ma era stato inevitabile.

Davanti ai miei occhi scorsero tante immagini: Chester che si innervosiva perché non riusciva a trovare una linea vocale adatta per quel ritornello, Chester che la cantava sul palco con la sua voce graffiante, Chester che mi lanciava uno sguardo complice mentre la provavamo nella nostra saletta.

Era straziante. Ed era ancora più straziante sapere che tutti coloro che mi circondarono, nonostante non l'avessero mai conosciuto di persona, stavano pensando ciò che pensavo io.

E ancora senso di vuoto e gioia si alternavano all'interno del mio cuore, come su una giostra.


I had to fall

To lose it all

But in the end

It doesn't even matter


Una ragazza paffuta dai capelli rossi, che mi pareva si chiamasse Claire, mi si avvicinò e con spontaneità mi strinse in un abbraccio. Anche lei tentava invano di trattenere i singhiozzi, ma in quel momento cercava di trasmettermi tutta la sua energia positiva.

Mi aggrappai a lei e la abbracciai a mia volta. Subito mi sentivo meglio, mentre lei appoggiava la testa sulla mia spalla e cercava di rassicurarmi accarezzandomi la schiena.

Durante la seconda strofa qualcun altro scoppiò a piangere.

Solo all'inizio della strofa cantata da Chester riuscii a sciogliere l'abbraccio e subito Claire mi porse un fazzoletto.


I've put my trust in you

Push as far as I can go

For all this

There's only one thing you should know


Mormorai anche quella parte, pur sapendo di non essere granché intonato. Ma quella non era una gara né un talent show, nessuno era venuto per dimostrare agli altri quanto fosse bravo, tutto era concesso.

Claire mi regalò un luminoso sorriso e mi strinse forte la mano. Una volta conclusosi il brano, cominciò a parlare, sorprendendomi. “Lo so, non è la stessa cosa, ma in parte capisco il tuo dolore. Non ho mai avuto l'onore di conoscere Chester, ma per me era come un fratello: lui c'è sempre stato, mi ha sempre sostenuto con la sua voce nei momenti difficili, mi capiva. Non sono qui per fare la vittima, ma... ho sofferto di depressione in passato, ed è stato proprio lui ad aiutarmi. Se solo penso che... che i demoni che hanno minacciato me, ora hanno annientato lui! Se solo servisse a salvarlo, sarei disposta a vivere tutta la vita in preda alla depressione. Ma ora non ha senso vivere di se, bisogna guardare avanti... perché la vita può essere bastarda, ma è comunque tutto ciò che abbiamo e tutto ciò a cui ci aggrappiamo.”

Quelle parole mi colpirono profondamente. Non avrei mai immaginato che una ragazza all'apparenza così solare e raggiante potesse celare un passato così oscuro. Eppure Claire era stata forte, e ora mi sorrideva, tentava di darmi coraggio.

Dissi la prima cosa che mi passava per la mente: nient'altro che la verità. “Probabilmente, se Chester avesse avuto accanto una persona come te, avrebbe trovato la forza per andare avanti.”

La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa. “Mike, ti rendi conto di quello che hai appena detto? Lo pensi davvero?”

Annuii con decisione e la strinsi in un abbraccio. Quel gesto per me valeva più di mille grazie.

Poi lei si allontanò e tornò da alcune sue amiche, e contemporaneamente riconobbi le prime note di Castle Of Glass.

Per l'ennesima volta mi domandai se stessi vivendo in un sogno. Era tutto così surreale!


Perché non facciamo Rebellion?” propose per l'ennesima volta un tizio che indossava una maglietta dei Metallica.

Mi faceva un po' sorridere il suo anticonformismo, dato che tutti indossavano indumenti con il nostro logo.

C'è un piccolo problema: non abbiamo né chitarre elettriche né tastiere, verrebbe fuori uno schifo!” obiettò Derek.

Dovremmo puntare su qualcosa di più conosciuto!” aggiunse Angelika, la ragazza che suonava lo djambé.

Aveva ragione: Rebellion non era certo una delle nostre canzoni più famose, nonostante fosse in featuring con Daron Malakian.

Il mio pensiero corse al chitarrista dei System Of A Down: un altro che aveva conosciuto, adorato e perso Chester.

Abbiamo già fatto Burn It Down?” domandò la ragazza dai capelli azzurri, di cui non riuscivo a ricordare il nome.

Scossi la testa. “Ho paura ci sia lo stesso problema di Rebellion” commentai.

Ormai il ghiaccio si era rotto e io, completamente rilassato, stavo in piedi accanto alla panchina. Mi avevano offerto acqua e birra, ma io avevo accettato solo la prima; infatti stringevo tra le mani una bottiglietta di plastica da mezzo litro.

Oh no, caro Mike, non sarà affatto un problema! Aspetta e vedrai!” esclamò Alexia, la ragazza col cappellino e i piercing. Poi si rivolse a Derek: “Vai pure con Burn It Down!”

Non sapevo proprio cosa aspettarmi; quello era un brano impossibile da fare in acustico, mancavano le tastiere, che erano la parte più importante.

Sean, il ragazzo che suonava il cajon, cominciò a battere a ritmo regolare sul suo strumento; dopodiché Alexia gridò: “Su ragazzi, via con i synth!”.

E alcuni presero a imitare con la voce il celebre giro di tastiere, tra le risate generali.

Ero allibito e non potei fare a meno di scoppiare a ridere a mia volta. “Siete dei fottuti geni!” commentai.

Che te ne pare, capo? Non avremmo gli LP al completo, ma ci arrangiamo!” Alexia mi fece l'occhiolino.

Cantammo tutti insieme ancora una volta, e per me fu un tuffo al cuore, come sempre.

La verità era che, da quando Chester se n'era andato, non avevo ancora avuto il coraggio di ascoltare né cantare una canzone dei Linkin Park, ma quei ragazzi mi stavano aiutando a superare quel blocco, spennellando il tutto di allegria e risate. Mi trovavo davvero bene con loro, non li avrei mai ringraziati abbastanza.

Bene, ragazzi, un po' d'attenzione!” gridò Angelika al termine della canzone; lasciò il suo djambé sull'erba e salì in piedi sulla panchina, battendo le mani. “Qualche giorno fa ci è giunto un messaggio in cui venivano chiesti cinque minuti della serata da parte di una ragazza. Lei ha scritto una poesia e vorrebbe leggerla, ma io poco ne so, quindi lascio a lei la parola.” Dopodiché si voltò e indirizzò un'occhiata alla taciturna ragazza dai lineamenti orientali. “Gatha... sei tu, giusto?”

Anche io, sorpreso, volsi lo sguardo in quella direzione e osservai Gatha mentre batteva appena sulla schiena di suo fratello, prima di dirigersi a passo spedito verso la panchina – che ormai fungeva da piccolo palco. Una volta accanto ad Angelika, estrasse dalla sua borsa un foglio e si schiarì la gola.

Tutt'intorno calò il silenzio.

Ho scritto questa poesia dedicata a Chester non appena ho saputo la triste notizia. Così ho dato voce a un dolore che mi tormenta da tanto tempo. Vi ringrazio, se vorrete ascoltarmi” proclamò a un volume di voce non troppo alto. Aveva un bel timbro.

Prima che potesse cominciare a recitare il suo componimento, invitai il fratello di Gatha ad avvicinarsi, dal momento che era rimasto in disparte. Lui rimase per un secondo a fissarmi, gli occhi sgranati, poi mi raggiunse velocemente.

Come ti chiami?” sussurrai.

Dareh.”

Wow” commentai.

Iran” spiegò velocemente, poi mi fece segno di tacere.

Gatha, prima di iniziare a leggere i suoi versi, mi lanciò una breve occhiata.


Gelo: i miei occhi.

Nero: il colore dei miei giorni,

del mare in tormenta.

La mia mente non rammenta

più l'ultima volta

in cui sfiorò il tuo volto.

Le mie orecchie stridono

senza le tue risa;

i miei occhi non ridono.

Mi manchi, sai?

Non avrei detto mai

di poter perdere me stessa

nei meandri della tua assenza.


Rimasi a bocca aperta, mentre nuove lacrime minacciavano di lasciare i miei occhi.

Gatha era riuscita, in pochi versi, a esprimere tutto ciò che sentivo dentro di me.

La ragazza balzò giù dalla panchina, ma prima che potesse ritornare al suo angolino mi avviai verso di lei, con Dareh al seguito.

Ehi... complimenti, sono dei versi stupendi!” esclamai, posandole una mano sulla spalla.

Lei si voltò di scatto, come se fosse stata scottata, e mi fissò.

Da tempo cercavo le parole per dirlo... e tu le hai trovate” ammisi, leggermente a disagio.

Lei rise amaramente. “Tu hai perso un amico che per te era come un fratello. Io, quando ero ancora in Iran, ho perso un fratello. Io e Dareh abbiamo perso anche i nostri genitori. E ora anche Chester. Ora siamo veramente soli” raccontò velocemente, avvolgendo un braccio attorno alle spalle di suo fratello.

Abbassai lo sguardo, ancora più imbarazzato di prima. Forse la sofferenza che provavo io non era nulla in confronto a quella che avevano provato quei due ragazzi. Non conoscevo la loro storia, ma si leggeva nei loro occhi che il loro vissuto li aveva segnati.

Te la regalo.”

Improvvisamente mi riscossi; Gatha mi stava sventolando davanti agli occhi il foglio da cui aveva letto la sua poesia. Stralunato, lo afferrai e vi posai lo sguardo: erano proprio le parole che lei aveva recitato.

Feci per ringraziarla, ma lei e Dareh si erano già allontanati.

Sicuramente mi trovavo all'interno di un sogno, era l'unica spiegazione.

E, come se qualcuno mi avesse letto nel pensiero, in quel momento udii la parola dream, pronunciata dal coro che già aveva ripreso a cantare.

Leave Out All The Rest. Adoravo quella canzone.


I dreamed I was missing
You were so scared
But no one would listen
Cause no one else cared
After my dreaming
I woke with this fear
What am I leaving
When I'm done here?
So, if you're asking me, I want you to know



Ormai la luce arancione del tramonto stava lasciando il posto all'oscurità, un vento fresco giungeva dal mare alle nostre spalle e la maggior parte di noi era infreddolita.

Mi strinsi nella mia giacca.

Hai freddo, Mike?” domandò con fare premuroso George, mentre si assicurava che la sua chitarra fosse ancora ben accordata.

Scusateci, contavamo di finire prima! Dai, mancano solo due canzoni: One More Light e From The Inside, poi vi lasciamo liberi!”

Veramente siete liberi di andare quando volete, qui guinzagli non ne abbiamo!” commentò Alexia con una risata.

Ma nessuno aveva voglia di andar via, o almeno, io no di certo.

Alcune ragazze lanciarono un grido non appena sentirono nominare One More Light, mentre il mio cuore faceva le capriole nel petto.

Avevamo riso e scherzato per quasi tutta la serata, ma sentivo che era arrivato un momento molto serio.

Prima però che ne dite di dare la parola a Mike?” se ne uscì George a un certo punto, scatenando l'entusiasmo generale.

A me? Ma perché? Cioè...” borbottai, in difficoltà.

Per dire due parole su... insomma, come ti è parso questo piccolo memorial? Ovviamente solo se ti va” aggiunse Angelika.

Feci scorrere lo sguardo tra i partecipanti a quell'evento e una profonda gratitudine mi invase e mi avvolse. In quel momento decisi che sì, volevo dire qualcosa, volevo ringraziare tutti.

Mi posizionai davanti alla panchina, ma non vi salii sopra; i momenti per stare sul palco erano altri.

Beh, io non sono molto bravo con le parole... però stavolta le voglio trovare, ve lo devo” cominciai. Presi un profondo respiro, tentando di regolarizzare il mio cuore che batteva a mille. “Sapete, quando sono arrivato in questa piazza, qualche ora fa, e vi ho visto, mi è subito venuta in mente una cosa: a Chester piacerebbe un sacco questa scena. Già, perché lui era così, anche se non ci crederete: amava le cose semplici e spontanee, quindi avrebbe adorato il vostro unirvi per stare un po' insieme, strimpellare e intonare insieme delle canzoni che vi piacciono. Per questo vi dico: per quanti memorial verranno organizzati in suo onore, per quanti mega palchi verranno allestiti, per quante bravissime cover band dei Linkin Park verranno chiamate a suonare, il suo memorial preferito sarà sempre il vostro.”

Mi interruppi, la voce rotta dall'emozione. Nelle ultime luci del giorno brillavano le lacrime dei miei ascoltatori.

Solo allora mi resi conto che una goccia salata rigava anche la mia guancia destra.

Tuttavia mi imposi di continuare.

Vi ringrazio. Da parte mia, da parte di Chester e da parte di tutti noi dei Linkin Park. Avete messo su una festa, basata su un momento triste ma pur sempre una festa, e soprattutto un momento di unione e crescita. Oggi è la prima volta, dopo che Chester se n'è andato, in cui ascolto e canto nuovamente le nostre canzoni, e tutto questo lo devo a voi. Grazie, perché mi avete fatto sentire meno solo. Nonostante non vi conosca uno per uno, ho trovato in voi una famiglia, e...”

Mi asciugai le lacrime con la manica della giacca, rosso in volto.

Non vi salti mai in mente di fare ciò che ha fatto lui. La vita è bella, cazzo, è fottutamente bella, e la dovete vivere con la stessa passione con cui avete cantato oggi” conclusi.

Venni travolto da talmente tanti abbracci che persi il senso dell'orientamento.

E di quell'abbraccio non mi liberai. Ascoltai tutti che cantavano One More Light, mentre qualcuno ancora mi circondava le spalle. In preda ai singhiozzi, non riuscii a pronunciare una sola parola di quella canzone.

Mi parve quasi di vederlo lì, accanto a me. Chester, pallido come sempre, che impugnava il microfono, chiudeva gli occhi e cantava con noi.

Non riuscii a smettere di piangere fino alla metà di From The Inside.

Infine scattammo una foto tutti insieme, con tanto di occhi rossi per il pianto e sorrisi da un orecchio all'altro. Alla mia destra c'era Derek, mentre alla mia sinistra si era posizionato il piccolo Alex. Ci stringemmo tutti insieme per lo scatto, in un enorme abbraccio.

Ti offriamo qualcosa in un bar”, mi proposero, “o qualcosa da mangiare, se preferisci.”

Ma io declinai l'invito; ormai era notte e io avevo una famiglia, delle persone da cui tornare, che probabilmente erano preoccupate per me.

Mi dispiaceva non avere niente con me da poter donare a quei ragazzi, dopo che loro mi avevano dato tanto. Ma ciò che veramente contava era il ricordo della serata e ciò che aveva lasciato moralmente ed emotivamente a ognuno di noi.

Salutai tutti con un abbraccio.

Sei una persona d'oro” mormorò Claire mentre la stringevo a me.

Grazie per essere stato con noi, è stato un onore” mi disse invece Derek.

Erano troppo buoni con me.

Quando mi allontanai per tornare alla macchina, che avevo parcheggiato chissà dove, percepii subito un gran vuoto dentro di me. Improvvisamente anche il vento che mi si scontrava addosso pareva più freddo.

Mentre camminavo per la via dalla quale ero venuto, ormai quasi deserta, infilai una mano in tasca e tastai il foglio con la poesia di Gatha e il tappo della bottiglietta offertami, che avevo deciso di conservare. Mi sentii subito meglio.

Fratello, spero ti sia piaciuta la festa che abbiamo organizzato per te.

Mi manchi. Ci manchi.




♣ ♣ ♣




Eccomi qui, al termine di questo folle esperimento.

Non so cosa mi sia preso, non lo so.

L'ispirazione, forse, è nata quando ho guardato per intero il memorial di Chester all'Hollywood Bowl, e ho sentito Mike che parlava e cantava. Ci ha messo talmente tanta passione che mi ha emozionato come poche volte mi è capitato.

È per questo che ho deciso di dedicargli questa storia.

Nonostante l'argomento centrale sia Chester, ho scritto questo racconto per Mike e la sua sorprendente dolcezza.

Piccola nota sulla poesia di Gatha: quei versi li ho scritti io, in quattro e quattr'otto (mi sembrava carino inserire ciò che lei ha letto, e non semplicemente menzionarlo) ^^

Grazie a chiunque sia giunto fin qui e avrà il coraggio di commentare. Io – ve lo confesso – non so proprio che dire XD

Grazie ancora, e spero a presto!!!



   
 
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