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Autore: Red Owl    20/06/2018    3 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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Ulf strinse le dita sul granito del ripiano al quale si era appoggiato, premendo la fronte contro il vetro fresco della finestra. Davanti ai suoi occhi, la luce calda delle sei di sera illuminava il prato che circondava la casa di Katti, facendo risplendere i fiori selvatici che vi crescevano come se fossero stati infusi d’oro e ambra.

È stata la scelta giusta. Non avrei potuto fare altrimenti. Per quella che doveva essere la millesima volta, l’uomo si ripeté quelle parole, cercando di farle suonare convincenti almeno alle sue stesse orecchie. Il problema era che, ogni volta che ripensava al suo brevissimo incontro con Lidia, la sua mente gli ripresentava senza pietà lo sguardo che la ragazza gli aveva rivolto quando le aveva ordinato di fare ritorno a Roma. Uno sguardo incredulo, ferito, smarrito. Uno sguardo che, inevitabilmente, lo faceva sentire la persona peggiore sulla faccia della terra.

Ma cos’altro avrei potuto fare? Si chiese il giovane, con un senso di frustrazione che rasentava la rabbia. Lidia non gli aveva lasciato scelta. Tenendogli nascosta la presenza del ragazzo romano – nonché, sospettava, la sua identità – la fanciulla aveva dato il via a tutta una serie di eventi che si era poi risolta nel peggiore dei modi, mettendolo di fatto nella situazione di dover scegliere tra lei e Unna.

Proprio la decisione che non avrei mai voluto prendere, considerò, con una smorfia amara. Più che altro, perché non si trattava affatto di una scelta. Non poteva abbandonare Unna: era sua sorella – la sua gemella – e l’aveva conosciuta ancora prima di conoscere il volto di sua madre. Il fatto di starle accanto in un momento tanto delicato non era nemmeno un obbligo, per lui: era semplicemente una necessità.

Perché lui la conosceva fin troppo bene, Unna. Vista da fuori, la giovane sembrava indistruttibile, ma nel profondo del suo animo, in un posto sconosciuto ai più, nascondeva una fragilità impensata. Una fragilità che può rivelarsi particolarmente pericolosa proprio perché lei si rifiuta di riconoscerla e di farci i conti.

Il solo pensiero di abbandonarla a se stessa lo terrorizzava. Già una volta, in passato, avevano provato a concederle i suoi tempi e i suoi spazi, lasciandola libera di decidere se e quando farsi aiutare. Ulf ricordava fin troppo bene quali erano stati i risultati e non aveva alcuna fretta di trovarsi nuovamente in una situazione del genere.

E poi, c’è da dire una cosa: Lidia ha una famiglia che sarebbe disposta a riprenderla con sé, se necessario. Lei un posto dove andare ce l’ha… Unna no. Quando Rolf aveva detto loro che Karl era morto e che a ucciderlo era stato un romano che viaggiava con Lidia, la mente di Ulf era subito corsa a ciò che quel fatto avrebbe significato per il suo rapporto con la moglie. Malgrado la rabbia e la delusione dei primi istanti, l’uomo si era convinto che la ragazza non potesse essere veramente ritenuta responsabile per la morte dell’amico. Se la conosceva almeno un poco, sentiva di poter dire che, con ogni probabilità, Lidia si era ritrovata vittima degli eventi e non era riuscita a evitare che le cose virassero al peggio. Ciononostante, restava il fatto che, se fosse stata sincera con lui fin dall’inizio, le cose sarebbero forse andate in un altro modo. E, ancora più importante: forse quello che è successo non è colpa sua. Però il tizio che ha ucciso Karl è un suo amico; e non c’è niente che possa cambiare questa cosa.

Alla fine dei conti, Ulf sentiva di dover guardare in faccia la realtà. E, per sua sfortuna, la realtà era estremamente semplice: Unna sentiva il bisogno di allontanarsi da Erding, per se stessa e per il bene del bambino. Ora che Karl non c’era più, il giovane sapeva di dover essere lui a farsi carico di quella responsabilità. Non poteva certo chiedere a suo padre di occuparsi di lei, né, tantomeno, poteva pretendere che fosse Hermann a farlo: l’uno doveva sottostare agli obblighi che gli derivavano dall’essere il capo villaggio, l’altro era semplicemente troppo giovane per prendersi una responsabilità del genere.

No, tocca a me.

Il che lo poneva dinnanzi a ciò che avrebbe dovuto fare con Lidia. Se la situazione fosse stata diversa – se non fosse stata proprio lei a condurre al villaggio quel romano – Ulf l’avrebbe portata con sé. Ma così come faccio? Poteva davvero imporre a Unna la presenza della ragazza? Come avrebbe mai potuto essere possibile la convivenza tra le due?

E, tra l’altro: sono davvero sicuro che sarebbe giusto costringere Lidia a vivere per sempre a stretto contatto con mia sorella?

In quell’istante, dei passi leggeri risuonarono alle sue spalle. «Vieni: la cena è pronta. Rolf è abituato a mangiare a quest’ora e Katti non vuole scombussolarlo troppo.» Silenziosa come suo solito, Unna l’aveva raggiunto accanto alla finestra. Ulf però era talmente assorto nei suoi pensieri, che si limitò a rivolgerle un vago cenno d’assenso.

Che poi, c’era da considerare anche un’altra cosa. Suo padre gli aveva raccontato che la notte in cui Lidia era sparita di casa un soldato romano era stato ucciso da delle persone che non erano ancora state identificate. Anche se non aveva la certezza assoluta di chi fosse il ragazzo morto, da ciò che gli era stato riferito Ulf sospettava che potesse trattarsi dello stesso legionario che, qualche giorno prima, aveva scortato Lidia dal Prefetto Caleno.

Potrebbe trattarsi di una coincidenza, oppure potrebbe significare che, quando è stato aggredito, Lidia era con lui. Il che, di conseguenza, significava che, così come temeva ormai da parecchio tempo, lì in Germanica la ragazza era in pericolo. E, allora, rimandarla a Roma sarebbe davvero la cosa migliore per tutti.

Egoisticamente, Ulf si chiese se in quel “tutti” fosse compreso anche lui. Concettualmente sapeva che senza Lidia e i suoi pasticci la sua vita sarebbe tornata a essere molto più semplice. Nonostante ciò, non poteva fare a meno di domandarsi se sarebbe stata anche più felice.

Lui e Lidia si conoscevano ancora poco, ma il tempo che avevano passato insieme era stato comunque sufficiente a fargli venire voglia di conoscerla di più. Le voleva bene e, quasi senza rendersene conto, era arrivato a considerarla parte integrante della propria vita. Se pensava al futuro, lo vedeva con lei. Gli avvenimenti degli ultimi giorni l’avevano costretto a rivedere i suoi piani e quella prospettiva gli causava un dolore sordo all’altezza del petto. Sentiva di aver perso qualcosa; e il fatto che si trattasse di un “qualcosa” che non aveva nemmeno mai avuto non era di alcuna importanza.

«Guarda, io te lo dico: di là si raffredda tutto.»

Con le dita, l’uomo tamburellò pensosamente sul piano di granito che si trovava davanti. Forse, però, stava un po’ perdendo il senso della misura. Da quanto stavano insieme, loro due? Tre, quattro mesi? Ci siamo sposati il quattro di maggio: non sono nemmeno tre mesi. Com’era possibile che una persona che conosceva da così poco tempo gli cambiasse in tal modo la vita? Dopotutto, non doveva dimenticare il motivo esatto per cui loro due erano finiti insieme. È stato grazie alla geniale pensata dei Sacerdoti e dell’Imperatore.

Bastò il pensiero per fargli correre un brivido infastidito lungo le braccia. No: anche a distanza di mesi, la faccenda dei matrimoni combinati continuava a sembrargli una grandissima idiozia. E, allora, non dovrei fare altro che tornare a quello che ero prima che la suddetta grandissima idiozia si verificasse: non dovrebbe essere troppo difficile, no?

Ulf si soffermò qualche istante a valutare quell’idea. Tornare a una vita in solitaria, lontano da Erding, con Unna e il suo bambino. E magari un’altra donna, prima o poi. Una vita da gestire in libertà, senza interferenze da parte di Roma, né da parte dei Sacerdoti. La prospettiva aveva un certo fascino, in effetti. Però…

Il giovane si sentì travolgere da una desolante ondata di tristezza. Lidia, pensò. Il suo modo di fare, a tratti comico in maniera del tutto non intenzionale, quel suo aprirsi un poco alla volta, le sue paure che a volte diventavano coraggio, la sua inaspettata determinazione, la sua capacità di ascoltare… già ne sentiva la mancanza. Terribilmente. Per non parlare, poi, delle cose più concrete: i suoi occhi scuri, il suo profumo, il modo che aveva di stringersi a lui e di baciarlo. E altre cose…

«Hai intenzione di rimanere così ancora per molto?»

Ma questo non cambia niente, si disse il giovane, irrigidendo le spalle e stringendo i denti come per darsi forza. Erano pensieri che aveva già fatto mille volte, nelle ultime ore, e la conclusione era sempre la stessa: per quanto doloroso fosse andarsene via e separarsi da Lidia, non c’erano alternative. Andava fatto, e basta.

Stando così le cose, Ulf sentiva di avere soprattutto un rimpianto: non aver gestito meglio la sua ultima conversazione con la moglie. Avrei quantomeno dovuto darle la possibilità di spiegare meglio le sue ragioni, prima di imporle la mia decisione. Il risultato finale non sarebbe cambiato, ma forse ora mi sentirei meglio.

La verità era che si era fatto prendere dal panico. Aveva permesso che i vecchi ricordi lo inducessero a credere che vi fosse un pericolo imminente e, quasi inconsciamente, non aveva voluto permettere a Lidia di parlare. Forse per evitare che potesse farmi cambiare idea. Che poi, chissà cos’ha fatto, quando me ne sono andato. Si sarà rivolta alla Sacerdotessa? Sarà rimasta a casa?

A quel pensiero, un tremito di preoccupazione gli strinse lo stomaco. Era stato davvero stupido a non prendere qualche precauzione per assicurarsi che Lidia non corresse alcun pericolo. Avrebbe dovuto mandare qualcuno a tenerla d’occhio. Se non altro, avrei dovuto spiegare a papà quello che stava succedendo: lui si sarebbe preso cura di lei.

Nel tentativo di rassicurarsi, il giovane si disse che, con ogni probabilità, non avendo più sue notizie Gefrid aveva comunque mandato qualcuno a vedere che cosa stava succedendo. O almeno lo spero: malgrado tutto, dubito seriamente che il ragazzino romano sia in grado di difenderla in maniera decente.

Ulf era completamente immerso in quei pensieri che si facevano via via sempre più inquieti e non si accorse dello sguardo stranito che Unna gli stava rivolgendo. Quando la sorella gli posò una mano sul braccio, il contatto con le sue dita fredde lo fece trasalire. «Sì, adesso arrivo» mormorò cupamente, voltandosi appena per guardarla.

La donna scosse il capo. «Se devi stare così, tanto vale che vai a prenderla.»

Sulle prime Ulf non capì e guardò la sorella, confuso. «Come?» Lei abbassò lo sguardo a terra e si masticò brevemente le labbra, come se stesse tentando di capire se la decisione presa fosse quella giusta, poi cercò gli occhi del fratello, rivolgendogli un sorriso tirato. «È da questa mattina che praticamente non apri bocca. Non so perché, ma immagino che sia per colpa della romana: a ‘sto punto, vattela a riprendere e falla finita.»

Ulf distolse brevemente lo sguardo, cercando maldestramente di nascondere l’espressione attonita che gli si era dipinta sul volto. «Lidia non c’entra niente» provò a negare, consapevole di quanto falsa suonasse quell’affermazione.

Unna storse la bocca. «Come no!» commentò, sarcastica. «É inutile che cerchi di farmi passare per cretina: ti conosco abbastanza bene per capire quando non dici la verità.»

L’uomo sospirò. «D’accordo» ammise. «Non mi è piaciuto affatto doverla lasciare là. Però sai benissimo perché l’ho fatto… e, anche se odio dirlo, non c’era altra soluzione. Lidia starà bene, a Roma.»

Unna lo fissò con aria scettica. «Può essere. Quello che mi chiedo, però, è se tu starai bene senza di lei.»

Ulf scosse le spalle. «Sopravvivrò.»

La donna strinse la presa sul suo avambraccio, pizzicandolo come era solita fare quando erano bambini. «Non fraintendermi: se non dovessi vederla più non mi dispererei di certo, ma ti dispiacerebbe dirmi per quale motivo, esattamente, l’hai mandata via?»

L’uomo voltò il capo di scatto, fissandola con gli occhi ridotti a fessure. «Sarebbe stato un po’ strano, non credi, vivere tutti nella stessa casa?»

«Tutti?» lo interrogò Unna, chinando il capo di lato. «Intendi tu, lei e io?» Ulf annuì e la giovane sbuffò. «Cosa ti fa credere che io voglia vivere con te? Non mi serve una balia!»

L’uomo fu sul punto di dirle che, quando la notizia della morte di Karl li aveva raggiunti, non gli era affatto sembrato che lei fosse in grado di cavarsela da sola. Almeno in un primo momento, il modo in cui lei aveva reagito l’aveva fatto preoccupare non poco: anche se ormai erano passati anni da quello che, fino ad allora, era stato il momento più buio nella vita di Unna, il giovane aveva riconosciuto perfettamente quello sguardo vuoto, quei movimenti assenti, apatici. Poi, però, la donna sembrava essersi ripresa. Se non altro, pareva aver riguadagnato un discreto controllo su se stessa, lasciando presumere che non sarebbe ripiombata negli abissi che aveva conosciuto durante la sua adolescenza.

«Lo so», disse allora, scegliendo con attenzione le parole, «ma presto avrai un bambino e sarai completamente sola, non credo che…» Unna lo interruppe con un brusco cenno della mano. «Non sarò né la prima, né l’ultima donna a prendersi cura di un bambino senza l’aiuto di un marito. Me la caverò benissimo.»

«Può essere», ribatté Ulf, voltandosi verso di lei e fissandola negli occhi, «ma io non ho comunque intenzione di lasciarti sola!»

Sua sorella sostenne il suo sguardo per alcuni lunghi secondi, poi lasciò che i suoi occhi scivolassero via da quelli del fratello e scosse il capo con un mezzo sorriso. «D’accordo, d’accordo. Però sappi che, se vuoi riprenderti quella buona a nulla di tua moglie, a me sta bene.»

L’uomo la scrutò intensamente, come se non credesse alle sue parole e stesse cercando la ragione per la quale stava mentendo. «Vorresti farmi credere che quello che è successo non conta niente?» chiese, e la sua voce suonò più dura di quanto avrebbe voluto.

Unna lo fulminò con lo sguardo. «Non ho mai detto una cosa del genere!» ringhiò. «Karl era mio marito e già mi manca da morire…» La voce della giovane si incrinò in maniera quasi impercettibile e, subito pentito per la sua mancanza di tatto, Ulf le posò le mani sulle spalle e la attirò a sé. Lei resistette e si divincolò, ma non si allontanò da lui. «Scusami» mormorò l’uomo. «Non volevo insinuare niente. È solo che a volte… è solo che a volte non mi era molto chiaro quello che provavi veramente per lui.»

Unna si strinse nelle spalle, sospirando. «Se ho accettato di sposarlo, è perché lo amavo, non certo perché avevo bisogno della sua compassione. E non mi serve nemmeno la tua, di compassione: quindi, per favore, risparmiamela.»

Avvertendo la riluttanza della sorella a parlare di un argomento del quale, del resto, nemmeno lui era particolarmente ansioso di trattare, Ulf tornò ad appoggiarsi al davanzale e abbassò brevemente lo sguardo a terra, prima di alzarlo di nuovo su Unna. «Va bene, ho capito» disse, dopo qualche istante di silenzio. «Però faccio comunque fatica a credere che rivedere Lidia non ti farebbe alcun effetto.»

La donna scosse il capo, con un sorriso amaro. «Non la incolpo per quello che è successo» dichiarò, allargando le braccia. «Se Lidia non mi piace particolarmente, è perché non ha un minimo di spina dorsale. Non sopporto quel suo essere completamente dipendente dagli altri… e poi è romana, il che non migliora di certo le cose. Però non credo che sia stata lei a uccidere Karl.» Poi, facendo scorrere lo sguardo sul fratello, Unna parve colta da un dubbio. «Tu invece credi che sia colpa sua?»

Preso alla sprovvista dalla domanda della gemella, Ulf arrossì leggermente. «No, certo che no!» si affrettò a precisare. «Però, forse, se fosse stata più sincera, le cose sarebbero andate diversamente.»

Unna sollevò appena una spalla. «E chi lo sa… forse. A giudicare da quello che ci ha raccontato Rolf, però, ho come l’impressione che quella ragazza si sia ritrovata in completa balia degli eventi. Come suo solito, del resto. È talmente stordita che, probabilmente, non si è nemmeno accorta di quello che stava accadendo.»

Nel sentir parlare di Lidia in modo tanto dispregiativo, Ulf storse un po’ il naso. «Be’, Rolf ha anche detto che ha tentato di fermare quel romano… che ha cercato di calmare un po’ gli animi, no?»

«Sì», ribatté Unna, «ma non mi pare che la cosa le sia riuscita molto bene.»

«Almeno ci ha provato» insistette lui, sentendosi improvvisamente in dovere di difendere la moglie. La giovane si limitò a rivolgergli un vago cenno del capo. «Va be’. Quello che voglio dire è che, secondo me, Lidia non è andata veramente a cercarsela. Si è lasciata trasportare dagli eventi, ma non ha scelto di fare quello che ha fatto… a differenza di Karl.» Cogliendo la nota amara che aveva distorto la voce della sorella, Ulf si costrinse a rimanere in silenzio e a lasciarla parlare. «Lui è partito di sua spontanea volontà, anche se gli avevo chiesto di non farlo.»

L’uomo sospirò. «L’ha fatto perché credeva fosse la cosa giusta da fare» le fece notare dolcemente.

Lei gli rivolse un sorriso triste. «Lo so: lui era fatto così… non ce l’ho veramente con lui.» Poi, la sua voce si fece più dura. «L’unico vero colpevole di quello che è successo è quel romano: mi dispiace non essere stata più veloce, ieri. Avrei potuto ucciderlo, se quell’altro tizio non si fosse messo in mezzo.»

Il volto di Ulf si irrigidì. «Forse è un bene che tu non l’abbia preso. Non credo che Lidia l’avrebbe presa bene, se fosse morto.» Unna gli lanciò uno sguardo freddo. «Non me ne frega niente, a dire il vero. Ho detto che per me può restare, non che voglio diventare la sua migliore amica. Tu e tua moglie potete pensarla come volete, ma quel romano ha ucciso Karl e io ho tutto il diritto di vendicarmi. Ti ricordo che era anche tuo amico.»

Ulf distolse lo sguardo, sentendosi combattuto e vergognandosi un po’ della sua indecisione. «Lo so, ma ucciderlo non ti restituirebbe tuo marito. Il ragazzo resta pur sempre un romano, magari anche di buona famiglia, se ha avuto i mezzi per venire fino a qui: la sua morte non farebbe che procurarti altri problemi.» Notando l’incertezza che si era disegnata sul volto della sorella, il giovane rincarò la dose. «Possiamo già ritenerci fortunati se non avremo rogne da quel tipo che hai ferito: hai idea di chi fosse?»

Lentamente, Unna scosse il capo. «Non l’ho mai visto prima. E, sfortunatamente, non c’è proprio stato il tempo per fare le presentazioni. Comunque non l’ho certo ferito in modo grave: mi pareva bello combattivo, quando mi ha dato della pazza per averlo colpito…»

«Non mi pareva un legionario» commentò Ulf, cercando di riportare alla memoria i vaghi ricordi che conservava dell’uomo con i capelli rossi.

«Non lo era» confermò Unna, con una nuova certezza nella voce. Dopo qualche istante, la ragazza si scostò di un passo e fece un gesto come se volesse allontanare quei pensieri. «Allora», disse, poi, guardandolo con il capo leggermente inclinato, «cosa intendi fare? Vai a riprenderti la ragazza o cosa?»

Anche se avrebbe voluto apparire un po’ meno entusiasta e dare almeno la parvenza di rifletterci sopra un poco, l’uomo si ritrovò ad annuire. «Sì, meglio di sì. Questa mattina ho agito d’istinto e non ci ho pensato molto, prima di andarmene via. Però, considerato quello che è successo negli ultimi giorni, mi sentirei molto più tranquillo avendocela sott’occhio. Poi vedremo cosa fare.»

Unna corrugò la fronte. «In che senso?»

L’uomo esitò. «Vedremo se vorrà comunque restare qui o se preferirà tornare a Roma. Se prima di tutta questa storia sentivo di conoscerla davvero molto poco, adesso non ho proprio la minima idea di che cosa le passi per la testa…»

La donna non trattenne un sorrisetto storto. «Oh, a giudicare da come ti guarda e da come parla di te, non credo proprio che voglia andarsene.»

«Dici?» A quelle parole Ulf si aprì in un sorriso, avvertendo uno strano calore all’altezza dello stomaco. Unna alzò gli occhi al cielo. «Patetico» sospirò, prima di fare un cenno in direzione della porta. «Dai, vai, tanto ormai di là è tutto freddo.»

Il giovane annuì, mentre il suo sorriso si spegneva un poco. «Va bene, ci vado subito. Voi mangiate, nel frattempo: potrebbe non essere una cosa rapida.»

Unna gli rivolse uno sguardo confuso. «E perché mai? Non credo proprio che dovrai pregarla, per convincerla a seguirti…» Un angolo della bocca di Ulf si sollevò quasi impercettibilmente, poi l’uomo scosse il capo, divertito dall’osservazione della sorella. «Forse no, ma il problema è che non è affatto detto che Lidia sia ancora a casa nostra. Questa mattina le avevo raccomandato di non rimanere lì da sola, ma di andare a cercare Donna Erin. E, chissà: potrebbe anche avermi ascoltato, per una volta nella vita. Oppure potrebbe essere andata al campo militare con il suo amico romano, o il tipo che hai ferito potrebbe averla portata chissà dove… in effetti, potrebbe essere ovunque, ora che ci penso.»

Vedendo che il fratello cominciava a farsi inquieto, Unna gli posò una mano sul braccio. «È inutile che stai qui a perdere tempo, allora. Va’ e cercala – e vedi di trovarla, che ‘sto muso lungo mi ha già stancato.»

Lui le rivolse un’occhiata storta, poi ricambiò la sua stretta e, senza aggiungere altro, si avviò verso la porta. La casa di Katti si trovava praticamente dall’altra parte del villaggio e il giovane percorse le strade di Erding a passo rapido, senza fermarsi a osservare quello che accadeva attorno a lui. Con la coda dell’occhio, notò che in paese pareva esserci un certo fermento, ma non si soffermò per scoprire che cosa l’avesse provocato. Quando, poco più di un quarto d’ora più tardi, giunse in prossimità della casa che divideva con Lidia, Ulf si fermò di colpo, sorpreso. E quello chi è?

Seduto sui gradini di fronte alla porta d’ingresso, c’era un ragazzino dall’aria annoiata che giocherellava con un filo d’erba. Anche se sulle prime gli parve di non conoscerlo, avvicinandosi ulteriormente Ulf vide che si trattava del figlio del macellaio – del resto, le sue orecchie a sventola e il suo naso rosso erano piuttosto inconfondibili.

Cosa accidenti ci fa, qui? Si chiese, strisciando un poco i piedi sul selciato per attirare l’attenzione del giovane germanico. Sentendolo avvicinare, il ragazzo lasciò cadere la margherita che teneva tra le dita e balzò in piedi, sul volto un’espressione a metà strada tra lo scocciato e il sollevato.

Il ragazzino fece per parlare, ma Ulf lo precedette. «Hai bisogno di qualcosa?» chiese, senza tanti preamboli. Il figlio del macellaio sbatté un paio di volte gli occhi chiari, come se fosse rimasto sorpreso da un approccio tanto diretto, poi fece un mezzo cenno d’assenso. «Devo dire una cosa a Livia.»

«A Lidia» lo corresse Ulf. «Che cosa devi dirle?»

Il ragazzetto lo guardò con sospetto, quasi come se non fosse certo di potersi fidare di lui. «Il papà mi ha detto di parlare solo con Lidia. Non so se posso dirlo a te.»

Per una frazione di secondo, Ulf fu tentato di alzare gli occhi al cielo. «Sono suo marito» spiegò, cercando di mantenere la calma. «Sono abbastanza certo che qualsiasi cosa tu le debba dire possa essere detta anche a me.»

«Hm.» Il ragazzo lo squadrò ancora per qualche istante, poi parve rassegnarsi. «Tu lo sai, chi è Alexander?» Ulf corrugò la fronte, cercando di ricordare se conoscesse qualcuno che rispondeva a quel nome. «Chi, scusa?»

Il figlio del macellaio si portò le mani sui fianchi e sbuffò. «Ma sei sicuro che sei suo marito? Mio padre mi ha detto che Alexander è un amico di Lida e che lei stava aspettando un suo messaggio. Mi sembra strano che tu non lo conosci

Ulf espirò con forza, ricordandosi improvvisamente di quanto potessero essere odiosi i ragazzini di quell’età. «Senti, perché non facciamo una bella cosa? Adesso entriamo, tu le consegni il tuo messaggio e io sento che cos’hai da dirle. D’accordo?» Per tutta risposta, l’altro gli rivolse uno sguardo accondiscendente. «Ci ho già provato» lo informò. «Non è in casa.»

Allarmato, l’uomo si girò di scatto verso la porta. «No?»

«No» confermò il ragazzetto. «Ho provato a entrare, ma la porta è chiusa a chiave.» Sentendo la preoccupazione montare, Ulf tornò a rivolgersi al suo giovane compaesano. «Da quanto tempo sei qui, tu?»

Il ragazzo scrollò le spalle. «Non lo so. Un’ora, due… un sacco di tempo, insomma. E, prima di me, è stato qui mio padre. Abbiamo praticamente passato tutto il pomeriggio ad aspettarla, ma lei non si è vista.»

Ah, merda! Imprecò mentalmente Ulf. Esattamente come aveva temuto, Lidia doveva aver scelto proprio quel giorno per ascoltare i suoi consigli e se n’era andata di casa. E del resto che cosa ti aspettavi, idiota? Mi pare il minimo, visto come l’hai trattata!

 

Colto da un dubbio, Ulf cercò lo sguardo del ragazzino. «Questo Alexander… ha per caso i capelli rossi?» Il figlio del macellaio annuì. «Sì. È alto e ha i capelli rossi. E dev’essere anche bello ricco: non ci viene spesso, a comprare la carne, ma, quando la compra, non ha paura di spendere!»

L’uomo ebbe un fremito d’impazienza di fronte a quell’informazione inutile. «D’accordo, ho capito chi è» tagliò corto. «Lo conosco, solo che non sapevo che si chiamasse così. Lascia pure a me il messaggio: ci penso io a recapitarlo a mia moglie.»

Il ragazzino parve combattuto, ma poi scrollò le spalle. «Oh, e va bene! Io ci ho perso fin troppo tempo, per questa cosa.» Così dicendo pescò dalla tasca un foglietto stropicciato, ripiegato in quattro. «Credo che siano tipo le indicazioni su dove trovare Alexander. Non so perché vuole che Lidia vada da lui… credo di aver capito che lui non sta tanto bene. O forse si è fatto male… qualcosa del genere, insomma.»

Prendendo il foglietto che il ragazzo gli stava porgendo, Ulf annuì. «Va bene, grazie. Magari la accompagno anch’io, allora.» Il figlio del macellaio si strinse nelle spalle. «Fai un po’ come vuoi» fece, accomiatandosi da lui sventolando pigramente una mano.

Rimasto solo, l’uomo lesse rapidamente il messaggio scritto con una grafia obliqua ed elegante, a tratti difficile da interpretare. Non è che dica molto, constatò, con una smorfia amareggiata. Alexander non forniva infatti alcun elemento che potesse aiutarlo a ritrovare sua moglie: nel suo biglietto, si limitava a chiedere che Lidia e Tito lo raggiungessero nella cascina in cui esercitava uno dei guaritori del villaggio.

Tito dev’essere il ragazzo romano, ragionò, serrando inconsciamente i pugni. Respirando a fondo per allontanare il fremito di rabbia che l’aveva colto, Ulf tornò a osservare il messaggio dell’uomo dai capelli rossi. A Erding esercitavano tre guaritori e, per qualche motivo, Alexander aveva deciso di rivolgersi proprio a quello più fuori mano. Che motivo c’era di farsi un paio di chilometri a piedi, quando all’interno del villaggio ci sono altri medici altrettanto capaci di dargli due punti?

Accantonando quell’interrogativo, Ulf ragionò sul da farsi. Considerato il messaggio che gli era appena stato recapitato, era chiaro che Lidia non fosse in compagnia dell’uomo dai capelli rossi che l’aveva riaccompagnata al villaggio. Il che mi lascia con due possibilità: o è andata con il suo amico all’accampamento militare, oppure è andata a chiedere aiuto a Donna Erin. Per la prima volta da quando, parecchi anni prima, la Sacerdotessa era arrivata al villaggio, il giovane trovò piuttosto allettante la prospettiva di andarla a trovare. Sempre meglio andare da lei, piuttosto che andare in un posto pieno di legionari…

Mentre, per togliersi ogni dubbio, faceva un inutile giro di perlustrazione dentro casa, il giovane si domandò se non fosse possibile che, spaesata e spaventata, Lidia avesse cercato la compagnia di qualcuno che conosceva. E se fosse andata a casa di papà? Si chiese, con una punta di speranza. Del resto, lei e Hermann andavano d’accordo e Donna Edda le era stata vicina durante i primi tempi della sua permanenza al villaggio: era davvero così poco verosimile che la fanciulla avesse cercato rifugio da loro?

Un poco rinfrancato da quel pensiero, una decina di minuti più tardi Ulf si ritrovò davanti alla casa di suo padre. «Papà?» chiamò, aprendo la porta e lasciando scorrere lo sguardo sulle mura che l’avevano visto nascere e crescere. «Hermann?» provò di nuovo, quando il suo richiamo cadde nel vuoto. Dal giardino sul retro giunse un rumore e Ulf si diresse rapidamente in quella direzione.

«Nonna!» esclamò, scorgendo la figura scura di Donna Edda intenta a ritirare i panni stesi. «Sei sola? Dove sono tutti?»

Nell’udire la voce del nipote, l’anziana germanica sobbalzò, lasciando scivolare a terra la tovaglia che teneva fra le mani. «Dov’eri finito?» lo aggredì, non appena si fu ripresa dal suo stupore. «Dove sono i tuoi fratelli?»

Preso alla sprovvista dalla reazione imprevista della donna, il giovane retrocedette di un passo. «Unna è a casa di Katti» replicò, prima di rendersi conto che forse Unna non avrebbe voluto che la sua famiglia sapesse dove si era ritirata alla ricerca di un po’ di pace e tranquillità. «Hermann, invece… be’, lui non lo vedo da ieri, quindi non ho proprio idea di dove sia finito.»

Donna Edda si adombrò ulteriormente, mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione turbata. «Non è venuto da te, questa mattina?» La preoccupazione che colse nella voce di sua nonna lo mise subito in allerta e Ulf scosse il capo. «No: ero anch’io da Katti, con Unna, e lì Hermann non è passato.»

Lentamente, la vecchia germanica raccolse la tovaglia caduta sul prato e la ripose nella cesta, insieme agli altri panni ancora bagnati. Poi si avvicinò al nipote, lo sguardo chino a terra e un’espressione concentrata sul viso segnato dal tempo. «E tua moglie, invece? Dove l’hai lasciata?»

Tutte quelle domande stavano iniziando a innervosirlo e Ulf scrollò le spalle in un gesto di impazienza, cercando di capire dove volesse andare a parare la donna. «L’ho incontrata questa mattina. Ero… ero un po’ arrabbiato per il modo in cui si è comportata ultimamente e le ho chiesto di restare a casa» mormorò, senza avere il coraggio di raccontare a Donna Edda tutta la verità. Anche se continuava a essere convinto di avere agito in modo tutto sommato comprensibile, data la situazione, ora che si trovava a discutere con qualcuno di quello che aveva fatto, si sentiva un po’ in colpa. «Adesso sono tornato a cercarla, ma a casa non c’era nessuno. E non c’è stato nessuno per tutto il pomeriggio, stando a quanto mi ha raccontato il figlio del macellaio.»

«Oh, Dèi!» Donna Edda si portò una mano al viso. Per una frazione di secondo parve sul punto di perdere le forze e, senza nemmeno pensarci, Ulf le si avvicinò, pronto a sostenerla. «Tuo fratello era andato da lei, questa mattina. Non è più tornato a casa: dove possono essere andati?»

L’uomo sentì la preoccupazione montare dentro di sé, ma cercò di tenere a bada l’ansia e di ricostruire esattamente quello che era successo. «Aspetta un attimo» disse, cercando di non mangiarsi le parole come spesso faceva quando era preoccupato. «Perché Hermann è andato a cercarla? Come faceva a sapere che l’avrebbe trovata a casa?»

L’anziana germanica scosse una mano con impazienza. «Non è importante!» sbottò, alzando su di lui il suo sguardo di ghiaccio. «Il nuovo Sacerdote ci ha detto di averla incontrata, tu eri partito con Unna la sera prima e tuo padre ha semplicemente pensato che fosse prudente chiedere a Hermann di andare a dare un’occhiata per assicurarsi che fosse tutto a posto…»

«… quale nuovo Sacerdote?» la interruppe Ulf. «Il ragazzo… il ragazzo che è arrivato l’altro giorno a casa di Donna Erin?» Donna Edda annuì. «Sì. Donna Erin se n’è andata, adesso al suo posto c’è Fratello… Caio, o come si chiama.»

«Kay» la corresse il giovane, con un nodo alla gola. Se Donna Erin non era più al villaggio, allora Lidia non poteva essere andata da lei. E quindi c’è un solo posto in cui potrebbe trovarsi: l’accampamento militare. Improvvisamente, però, quell’ipotesi gli parve poco verosimile: stando a quanto gli aveva detto sua nonna, Hermann era probabilmente con lei. E ho dei seri dubbi che avrebbe accettato di seguirla in un posto pieno di soldati di Roma.

«Dov’è mio padre?» tagliò corto Ulf, riscuotendosi dai suoi pensieri e cercando di definire rapidamente un piano d’azione. «Ho bisogno di parlargli.»

Donna Edda scosse mestamente il capo. «Dovrai aspettare un po’, prima di farlo: è stato convocato più di un’ora fa dal Legato. Pare che sia morto un romano e, visto che non è il primo che fa questa fine, vogliono vederci chiaro.»

Per qualche motivo, quell’informazione gli fece correre un brivido ghiacciato lungo la schiena. «Che romano?» chiese, temendo però la risposta. «Un soldato?» Di nuovo, l’anziana germanica scosse la testa in segno di diniego. «Non ne so molto: il Legato Libo è venuto per parlare con tuo padre, non certo con me. Ma no, non si trattava di un soldato: da quanto ho capito, era un ragazzo normale…»

«Ma non ci sono civili romani, da queste parti» protestò debolmente, mentre un lieve capogiro lo coglieva. No, non ci sono civili romani. A parte l’amico di Lidia, ovviamente. Quasi indovinando i suoi pensieri, Donna Edda gli puntò addosso il suo sguardo acuto. «Sai benissimo che uno ce n’era» mormorò, con voce cupa. «Ed è anche per questo che il Prefetto è venuto a cercare tuo padre. Perché forse Lidia lo conosceva e, forse…»

«… si tratta dello stesso ragazzo che ha ucciso Karl? Quello che ha cercato di portare via Lidia?» Quando l’anziana germanica annuì, Ulf si ritrovò a camminare nervosamente avanti e indietro. «Io l’ho visto, questa mattina: era anche lui con Lidia, a casa nostra!»

Intuendo la direzione in cui si stavano indirizzando i pensieri del nipote, Donna Edda gli posò una mano sul braccio, come per tranquillizzarlo. «Tua moglie e tuo fratello non erano con lui: Libo ha parlato di una sola persona morta.»

«Ma potrebbero essere stati insieme!» insistette Ulf, che si stava rapidamente convincendo che lo scenario peggiore fosse anche quello più verosimile. «Di cosa è morto? È stato ucciso?» La stretta di Donna Edda si fece ancora più salda, mentre le labbra dell’anziana donna si piegavano in una smorfia amara. «Non so niente» mormorò, con una voce che ricordava lo scricchiolio delle foglie secche. «Non mi hanno detto niente.»

Nonna e nipote si fissarono per qualche secondo in un silenzio angosciato, poi Ulf inspirò a fondo. «Papà è a casa del Legato?» chiese, con voce secca. Quando la donna annuì, il giovane retrocedette di un passo. «Io vado a cercare di capirci qualcosa. Tu resta qui, nel caso papà o Hermann facciano ritorno.»

Senza aggiungere altro, l’uomo si catapultò fuori di casa, reprimendo a stento l’impulso di mettersi a correre come un bambino spaventato. Nella sua testa, i pensieri vorticavano furiosamente, tempestandolo con accuse e recriminazioni. Stupido, si disse. Come posso essere stato così stupido da lasciarla lì in compagnia di quei due? Lo sapevo, che avrebbe potuto essere pericoloso! Perché non ho ragionato, invece di farmi prendere dal panico? Per colpa delle sue decisioni affrettate, adesso si trovava a dover cercare non solo Lidia, ma anche suo fratello. Sì, però sono stato anche sfortunato. Ci si è messa in mezzo tutta una serie di cose…

Immerso in quei pensieri cupi e confusi, il giovane arrivò rapidamente in vista della domus del Legato Libo. Non si sorprese, nel vederla circondata da legionari di guardia – del resto, non era passato molto tempo dal giorno in cui qualcuno aveva cercato di appiccarvi il fuoco – ma quello che lo stupì fu notare che il drappello più numeroso sembrava essere posizionato all’interno dei cancelli della villa.

Rallentando il passo, Ulf si avvicinò alle mura esterne, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Quando fu giunto a pochi metri di distanza dal drappello di soldati fermi davanti alle porte dell’abitazione del Legato, uno di questo lo notò e gli si avvicinò con passo rapido. «Hai bisogno di qualcosa?» lo interrogò, scrutandolo, se non con sospetto, quantomeno con diffidenza.

Il giovane esitò per un istante, cercando una risposta che non mettesse in allerta il legionario. «Sto cercando mio padre» disse, allora. «Sono Ulf, figlio di Gefrid, il Capo Villaggio: mi è stato detto che è stato convocato poco fa dal Legato Libo. Mi hanno riferito che c’è stato un incidente con un cittadino di Roma.»

Rilassando un poco la propria postura, il soldato annuì. Era un giovane uomo dalla pelle ambrata e corti capelli neri e Ulf ebbe l’impressione che non sapesse bene come comportarsi, in quella situazione. «È così» confermò. «Mi dispiace, ma non posso farti entrare: ordini del Prefetto.»

Davanti a quella risposta, l’uomo si accigliò. «Come sarebbe a dire?» protestò. «Il Prefetto ha ordinato di non farmi entrare?» Il giovane moro ebbe un attimo di incertezza. «Non esattamente» rispose, poi. «Ha semplicemente dato disposizioni di non far passare nessuno per motivi di sicurezza. Finché non capiamo di cos’è morto quel ragazzo, ci è stato detto di tenere lontano la gente.»

Vedendo comunque un’occasione per scoprire ciò che gli interessava, Ulf provò a insistere un altro po’. «Avevo capito che fosse stato ucciso in un agguato. Pensavo che mio padre fosse stato convocato nel tentativo di trovare i colpevoli: non è così?»

Di nuovo, il legionario fece un cenno di diniego. «No, a quanto pare non c’è stato alcun agguato: il corpo è stato ritrovato per caso nel bosco, in un sentiero che collega Erding con il campo militare, ma non ci sono ferite evidenti che suggeriscano una morte violenta

Per un istante, Ulf si chiese se il soldato fosse autorizzato a fornirgli tutte quelle informazioni o se, invece, si stesse lasciando sfuggire qualche parola di troppo, ma quello non era certo il momento per farsi scrupoli simili. «E quindi?» insistette. «Pensate che sia stato avvelenato?»

Il legionario si strinse nelle spalle. «È un’ipotesi» confermò. «Oppure potrebbe essere morto di morte naturale: al momento non abbiamo modo di sapere se fosse malato o meno. In ogni caso, il Prefetto ha ritenuto che fosse più prudente portare qui il corpo. La situazione è delicata, soprattutto perché il ragazzo era un civile, e per questo Caleno ha voluto discuterne subito con il Legato. Però ha voluto anche ridurre al minimo il rischio di contagio: all’accampamento viviamo uno attaccato all’altro, puoi ben capire che…»

Ulf non riuscì a trattenersi. «E quindi ha preferito rischiare di contagiare Libo?» gli scappò detto. Il soldato lo guardò per qualche istante, poi sollevò nuovamente le spalle con aria leggermene smarrita. La notizia appena appresa distrasse brevemente Ulf dalla sua preoccupazione per la sorte della moglie e del fratello e il giovane si chiese se la mossa di Caleno non fosse stata studiata: del resto, ricordava perfettamente quanta poca simpatia scorresse tra il Legato e il Prefetto.

Notando un improvviso movimento tra i legionari radunati dall’altra parte della cancellata, l’uomo distolse gli occhi dal soldato che gli stava davanti e cercò di sbirciare verso l’interno della villa. Seguendo il suo sguardo, il romano aggrottò la fronte, confuso. «Lo stanno portando dentro?» chiese, rivolto ai suoi commilitoni che, come lui, si erano voltati per seguire la scena.

«Così parrebbe» rispose uno di loro, con una scrollata di spalle.

È davvero l’amico di Lidia? Si chiese Ulf, mentre l’angoscia gli stringeva il petto in una morsa. Anche se non aveva la benché minima simpatia o compassione per il ragazzo che aveva ucciso Karl, il fatto che quel romano fosse stato in compagnia di Lidia fino a poche ore prima lo riempiva di ansia. Se lui è morto, dov’è finita Lidia?

Certo, rimaneva la esile, esilissima possibilità che Lidia si fosse separata da lui e fosse andata da qualche parte con Hermann, ma quell’ipotesi gli sembrava assolutamente inverosimile. Anche perché dove potrebbero essere andati?

In quel momento, due soldati di guardia davanti alla porta interna della domus si chinarono e sollevarono una barella militare sulla quale era disteso un corpo. Anche se la distanza e gli uomini che continuavano a frapporsi tra lui e la barella gli impedirono di scorgere i dettagli, Ulf riuscì comunque a intravvedere dei capelli scuri e dei lineamenti che gli parvero fin troppo famigliari. Il giovane si sentì sbiancare, mentre, per un istante, il mondo pareva farsi distante e ovattato.

«C’è qualche problema?»

La voce del giovane legionario dai capelli neri lo costrinse a tornare alla realtà e Ulf scosse più volte la testa, cercando di tenere a bada i propri pensieri e il proprio turbamento. «No», negò, «stavo solo cercando di capire se lo conoscevo…»

Il soldato gli scoccò uno sguardo obliquo. «Dubito: da quel poco che ho sentito, il ragazzo era un patrizio. Figlio di gente importante, se non ho capito male. Non è nemmeno ben chiaro che cosa ci facesse qui, un tipo come lui.»

Lo so io, che cosa ci faceva qui, pensò Ulf, con la testa piena di sentimenti contrastanti. Se, da un lato, c’era l’inconfessabile soddisfazione di sapere che l’uomo che aveva ucciso il suo migliore amico era morto, dall’altro quella morte poteva avere delle terribili implicazioni sulla sorte di Lidia – e di Hermann.

D’un tratto, Ulf si sentì completamente perso e abbandonato a se stesso. Non aveva la benché minima idea di dove potessero essere finiti sua moglie e suo fratello. Non so nemmeno se siano ancora vivi! Pensò, mentre l’ipotesi peggiore prendeva forma nella sua mente.

Inconsciamente, il giovane prese a indietreggiare, allontanandosi dal soldato con il quale aveva parlato fino a pochi istanti prima. Quello lo richiamò, gli chiese qualcosa, ma Ulf non udì le sue parole. In silenzio, girò sui tacchi e tornò rapidamente sui propri passi. Sembra che stai scappando, interloquì la sua coscienza. Meno male che non dovevi fare niente di sospetto! Come minimo, adesso penseranno che l’hai ammazzato tu, quell’idiota!

Sul momento, quell’eventualità gli parve del tutto irrilevante. L’unica cosa che contava era ritrovare Lidia e Hermann – o, se non altro, riuscire a farsi un’idea di dove iniziare a cercarli. Sarebbe già qualcosa…

Camminando per Erding quasi alla cieca, Ulf si ritrovò senza nemmeno rendersene conto sulla via che conduceva nuovamente alla casa di suo padre. Poco prima di imboccare il viottolo che conduceva lì, il giovane si fermò. Che cosa intendi fare? Si chiese. Il suo primo impulso era stato quello di tornare da Donna Edda e di dirle che non era riuscito a trovare né Hermann né Lidia, ma in quel momento si rese conto che un’informazione del genere non sarebbe stata in alcun modo utile all’anziana germanica. Rischierei solo di farla preoccupare.

Stringendo i pugni, in preda alla frustrazione, l’uomo si ricordò improvvisamente di un particolare che era passato in secondo piano di fronte al precipitare degli eventi. Il messaggio di Alexander. Ripescando il foglietto stropicciato che gli era stato consegnato dal figlio del macellaio, Ulf rilesse rapidamente le poche righe che vi erano scritte sopra. Pensosamente, si rigirò un paio di volte tra le mani il messaggio stropicciato. E se lui sapesse qualcosa che io non so?

L’ipotesi non era poi così inverosimile: dopotutto, quando lui se n’era andato, l’uomo dai capelli rossi era rimasto con Lidia. E, nonostante suo fratello non fosse menzionato nel suo messaggio, non poteva nemmeno escludere che, nonostante la ferita provocatagli da Unna, Alexander si fosse trattenuto abbastanza a lungo da incontrare Hermann.

Non è detto che il romano fosse con loro, quando è morto. Forse Lidia e Hermann avevano preso qualche decisione che lui non condivideva. Forse si sono divisi, lui ha cercato di tornare al campo militare e lungo la via qualcosa è andato storto…

Era una ricostruzione con pochi elementi di certezza, ma Ulf scelse di aggrapparvici per mantenere un briciolo di speranza di ritrovare sani e salvi moglie e fratello. Ripiegando accuratamente il foglietto sgualcito, il giovane se lo ripose nuovamente in tasca. E va bene: vado a parlare con Alexander, decise risoluto.

***

Quando, qualche decina di minuti più tardi, si ritrovò davanti alla casa del guaritore presso il quale Alexander aveva dato appuntamento a Lidia, il giovane non poté fare a meno di sentirsi un po’ stupido. Il piccolo e bellicoso Albert era un medico eccellente, talmente abile nel ricucire ferite e sistemare ossa spezzate che la gente era disposta a sottoporsi a un viaggio lungo e faticoso, pur di potere usufruire delle sue cure. Anche se lui non ci aveva mai avuto a che fare direttamente, Ulf conosceva bene la sua fama e si sentiva un po’ a disagio all’idea di disturbare un tale luminare solo per chiedergli notizie di un uomo di cui non conosceva con esattezza nemmeno l’identità.

Ma le circostanze sono eccezionali, si ripeté, scacciando le proprie remore e bussando alla porta di legno bruciata dal sole. Mentre aspettava che qualcuno venisse ad accoglierlo, l’uomo si voltò per lanciare un’occhiata alle proprie spalle. Vedi di calmarti, si intimò, cercando di tenere a bada il proprio nervosismo. Attorno a lui, tutto pareva tranquillo – fin troppo, in effetti. La casa di Albert era situata al di fuori dei confini del villaggio. Per arrivarci, Ulf aveva dovuto camminare lungo la strada carrabile che proseguiva verso nord: un percorso solitamente abbastanza trafficato, ma lungo il quale, quel giorno, non si era imbattuto in anima viva. Tutto sembrava sospeso, immobile, come in attesa di un evento imminente.

Dopo qualche istante, la porta davanti alla quale era in attesa si aprì e un ometto sulla sessantina lo squadrò da sotto in su. L’espressione seccata perfettamente riconoscibile nei suoi piccoli occhi azzurri gli rivelò senz’ombra di dubbio che si trattava del padrone di casa. «Ti serve qualcosa?» lo apostrofò il guaritore, parlando con la cadenza impostata tipica di chi aveva studiato nelle terre del nord. Inconsciamente, Ulf si schiarì la voce. «Sto cercando Alexander. È qui?»

Albert indietreggiò di mezzo passo, piantando gli occhi in quelli del giovane. «Sì, è qui» confermò lentamente. «Però mi ha detto che stava aspettando Lidia, e qua non vedo nessuno che possa rispondere a tale nome.»

Ulf sostenne il suo sguardo, sforzandosi di mantenere un atteggiamento neutrale. «Lo so, è proprio per questo che sono qui. Lidia è mia moglie. Il figlio del macellaio mi ha consegnato un messaggio destinato a lei.» Vedendo che l’espressione dell’uomo non cambiava, azzardò un passo in più. «Lidia sembra essere sparita nel nulla da ormai qualche ora: speravo che Alexander potesse aiutarmi a ritrovarla.»

Per un attimo, il giovane temette che Albert gli sbattesse la porta in faccia, ma poi l’uomo fece un cenno d’assenso e un piccolo sorriso cortese. «Va bene, entra pure. Vediamo se Alex può darti una mano.» Il guaritore lo fece accomodare su un grande divano di pelle chiara e poi sparì in un altro locale. Nervosamente, Ulf abbassò lo sguardo sul tappeto esotico situato sotto i suoi piedi. Notandone lo stile inconsueto, ne seguì con gli occhi gli intricati ghirigori blu. L’arredamento ricercato e le suppellettili di valore che riempivano il locale non lasciavano alcun dubbio sullo stato economico del guaritore, decisamente più agiato anche di quello di Gefrid. Quel particolare non fece altro che aumentare il senso di inadeguatezza che Ulf aveva sentito inspiegabilmente calare su di sé.

Il suono dei passi di Albert lo spinse a riscuotersi e il giovane si alzò in piedi, pronto ad accogliere il proprio ospite. Quando il guaritore si presentò nuovamente alla soglia, Ulf vide che alle sue spalle c’era Alexander: aveva una spalla bloccata con una fasciatura leggera, ma, a parte quello, sembrava godere di ottima salute.

«Vi lascio parlare» disse l’uomo più anziano, passando lo sguardo dall’uno all’altro. Poi si soffermò su Alexander. «Se avessi bisogno di me, puoi trovarmi nel mio studio.» Con quelle parole, Albert si accomiatò dai due giovani. Non appena furono rimasti soli, Alexander si mosse velocemente verso Ulf. «Cos’è successo?» lo interrogò, balzando a piè pari ogni tipo di preambolo o presentazione. «Albert mi ha detto che Lidia è sparita.»

«È così. E credo che il ragazzo romano sia morto» confermò il germanico a bruciapelo, provando quasi una punta di soddisfazione davanti all’espressione scioccata di Alexander. «Morto?» ripeté infatti quello, guardandolo con insistenza, come se stesse cercando di capire se Ulf fosse serio o meno. «Ma com’è possibile? L’ho visto prima e stava benissimo…»

Ulf scrollò le spalle. «Non ho la certezza che si trattasse proprio di lui, ma questo pomeriggio è stato trovato il corpo di un ragazzo romano lungo il sentiero che porta all’accampamento militare. Pare che si trattasse di un civile e, da quanto ne so io, non ci sono molti civili, da queste parti.»

Alexander scosse il capo e si lasciò lentamente scivolare sui cuscini di pelle del divano. «Ma non è possibile» disse, quasi a bassa voce. «Che cosa ci faceva in mezzo al bosco? Gli avevo detto di aspettarmi a casa di Lidia e di non muoversi da lì.»

Guardandolo in volto, Ulf vide che l’uomo sembrava sinceramente sconvolto e si sentì in colpa per la vaga sensazione di trionfo provata poco prima. «Non so che cosa sia successo», disse, un po’ più gentilmente, «fatto sta che nemmeno Lidia si trova più a casa. Il che significa che qualcosa li ha convinti a uscire e ad andare da qualche altra parte.» Quando l’uomo si limitò a fissarlo con i suoi profondi occhi blu, Ulf aggiunse: «Hai forse incontrato anche mio fratello, quando eri a casa mia?»

Alexander gli rivolse uno sguardo confuso, poi scosse il capo. «Non conosco tuo fratello, ma io ho parlato solo con Lidia e con Tito. Povero ragazzo, mi dispiace per lui…»

L’espressione di Ulf si indurì. «Ha ammazzato mio cognato. A me non dispiace affatto che sia morto – ammesso che sia poi morto davvero, ovviamente.» Sul volto di Alexander si disegnò un’espressione stanca. «Lo capisco, però sono convinto che Tito si sia ritrovato in una cosa più grande di lui. Non dico che abbia agito bene, però, insomma… era spaventato, confuso, e credeva di proteggere Lidia. Non sono riuscito a fermarlo, purtroppo.»

Prima di rispondere, Ulf si costrinse a inspirare a fondo e a calibrare bene le parole. «Può essere», concesse, «ma ultimamente le cose sono difficili per tutti. Questo, però, non giustifica nessuno ad agire senza pensare: se tutti cercassimo di far fuori chi non ci piace o chi ci sembra pericoloso, ci troveremmo in guai ben peggiori di quelli in cui ci troviamo adesso.»

Alexander non replicò, ma si limitò ad allargare le braccia, dandogli forse silenziosamente ragione. «In ogni modo», riprese Ulf, desideroso di arrivare ad affrontare l’argomento che gli stava veramente a cuore, «non è del ragazzo, che voglio parlare. Voglio capire che fine hanno fatto mia moglie e mio fratello. Probabilmente tu sei uno degli ultimi ad aver visto Lidia: hai idea di dove possa essere finita?»

Dopo qualche istante di riflessione, l’uomo dai capelli rossi scosse il capo. «No, purtroppo no. Come ti ho già detto, le avevo raccomandato di aspettarmi a casa vostra; cosa che, evidentemente, non ha fatto. Non ho proprio idea di dove possa essere andata.»

Maledizione, pensò Ulf, rabbuiandosi ulteriormente. «Credi che possa essere andata a cercare Donna Erin? So che adesso la Sacerdotessa non si trova più a Erding, ma forse Lidia non lo sapeva…»

Alexander scosse di nuovo il capo. «No, Lidia sapeva benissimo che Kay ha sostituito Erin: ce l’ha detto lui stesso e so che…» L’uomo si interruppe di colpo e contrasse la fronte in un’espressione concentrata. Poi improvvisamente si illuminò. «Aspetta un attimo!» esclamò, concitato. «Forse mi è venuta un’idea.»

Il giovane sentì nascere in sé un filo di speranza. «A proposito di dove potrebbe essere Lidia?»

«Più che altro per capire come fare a trovarla» precisò l’altro uomo. «Seguimi, di sopra ho una cosa che potrebbe esserci utile. Che stupido, avrei dovuto pensarci subito!»

Confuso, ma comunque determinato a sfruttare qualsiasi appoggio che potesse aiutarlo a ritrovare Lidia e Hermann, Ulf seguì Alexander su per le scale di legno che conducevano al piano superiore, scorgendo solo qualche dettaglio della ricca casa di Albert. L’uomo lo condusse in quella che doveva essere la camera che gli era stata assegnata dal guaritore: era piccola e arredata in modo pratico, ma non spartano. Il suo occhio esperto colse le fini lavorazioni lignee eseguite sulla superficie del tavolino posto a poca distanza dalla branda militare e sul fianco delle mensole posizionate sopra di esso.

Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Alexander fece per chinarsi sul cassetto del comodino accanto al letto, ma si fermò un istante prima di aprirlo. «Ora» esordì, chiaramente a disagio. «Sto per mostrarti una cosa che non dovrei assolutamente farti vedere. Se si venisse a sapere in giro, io passerei dei guai molto grossi… soprattutto se questa cosa dovesse arrivare alle orecchie di gente come Kay.» Non sapendo bene che cosa farsene di quell’informazione, Ulf sollevò un sopracciglio con una punta di scetticismo. Alexander strinse nervosamente le mani in un pugno e cercò gli occhi del germanico, sperando forse di trovarvi la conferma del fatto che si poteva fidare di lui. «Il fatto è», riprese, «che ormai in questa storia ci sono dentro e che sento di non potermene lavare le mani. E quindi, niente… vediamo se il localizzatore ci può aiutare.»

Così dicendo, l’uomo aprì il cassetto e ne estrasse una piccola tavoletta di vetro scuro. Piegando un po’ la testa per vedere meglio, Ulf notò che era costellata da punti luminosi. «Che cos’è questa roba?» chiese, cercando di ricordare se avesse mai visto nulla di simile.

Alexander sventolò una mano in aria, come per dire che quell’informazione non era così importante. «Immaginala come una specie di mappa. Serve per trovare diverse cose: città, punti particolari, strade e altri aggeggi dotati di un sistema di localizzazione. Tito aveva con sé una tavoletta come questa: se siamo fortunati, potrebbe averla passata a Lidia. E, se siamo ancora più fortunati, Lidia potrebbe averla ancora con sé.»

Ulf fu tentato di toccare la tavoletta con la punta delle dita, ma si trattenne. «Quindi si tratta di qualcosa che viene da Roma?» indagò. Alexander lo guardò cine se fosse sorpreso da quella domanda e poi, in maniera del tutto inaspettata, si lasciò sfuggire una piccola risata. «Oh, no, no, non viene da Roma. La storia è lunga e temo che, prima o poi, dovrò raccontartela: adesso però cerchiamo di capire se Lidia ha ancora la tavoletta o meno, d’accordo?»

Pur avvertendo che il modo sbrigativo con cui aveva liquidato la questione poteva celare un pericolo, Ulf decise di non insistere e di lasciare, almeno per il momento, campo libero all’uomo. «Va bene» acconsentì con un cenno del capo.

Sfiorando la superficie lucida con alcuni gesti rapidi, Alexander fece comparire sul vetro alcuni riquadri azzurri, all’interno dei quali erano presenti alcune frasi scritte in caratteri minuscoli. I movimenti dell’uomo erano troppo veloci perché Ulf potesse leggere i brevi messaggi, ma, ancora una volta, il giovane si costrinse a rimanere in silenzio. Fu solo quando Alexander si lasciò sfuggire un’esclamazione di disappunto, che si decise a indagare oltre. «Che cosa succede» chiese.

L’uomo dai capelli rossi abbassò bruscamente la tavoletta, mostrandone la superficie al germanico. Ulf non vide altro che un triangolo giallo e pulsante, in lento movimento sopra a quella che poteva essere la rappresentazione stilizzata di un bosco. Non capendo cosa stesse guardando, alzò su di lui uno sguardo confuso.

«Non ho modo di sapere se Lidia abbia ancora l’altro localizzatore», esordì Alexander, «però, di certo, quella tavoletta non ci è arrivata da sola, lì.»

Quella spiegazione non servì a dissipare i dubbi del germanico. «?» ripeté. «E dove sarebbe, esattamente,

Alexander sospirò di nuovo. «L’ultimo posto al mondo in cui vorrei che Lidia si trovasse: a bordo della Northern Star

***

Tra una cosa e l’altra, l’ho tirata lunga anche con questo capitolo. Spero di riuscire ad aggiornare nuovamente prima di partire per il mare a fine mese, ma mi sa che servirebbe un mezzo miracolo… alla peggio, ci risentiamo a metà luglio. Prendetela come una specie di pausa estiva?

Come al solito, non è che mi farebbe schifo avere qualche commento… non ho praticamente fatto in tempo a rileggere nulla, quindi le vostre segnalazioni mi farebbero comodo!

   
 
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