Ulf
strinse le dita sul granito
del ripiano al quale si era appoggiato, premendo la fronte contro il
vetro
fresco della finestra. Davanti ai suoi occhi, la luce calda delle sei
di sera
illuminava il prato che circondava la casa di Katti, facendo
risplendere i
fiori selvatici che vi crescevano come se fossero stati infusi
d’oro e ambra.
È stata la scelta giusta. Non avrei
potuto fare altrimenti. Per
quella che doveva essere la millesima volta, l’uomo si
ripeté quelle parole,
cercando di farle suonare convincenti almeno alle sue stesse orecchie.
Il
problema era che, ogni volta che ripensava al suo brevissimo incontro
con
Lidia, la sua mente gli ripresentava senza pietà lo sguardo
che la ragazza gli
aveva rivolto quando le aveva ordinato di fare ritorno a Roma. Uno
sguardo
incredulo, ferito, smarrito. Uno sguardo che, inevitabilmente, lo
faceva
sentire la persona peggiore sulla faccia della terra.
Ma cos’altro avrei potuto fare?
Si chiese il giovane, con un senso
di frustrazione che rasentava la rabbia. Lidia non gli aveva lasciato
scelta.
Tenendogli nascosta la presenza del ragazzo romano –
nonché, sospettava, la sua
identità – la fanciulla aveva dato il via a tutta
una serie di eventi che si
era poi risolta nel peggiore dei modi, mettendolo di fatto nella
situazione di
dover scegliere tra lei e Unna.
Proprio la decisione che non avrei mai voluto
prendere, considerò,
con una smorfia amara. Più che altro, perché non
si trattava affatto di una
scelta. Non poteva abbandonare Unna: era sua sorella – la sua
gemella – e
l’aveva conosciuta ancora
prima di conoscere il volto di sua madre. Il fatto di starle accanto in
un
momento tanto delicato non era nemmeno un obbligo, per lui: era
semplicemente
una necessità.
Perché
lui la conosceva fin
troppo bene, Unna. Vista da fuori, la giovane sembrava indistruttibile,
ma nel
profondo del suo animo, in un posto sconosciuto ai più,
nascondeva una
fragilità impensata. Una
fragilità che
può rivelarsi particolarmente pericolosa proprio
perché lei si rifiuta di
riconoscerla e di farci i conti.
Il
solo pensiero di abbandonarla
a se stessa lo terrorizzava. Già una volta, in passato,
avevano provato a
concederle i suoi tempi e i suoi spazi, lasciandola libera di decidere
se e
quando farsi aiutare. Ulf ricordava fin troppo bene quali erano stati i
risultati e non aveva alcuna fretta di trovarsi nuovamente in una
situazione
del genere.
E poi, c’è da dire una cosa:
Lidia ha una famiglia che sarebbe disposta
a riprenderla con sé, se necessario. Lei un posto dove
andare ce l’ha… Unna no.
Quando Rolf aveva detto loro che Karl era morto e che a ucciderlo era
stato un
romano che viaggiava con Lidia, la mente di Ulf era subito corsa a
ciò che quel
fatto avrebbe significato per il suo rapporto con la moglie. Malgrado
la rabbia
e la delusione dei primi istanti, l’uomo si era convinto che
la ragazza non
potesse essere veramente ritenuta responsabile per la morte
dell’amico. Se la
conosceva almeno un poco, sentiva di poter dire che, con ogni
probabilità,
Lidia si era ritrovata vittima degli eventi e non era riuscita a
evitare che le
cose virassero al peggio. Ciononostante, restava il fatto che, se fosse
stata
sincera con lui fin dall’inizio, le cose sarebbero forse
andate in un altro
modo. E, ancora più importante:
forse
quello che è successo non è colpa sua.
Però il tizio che ha ucciso Karl è un
suo amico; e non c’è niente che possa cambiare
questa cosa.
Alla
fine dei conti, Ulf sentiva
di dover guardare in faccia la realtà. E, per sua sfortuna,
la realtà era
estremamente semplice: Unna sentiva il bisogno di allontanarsi da
Erding, per
se stessa e per il bene del bambino. Ora che Karl non c’era
più, il giovane
sapeva di dover essere lui a farsi carico di quella
responsabilità. Non poteva
certo chiedere a suo padre di occuparsi di lei, né,
tantomeno, poteva
pretendere che fosse Hermann a farlo: l’uno doveva sottostare
agli obblighi che
gli derivavano dall’essere il capo villaggio,
l’altro era semplicemente troppo
giovane per prendersi una responsabilità del genere.
No, tocca a me.
Il
che lo poneva dinnanzi a ciò
che avrebbe dovuto fare con Lidia. Se la situazione fosse stata diversa
– se
non fosse stata proprio lei a
condurre al villaggio quel romano – Ulf l’avrebbe
portata con sé. Ma così
come faccio? Poteva davvero
imporre a Unna la presenza della ragazza? Come avrebbe mai potuto
essere
possibile la convivenza tra le due?
E, tra l’altro: sono davvero sicuro che
sarebbe giusto costringere
Lidia a vivere per sempre a stretto contatto con mia sorella?
In
quell’istante, dei passi
leggeri risuonarono alle sue spalle. «Vieni: la cena
è pronta. Rolf è abituato
a mangiare a quest’ora e Katti non vuole scombussolarlo
troppo.» Silenziosa
come suo solito, Unna l’aveva raggiunto accanto alla
finestra. Ulf però era
talmente assorto nei suoi pensieri, che si limitò a
rivolgerle un vago cenno
d’assenso.
Che
poi, c’era da considerare
anche un’altra cosa. Suo padre gli aveva raccontato che la
notte in cui Lidia
era sparita di casa un soldato romano era stato ucciso da delle persone
che non
erano ancora state identificate. Anche se non aveva la certezza
assoluta di chi
fosse il ragazzo morto, da ciò che gli era stato riferito
Ulf sospettava che
potesse trattarsi dello stesso legionario che, qualche giorno prima,
aveva
scortato Lidia dal Prefetto Caleno.
Potrebbe trattarsi di una coincidenza, oppure
potrebbe significare che,
quando è stato aggredito, Lidia era con lui. Il
che, di conseguenza,
significava che, così come temeva ormai da parecchio tempo,
lì in Germanica la
ragazza era in pericolo. E, allora,
rimandarla a Roma sarebbe davvero la cosa migliore per tutti.
Egoisticamente,
Ulf si chiese se
in quel “tutti” fosse compreso anche lui.
Concettualmente sapeva che senza
Lidia e i suoi pasticci la sua vita sarebbe tornata a essere molto
più
semplice. Nonostante ciò, non poteva fare a meno di
domandarsi se sarebbe stata
anche più felice.
Lui
e Lidia si conoscevano ancora
poco, ma il tempo che avevano passato insieme era stato comunque
sufficiente a
fargli venire voglia di conoscerla di più. Le voleva bene e,
quasi senza
rendersene conto, era arrivato a considerarla parte integrante della
propria
vita. Se pensava al futuro, lo vedeva con lei. Gli avvenimenti degli
ultimi
giorni l’avevano costretto a rivedere i suoi piani e quella
prospettiva gli
causava un dolore sordo all’altezza del petto. Sentiva di
aver perso qualcosa;
e il fatto che si trattasse di un “qualcosa” che
non aveva nemmeno mai avuto
non era di alcuna importanza.
«Guarda,
io te lo dico: di là si
raffredda tutto.»
Con
le dita, l’uomo tamburellò
pensosamente sul piano di granito che si trovava davanti. Forse,
però, stava un
po’ perdendo il senso della misura. Da quanto stavano
insieme, loro due? Tre,
quattro mesi? Ci siamo sposati il quattro
di maggio: non sono nemmeno tre mesi. Com’era
possibile che una persona che
conosceva da così poco tempo gli cambiasse in tal modo la
vita? Dopotutto, non
doveva dimenticare il motivo esatto per cui loro due erano finiti
insieme. È stato grazie alla
geniale pensata dei
Sacerdoti e dell’Imperatore.
Bastò
il pensiero per fargli
correre un brivido infastidito lungo le braccia. No: anche a distanza
di mesi,
la faccenda dei matrimoni combinati continuava a sembrargli una
grandissima
idiozia. E, allora, non dovrei fare altro
che tornare a quello che ero prima
che la suddetta grandissima idiozia si
verificasse: non dovrebbe essere troppo difficile, no?
Ulf
si soffermò qualche istante a
valutare quell’idea. Tornare a una vita in solitaria, lontano
da Erding, con
Unna e il suo bambino. E magari un’altra donna, prima o poi.
Una vita da
gestire in libertà, senza interferenze da parte di Roma,
né da parte dei
Sacerdoti. La prospettiva aveva un certo fascino, in effetti.
Però…
Il
giovane si sentì travolgere da
una desolante ondata di tristezza. Lidia,
pensò. Il suo modo di fare, a tratti comico in maniera del
tutto non
intenzionale, quel suo aprirsi un poco alla volta, le sue paure che a
volte
diventavano coraggio, la sua inaspettata determinazione, la sua
capacità di
ascoltare… già ne sentiva la mancanza. Terribilmente.
Per non parlare, poi, delle cose più concrete:
i suoi occhi scuri, il suo profumo, il modo che aveva di stringersi a
lui e di
baciarlo. E altre cose…
«Hai
intenzione di rimanere così
ancora per molto?»
Ma questo non cambia niente, si disse il
giovane, irrigidendo le
spalle e stringendo i denti come per darsi forza. Erano pensieri che
aveva già
fatto mille volte, nelle ultime ore, e la conclusione era sempre la
stessa: per
quanto doloroso fosse andarsene via e separarsi da Lidia, non
c’erano
alternative. Andava fatto, e basta.
Stando
così le cose, Ulf sentiva
di avere soprattutto un rimpianto: non aver gestito meglio la sua
ultima
conversazione con la moglie. Avrei
quantomeno dovuto darle la possibilità di spiegare meglio le
sue ragioni, prima
di imporle la mia decisione. Il risultato finale non sarebbe cambiato,
ma forse
ora mi sentirei meglio.
La
verità era che si era fatto
prendere dal panico. Aveva permesso che i vecchi ricordi lo inducessero
a
credere che vi fosse un pericolo imminente e, quasi inconsciamente, non
aveva
voluto permettere a Lidia di parlare. Forse
per evitare che potesse farmi cambiare idea. Che poi, chissà
cos’ha fatto,
quando me ne sono andato. Si sarà rivolta alla Sacerdotessa?
Sarà rimasta a
casa?
A
quel pensiero, un tremito di preoccupazione
gli strinse lo stomaco. Era stato davvero stupido
a non prendere qualche precauzione per assicurarsi che Lidia non
corresse alcun
pericolo. Avrebbe dovuto mandare qualcuno a tenerla d’occhio.
Se non altro, avrei dovuto spiegare a
papà
quello che stava succedendo: lui si sarebbe preso cura di lei.
Nel
tentativo di rassicurarsi, il
giovane si disse che, con ogni probabilità, non avendo
più sue notizie Gefrid
aveva comunque mandato qualcuno a vedere che cosa stava succedendo. O almeno lo spero: malgrado tutto, dubito
seriamente che il ragazzino romano sia in grado di difenderla in
maniera
decente.
Ulf
era completamente immerso in
quei pensieri che si facevano via via sempre più inquieti e
non si accorse dello
sguardo stranito che Unna gli stava rivolgendo. Quando la sorella gli
posò una
mano sul braccio, il contatto con le sue dita fredde lo fece trasalire.
«Sì,
adesso arrivo» mormorò cupamente, voltandosi
appena per guardarla.
La
donna scosse il capo. «Se devi
stare così, tanto vale che vai a prenderla.»
Sulle
prime Ulf non capì e guardò
la sorella, confuso. «Come?» Lei abbassò
lo sguardo a terra e si masticò
brevemente le labbra, come se stesse tentando di capire se la decisione
presa
fosse quella giusta, poi cercò gli occhi del fratello,
rivolgendogli un sorriso
tirato. «È da questa mattina che praticamente non
apri bocca. Non so perché, ma
immagino che sia per colpa della romana: a ‘sto punto,
vattela a riprendere e
falla finita.»
Ulf
distolse brevemente lo
sguardo, cercando maldestramente di nascondere l’espressione
attonita che gli
si era dipinta sul volto. «Lidia non c’entra
niente» provò a negare,
consapevole di quanto falsa suonasse quell’affermazione.
Unna
storse la bocca. «Come no!»
commentò, sarcastica. «É inutile che
cerchi di farmi passare per cretina: ti
conosco abbastanza bene per capire quando non dici la
verità.»
L’uomo
sospirò. «D’accordo»
ammise. «Non mi è piaciuto affatto doverla
lasciare là. Però sai benissimo
perché l’ho fatto… e, anche se odio
dirlo, non c’era altra soluzione. Lidia
starà bene, a Roma.»
Unna
lo fissò con aria scettica.
«Può essere. Quello che mi chiedo,
però, è se tu
starai bene senza di lei.»
Ulf
scosse le spalle.
«Sopravvivrò.»
La
donna strinse la presa sul suo
avambraccio, pizzicandolo come era solita fare quando erano bambini.
«Non
fraintendermi: se non dovessi vederla più non mi dispererei
di certo, ma ti
dispiacerebbe dirmi per quale motivo, esattamente, l’hai
mandata via?»
L’uomo
voltò il capo di scatto,
fissandola con gli occhi ridotti a fessure. «Sarebbe stato un
po’ strano, non
credi, vivere tutti nella stessa casa?»
«Tutti?»
lo interrogò Unna,
chinando il capo di lato. «Intendi tu, lei e io?»
Ulf annuì e la giovane
sbuffò. «Cosa ti fa credere che io voglia vivere
con te? Non mi serve una
balia!»
L’uomo
fu sul punto di dirle che,
quando la notizia della morte di Karl li aveva raggiunti, non gli era
affatto
sembrato che lei fosse in grado di cavarsela da sola. Almeno in un
primo
momento, il modo in cui lei aveva reagito l’aveva fatto
preoccupare non poco:
anche se ormai erano passati anni da quello che, fino ad allora, era
stato il
momento più buio nella vita di Unna, il giovane aveva
riconosciuto
perfettamente quello sguardo vuoto, quei movimenti assenti, apatici.
Poi, però,
la donna sembrava essersi ripresa. Se non altro, pareva aver
riguadagnato un
discreto controllo su se stessa, lasciando presumere che non sarebbe
ripiombata
negli abissi che aveva conosciuto durante la sua adolescenza.
«Lo
so», disse allora, scegliendo
con attenzione le parole, «ma presto avrai un bambino e sarai
completamente sola,
non credo che…» Unna lo interruppe con un brusco
cenno della mano. «Non sarò né
la prima, né l’ultima donna a prendersi cura di un
bambino senza l’aiuto di un
marito. Me la caverò benissimo.»
«Può
essere», ribatté Ulf,
voltandosi verso di lei e fissandola negli occhi, «ma io non
ho comunque
intenzione di lasciarti sola!»
Sua
sorella sostenne il suo
sguardo per alcuni lunghi secondi, poi lasciò che i suoi
occhi scivolassero via
da quelli del fratello e scosse il capo con un mezzo sorriso.
«D’accordo,
d’accordo. Però sappi che, se vuoi riprenderti
quella buona a nulla di tua
moglie, a me sta bene.»
L’uomo
la scrutò intensamente,
come se non credesse alle sue parole e stesse cercando la ragione per
la quale
stava mentendo. «Vorresti farmi credere che quello che
è successo non conta
niente?» chiese, e la sua voce suonò
più dura di quanto avrebbe voluto.
Unna
lo fulminò con lo sguardo.
«Non ho mai detto una cosa del genere!»
ringhiò. «Karl era mio marito e già mi
manca da morire…» La voce della giovane si
incrinò in maniera quasi
impercettibile e, subito pentito per la sua mancanza di tatto, Ulf le
posò le
mani sulle spalle e la attirò a sé. Lei
resistette e si divincolò, ma non si
allontanò da lui. «Scusami»
mormorò l’uomo. «Non volevo insinuare
niente. È
solo che a volte… è solo che a volte non mi era
molto chiaro quello che provavi
veramente per lui.»
Unna
si strinse nelle spalle,
sospirando. «Se ho accettato di sposarlo, è
perché lo amavo, non certo perché
avevo bisogno della sua compassione. E non mi serve nemmeno la tua, di compassione: quindi, per favore,
risparmiamela.»
Avvertendo
la riluttanza della
sorella a parlare di un argomento del quale, del resto, nemmeno lui era
particolarmente ansioso di trattare, Ulf tornò ad
appoggiarsi al davanzale e
abbassò brevemente lo sguardo a terra, prima di alzarlo di
nuovo su Unna. «Va
bene, ho capito» disse, dopo qualche istante di silenzio.
«Però faccio comunque
fatica a credere che rivedere Lidia non ti farebbe alcun
effetto.»
La
donna scosse il capo, con un
sorriso amaro. «Non la incolpo per quello che è
successo» dichiarò, allargando
le braccia. «Se Lidia non mi piace particolarmente,
è perché non ha un minimo
di spina dorsale. Non sopporto quel suo essere completamente dipendente
dagli
altri… e poi è romana, il che non migliora di
certo le cose. Però non credo che
sia stata lei a uccidere Karl.» Poi, facendo scorrere lo
sguardo sul fratello,
Unna parve colta da un dubbio. «Tu invece credi che sia colpa
sua?»
Preso
alla sprovvista dalla
domanda della gemella, Ulf arrossì leggermente.
«No, certo che no!» si affrettò
a precisare. «Però, forse, se fosse stata
più sincera, le cose sarebbero andate
diversamente.»
Unna
sollevò appena una spalla.
«E chi lo sa… forse. A giudicare da quello che ci
ha raccontato Rolf, però, ho
come l’impressione che quella ragazza si sia ritrovata in
completa balia degli
eventi. Come suo solito, del resto. È talmente stordita che,
probabilmente, non
si è nemmeno accorta di quello che stava
accadendo.»
Nel
sentir parlare di Lidia in
modo tanto dispregiativo, Ulf storse un po’ il naso.
«Be’, Rolf ha anche detto
che ha tentato di fermare quel romano… che ha cercato di
calmare un po’ gli
animi, no?»
«Sì»,
ribatté Unna, «ma non mi pare
che la cosa le sia riuscita molto bene.»
«Almeno
ci ha provato» insistette
lui, sentendosi improvvisamente in dovere di difendere la moglie. La
giovane si
limitò a rivolgergli un vago cenno del capo. «Va
be’. Quello che voglio dire è
che, secondo me, Lidia non è andata veramente a cercarsela.
Si è lasciata
trasportare dagli eventi, ma non ha scelto
di fare quello che ha fatto… a differenza di
Karl.» Cogliendo la nota amara che
aveva distorto la voce della sorella, Ulf si costrinse a rimanere in
silenzio e
a lasciarla parlare. «Lui è partito di sua
spontanea volontà, anche se gli
avevo chiesto di non farlo.»
L’uomo
sospirò. «L’ha fatto
perché credeva fosse la cosa giusta da fare» le
fece notare dolcemente.
Lei
gli rivolse un sorriso
triste. «Lo so: lui era fatto così… non
ce l’ho veramente con lui.» Poi, la sua
voce si fece più dura. «L’unico vero
colpevole di quello che è successo è quel
romano: mi dispiace non essere stata più veloce, ieri. Avrei
potuto ucciderlo,
se quell’altro tizio non si fosse messo in mezzo.»
Il
volto di Ulf si irrigidì.
«Forse è un bene che tu non l’abbia
preso. Non credo che Lidia l’avrebbe presa
bene, se fosse morto.» Unna gli lanciò uno sguardo
freddo. «Non me ne frega
niente, a dire il vero. Ho detto che per me può restare, non
che voglio
diventare la sua migliore amica. Tu e tua moglie potete pensarla come
volete,
ma quel romano ha ucciso Karl e io ho tutto il diritto di vendicarmi.
Ti
ricordo che era anche tuo amico.»
Ulf
distolse lo sguardo,
sentendosi combattuto e vergognandosi un po’ della sua
indecisione. «Lo so, ma
ucciderlo non ti restituirebbe tuo marito. Il ragazzo resta pur sempre
un
romano, magari anche di buona famiglia, se ha avuto i mezzi per venire
fino a
qui: la sua morte non farebbe che procurarti altri problemi.»
Notando
l’incertezza che si era disegnata sul volto della sorella, il
giovane rincarò
la dose. «Possiamo già ritenerci fortunati se non
avremo rogne da quel tipo che
hai ferito: hai idea di chi fosse?»
Lentamente,
Unna scosse il capo.
«Non l’ho mai visto prima. E, sfortunatamente, non
c’è proprio stato il tempo
per fare le presentazioni. Comunque non l’ho certo ferito in
modo grave: mi
pareva bello combattivo, quando mi ha dato della pazza per averlo
colpito…»
«Non
mi pareva un legionario»
commentò Ulf, cercando di riportare alla memoria i vaghi
ricordi che conservava
dell’uomo con i capelli rossi.
«Non
lo era» confermò Unna, con
una nuova certezza nella voce. Dopo qualche istante, la ragazza si
scostò di un
passo e fece un gesto come se volesse allontanare quei pensieri.
«Allora»,
disse, poi, guardandolo con il capo leggermente inclinato,
«cosa intendi fare?
Vai a riprenderti la ragazza o cosa?»
Anche
se avrebbe voluto apparire
un po’ meno entusiasta e dare almeno la parvenza di
rifletterci sopra un poco,
l’uomo si ritrovò ad annuire.
«Sì, meglio di sì. Questa mattina ho
agito
d’istinto e non ci ho pensato molto, prima di andarmene via.
Però, considerato
quello che è successo negli ultimi giorni, mi sentirei molto
più tranquillo
avendocela sott’occhio. Poi vedremo cosa fare.»
Unna
corrugò la fronte. «In che
senso?»
L’uomo
esitò. «Vedremo se vorrà
comunque restare qui o se preferirà tornare a Roma. Se prima
di tutta questa
storia sentivo di conoscerla davvero molto poco, adesso non ho proprio
la
minima idea di che cosa le passi per la testa…»
La
donna non trattenne un
sorrisetto storto. «Oh, a giudicare da come ti guarda e da
come parla di te,
non credo proprio che voglia andarsene.»
«Dici?»
A quelle parole Ulf si
aprì in un sorriso, avvertendo uno strano calore
all’altezza dello stomaco.
Unna alzò gli occhi al cielo. «Patetico»
sospirò, prima di fare un cenno in
direzione della porta. «Dai, vai, tanto ormai di
là è tutto freddo.»
Il
giovane annuì, mentre il suo
sorriso si spegneva un poco. «Va bene, ci vado subito. Voi
mangiate, nel
frattempo: potrebbe non essere una cosa rapida.»
Unna
gli rivolse uno sguardo
confuso. «E perché mai? Non credo proprio che
dovrai pregarla, per convincerla
a seguirti…» Un angolo della bocca di Ulf si
sollevò quasi impercettibilmente,
poi l’uomo scosse il capo, divertito
dall’osservazione della sorella. «Forse
no, ma il problema è che non è affatto detto che
Lidia sia ancora a casa
nostra. Questa mattina le avevo raccomandato di non rimanere
lì da sola, ma di
andare a cercare Donna Erin. E, chissà: potrebbe anche
avermi ascoltato, per
una volta nella vita. Oppure potrebbe essere andata al campo militare
con il
suo amico romano, o il tipo che hai ferito potrebbe averla portata
chissà dove…
in effetti, potrebbe essere ovunque,
ora che ci penso.»
Vedendo
che il fratello
cominciava a farsi inquieto, Unna gli posò una mano sul
braccio. «È inutile che
stai qui a perdere tempo, allora. Va’ e cercala – e
vedi di trovarla, che ‘sto
muso lungo mi ha già stancato.»
Lui
le rivolse un’occhiata
storta, poi ricambiò la sua stretta e, senza aggiungere
altro, si avviò verso
la porta. La casa di Katti si trovava praticamente dall’altra
parte del
villaggio e il giovane percorse le strade di Erding a passo rapido,
senza
fermarsi a osservare quello che accadeva attorno a lui. Con la coda
dell’occhio, notò che in paese pareva esserci un
certo fermento, ma non si
soffermò per scoprire che cosa l’avesse provocato.
Quando, poco più di un
quarto d’ora più tardi, giunse in
prossimità della casa che divideva con Lidia,
Ulf si fermò di colpo, sorpreso. E
quello
chi è?
Seduto
sui gradini di fronte alla
porta d’ingresso, c’era un ragazzino
dall’aria annoiata che giocherellava con
un filo d’erba. Anche se sulle prime gli parve di non
conoscerlo, avvicinandosi
ulteriormente Ulf vide che si trattava del figlio del macellaio
– del resto, le
sue orecchie a sventola e il suo naso rosso erano piuttosto
inconfondibili.
Cosa accidenti ci fa, qui? Si chiese,
strisciando un poco i piedi
sul selciato per attirare l’attenzione del giovane germanico.
Sentendolo
avvicinare, il ragazzo lasciò cadere la margherita che
teneva tra le dita e
balzò in piedi, sul volto un’espressione a
metà strada tra lo scocciato e il
sollevato.
Il
ragazzino fece per parlare, ma
Ulf lo precedette. «Hai bisogno di qualcosa?»
chiese, senza tanti preamboli. Il
figlio del macellaio sbatté un paio di volte gli occhi
chiari, come se fosse
rimasto sorpreso da un approccio tanto diretto, poi fece un mezzo cenno
d’assenso. «Devo dire una cosa a Livia.»
«A
Lidia» lo corresse Ulf.
«Che cosa devi dirle?»
Il
ragazzetto lo guardò con
sospetto, quasi come se non fosse certo di potersi fidare di lui.
«Il papà mi
ha detto di parlare solo con Lidia.
Non so se posso dirlo a te.»
Per
una frazione di secondo, Ulf
fu tentato di alzare gli occhi al cielo. «Sono suo
marito» spiegò, cercando di
mantenere la calma. «Sono abbastanza certo che qualsiasi cosa
tu le debba dire
possa essere detta anche a me.»
«Hm.»
Il ragazzo lo squadrò
ancora per qualche istante, poi parve rassegnarsi. «Tu lo
sai, chi è
Alexander?» Ulf corrugò la fronte, cercando di
ricordare se conoscesse qualcuno
che rispondeva a quel nome. «Chi, scusa?»
Il
figlio del macellaio si portò
le mani sui fianchi e sbuffò. «Ma sei sicuro che
sei suo marito? Mio padre mi
ha detto che Alexander è un amico di Lida e che lei stava
aspettando un suo
messaggio. Mi sembra strano che tu non lo conosci.»
Ulf
espirò con forza,
ricordandosi improvvisamente di quanto potessero essere odiosi i
ragazzini di
quell’età. «Senti, perché non
facciamo una bella cosa? Adesso entriamo, tu le
consegni il tuo messaggio e io
sento
che cos’hai da dirle. D’accordo?» Per
tutta risposta, l’altro gli rivolse uno
sguardo accondiscendente. «Ci ho già
provato» lo informò. «Non è
in casa.»
Allarmato,
l’uomo si girò di scatto
verso la porta. «No?»
«No»
confermò il ragazzetto. «Ho
provato a entrare, ma la porta è chiusa a chiave.»
Sentendo la preoccupazione
montare, Ulf tornò a rivolgersi al suo giovane compaesano.
«Da quanto tempo sei
qui, tu?»
Il
ragazzo scrollò le spalle.
«Non lo so. Un’ora, due… un sacco di
tempo, insomma. E, prima di me, è stato
qui mio padre. Abbiamo praticamente passato tutto il pomeriggio ad
aspettarla,
ma lei non si è vista.»
Ah, merda! Imprecò mentalmente
Ulf. Esattamente come aveva temuto,
Lidia doveva aver scelto proprio quel giorno per ascoltare i suoi
consigli e se
n’era andata di casa. E del resto
che
cosa ti aspettavi, idiota? Mi pare il minimo, visto come
l’hai trattata!
Colto
da un dubbio, Ulf cercò lo
sguardo del ragazzino. «Questo Alexander… ha per
caso i capelli rossi?» Il
figlio del macellaio annuì. «Sì.
È alto e ha i capelli rossi. E dev’essere
anche bello ricco: non ci viene spesso, a comprare la carne, ma, quando
la
compra, non ha paura di spendere!»
L’uomo
ebbe un fremito
d’impazienza di fronte a quell’informazione
inutile. «D’accordo, ho capito chi
è» tagliò corto. «Lo conosco,
solo che non sapevo che si chiamasse così. Lascia
pure a me il messaggio: ci penso io a recapitarlo a mia
moglie.»
Il
ragazzino parve combattuto, ma
poi scrollò le spalle. «Oh, e va bene! Io ci ho
perso fin troppo tempo, per
questa cosa.» Così dicendo pescò dalla
tasca un foglietto stropicciato,
ripiegato in quattro. «Credo che siano tipo le indicazioni su
dove trovare
Alexander. Non so perché vuole che Lidia vada da
lui… credo di aver capito che
lui non sta tanto bene. O forse si è fatto male…
qualcosa del genere, insomma.»
Prendendo
il foglietto che il
ragazzo gli stava porgendo, Ulf annuì. «Va bene,
grazie. Magari la accompagno
anch’io, allora.» Il figlio del macellaio si
strinse nelle spalle. «Fai un po’
come vuoi» fece, accomiatandosi da lui sventolando pigramente
una mano.
Rimasto
solo, l’uomo lesse
rapidamente il messaggio scritto con una grafia obliqua ed elegante, a
tratti
difficile da interpretare. Non è
che dica
molto, constatò, con una smorfia amareggiata.
Alexander non forniva infatti
alcun elemento che potesse aiutarlo a ritrovare sua moglie: nel suo
biglietto,
si limitava a chiedere che Lidia e Tito
lo raggiungessero nella cascina in cui esercitava uno dei guaritori del
villaggio.
Tito dev’essere il ragazzo romano,
ragionò, serrando inconsciamente
i pugni. Respirando a fondo per allontanare il fremito di rabbia che
l’aveva
colto, Ulf tornò a osservare il messaggio
dell’uomo dai capelli rossi. A Erding
esercitavano tre guaritori e, per qualche motivo, Alexander aveva
deciso di
rivolgersi proprio a quello più fuori mano. Che
motivo c’era di farsi un paio di chilometri a piedi, quando
all’interno del
villaggio ci sono altri medici altrettanto capaci di dargli due punti?
Accantonando
quell’interrogativo,
Ulf ragionò sul da farsi. Considerato il messaggio che gli
era appena stato
recapitato, era chiaro che Lidia non fosse in compagnia
dell’uomo dai capelli
rossi che l’aveva riaccompagnata al villaggio. Il
che mi lascia con due possibilità: o è andata con
il suo amico
all’accampamento militare, oppure è andata a
chiedere aiuto a Donna Erin.
Per la prima volta da quando, parecchi anni prima, la Sacerdotessa era
arrivata
al villaggio, il giovane trovò piuttosto allettante la
prospettiva di andarla a
trovare. Sempre meglio andare da lei,
piuttosto che andare in un posto pieno di legionari…
Mentre,
per togliersi ogni
dubbio, faceva un inutile giro di perlustrazione dentro casa, il
giovane si domandò
se non fosse possibile che, spaesata e spaventata, Lidia avesse cercato
la
compagnia di qualcuno che conosceva. E se
fosse andata a casa di papà? Si chiese, con una
punta di speranza. Del
resto, lei e Hermann andavano d’accordo e Donna Edda le era
stata vicina
durante i primi tempi della sua permanenza al villaggio: era davvero
così poco
verosimile che la fanciulla avesse cercato rifugio da loro?
Un
poco rinfrancato da quel
pensiero, una decina di minuti più tardi Ulf si
ritrovò davanti alla casa di
suo padre. «Papà?» chiamò,
aprendo la porta e lasciando scorrere lo sguardo
sulle mura che l’avevano visto nascere e crescere.
«Hermann?» provò di nuovo,
quando il suo richiamo cadde nel vuoto. Dal giardino sul retro giunse
un rumore
e Ulf si diresse rapidamente in quella direzione.
«Nonna!»
esclamò, scorgendo la
figura scura di Donna Edda intenta a ritirare i panni stesi.
«Sei sola? Dove
sono tutti?»
Nell’udire
la voce del nipote,
l’anziana germanica sobbalzò, lasciando scivolare
a terra la tovaglia che
teneva fra le mani. «Dov’eri finito?» lo
aggredì, non appena si fu ripresa dal
suo stupore. «Dove sono i tuoi fratelli?»
Preso
alla sprovvista dalla
reazione imprevista della donna, il giovane retrocedette di un passo.
«Unna è a
casa di Katti» replicò, prima di rendersi conto
che forse Unna non avrebbe
voluto che la sua famiglia sapesse dove si era ritirata alla ricerca di
un po’
di pace e tranquillità. «Hermann,
invece… be’, lui non lo vedo da ieri, quindi
non ho proprio idea di dove sia finito.»
Donna
Edda si adombrò
ulteriormente, mentre sul suo volto si dipingeva
un’espressione turbata. «Non è
venuto da te, questa mattina?» La preoccupazione che colse
nella voce di sua
nonna lo mise subito in allerta e Ulf scosse il capo. «No:
ero anch’io da
Katti, con Unna, e lì Hermann non è
passato.»
Lentamente,
la vecchia germanica
raccolse la tovaglia caduta sul prato e la ripose nella cesta, insieme
agli
altri panni ancora bagnati. Poi si avvicinò al nipote, lo
sguardo chino a terra
e un’espressione concentrata sul viso segnato dal tempo.
«E tua moglie, invece?
Dove l’hai lasciata?»
Tutte
quelle domande stavano
iniziando a innervosirlo e Ulf scrollò le spalle in un gesto
di impazienza,
cercando di capire dove volesse andare a parare la donna.
«L’ho incontrata
questa mattina. Ero… ero un po’ arrabbiato per il
modo in cui si è comportata
ultimamente e le ho chiesto di restare a casa»
mormorò, senza avere il coraggio
di raccontare a Donna Edda tutta la verità. Anche se
continuava a essere
convinto di avere agito in modo tutto sommato comprensibile, data la
situazione, ora che si trovava a discutere con qualcuno di quello che
aveva
fatto, si sentiva un po’ in colpa. «Adesso sono
tornato a cercarla, ma a casa
non c’era nessuno. E non c’è stato
nessuno per tutto il pomeriggio, stando a
quanto mi ha raccontato il figlio del macellaio.»
«Oh,
Dèi!» Donna Edda si portò
una mano al viso. Per una frazione di secondo parve sul punto di
perdere le
forze e, senza nemmeno pensarci, Ulf le si avvicinò, pronto
a sostenerla. «Tuo
fratello era andato da lei, questa mattina. Non è
più tornato a casa: dove
possono essere andati?»
L’uomo
sentì la preoccupazione
montare dentro di sé, ma cercò di tenere a bada
l’ansia e di ricostruire
esattamente quello che era successo. «Aspetta un
attimo» disse, cercando di non
mangiarsi le parole come spesso faceva quando era preoccupato.
«Perché Hermann
è andato a cercarla? Come faceva a sapere che
l’avrebbe trovata a casa?»
L’anziana
germanica scosse una
mano con impazienza. «Non è importante!»
sbottò, alzando su di lui il suo
sguardo di ghiaccio. «Il nuovo Sacerdote ci ha detto di
averla incontrata, tu
eri partito con Unna la sera prima e tuo padre ha semplicemente pensato
che
fosse prudente chiedere a Hermann di andare a dare
un’occhiata per assicurarsi
che fosse tutto a posto…»
«…
quale nuovo Sacerdote?» la
interruppe Ulf. «Il ragazzo… il ragazzo che
è arrivato l’altro giorno a casa di
Donna Erin?» Donna Edda annuì.
«Sì. Donna Erin se n’è
andata, adesso al suo
posto c’è Fratello… Caio, o come si
chiama.»
«Kay» la corresse il giovane,
con un nodo alla gola. Se Donna Erin
non era più al villaggio, allora Lidia non poteva essere
andata da lei. E quindi
c’è un solo posto in cui potrebbe trovarsi:
l’accampamento militare. Improvvisamente,
però, quell’ipotesi gli parve
poco verosimile: stando a quanto gli aveva detto sua nonna, Hermann era
probabilmente con lei. E ho dei seri
dubbi che avrebbe accettato di seguirla in un posto pieno di soldati di
Roma.
«Dov’è
mio padre?» tagliò corto
Ulf, riscuotendosi dai suoi pensieri e cercando di definire rapidamente
un
piano d’azione. «Ho bisogno di parlargli.»
Donna
Edda scosse mestamente il
capo. «Dovrai aspettare un po’, prima di farlo:
è stato convocato più di un’ora
fa dal Legato. Pare che sia morto un romano e, visto che non
è il primo che fa
questa fine, vogliono vederci chiaro.»
Per
qualche motivo,
quell’informazione gli fece correre un brivido ghiacciato
lungo la schiena.
«Che romano?» chiese, temendo però la
risposta. «Un soldato?» Di nuovo,
l’anziana germanica scosse la testa in segno di diniego.
«Non ne so molto: il
Legato Libo è venuto per parlare con tuo padre, non certo
con me. Ma no, non si
trattava di un soldato: da quanto ho capito, era un ragazzo normale…»
«Ma
non ci sono civili romani, da
queste parti» protestò debolmente, mentre un lieve
capogiro lo coglieva. No, non ci sono civili
romani. A parte
l’amico di Lidia, ovviamente. Quasi indovinando i
suoi pensieri, Donna Edda
gli puntò addosso il suo sguardo acuto. «Sai
benissimo che uno ce n’era»
mormorò, con voce cupa. «Ed è anche per
questo che il Prefetto è venuto a
cercare tuo padre. Perché forse Lidia lo conosceva e,
forse…»
«…
si tratta dello stesso ragazzo
che ha ucciso Karl? Quello che ha cercato di portare via
Lidia?» Quando
l’anziana germanica annuì, Ulf si
ritrovò a camminare nervosamente avanti e
indietro. «Io l’ho visto, questa mattina: era anche
lui con Lidia, a casa
nostra!»
Intuendo
la direzione in cui si
stavano indirizzando i pensieri del nipote, Donna Edda gli
posò una mano sul
braccio, come per tranquillizzarlo. «Tua moglie e tuo
fratello non erano con
lui: Libo ha parlato di una sola persona morta.»
«Ma
potrebbero essere stati
insieme!» insistette Ulf, che si stava rapidamente
convincendo che lo scenario
peggiore fosse anche quello più verosimile. «Di
cosa è morto? È stato ucciso?»
La stretta di Donna Edda si fece ancora più salda, mentre le
labbra
dell’anziana donna si piegavano in una smorfia amara.
«Non so niente» mormorò,
con una voce che ricordava lo scricchiolio delle foglie secche.
«Non mi hanno
detto niente.»
Nonna
e nipote si fissarono per
qualche secondo in un silenzio angosciato, poi Ulf inspirò a
fondo. «Papà è a
casa del Legato?» chiese, con voce secca. Quando la donna
annuì, il giovane
retrocedette di un passo. «Io vado a cercare di capirci
qualcosa. Tu resta qui,
nel caso papà o Hermann facciano ritorno.»
Senza
aggiungere altro, l’uomo si
catapultò fuori di casa, reprimendo a stento
l’impulso di mettersi a correre
come un bambino spaventato. Nella sua testa, i pensieri vorticavano
furiosamente, tempestandolo con accuse e recriminazioni. Stupido,
si disse. Come posso
essere stato così stupido da lasciarla lì in
compagnia di quei due? Lo sapevo,
che avrebbe potuto essere pericoloso! Perché non ho
ragionato, invece di farmi
prendere dal panico? Per colpa delle sue decisioni
affrettate, adesso si
trovava a dover cercare non solo Lidia, ma anche suo fratello. Sì, però sono stato anche
sfortunato. Ci si
è messa in mezzo tutta una serie di cose…
Immerso
in quei pensieri cupi e
confusi, il giovane arrivò rapidamente in vista della domus del Legato Libo. Non si sorprese,
nel vederla circondata da legionari
di guardia – del resto, non era passato molto tempo dal
giorno in cui qualcuno
aveva cercato di appiccarvi il fuoco – ma quello che lo
stupì fu notare che il
drappello più numeroso sembrava essere posizionato all’interno dei cancelli della
villa.
Rallentando
il passo, Ulf si
avvicinò alle mura esterne, cercando di capire che cosa
stesse succedendo.
Quando fu giunto a pochi metri di distanza dal drappello di soldati
fermi
davanti alle porte dell’abitazione del Legato, uno di questo
lo notò e gli si
avvicinò con passo rapido. «Hai bisogno di
qualcosa?» lo interrogò,
scrutandolo, se non con sospetto, quantomeno con diffidenza.
Il
giovane esitò per un istante,
cercando una risposta che non mettesse in allerta il legionario.
«Sto cercando
mio padre» disse, allora. «Sono Ulf, figlio di
Gefrid, il Capo Villaggio: mi è
stato detto che è stato convocato poco fa dal Legato Libo.
Mi hanno riferito
che c’è stato un incidente con un cittadino di
Roma.»
Rilassando
un poco la propria
postura, il soldato annuì. Era un giovane uomo dalla pelle
ambrata e corti
capelli neri e Ulf ebbe l’impressione che non sapesse bene
come comportarsi, in
quella situazione. «È così»
confermò. «Mi dispiace, ma non posso farti
entrare:
ordini del Prefetto.»
Davanti
a quella risposta, l’uomo
si accigliò. «Come sarebbe a dire?»
protestò. «Il Prefetto ha ordinato di non
farmi entrare?» Il giovane moro ebbe un attimo di incertezza.
«Non esattamente»
rispose, poi. «Ha semplicemente dato disposizioni di non far
passare nessuno
per motivi di sicurezza.
Finché non
capiamo di cos’è morto quel ragazzo, ci
è stato detto di tenere lontano la gente.»
Vedendo
comunque un’occasione per
scoprire ciò che gli interessava, Ulf provò a
insistere un altro po’. «Avevo
capito che fosse stato ucciso in un agguato. Pensavo che mio padre
fosse stato
convocato nel tentativo di trovare i colpevoli: non è
così?»
Di
nuovo, il legionario fece un
cenno di diniego. «No, a quanto pare non
c’è stato alcun agguato: il corpo è
stato ritrovato per caso nel bosco, in un sentiero che collega Erding
con il
campo militare, ma non ci sono ferite evidenti che suggeriscano una
morte violenta.»
Per
un istante, Ulf si chiese se
il soldato fosse autorizzato a fornirgli tutte quelle informazioni o
se,
invece, si stesse lasciando sfuggire qualche parola di troppo, ma
quello non
era certo il momento per farsi scrupoli simili. «E
quindi?» insistette.
«Pensate che sia stato avvelenato?»
Il
legionario si strinse nelle
spalle. «È un’ipotesi»
confermò. «Oppure potrebbe essere morto di morte
naturale: al momento non abbiamo modo di sapere se fosse malato o meno.
In ogni
caso, il Prefetto ha ritenuto che fosse più prudente portare
qui il corpo. La
situazione è delicata, soprattutto perché il
ragazzo era un civile, e per
questo Caleno ha voluto discuterne subito con il Legato.
Però ha voluto anche
ridurre al minimo il rischio di contagio: all’accampamento
viviamo uno
attaccato all’altro, puoi ben capire
che…»
Ulf
non riuscì a trattenersi. «E
quindi ha preferito rischiare di contagiare Libo?» gli
scappò detto. Il soldato
lo guardò per qualche istante, poi sollevò
nuovamente le spalle con aria leggermene
smarrita. La notizia appena appresa distrasse brevemente Ulf dalla sua
preoccupazione per la sorte della moglie e del fratello e il giovane si
chiese
se la mossa di Caleno non fosse stata studiata: del resto, ricordava
perfettamente quanta poca simpatia scorresse tra il Legato e il
Prefetto.
Notando
un improvviso movimento
tra i legionari radunati dall’altra parte della cancellata,
l’uomo distolse gli
occhi dal soldato che gli stava davanti e cercò di sbirciare
verso l’interno
della villa. Seguendo il suo sguardo, il romano aggrottò la
fronte, confuso.
«Lo stanno portando dentro?» chiese, rivolto ai
suoi commilitoni che, come lui,
si erano voltati per seguire la scena.
«Così
parrebbe» rispose uno di
loro, con una scrollata di spalle.
È davvero l’amico di Lidia?
Si chiese Ulf, mentre l’angoscia gli
stringeva il petto in una morsa. Anche se non aveva la
benché minima simpatia o
compassione per il ragazzo che aveva ucciso Karl, il fatto che quel
romano
fosse stato in compagnia di Lidia fino a poche ore prima lo riempiva di
ansia. Se lui è morto,
dov’è finita Lidia?
Certo,
rimaneva la esile, esilissima
possibilità che Lidia si
fosse separata da lui e fosse andata da qualche parte con Hermann, ma
quell’ipotesi gli sembrava assolutamente inverosimile. Anche perché dove potrebbero essere
andati?
In
quel momento, due soldati di
guardia davanti alla porta interna della domus
si chinarono e sollevarono una barella militare sulla quale era disteso
un
corpo. Anche se la distanza e gli uomini che continuavano a frapporsi
tra lui e
la barella gli impedirono di scorgere i dettagli, Ulf riuscì
comunque a
intravvedere dei capelli scuri e dei lineamenti che gli parvero fin
troppo
famigliari. Il giovane si sentì sbiancare, mentre, per un
istante, il mondo
pareva farsi distante e ovattato.
«C’è
qualche problema?»
La
voce del giovane legionario
dai capelli neri lo costrinse a tornare alla realtà e Ulf
scosse più volte la
testa, cercando di tenere a bada i propri pensieri e il proprio
turbamento.
«No», negò, «stavo solo
cercando di capire se lo conoscevo…»
Il
soldato gli scoccò uno sguardo
obliquo. «Dubito: da quel poco che ho sentito, il ragazzo era
un patrizio.
Figlio di gente importante, se non ho capito male. Non è
nemmeno ben chiaro che
cosa ci facesse qui, un tipo come lui.»
Lo so io, che cosa ci faceva qui,
pensò Ulf, con la testa piena di
sentimenti contrastanti. Se, da un lato, c’era
l’inconfessabile soddisfazione
di sapere che l’uomo che aveva ucciso il suo migliore amico
era morto,
dall’altro quella morte poteva avere delle terribili
implicazioni sulla sorte
di Lidia – e di Hermann.
D’un
tratto, Ulf si sentì
completamente perso e abbandonato a se stesso. Non aveva la
benché minima idea
di dove potessero essere finiti sua moglie e suo fratello. Non so nemmeno se siano ancora vivi!
Pensò, mentre l’ipotesi
peggiore prendeva forma nella sua mente.
Inconsciamente,
il giovane prese
a indietreggiare, allontanandosi dal soldato con il quale aveva parlato
fino a
pochi istanti prima. Quello lo richiamò, gli chiese
qualcosa, ma Ulf non udì le
sue parole. In silenzio, girò sui tacchi e tornò
rapidamente sui propri passi. Sembra che stai
scappando, interloquì la
sua coscienza. Meno male che non dovevi
fare niente di sospetto! Come minimo, adesso penseranno che
l’hai ammazzato tu,
quell’idiota!
Sul
momento, quell’eventualità
gli parve del tutto irrilevante. L’unica cosa che contava era
ritrovare Lidia e
Hermann – o, se non altro, riuscire a farsi un’idea
di dove iniziare a
cercarli. Sarebbe già
qualcosa…
Camminando
per Erding quasi alla
cieca, Ulf si ritrovò senza nemmeno rendersene conto sulla
via che conduceva
nuovamente alla casa di suo padre. Poco prima di imboccare il viottolo
che
conduceva lì, il giovane si fermò. Che
cosa intendi fare? Si chiese. Il suo primo impulso era stato
quello di
tornare da Donna Edda e di dirle che non era riuscito a trovare
né Hermann né
Lidia, ma in quel momento si rese conto che un’informazione
del genere non
sarebbe stata in alcun modo utile all’anziana germanica. Rischierei solo di farla preoccupare.
Stringendo
i pugni, in preda alla
frustrazione, l’uomo si ricordò improvvisamente di
un particolare che era
passato in secondo piano di fronte al precipitare degli eventi. Il messaggio di Alexander. Ripescando il
foglietto stropicciato che gli era stato consegnato dal figlio del
macellaio,
Ulf rilesse rapidamente le poche righe che vi erano scritte sopra.
Pensosamente, si rigirò un paio di volte tra le mani il
messaggio stropicciato.
E se lui sapesse qualcosa che io non so?
L’ipotesi
non era poi così
inverosimile: dopotutto, quando lui se n’era andato,
l’uomo dai capelli rossi
era rimasto con Lidia. E, nonostante suo fratello non fosse menzionato
nel suo
messaggio, non poteva nemmeno escludere che, nonostante la ferita
provocatagli
da Unna, Alexander si fosse trattenuto abbastanza a lungo da incontrare
Hermann.
Non è detto che il romano fosse con
loro, quando è morto. Forse Lidia e
Hermann avevano preso qualche decisione che lui non condivideva. Forse
si sono
divisi, lui ha cercato di tornare al campo militare e lungo la via
qualcosa è
andato storto…
Era
una ricostruzione con pochi
elementi di certezza, ma Ulf scelse di aggrapparvici per mantenere un
briciolo
di speranza di ritrovare sani e salvi moglie e fratello. Ripiegando
accuratamente il foglietto sgualcito, il giovane se lo ripose
nuovamente in
tasca. E va bene: vado a parlare con
Alexander, decise risoluto.
***
Quando,
qualche decina di minuti
più tardi, si ritrovò davanti alla casa del
guaritore presso il quale Alexander
aveva dato appuntamento a Lidia, il giovane non poté fare a
meno di sentirsi un
po’ stupido. Il piccolo e bellicoso Albert era un medico
eccellente, talmente
abile nel ricucire ferite e sistemare ossa spezzate che la gente era
disposta a
sottoporsi a un viaggio lungo e faticoso, pur di potere usufruire delle
sue
cure. Anche se lui non ci aveva mai avuto a che fare direttamente, Ulf
conosceva bene la sua fama e si sentiva un po’ a disagio
all’idea di disturbare
un tale luminare solo per chiedergli notizie di un uomo di cui non
conosceva
con esattezza nemmeno l’identità.
Ma le circostanze sono eccezionali, si
ripeté, scacciando le
proprie remore e bussando alla porta di legno bruciata dal sole. Mentre
aspettava che qualcuno venisse ad accoglierlo, l’uomo si
voltò per lanciare
un’occhiata alle proprie spalle. Vedi
di
calmarti, si intimò, cercando di tenere a bada il
proprio nervosismo.
Attorno a lui, tutto pareva tranquillo – fin troppo, in
effetti. La casa di
Albert era situata al di fuori dei confini del villaggio. Per
arrivarci, Ulf
aveva dovuto camminare lungo la strada carrabile che proseguiva verso
nord: un
percorso solitamente abbastanza trafficato, ma lungo il quale, quel
giorno, non
si era imbattuto in anima viva. Tutto sembrava sospeso, immobile, come
in
attesa di un evento imminente.
Dopo
qualche istante, la porta
davanti alla quale era in attesa si aprì e un ometto sulla
sessantina lo
squadrò da sotto in su. L’espressione seccata
perfettamente riconoscibile nei
suoi piccoli occhi azzurri gli rivelò senz’ombra
di dubbio che si trattava del
padrone di casa. «Ti serve qualcosa?» lo
apostrofò il guaritore, parlando con
la cadenza impostata tipica di chi aveva studiato nelle terre del nord.
Inconsciamente, Ulf si schiarì la voce. «Sto
cercando Alexander. È qui?»
Albert
indietreggiò di mezzo
passo, piantando gli occhi in quelli del giovane.
«Sì, è qui»
confermò
lentamente. «Però mi ha detto che stava aspettando
Lidia, e qua non vedo
nessuno che possa rispondere a tale nome.»
Ulf
sostenne il suo sguardo,
sforzandosi di mantenere un atteggiamento neutrale. «Lo so,
è proprio per
questo che sono qui. Lidia è mia moglie. Il figlio del
macellaio mi ha
consegnato un messaggio destinato a lei.» Vedendo che
l’espressione dell’uomo
non cambiava, azzardò un passo in più.
«Lidia sembra essere sparita nel nulla
da ormai qualche ora: speravo che Alexander potesse aiutarmi a
ritrovarla.»
Per
un attimo, il giovane temette
che Albert gli sbattesse la porta in faccia, ma poi l’uomo
fece un cenno
d’assenso e un piccolo sorriso cortese. «Va bene,
entra pure. Vediamo se Alex
può darti una mano.» Il guaritore lo fece
accomodare su un grande divano di
pelle chiara e poi sparì in un altro locale. Nervosamente,
Ulf abbassò lo
sguardo sul tappeto esotico situato sotto i suoi piedi. Notandone lo
stile inconsueto,
ne seguì con gli occhi gli intricati ghirigori blu.
L’arredamento ricercato e
le suppellettili di valore che riempivano il locale non lasciavano
alcun dubbio
sullo stato economico del guaritore, decisamente più agiato
anche di quello di
Gefrid. Quel particolare non fece altro che aumentare il senso di
inadeguatezza
che Ulf aveva sentito inspiegabilmente calare su di sé.
Il
suono dei passi di Albert lo
spinse a riscuotersi e il giovane si alzò in piedi, pronto
ad accogliere il
proprio ospite. Quando il guaritore si presentò nuovamente
alla soglia, Ulf
vide che alle sue spalle c’era Alexander: aveva una spalla
bloccata con una
fasciatura leggera, ma, a parte quello, sembrava godere di ottima
salute.
«Vi
lascio parlare» disse l’uomo
più anziano, passando lo sguardo dall’uno
all’altro. Poi si soffermò su
Alexander. «Se avessi bisogno di me, puoi trovarmi nel mio
studio.» Con quelle
parole, Albert si accomiatò dai due giovani. Non appena
furono rimasti soli,
Alexander si mosse velocemente verso Ulf.
«Cos’è successo?» lo
interrogò,
balzando a piè pari ogni tipo di preambolo o presentazione.
«Albert mi ha detto
che Lidia è sparita.»
«È
così. E credo che il ragazzo
romano sia morto» confermò il germanico a
bruciapelo, provando quasi una punta
di soddisfazione davanti all’espressione scioccata di
Alexander. «Morto?»
ripeté infatti quello, guardandolo con insistenza, come se
stesse cercando di
capire se Ulf fosse serio o meno. «Ma
com’è possibile? L’ho visto prima e
stava
benissimo…»
Ulf
scrollò le spalle. «Non ho la
certezza che si trattasse proprio di lui, ma questo pomeriggio
è stato trovato
il corpo di un ragazzo romano lungo il sentiero che porta
all’accampamento
militare. Pare che si trattasse di un civile e, da quanto ne so io, non
ci sono
molti civili, da queste parti.»
Alexander
scosse il capo e si
lasciò lentamente scivolare sui cuscini di pelle del divano.
«Ma non è
possibile» disse, quasi a bassa voce. «Che cosa ci
faceva in mezzo al bosco?
Gli avevo detto di aspettarmi a casa di Lidia e di non muoversi da
lì.»
Guardandolo
in volto, Ulf vide
che l’uomo sembrava sinceramente sconvolto e si
sentì in colpa per la vaga
sensazione di trionfo provata poco prima. «Non so che cosa
sia successo»,
disse, un po’ più gentilmente, «fatto
sta che nemmeno Lidia si trova più a
casa. Il che significa che qualcosa li ha convinti a uscire e ad andare
da
qualche altra parte.» Quando l’uomo si
limitò a fissarlo con i suoi profondi
occhi blu, Ulf aggiunse: «Hai forse incontrato anche mio
fratello, quando eri a
casa mia?»
Alexander
gli rivolse uno sguardo
confuso, poi scosse il capo. «Non conosco tuo fratello, ma io
ho parlato solo
con Lidia e con Tito. Povero ragazzo, mi dispiace per
lui…»
L’espressione
di Ulf si indurì.
«Ha ammazzato mio cognato. A me non dispiace affatto che sia
morto – ammesso
che sia poi morto davvero, ovviamente.» Sul volto di
Alexander si disegnò
un’espressione stanca. «Lo capisco, però
sono convinto che Tito si sia
ritrovato in una cosa più grande di lui. Non dico che abbia
agito bene, però,
insomma… era spaventato, confuso, e credeva di proteggere
Lidia. Non sono riuscito
a fermarlo, purtroppo.»
Prima
di rispondere, Ulf si
costrinse a inspirare a fondo e a calibrare bene le parole.
«Può essere»,
concesse, «ma ultimamente le cose sono difficili per tutti.
Questo, però, non
giustifica nessuno ad agire senza pensare: se tutti cercassimo di far
fuori chi
non ci piace o chi ci sembra pericoloso, ci troveremmo in guai ben
peggiori di
quelli in cui ci troviamo adesso.»
Alexander
non replicò, ma si
limitò ad allargare le braccia, dandogli forse
silenziosamente ragione. «In
ogni modo», riprese Ulf, desideroso di arrivare ad affrontare
l’argomento che
gli stava veramente a cuore, «non è del ragazzo,
che voglio parlare. Voglio
capire che fine hanno fatto mia moglie e mio fratello. Probabilmente tu
sei uno
degli ultimi ad aver visto Lidia: hai idea di dove possa essere
finita?»
Dopo
qualche istante di
riflessione, l’uomo dai capelli rossi scosse il capo.
«No, purtroppo no. Come
ti ho già detto, le avevo raccomandato di aspettarmi a casa
vostra; cosa che,
evidentemente, non ha fatto. Non ho proprio idea di dove possa essere
andata.»
Maledizione,
pensò Ulf,
rabbuiandosi ulteriormente. «Credi che possa essere andata a
cercare Donna
Erin? So che adesso la Sacerdotessa non si trova più a
Erding, ma forse Lidia
non lo sapeva…»
Alexander
scosse di nuovo il
capo. «No, Lidia sapeva benissimo che Kay ha sostituito Erin:
ce l’ha detto lui
stesso e so che…» L’uomo si interruppe
di colpo e contrasse la fronte in
un’espressione concentrata. Poi improvvisamente si
illuminò. «Aspetta un
attimo!» esclamò, concitato. «Forse mi
è venuta un’idea.»
Il
giovane sentì nascere in sé un
filo di speranza. «A proposito di dove potrebbe essere
Lidia?»
«Più
che altro per capire come
fare a trovarla» precisò l’altro uomo.
«Seguimi, di sopra ho una cosa che
potrebbe esserci utile. Che stupido, avrei dovuto pensarci
subito!»
Confuso,
ma comunque determinato
a sfruttare qualsiasi appoggio che potesse aiutarlo a ritrovare Lidia e
Hermann, Ulf seguì Alexander su per le scale di legno che
conducevano al piano
superiore, scorgendo solo qualche dettaglio della ricca casa di Albert.
L’uomo
lo condusse in quella che doveva essere la camera che gli era stata
assegnata
dal guaritore: era piccola e arredata in modo pratico, ma non spartano.
Il suo
occhio esperto colse le fini lavorazioni lignee eseguite sulla
superficie del
tavolino posto a poca distanza dalla branda militare e sul fianco delle
mensole
posizionate sopra di esso.
Quando
si fu richiuso la porta
alle spalle, Alexander fece per chinarsi sul cassetto del comodino
accanto al
letto, ma si fermò un istante prima di aprirlo.
«Ora» esordì, chiaramente a
disagio. «Sto per mostrarti una cosa che non dovrei
assolutamente farti vedere.
Se si venisse a sapere in giro, io passerei dei guai molto
grossi… soprattutto
se questa cosa dovesse arrivare alle orecchie di gente come
Kay.» Non sapendo
bene che cosa farsene di quell’informazione, Ulf
sollevò un sopracciglio con
una punta di scetticismo. Alexander strinse nervosamente le mani in un
pugno e
cercò gli occhi del germanico, sperando forse di trovarvi la
conferma del fatto
che si poteva fidare di lui. «Il fatto
è», riprese, «che ormai in questa storia
ci sono dentro e che sento di non potermene lavare le mani. E quindi,
niente…
vediamo se il localizzatore ci può aiutare.»
Così
dicendo, l’uomo aprì il
cassetto e ne estrasse una piccola tavoletta di vetro scuro. Piegando
un po’ la
testa per vedere meglio, Ulf notò che era costellata da
punti luminosi. «Che
cos’è questa roba?» chiese, cercando di
ricordare se avesse mai visto nulla di
simile.
Alexander
sventolò una mano in
aria, come per dire che quell’informazione non era
così importante. «Immaginala
come una specie di mappa. Serve per trovare diverse cose:
città, punti
particolari, strade e altri aggeggi dotati di un sistema di
localizzazione.
Tito aveva con sé una tavoletta come questa: se siamo
fortunati, potrebbe
averla passata a Lidia. E, se siamo ancora più fortunati,
Lidia potrebbe averla
ancora con sé.»
Ulf
fu tentato di toccare la
tavoletta con la punta delle dita, ma si trattenne. «Quindi
si tratta di
qualcosa che viene da Roma?» indagò. Alexander lo
guardò cine se fosse sorpreso
da quella domanda e poi, in maniera del tutto inaspettata, si
lasciò sfuggire
una piccola risata. «Oh, no, no, non viene da Roma. La storia
è lunga e temo
che, prima o poi, dovrò raccontartela: adesso
però cerchiamo di capire se Lidia
ha ancora la tavoletta o meno, d’accordo?»
Pur
avvertendo che il modo
sbrigativo con cui aveva liquidato la questione poteva celare un
pericolo, Ulf
decise di non insistere e di lasciare, almeno per il momento, campo
libero
all’uomo. «Va bene» acconsentì
con un cenno del capo.
Sfiorando
la superficie lucida
con alcuni gesti rapidi, Alexander fece comparire sul vetro alcuni
riquadri
azzurri, all’interno dei quali erano presenti alcune frasi
scritte in caratteri
minuscoli. I movimenti dell’uomo erano troppo veloci
perché Ulf potesse leggere
i brevi messaggi, ma, ancora una volta, il giovane si costrinse a
rimanere in
silenzio. Fu solo quando Alexander si lasciò sfuggire
un’esclamazione di
disappunto, che si decise a indagare oltre. «Che cosa
succede» chiese.
L’uomo
dai capelli rossi abbassò
bruscamente la tavoletta, mostrandone la superficie al germanico. Ulf
non vide
altro che un triangolo giallo e pulsante, in lento movimento sopra a
quella che
poteva essere la rappresentazione stilizzata di un bosco. Non capendo
cosa
stesse guardando, alzò su di lui uno sguardo confuso.
«Non
ho modo di sapere se Lidia
abbia ancora l’altro localizzatore»,
esordì Alexander, «però, di certo,
quella
tavoletta non ci è arrivata da sola,
lì.»
Quella
spiegazione non servì a
dissipare i dubbi del germanico. «Lì?»
ripeté. «E dove sarebbe, esattamente, lì?»
Alexander
sospirò di nuovo.
«L’ultimo posto al mondo in cui vorrei che Lidia si
trovasse: a bordo della Northern Star.»
***
Tra una cosa e l’altra, l’ho
tirata lunga anche con questo capitolo.
Spero di riuscire ad aggiornare nuovamente prima di partire per il mare
a fine
mese, ma mi sa che servirebbe un mezzo miracolo… alla
peggio, ci risentiamo a
metà luglio. Prendetela come una specie di pausa estiva?
Come al solito, non è che mi farebbe
schifo avere qualche commento… non
ho praticamente fatto in tempo a rileggere nulla, quindi le vostre
segnalazioni
mi farebbero comodo!