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Autore: Harry Fine    21/06/2018    2 recensioni
In una Terra che ormai è l'ombra di sé stessa, gli umani non esistono più. Ad abitare quell'angolo assolato, esistono le gemme, esseri antropomorfi che vivono, sono in grado di provare sentimenti, percepire il dolore e che combattono per stare in pace, tentando di allontanare chi cerca di trasfirmarli in semplici ornamenti.
E tra esse, può nascere anche un sentimento più forte. Specialmente tra la più anziana e la più giovane. Saranno in grado di non andare in frantumi?
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kuga Terunori, Tsukasa Eishi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ad Eishi non era mai esattamente importato il modo in cui aveva passato la sua vita fino a poco prima, o quantomeno non gli importava prima di conoscere quel ragazzo e finire in quella situazione.
Ma, dopotutto, cosa era lui, se non un misero ammasso di carbonio troppo arrogante per rendersi conto perfino delle sue stesse sensazioni!? Non era stato nemmeno capace di parlargli chiaramente quando ancora ne aveva il tempo.

Sentiva le gambe fare male, ma non interrompeva la sua corsa disperata. Vedeva nel cielo azzurro quella maledetta macchia nera e bianca allontanarsi, ma non poteva farla scappare!
Non poteva lasciarlo andare!
E per questo continuava a correre, nonostante qualche sottile crepa stesse iniziando ad aprirsi sui suoi polpacci. Ma non se ne curò. Doveva continuare ad inseguire quella macchia!
Lui d'altronde non aveva polmoni che bruciassero per la fatica o un cuore che accelerasse per lo sforzo. Il suo corpo era sempre freddo, liscio, duro e scintillante, poiché lui non era una persona. Non era umano, ma una gemma.

Esatto, una gemma, un diamante ad essere precisi. Qualcosa di meraviglioso, puro, lucido e resistente, che dopo secoli passati nella crosta terrestre era diventato simile agli antichi esseri che abitavano millenni or sono quel pianeta ormai disastrato di nome Terra.
Si ricordava ancora, nonostante fossero passati ormai millenni, come fosse venuto al mondo. E in quel momento in cui l'angoscia lo stava divorando, vedeva tutta la sua esistenza passargli davanti agli occhi.

Quando tutto era iniziato era solo, dentro la roccia, totalmente immobile e senza via d'uscita. Solo che poi qualcosa aveva scosso le sue membra di diamante.
Neanche lui sapeva esattamente cosa fosse, ma lo aveva spinto a cercare di uscire dalla roccia che lo aveva custodito per tanto tempo.
Era stato lungo come processo, ci era voluto parecchio. Ma alla fine l'aria lo aveva accolto e lui, gemma neonata e ancora grezza, aveva finalmente preso coscienza del mondo esterno e aveva visto per la prima volta quello che per lui e i suoi simili era una sorta di padre, colui che diceva di chiamarsi Senzaemon. 

Costui era una gemma come lui, a detta sua, ma talmente anziana da ricordare addirittura i tempi del sesto cataclisma, quando la Terra era stata colpita dall'ennesima catastrofe che l'aveva ridotta a quella misera parte sui cui lui ora viveva.

Era stato lui a dargli la forma degli antichi umani, usando scalpello e altri attrezzi per ammorbidire le forme di quel corpo troppo spigoloso ed ancora troppo simile ad un minerale, portandolo ad assomigliare ad un ventenne di quella razza e lodandolo per la sua bellezza.
E per molto tempo era stata la sua unica compagnia e aveva agito per lui come un padre. Gli aveva insegnato a parlare, a leggere, scrivere e contare, raccontandogli sempre nuove storie sulla Terra dei tempi antichi.

Ed erano andati avanti così per secoli, almeno fino al giorno in cui non si erano uniti a loro altri due esponenti della sua razza. Costoro erano una Spessartina arancione spumeggiante, allegra e dalle bizzarre tendenze nudiste che era stata ribattezzata Isshiki, e un Crisoberillo giallo quanto mai altezzoso, serio ed egocentrico chiamato Erina.
Anche loro erano stati accuditi da Senzaemon come era successo a lui. Entrambi ottennero la forma elegante degli umani, di cui Erina sembrava rispecchiare le caratteristiche femminili, e anche l'istruzione che lui stesso aveva ricevuto. 

E le sue giornate avevano cominciato a cambiare, diventando più movimentate e varie a causa della loro presenza. Ma non era finita lì. 
Pian piano, il numero delle gemme simili a loro iniziò ad aumentare sempre di più. Tutte nascevano dallo stesso lastrone di roccia da cui erano spuntati fuori lui e i suoi simili, unendosi a loro.
E Senzaemon li accoglieva tutti con un sorriso, dando loro nomi e aspetti diversi, insegnando tutto ciò che sapeva e proteggendoli dentro un enorme edificio simile a quelle che dagli umani venivano chiamate scuole.

E questa ormai risuonava costantemente di risate. I suoi simili più piccoli, con i loro bisticci e marachelle, sembravano portare, ognuno a modo proprio, gioia in quel posto, così come negli occhi del maestro Senzaemon, a cui lui era rimasto accanto.

E la sua vita era andata avanti così per svariati secoli, avvolta da una dolce e ripetitiva pace nell'osservazione delle altre gemme, contemplando placido la loro allegria. 
Era un diamante, dopotutto, la gemma più dura ed anziana di tutte, per cui aveva il compito di difendere gli altri. E sapeva che sarebbe stato suo eterno compito, poiché il tempo non lo avrebbe deteriorato e lo stesso valeva per ognuno dei suoi simili.
Loro erano cristalli immutabili, sempre uguali. A differenza degli esseri viventi, loro non erano mai stati neonati o bambini e non sarebbero mai stati anziani. Il cambiamento era a loro negato. 

Ma poi qualcosa di nuovo era successo. Qualcosa che aveva bruscamente spezzato quel ciclo di dolce ed illusoria pace. E non era stato bello.
Era stato poco prima dell'inizio del loro periodo di letargo invernale. La neve candida aveva ricoperto la scuola e una gigantesca piattaforma piena di strani esseri a loro volta bianchi era apparsa nel cielo, avvolta da una strana e mistica musica di festa. 
Coloro che la suonavano sembravano innocui, così dolci, sottili, graziosi e in qualche modo simili a loro, quindi alcune gemme più giovani si erano avvicinate. Ed era stato allora che quei mostri avevano colpito.

In un primo momento aveva udito solo il suono delle corde che si tendevano. E troppo tardi aveva capito cosa stava succedendo. 
Da quei maledetti archi apparsi dal nulla era partita una pioggia di frecce tremenda. E Shun e Zenji, un rubino e un'onice, erano stati colpiti in pieno.
E quella era stata la prima volta in cui Eishi aveva sperimentato la paura. Loro erano immortali, ma un cristallo si poteva comunque spezzarsi e ridursi in pezzi. 

Aveva visto, infatti, i loro corpi trafitti ricoprirsi di crepe ed andare in frantumi senza che loro potessero emettere un fiato. Ma aveva ancora in testa i loro occhi terrorizzati prima di sgretolarsi.
Le loro schegge brillanti erano precipitate a terra, e nessuno era riuscito a fare niente quando quegli abomini erano scesi giù.

Avevano raccolto i frammenti di Shun e Zenji, ammirandoli come se fossero stati semplici accessori e se ne erano andati via senza che neanche uno di loro capisse cosa era successo.
Ma il dolore che venne dopo fu terribile. Nonostante nessuno di loro avesse un cuore pulsante o lacrime da versare, lui sentiva comunque un sentimento soffocante al centro del petto ogni volta che ci ripensava. 

Lui e gli altri anziani erano stati inutili e avevano lasciato che due delle gemme più giovani venissero catturate. E soprattutto avevano deluso Senzaemon!
Quando lo avevano informato, la colpevole tristezza nei suoi occhi era stata troppo. 
Aveva insinuato in lui un terrore profondo, anche se perfettamente celato dietro i suoi occhi bianchi, che ognuno di loro un giorno avrebbe potuto essere catturato e incupire sempre più gli occhi di colui che li aveva cresciuti e protetti fino a farli spegnere.

E questa paura era rimasta. Per ogni gemma che nasceva, la possibilità che potessero essere portati via da quei mostri aumentava. 
E ora conosceva anche il loro nome, Seleniti. Così li aveva chiamati il maestro, definendoli la gente che proveniva dalla luna con l'obiettivo apparente di tramutare tutti loro in accessori.
E questo aveva spinto tutte le gemme più solide a combattere per difendere le altre, spinte dalla rabbia. 

Grazie all'ossidiana Ryou, nato nel calore della lava, le loro armi erano state forgiate e lui le aveva usate con piacere, sempre in prima linea. Aveva tagliato Seleniti su Seleniti senza nessuna pietà con la sua spada. Ma non serviva a niente.
Non importava se aveva squartato dieci, cento, mille o diecimila e più Seleniti. Nessuno di quelli che avevano perso sarebbe tornato, così come gli occhi del maestro non sarebbero mai tornati lucenti.
Ma nonostante ciò, mentre i secoli passavano, lui combatteva quasi ogni giorno, cercando di sfogare il suo odio e la sua paura, ma quei mostri bianchi non finivano mai.
Quei maledetti esseri avrebbero continuato a perseguitarli fino a quando anche l'ultimo di tutti loro non fosse stato portato via.

Altre gemme lo avevano aiutato per cercare di liberarsi di loro, tra cui Isshiki, Erina, Hisako, Jun, Megumi, Akira, Ryou, Yuki, Alice, Rindou, i gemelli Takumi ed Isami. Ma neanche con il loro aiuto aveva trovato una soluzione. 
Anzi, era andato anche peggio! Perché molti di loro erano stati catturati!

I frammenti candidi di Alice e quelli arancioni di Isshiki ancora danzavano davanti a lui nei suoi sogni, così come i loro sguardi pieni di paura. E per quanto chiedesse scusa, per quanto implorasse perdono, questi continuavano a brillare per evidenziare la sua colpevolezza.
Li vedeva ancora spezzarsi e implorare aiuto durante le sue notti più agitate. E allo stesso modo vedeva Jun, Yuki ed Isami implorare un soccorso impossibile mentre le crepe li prendevano.
Tutti e cinque erano scomparsi insieme a tanti altri e ormai le loro risate o i loro passi non animavano più le stanze attorno a loro, lasciando i loro compagni con un grande peso nel petto.

Ed era colpa sua. Lui era il diamante! Lui era il più anziano! Lui aveva l'obbligo di difendere i suoi compagni! Ma da buono a nulla qual era, aveva fallito.
Ormai le camere delle gemme rapite erano rimaste intoccate nel loro cupo silenzio, identico a quello che vedeva negli occhi tristi di Senzaemon, che gli ricordavano che, ancora una volta, era stato impotente di fronte al ratto dei suoi compagni.

Ed era stato per quello che aveva scelto di non prendere altri partner. Non poteva permettere che altri suoi compagni venissero portati via. Avrebbe combattuto da solo. 
Se avesse fallito, almeno l'unico a pagare lo scotto sarebbe stato lui e non più gli altri. Non avrebbe potuto sopportare ancora di vedere il dolore come quello di Takumi quando aveva perso Isami o quello di Ryou e Akira quando Alice e Jun erano sparite.

E lo aveva fatto per anni. Aveva lottato da solo, senza sosta, tenendo a distanza chiunque. 
Nessuno doveva stargli vicino. Nessuno doveva andar via a causa sua. Lui doveva solo distruggere i Seleniti, nascondendo tristezza, paura e solitudine dietro la sua nuova freddezza.
Ma i suoi piani di restare eternamente a distanza da tutti e difenderli da lontano fu spezzato il giorno del suo quattromillesimo compleanno.

Quel giorno, dal lastrone di roccia da cui erano mati tutti, altre due gemme erano venute alla luce.
Erano passati secoli dalla nascita degli ultimi giovani, ma quelle due gemme sembravano essere speciali.

Oltre ad essere ritardatarie, erano splendide. Una rodocrosite rossa e una meravigliosa ametista viola.
Entrambe brillavano come pochi altri e il maestro Senzaemon sembrava meravigliato nel vederli. 
Ma Eishi aveva visto nuovamente la gioia nei suoi occhi. La vedeva mentre piallava e ammorbidiva i corpi cristallini, dando loro una forma che ne facesse risaltare la preziosità. 

Come sempre, lui e tutti gli altri erano curiosi di vederli. Ma stavolta c'era qualcosa di nuovo. Si sentiva particolarmente interessato al giovanissimo quarzo viola, che era stato ribattezzato Kuga, come se fosse stato magnetico.
Non si era perso un solo attimo della sua creazione, guardando lentamente quel corpo stranamente minuto prendere forma e acquisire la vita.

E da quel giorno lo aveva spiato da lontano, nascosto da colonne ed ombre, per poterlo ammirare meglio senza metterlo in pericolo.
Fin da subito sia lui che il suo compagno, che era stato chiamato Soma, si erano dimostrati vivaci ed energici come Isshiki, ma l'ametista era incredibilmente tenera, testarda ed egocentrica, mentre la rodocrosite si era dimostrata cocciuta, allegra ed ingenua come pochi altri. 

I loro sorrisi sembravano in qualche modo scacciare la tristezza per la sparizione dei loro compagni, portando una nuova sensazione di pace.
E lui spesso aveva sentito le labbra curvarsi di rimando mentre li osservava dai suoi nascondigli. Aveva perciò giurato che avrebbe difeso quelle gemme che stavano lentamente ridando la gioia a Takumi e tutti gli altri dalla minaccia dei Seleniti. 

Solo che non aveva messo in conto quanto quei due fossero desiderosi di lottare. Infatti, appena avevano saputo dell’esistenza della gente della luna, si erano subito proposti di combattere contro di loro.
Ma la cosa più incredibile era che il Maestro gli avesse detto di sì! 

Infatti, Soma era stato nominato nuovo partner di Takumi, lo scintillante Eliodoro che sembrava veramente felice della presenza di quella gemma rossa e allegra, mentre Kuga, in assoluto la gemma più giovane di tutte, era rimasta un po' in disparte.

Almeno fino al giorno in cui Eishi non era stato convocato sa Senaemon.
《Da oggi, Kuga sarà il tuo partner.》 Gli aveva detto, lasciandolo di stucco.

Aveva cercato di mantenersi più lontano possibile per decenni dagli altri per paura di soffrire troppo nel vederli portare via, e adesso doveva fare da insegnante a quella gemma neonata e chiacchierona!?
Stava per rispondere di no, ma poi Kuga gli aveva sorriso. Un sorriso dolce, strafottente e bellissimo che gli aveva fatto sentire uno strano calore. Ed era bastato vedere quello per convincerlo ad accettarlo come compagno di squadra. Ma sicuramente, se avesse saputo cosa sarebbe successo, non avrebbe ceduto a quel sorriso.

E di sicuro non era stato facile istruire quel ragazzo tanto entusiasta. Combinava un pasticcio dietro l'altro e con la sua imprudente spensieratezza sarebbe stato catturato in un attimo, ed era una cosa che gli aveva ripetuto spesso, ma lui sorrideva sornione e tutta la sua severità si scioglieva di fronte a quel tenero calore che riempiva il suo corpo di diamante.
Non sapeva se quella fosse una sua dote o qualcosa di comune ai più giovani, ma era certo che quelli non fossero i suoi piani. Dov'era finito il suo proposito di proteggere tutti senza farsi coinvolgere da loro? Che fine aveva fatto la sua freddezza? Era mai possibile che la sola presenza di quel ragazzo tanto allegro potesse spazzare via tutto così!?

La risposta doveva effettivamente essere positiva, perché, per quanto lui tentasse di staccarsi dall'ametista, lui lo faceva desistere sempre.
Portava con se il calore che lui cercava e respingeva al tempo stesso. Ma per quanto provasse a cacciarlo, quella sensazione che sentiva non era andata via, aumentando anche quando Kuga gli stava vicino.

E non importava quanto lui fosse lontano, sapeva che lo avrebbe comunque trovato. E quella costante tenerezza continuava a crescere. Infatti, se prima l'unica cosa che lo faceva sentire protetto era la presenza del maestro, adesso era la sua allegria a farlo.
Non era servito a nulla cercare di restare rigido e composto nei vari anni di cooperazione. Quell'uragano dai capelli viola ed oro lo aveva travolto da decenni e non voleva più lasciarlo andare.
La sua freddezza non c'era più, vinta dalla spontaneità e dalla gioia di quel ragazzo tanto divertente che lo aveva strappato alla sua malinconia.

《Andiamo, Eishi, dovresti sorridere di più. Prima o poi ti si spaccherà la faccia a furia di stare serio.》.
Glielo diceva sempre e con impertinenza, ma lui si ritrovava a sorridere proprio per questo. 

Era quasi ironico, ma la compagnia di quella gemma aveva stravolto tutto il suo mondo. Lo faceva sentire “vivo", come se anche lui fosse stato umano, simile a quegli antichi esseri. 
Come se anche lui fosse stato fatto di carne, sangue ed ossa. Come se anche nel suo petto ci fosse un cuore pulsante e vivo e non solo diamante freddo e immobile.

Ormai anche la solitudine era solo un ricordo, perché la paura e la collera verso i Seleniti avevano lasciato il posto ad altro.
Un dolce desiderio di vedere Kuga sempre felice a causa sua. Voleva che lui si sentisse bene in sua compagnia come stava bene lui.
E aveva anche capito da un po' il nome di quell’emozione così strana e dolce che lo coglieva osservandolo. I libri la definivano il desiderio di rendere qualcuno felice ed essere per lui o per lei una persona speciale. Il voler difendere qualcuno di speciale. Quel sentimento ardente e caldo chiamato amore.

Si. Quello che lui sentiva era amore. E per quanto lui non potesse arrossire o sentire sensazioni di nodo allo stomaco come diceva il libro, sapeva che era così.
Ma mai si sarebbe aspettato quello che sarebbe successo dopo, fino a quando aveva sentito quelle braccia d'ametista avvolgersi attorno al suo corpo a sorpresa.
Erano gentili, buone e lo tenevano piacevolmente in pugno da quando lui aveva ricambiato quella bizzarra stretta. Aveva capito che voleva continuare quel contatto piacevole, così da tenerlo vicino in eterno, era questa l'idea che gli occupava la mente.

Neanche aveva capito perché lo avevano fatto e, quando si erano separati, Kuga gli aveva semplicemente risposto 《Perché sento che tu mi rendi felice.》
E quella era stata l'ultima goccia. Tutte le maschere che aveva provato a tenere nascosto se stesso avevano lasciato il posto a placidi sorrisi, l'odio per i Seleniti era stato accartocciato e il calore che da tanto lo riempiva era stato accolto del tutto.

E ormai, nonostante lui fosse vecchio di millenni, si sentiva più felice che mai a causa della compagnia di quella gemma giovanissima.
Grazie a lui, era tornato tutto come prima dell'arrivo della gente della luna, un idillio di pace in cui lui tra le sue braccia poteva trovare ristoro dal dolore e dalla collera che aveva covato in sé per così tanto. 
E sembrava impossibile. Tutta quella pace era nata grazie al contatto con quel ragazzo, che lo aveva strappato alla tristezza coi suoi modi vivaci ed irruenti.

E per questo un nuovo desiderio lo spingeva ora. Non più avere le attenzioni del maestro, bensì difendere Kuga da quei mostri, così che nessuno dei due dovesse più essere da solo e magari spingerlo a ricambiarlo.
Ma era stato uno sciocco. Esattamente come il primo sogno di pace era stato spezzato, anche il secondo era svanito.
E ci era voluto un attimo.

Una piattaforma bianca era apparsa dal nulla sopra di loro, lunghissimi ami da pesca erano apparsi, legando Eishi in una rete durissima e lasciando l'ametista da sola a combattere.
E non importava quanto la gemma bianca si dimenasse, non era in grado di fuggire. 
Ma l'altro non aveva ceduto, ne era fuggito. Anzi, aveva impugnato il suo tridente e aveva combattuto. Anche se i fili e gli ami scavavano il suo corpo cristallino, lui avrebbe difeso quella gemma tanto pura e anziana che lo aveva fatto sentire speciale.
Non lo avrebbe lasciato solo.

Usò infatti la sua arma, colpendo la nave con energia, mentre sempre più ami scheggiavano il suo corpo, facendo cadere frammenti viola ovunque. Ma lui non si arrese. Doveva solo combattere e vincere.
La nave dei Seleniti, anche se a fatica, tentava di trascinarlo a bordo con foga, ma, quando successe, lui menò l'ennesimo fendente, decapitando tutti quegli esseri bianchi.

E appena questi furono spariti, lui si voltò verso Eishi, sorridendo fiero. E lui sorrise di rimando. Aveva vinto. Per fortuna era salvo.
Ma, come è già stato detto, bastò un momento per spezzare tutto.

Una freccia sola colpì il collo dell'ametista, staccandogli il capo di netto.
E l'inferno del ragazzo bianco ricominciò, mentre osservava quel corpo schiantarsi al suolo.
Frammenti di un meraviglioso viola cadevano lentamente dalle membra ora tanto fragili, un ultima risata rimaneva su quelle labbra immobili, mentre Kuga si sgretolava lentamente di fronte al suo sguardo terrorizzato. 

E poi, quelle dannate mani bianche e sottili avevano preso i frammenti. Quegli occhi maledetti li avevano contemplati con avarizia. E quella piattaforma apparsa dal nulla li aveva accolti, sollevandosi da terra.

E tutta la sua collera era esplosa. Il diamante si agitava con furia animalesca, tentando di liberarsi da quella dannata trappola. 
Non poteva lasciare che glielo portassero via. Doveva salvarlo! Doveva abbattere la navicella! Senzaemon lo avrebbe aggiustato e tutto sarebbe andato al suo posto. Tutto sarebbe tornato come prima.

Ma non era vero, niente era a posto. Quei mostri lo stavano conducendo sempre più lontano, verso la Luna. E presto non lo avrebbe più rivisto. Ma non doveva accadere!
Non gli importava dunque quante crepe lo attraversassero. Poteva anche ridursi in polvere per quanto gli importava. Voleva solo salvare Kuga!

La rete finalmente si ruppe e lui cominciò a correre. Sentiva i polpacci e le gambe scricchiolare per la sua stessa forza, ma doveva continuare ad inseguirlo,  ignorando il dolore di ogni crepa. La piattaforma se ne stava andando via!
E lui voleva sapere il perché.

Perché non aveva detto no a quel sorriso innocente la prima volta!? Perché diavolo doveva essere un diamante se non poteva difendere chi lo aveva salvato dal suo stesso odio!? E perché non poteva essere lui quello lassù, catturato e in trappola!? Lui aveva vissuto fin troppo, mentre Kuga no! 

Ma più di tutto, perché in tutto quel tempo che aveva avuto a sua disposizione, non gli aveva detto nulla su quanto lo rendesse felice?! Perché non aveva mai deciso di toccare quelle labbra ridenti con le sue e lasciarsi totalmente andare?! Perché aveva avuto paura per l'ennesima volta.
Era stato uno stupido! Uno stupido, idiota, codardo!

E ora tendeva le mani al cielo, vedendo la piattaforma volare lentamente, ma ormai troppo lontana. E stava portando via l'unica persona che più di tutti amava.
Non avrebbe più visto i suoi sorrisi, ne la sua allegria o avrebbe più sentito le sue strette attorno a se.
Lui aveva gambe forti, era bravo con le spade, il maestro gli diceva sempre che era bello e coraggioso, ma allora perché lui lo stava lasciando andare via? 

Il suo volto si stava ricoprendo di sfaldature. La rabbia mutava in disperazione. Lui non aveva lacrime da versare, ma lo faceva lo stesso. Frammenti brillanti cadevano da sotto i suoi occhi senza sosta.
《KUGA! KUGA! NON ANDARE VIA!》 Continuava ad urlare con voce spezzata, mentre la navicella se ne andava, ormai troppo simile ad una macchiolina perché lui potesse raggiungerla. 
E questo aprì l'ennesima crepa in lui. Una profonda che non si sarebbe richiusa.

Smise di correre solo quando sentì il terreno mancargli sotto i piedi. La scogliera, ricordò amaramente. Era arrivato al confine della terra ferma e ora stava precipitando.
La sua mano era ancora tesa, gli occhi sgranati e il corpo spaccato. Lo sguardo era ancora rivolto verso il cielo, dove ormai non si vedeva più niente.
E lui sentì di aver finalmente fallito del tutto. 

Perché non importava quanto lui fosse forte o duro, quanto fosse puro o bello, ormai era solo un patetico pezzo di cristallo infranto.
Esatto. Infranto ed inutile. Perché Kuga era svanito. Il suo sorriso non si sarebbe più visto, quegli occhi sarebbero rimasti chiusi e lui non avrebbe mai saputo. 
La persona che amava era andata via. E tutto per colpa sua. Solo colpa sua.

E adesso che stava candendo, con gli scogli e il mare pronti ad inghiottirlo e punirlo, riuscì a dire solo una cosa.
《Kuga… non lasciarmi da solo.》
E un attimo dopo, si sentì solo un cupo rumore di membra spezzate.
   
 
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