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Autore: Nao Yoshikawa    21/06/2018    4 recensioni
Ho scritto questa minilong ispirandomi al film "Adeline - L'eterna giovinezza".
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Takumi è diverso da tutti. Perché gli è stato fatto un dono. O una maledizione, dipende da come la si guarda.
Come si può conciliare l'amore con l'immortalità?
DAL PRIMO CAPITOLO:
Mancava poco alla mezzanotte. Mancava poco al suo compleanno. Il novantesimo, per la cronaca.
Già, ma chi ci avrebbe mai creduto?
Nascondere la realtà dei fatti era la cosa più facile... all'incirca.
Si incamminò per il lungo corridoio. Quell’hotel in cui la serata di gala si stava svolgendo sembrava essere molto antico, oltre che elegante.
Poteva sentire il conto alla rovescia.
Tre...
Lo scorrere del tempo non mi sfiora più
Due...
Continuerò così in eterno?
Uno...
Duemilaquattordici.
Quasi un secolo prima veniva al mondo. E chi l'avrebbe mai detto, vedendolo, che Takumi avesse vissuto una guerra?
Che avesse assistito al primo sbarco dell'uomo sulla luna? Che avesse visto le cose cambiare? Il mondo che credeva di conoscere era diventato tutt'altro. Ma, come per tutto, si era abituato.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Azami Nakamura, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Yukihira Jouichirou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Young - Parte Terza

Takumi aveva passato una nottata a dir poco pessima a causa dei troppi pensieri. Si era addormentato soltanto all’alba, per essere poi svegliato da un allegro Soma.
Vedere il suo sorriso lo rincuorava, ma allo stesso tempo lo intristiva tremendamente.
Come sempre, sono sospeso. Tra il rimanere e fuggire.
Il suo incontro con Joichiro gli aveva ricordato il motivo per cui non sarebbe potuto rimanere.

Era sempre quello lo stramaledetto motivo. Lui. La sua diversità.
Ci stava pensando così tanto che sentiva la testa esplodere. Sì, sicuramente sarebbe andato fuori di testa, ne aveva la certezza.
Joichiro, dal canto suo, non era messo meglio. Dopo una notte insonne passata sul divano, si sentiva abbastanza a pezzi, scosso interiormente a causa di tutto ciò che stava vivendo.
Probabilmente era tutto frutto della sua immaginazione, ma sarebbe stato bello avere una conferma o, al limite, essere smentito.
Erina e Azami erano fuori, il che era un bene. Suo marito avrebbe così avuto modo di sbollire la rabbia, rabbia che in fondo era giustificata.
Lui stesso sapeva di essersi lasciato andare ad atteggiamenti inopportuni, ma non lo aveva fatto con malizia. Era semplicemente stato naturale.
Scostò le tende e, dalla finestra, vide Takumi e Soma intenti a svuotare il portabagagli dell’auto.
Rimani al tuo posto, lui è il fidanzato di tuo figlio. Ma non posso fare a meno di cercare una risposta, nella speranza di trovarla.
Nemmeno due secondi dopo, l’uomo si trovava in giardino, fumando la prima sigaretta della giornata.
“Che state facendo?”, domandò.
“Finiamo di prendere i bagagli. Ieri, nella fretta, abbiamo solo portato in camera l’indispensabile”, spiegò Soma. “Anche se la maggior parte sono di Ryuji, è peggio di una donna”
“Questo non è vero”, si lamentò il biondo. “Ci sono sacchi strapieni di roba tua! Ma poi, si può sapere perché ti porti gli attrezzi da cucina dietro?”
“Perché altrimenti si sentirebbero soli senza di me”
“Sì, certo”, borbottò. Prese uno dei sacchi goffamente, con il risultato di far cadere l’intero pentolame a terra.
“Ecco fatto, bene”, sbuffò.
“Lascia, ti aiuto io”, si offrì Joichiro, chinandosi per raccogliere gli oggetti.
Takumi fece lo stesso e, nel momento in cui allungò una mano, accadde qualcosa.
Gli occhi dell’uomo si posarono su una cicatrice che aveva sul dorso destro, una cicatrice lunga circa cinque centimetri.
Rimase immobile a studiare quel dettaglio, apparentemente indifferente, mentre dentro in verità avvertiva come un terremoto.
E Takumi doveva essersene accorto, perché immediatamente retrasse il braccio.
“Non… c’è bisogno. Faccio tutto io”, affermò freddamente, indietreggiando.
Joichiro parve non ascoltarlo neanche. Era bastata quella semplice visuale a mandarlo completamente in tilt.
La conferma che tanto aveva cercato era arrivata.
Ma non è possibile.
Questo non è logico.
Quella era la frase che gli riecheggiava insistentemente per la mente. Joichiro aveva preso a respirare in modo affannoso. Immediatamente si era allontanato dai due ragazzi ed era andato in una piccola casetta dietro il giardino che fungeva più che altro da deposito. Lì c’erano vecchie attrezzature da cucina e oggetti troppo preziosi per essere buttati via. Tremando, Joichiro si fece spazio tra la polvere e i vari oggetti, prendendo ad un certo punto da uno scaffale una scatola. In quest’ultima stavano conservati oggetti che potevano sembrare di poco conto, biglietti aerei risalenti a tanti anni prima e fotografie. Ce ne fu una in particolare che attirò l’attenzione di Joichiro. L’unica fotografia che avesse mai scattato insieme a Takumi, durante il loro soggiorno a Parigi.
Quando erano stati giovani, felici, innamorati. Nell’immagine, lui abbracciava il biondo, il quale tentava di nascondere un sorriso imbarazzato, portandosi una mano davanti al viso. Fu l’ che la vide. La cicatrice sul dorso era esattamente la stessa.
* * *
Stare dietro a Joichiro non era affatto facile come poteva sembrare. Quel ragazzino era giovane, ma senza dubbio competitivo. Takumi dovette ammettere che era un degno avversario. O compagno. In realtà era entrambe le cose. Da qualche settimana avevano intrapreso una relazione che andava ben oltre l’amicizia. SI trattava di qualcosa di nuovo, di bello e incerto.
Ma lo faceva sentire vivo, nonostante tutto.
Quella sera, come sempre in realtà, vi era un gran caos di ordini che si sovrapponevano l’uno sull’altro. Takumi aveva imparato ad essere veloce, ma anche un occhio attento come il suo non poteva fare attenzione proprio tutto.
Accadde in un attimo: l’affilata lama del coltello gli tagliò il dorso della mano.
“Ah!”, urlò. “Cazzo, che dolore, che male!”
“Takumi?!”, chiamò Joichiro. “Che è successo?”.
Vide il sangue zampillare dalla ferita e cadere sul pavimento.
“La mano...”, biascicò.
“Oh-oh. Ok, va bene, sta tranquillo. Ci penso io a te, spostiamoci di qui”.
Per evitare di creare intralcio, i due si spostarono in magazzino.
Takumi si era seduto e tremava a causa del dolore. Joichiro aveva, dal canto suo, preso alcune cose, una boccetta di whisky, ago e filo.
“Cosa…? Hai intenzione di curarmi tu? Ma sei un dottore?”
“Emh… no. Però una volta mi sono ricucito una ferita, quindi penso che sarà la stessa cosa”, affermò sorridendo. “Ok, adesso brucerà parecchio”.
Subito dopo lasciò cadere del whisky sulla ferita. Takumi strinse i denti.
“Ah! Ma non potevi usare dell’alcool normale?”
“Ma questo sarà utile anche a te. Ti consiglio di bere se vuoi sentire meno dolore”.
Takumi non capì quello che il suo ragazzo volesse dire fin quando non sentì l’ago attraversagli la pelle.
“Ahi!”
“Fermo, ti prego”
“Merda”, si lamentò mandando giù un sorso di whisky e facendo una smorfia. “Cuoco e anche dottore, sono fortunato”
“Oh, no”, Joichiro sorrise. “Sono io ad essere fortunato”.
Ma pensa, anche mentre sto soffrendo come un cane, riesci a a farmi battere forte il cuore per l’emozione.
“Ahi!”, gridò di nuovo.
“Ops”, l’altro rise. “Scusa”.
Alla fine la ferita di Takumi era stata accuratamente ricucita. Probabilmente quella cicatrice sarebbe rimasta per sempre, ma poco importava. Ci sarebbero state anche delle cicatrici peggiori, il fatto era che ancora ignorava ciò.
Quel piccolo incidente permise al ragazzo di staccare prima dal lavoro. E ovviamente Joichiro ne aveva approfittato per svignarsela.
Il ristorante in cui lavoravano era situato nei pressi di Place de la Concorde. La sera era sempre bello passare di lì, c’erano così tante persone e tante luci, profumi, le fontane che abbellivano il luogo, gli artisti di strada, le bancarelle…
“Ah”, sbuffò il biondo. “Sicuro che non devo andare in ospedale?”
“Ma va. Ricordati solo di cambiare le bende. Il mio povero piccolo Takumi”, sorridendo gli afferrò il punto ferito, baciandolo.
L’altro arrossì a quella palese dimostrazione d’affetto.
“Scemo, dai, siamo in pubblico”
“Non c’è niente di male se dimostro di voler bene ad un mio "amico", no? Adesso ti fa più male?”
“Ma che sono, un bambino? Certo che mi fa ancora male…!”.
La conversazione dei due fu interrotta dall’arrivo di un buffo ometto che portava al collo una macchina fotografica.
“Foto?”, domandò tutto pimpante.
“Hey, perché no. Ora che ci penso, Takumi, io e te non abbiamo neanche una foto insieme, dobbiamo rimediare”.
Il biondo spalancò gli occhi. Le foto erano ciò che più odiava al mondo.
“Joichiro, non lo so se è il caso”
“Sì che lo è. Dai non farti pregare!”, esclamò attirandolo a sé.
“Mettetevi in posa e sorridete”, fece l’ometto.
“Joichiro”, sussurrò Takumi in difficoltà.
“Coraggio, sorridi”.
E Takumi effettivamente si lasciò andare ad un sorriso spontaneamente imbarazzato, sorriso che tentò di coprire.
Uno scatto e quel momento sarebbe rimasto impresso per sempre.
Era per questo che odiava le foto. Perché intrappolavano l’attimo. Il ricordo.
E quando si era come lui, i ricordi erano ciò che più volevano essere dimenticati.
***



La fotografia gli cadde di mano.
E’ lui.
E’ Takumi.
La mente gli si affollò. Non poteva essere una coincidenza. Diamine, certo che non lo era. Le sue sensazioni erano state corrette sin dal primo istante.
C’erano tante domande che si faceva, si chiedeva come fosse possibile, come potesse essere proprio lui.
L’espressione sconvolta lasciò ad un tratto posto ad un’espressione più seria.
C’era soltanto una persona che poteva rispondere alle sue domande, e quella persona era proprio il soggetto dei suoi pensieri.


Dopo aver aiutato Soma a sistemare le valigie, Takumi se n’era andato in giardino per lasciarsi andare ad una lunga riflessione. Fra meno di tre settimane sarebbe dovuto, teoricamente, partire per l’Hokkaido e ricostruirsi una nuova vita. Ci sarebbero stati tanti motivi per cui restare, Soma era uno tra questi, se non il più importante. Ma forse erano ancora di più i motivi per voler andare via. Takumi se n’era fatto una ragione. Quando si era come lui non si poteva amare, per il semplice fatto che non sarebbe stato naturale.
Ma cosa fare?
Qual’era la scelta giusta?
Joichiro gli arrivò alle spalle senza fare alcun rumore.
Lo fissava, ancora incredulo. Dopo vent’anni, lo aveva rincontrato, nel più inaspettato dei modi. Takumi si voltò a guardarlo, sorridendo.
“Joichiro, ciao… emh… perché mi guardi così?”
Senza dire una parola, l’uomo si avvicinò, lo sguardo incredibilmente serio.
“Chi sei tu?”
“Eh? C-come chi sono io? Sono Ryuji”
“Bugia”, gli afferrò la mano. “Questa cicatrice la riconoscerei ovunque. Perché l’ho ricucita io. Dimmi la verità, sei Takumi, non è vero?”.
L’ha scoperto?
No, credo che in verità lo abbia sempre saputo. Ma il vedere la mia cicatrice gli ha dato la conferma.
Il cuore prese a battere veloce.
Joichiro… mi spiace, non era così che doveva andare.
E anche se vorrei mentirti, so che sarebbe inutile, perché tu sei sempre stato bravo a leggermi dentro.
Mentre le lacrime pungevano prepotentemente gli occhi, Takumi annuì.
Impercettibilmente.
L’espressione di Joichiro allora parve addolcirsi ad un tratto.
“Mio Dio, credevo di essere diventato pazzo. Sei tu. Sei sempre stato tu. Ma com’è possibile? Come?”
“Joichiro, è difficile da spiegare. Mi dispiace, per favore, perdonami”, sussurrò, oramai le lacrime scorrevano incontrollate. “Perdonami per tutto. Ti amavo, avrei voluto seguirti in capo al mondo. Ma adesso lo capisci perché non ho potuto? Perché sono maledetto, l’immortalità è una maledizione e mi impedisce di amare” .
I suoi occhi azzurri erano ora incatenati a quelli dell’uomo. Quelli di quest’ultimo erano a loro volta traboccanti di lacrime, le sue labbra erano curvate in un sorriso. Il sorriso di chi aveva ritrovato qualcosa perduta tanto tempo prima.
“Takumi… sono felice di rivederti. Non so perché sia successo questo, non so come sia possibile. Ma adesso sei qui. E’ c’è una cosa che devo fare. Cancellare l'unico mio rimpianto”.
Il ragazzo sentì il cuore prendere a battere forte. Aveva capito perfettamente a cosa si stesse riferendo.
L’addio. L’addio che non c’è mai stato. Il nostro ultimo bacio.
Non si scostò dalla sua presa disperata, non avrebbe osato negargli anche quello. Carico di emozione si aggrappò a lui. Dolcemente, proprio come se fosse la prima volta, Joichiro prese il suo viso tra le mani, si chinò e poi lo baciò.
Takumi si sollevò un po’ sulle punte, ricambiando il gesto.
E’ strano. Sei sempre tu, questo è chiaro, ma non avrei mai pensato che di darti il mio addio così, dopo vent’anni.
Forse così potremmo finalmente andare avanti, adesso che il nostro conto in sospeso è stato saldato.
La delicatezza dei suoi gesti, quella non sarebbe mai cambiata.
Quello che c’era stato non sarebbe stato cancellato. Ma sarebbe diventato un dolce ricordo.
Joichiro si staccò lentamente, senza smettere di guardarlo. Sembrava incredibilmente sollevato.
“Takumi”, sussurrò. “Ascolta… se tu ami Soma, se davvero lo ami… devi rimanere. Non puoi andartene, non puoi, perché altrimenti lui soffrirà esattamente come ho sofferto io. Te ne prego, devi rimanere”.
Takumi scostò lo sguardo, le lacrime stavano nuovamente percorrendo velocemente le guance.
Io voglio rimanere. Ma non posso.
Nessuno merita di soffrire, sono io quello sbagliato.
“Non posso, Joichiro. Non posso fargli questo. Non posso farci questo”
“Ma non lo capisci? Questa non è vita, è misera esistenza. Fermati, Takumi. Ti prego”.
Non sono in grado.
Lo guardò, con fare sofferente.
“Non sono capace”, sussurrò. Lentamente il ragazzo si scostò dalla sua presa, mentre Joichiro tentava invano di tenerlo a sé.
“Takumi, aspetta! Non puoi scappare per sempre!”.
L’altro non rispose. Era corso via, mentre internamente lottava contro se stesso, contro il suo desiderio egoistico di restare.
Non posso.
Quando ho incontrato Soma sapevo a cosa andavo incontro. Così come quando ho incontrato Joichiro. Non commetterò lo stesso errore due volte.
Rientrò in casa, salì di sopra e immediatamente cercò i suoi vestiti, buttandoli alla rinfusa nella valigia.
Andrò via. Mi rifarò una nuova vita.
Ancora una volta.
E allora tutto diventerà uno sfocato ricordo.
Perché siamo ancora in tempo a impedire che questo sentimento diventi troppo forte. Così magari soffrirai di meno, Soma.
Con il cuore che batteva forte nel petto, Takumi fece per chiudere la valigia. Poi si fermò un attimo. Ci sarebbe stato un ultimo messaggio che avrebbe lasciato a Soma. Solo per fargli capire che c’era un motivo se stava andando via, era solo impossibilitato dallo spiegarlo.
Cercò carta e penna e scrisse velocemente qualcosa. Dopodiché cercò le chiavi del ragazzo.
A questo punto il furto della sua auto è il male minore.
Dopodiché scese nuovamente giù, dove trovò ovviamente Joichiro ad attenderlo.

“Takumi, andiamo!”, esclamò. “Dovresti spiegargli, lui capirebbe!”
“Non c’è niente da spiegare!”, fece lui. “Mi dispiace. Lo sai quanto mi fa male”.
Si infilò in macchina, mentre Joichiro tentava invano di convincerlo a rimanere. Il ragazzo però premette sull’acceleratore, lasciando l’abitazione, fingendo di non udirlo.

Soma non aveva avuto modo di udire quel fracasso infernale, poiché si trovava sotto la doccia. Quando poi ne era uscito, si era guardato intorno: i vestiti e le cose di Ryuji non c’erano, era tutto a soqquadro. Stranito, notò poi un pezzo di carta sulla scrivania su cui c’era scritto:
“Perdonami, Soma. Devo andare via, non posso spiegare”.
Quello fu un vero e proprio colpo al cuore. Doveva essere successo qualcosa di cui era all’oscuro.
Un brutto presentimento.
Fece per cercare le sue chiavi, ma con orrore di rese conto che non erano lì.
“Merda”, imprecò. “Papà! Devi farmi un favore, prestami la tua macchina!”.
Raggiunse il giardino vestito alla meno peggio, i capelli ancora umidi. Joichiro stava effettivamente lì, aveva un’espressione strana.
“Papà! Allora, me la presti sì o no?”
“Lascia stare, Soma. Lui è andato via”
“Che cosa? Cosa… che sta succedendo?! Perché è andato via?”
“Perché dice che non è più in grado di fermarsi”.
Soma strabuzzò gli occhi, non capendo.
“Senti, non ti capisco, ok? Io lo devo raggiungere”.
Joichiro si fermò a guardarlo. Suo figlio aveva la stessa determinazione che un tempo aveva avuto anche lui. Non avrebbe permesso che anche il loro amore venisse ostacolato. Non se lo sarebbe perdonato.
“Soma, come fai a sapere che lo ami?”
“Proprio adesso?”
“E’ una domanda semplice, mi pare”.
Soma sospirò, guardandolo.
“Perché senza di lui io non ho senso”.
Joichiro annuì, dandogli una pacca su una spalla.
“Allora va da lui”.


Con il telefono buttato nel sedile del passeggero, Takumi guardava dritto davanti a sé, completamente scosso. Tremava, non c’era un singolo muscolo del suo corpo che non fosse teso, ed il cuore batteva troppo forte, al punto che ebbe paura che potesse espldergli.
Il display si illuminò, quella doveva essere una chiamata da parte di Soma, chiamata a cui non avrebbe risposto.
Non rispondo.
Non posso fermarmi.
Non posso fermarmi perché non sono in grado. Forse è da codardi, forse un’altra persona reagirebbe diversamente, ma non io.
Sono certo che Soma mi dimenticherà.
Mentre formulava tale pensiero, le lacrime continuavano a bagnargli imperterrite il viso.
E talmente era immerso nei suoi pensieri, da non essersi accorto neanche di aver sfiorato i centoventi chilometri orari. Attraversò veloce la strada, ai lati numerosi alberi. In genere badava bene a stare attento quando guidava, visto com’era finita l’ultima volta, Ma, in quel momento, il pensiero non lo sfiorò neanche.
Andare via… devo andare via…
Anche se questo vuol dire rimanere per sempre con il rimpianto. Perché io non morirò mai. E di conseguenza il rimpianto rimarrà per sempre.
Ad un tratto accadde qualcosa e i e Takumi parve perdere cognizione di se stesso.
In una frazione di secondo, un’altra auto gli venne addosso. Il ragazzo finì con il battere la testa sul parabrezza, un colpo forte che quasi lo portò a perdere i sensi. Dopodichè l’auto rimbalzò, compiendo un giro su se stessa.
E a quel punto fu come rivivere la stessa notte di tanti e tanti anni prima.
Cadde. Questa volta non in acqua, ma sull’erba.
Cadde di schiena, le iridi vuote puntate verso l’alto.
Che cosa sta succedendo?
Possibile che di nuovo?
O magari questa volta è davvero la fine. Sì, per me sarebbe una liberazione poter finalmente lasciare questo mondo. E potrei andarmene in pace.
E’ la volta buona..
La prima volta ho avuto paura. Non volevo morire. Ma adesso… adesso mi sento quasi sollevato.
Ad un tratto la sua attenzione fu catturata da qualcosa: quelli che stavano delicatamente cadendo dal cielo erano dei fiocchi di neve. Quell’inverno a Tokyo si stava dimostrando essere molto freddo, ma non aveva sperato di vedere addirittura la neve.
Una neve strana, che adesso stava iniziando a cadere più impetuosa, come una sorta di burrasca improvvisa. Ad un tratto la mente si svuotò.
E’ esattamente come quella notte.
Sento il mio battito sempre più flebile. E sento che la vita lentamente mi sta abbandonando. Se questo devo fare per essere libero, così sia. Non lotterò.
Le palpebre si chiusero del tutto.
E non sentì più nulla.
Takumi Aldini, all’età di novant’anni, era indiscutibilmente morto. A causa del gelo, la sua pelle nivea divenne quasi bluastra. E la sua temperatura prese ad abbassarsi, sempre di più.

Oramai Takumi non avrebbe potuto vedere le luci lampeggianti dell’ambulanza che si stava avvicinando. Mentre, dal lato opposto, Soma stava arrivando, mentre il suo brutto presagio si trasformava lentamente in realtà. Scese dall’auto, la mente svuotata.
Poteva quasi sentire il proprio respiro. Vide delle luci, vide la sua auto ribaltata contro il suolo e, poco lontano, il corpo inerme di Ryuji.
No, non sta accadendo davvero.
“Ryuji!”, gridò.
Goffamente si avvicinò a lui, chinandosi. Le mani tremavano. Aveva perfino paura di toccarlo, il suo petto era fermo.
“No, no… Ryuji, hey… non farmi questo… ti prego… ti prego….!”.
Esasperato, iniziò a scuoterlo.
Perché era successo? Loro cosa mai avevano fatto di male per essere separati in quel modo?
Non può finire tutto prima di cominciare…
“RYUJI!”.
Chiamò ancora il suo nome, ma non avrebbe ricevuto una risposta. Dopodiché i medici arrivati in ambulanza lo pregarono di spostarsi, in modo che potessero usare il defibrillatore sul ragazzo. Soma diede loro le spalle, guardando verso il cielo.
Non portatemelo via. Lui deve vivere. Si merita di vivere.
Ryuji… sii forte.
A quel punto il defibrillatore fu usato sul corpo inerme di Takumi. Quest’ultimo si era oramai abbandonato, non sapendo che la scarica elettrica prodotta dall’oggetto, sarebbe stata talmente efficiente da afferrarlo e riportarlo violentemente indietro dal suo stato di anossia.
Sgranò gli occhi, come se fino a quel momento avesse dormito e si fosse ora risvegliato a causa di un incubo. La neve non aveva smesso un attimo di cadere.
Soma si voltò, e quasi cadde nel vederlo con gli occhi aperti.
“R-Ryuji”, sussurrò. “Sei… sei vivo...”.
Il biondo lo guardò, impossibilitato però dal parlare.
Soma… brutto testardo. Mi sei venuto dietro. Lo sapevo. Tu non ti arrendi proprio mai. E non ti sei arreso con me. Sono incredibilmente felice di vederti.

Mi sono fermato. Per un breve istante, ma mi sono comunque fermato. Cosa si fa quando ci si ferma?

Ancora una volta il tempo parve immobilizzarsii. Oppure fu proprio Takumi a non avvertirlo. La sua unica certezza era quella di essere stato riportato indietro. Ancora una volta, in circostanze straordinarie.
Cadde in un dolce sonno ristoratore, privo di qualsivoglia pensiero.
Quando qualche ora dopo si risvegliò, si trovava al caldo in un letto di ospedale. Soma, accanto a lui, si accorse immediatamente di come il ragazzo avesse aperto gli occhi. Come primo istinto ebbe quello di abbracciarlo, ma lo vide così fragile che quasi non ebbe il coraggio.
“Ryuji! Ti sei svegliato. Allora? Come ti senti? I dottori hanno detto che hai rischiato grosso… ti avevo visto praticamente morto”.
Il biondo batté le palpebre.
“Sono qui...”
“Certo, certo che sei qui! Mi dispiace tanto. Quando ho saputo che eri andato via ti sono subito andato dietro, ho letto il tuo biglietto e mi sono spaventato. Perdonami, perdonami se forse il mio correre troppo ti ha spaventato, non era mia intenzione...”.
Stupido… hai anche la faccia tosta di scusarti? Proprio tu, che mi hai dato solo tanto bene?
Ebbe la forza di attirarlo a sé e abbracciarlo. In quel momento si sentì incredibilmente felice, dopo tanto tempo, di essere vivo.
“No, no, Soma. Non devi dirlo neanche per scherzo. Non è per questo che sono andato via. Io ti amo, ti amo davvero tanto, voglio passare il resto della mia vita con te”.
L’altro sorrise, sentendosi istantaneamente meglio.
“Ma allora… allora perché tu...?”.
Takumi lo guardò dritto negli occhi.
Cosa si fa quando finalmente, dopo tanto tempo, ci si ferma?
Si prende un respiro profondo e poi si ricomincia.
“E’ complicato… anzitutto...”, disse lentamente. “Il mio nome non è Ryuji. E’ Takumi”.
Soma strabuzzò gli occhi. Quel nome ovviamente non gli era nuovo.
“T-Takumi? Come l’ex di mio padre?”.
L’altro sospirò.
“Diciamo che… sono io l’ex di tuo padre. Ebbene sì… sono circa settant’anni che ho… questo aspetto...”.
Una persona normale avrebbe pensato di essere presa in giro. Ma Ryuji, anzi, Takumi, era fin troppo serio. Perché doversi inventare una scusa così articolata?
“Io… non sono certo di aver capito”
“Allora siediti. Perché devo raccontarti tutto dall’inizio”.

Poco dopo, Isami giunse in ospedale. Era oramai notte e un uomo della sua età avrebbe dovuto evitare di prendere taxi a quell’ora, oltre che certi spaventi, ma visto che si trattava di suo fratello, tutto passava in secondo piano.
A passo lento ma impaziente giunse finalmente alla camera dove il fratello si trovava.
“Finalmente ti ho travato!”, esclamò. “Ma che cosa è successo? Mi hanno telefonato dicendomi che avevi avuto un incidente!”
“Hey”, sussurrò il gemello. “Va tutto bene, tutto a posto, non devi agitarti”
“Come faccio a non agitarmi. Guarda in che condizioni sei!”
“Sto bene, davvero. Non sono mai stato meglio. E poi ero in buona compagnia”.
Solo allora Isami si accorse della presenza di Soma, il quale li osservava curioso.
“Lui è Soma… sai… il famoso Soma”
“Oh”, disse sorpreso. “Soma… emh… ciao… io sono… sì, sono il nonno di Ryuji”.
Il rosso guardò il biondo, il quale ricambiò l’occhiata.
“Eh? Perché vi guardate così? Che è successo?”.
Allora suo fratello sospirò.
“Isami… lui sa...”. Il diretto interessato batté le palpebre.
“Cosa… sa?”.
Soma sorrise.
“Tuo fratello mi ha raccontato tutto. E’… assurdo, davvero. Avevo sempre pensato che fosse straordinario, ma non immaginavo fino a questo punto. Sono felice di conoscerti… finalmente”.
Fu a quel punto che Isami non riuscì più a trattenere le lacrime.
“Mio Dio… tu sai. Tu sai! Fatti abbracciare!”.
“Oh, d’accordo!”, sorrise Soma, il quale si trovava già nella stretta affettuosa dell’anziano.
Takumi respirò profondamente. Era come se si fosse tolto un peso che durava da una vita. Soma adesso era a conoscenza del suo più grande segreto. E, esattamente come si era immaginato, non era di certo bastato questo per convincerlo a darsela a gambe. Tutto il contrario.
Quel testardo, quel folle, gli aveva risposto con un: “Voglio vivere con te giorno per giorno. Questo l’ho messo in chiaro sin dall’inizio”.
E forse ogni cosa aveva portato a quel momento. Forse entrambi erano nati per arrivare fino a lì.
E, dopo aver respirato, forse adesso Takumi poteva ricominciare.


Un anno dopo…

“Takumi! Dai, sbrigati, dobbiamo andare, è tardi!”.
Impaziente, Soma batté il pugno contro la porta del bagno. Takumi si era chiuso dentro da mezz’ora e ancora non accennava ad uscire. Aprì la porta con sguardo seccato, tenendo il telefono in mano.
“Scusami, Isshiki mi ha tenuto al telefono per venti minuti. Credo si sia una preso una bella cotta per Erina e ha chiesto a me di fare da tramite. Da quando in qua io sarei diventato il nuovo cupido?”
“Oh, ma è perché hai la faccia da persona altruista”, commentò divertito, sistemandogli il colletto della camicia. “Sei pronto?”
“Sì, sono pronto”, sbuffò. “Ma perché tuo padre e Azami devono festeggiare sempre in grande i loro anniversari?”
“Beh, questo è speciale, specie dopo l’ultima volta”.
Takumi gli lanciò un’occhiataccia.
“Grazie per avermelo ricordato. Comunque sì, possiamo anche andare, prendo la macchina fotografica e sono subito da te
“Va bene!”, rispose il ragazzo ammiccando. Il biondo alzò gli occhi al cielo.
Con Soma era un’avventura ogni giorno.
Era già passato.
Un anno. Non avrebbe mai pensato di poter arrivare a tanto. E la cosa bella era che quello era soltanto l’inizio. Prese la macchina fotografica - oramai fotografa tutto - e poi sollevò lo sguardo su una foto incorniciata in soggiorno. Tale foto raffigurava Isami, venuto a mancare qualche mese addietro.
Esattamente come avevo immaginato, è stata dura. E’ dura tutt’ora, perché siamo sempre stati insieme, sin dalla nascita. E adesso la morte ci ha separati. Tuttavia, so che hai avuto una vita felice. E che sei andato via senza rimpianti.
“Ci vediamo dopo, Isami, io adesso vado”.
Lo so che ovunque tu sia, sei fiero di me.
Ho promesso a te e anche a me stesso che da adesso avrei smesso di sopravvivere per iniziare a vivere. E intendo farlo.
Poi si voltò, sbrigandosi a raggiungere il suo fidanzato.

Così Takumi e Soma andarono da quella che adesso letteralmente era la famiglia di entrambi. Il primo ad andare incontro al biondo fu proprio Joichiro, il quale lo abbracciò.
“Ciao! Come stai? Sei sciupato, ma mangi abbastanza?”
“Io sto benissimo!”, esclamò lui. “Mi stai soffocando, ma perché devi essere sempre così irruente?”
“Hey, hey, staccati!”, scherzò Soma. “Altrimenti così me lo consumi!”
“Chiedo scusa”, sorrise lui. “Takumi, posso farti una domanda un po’ personale? Chi è meglio a letto fra me e Soma?”.
Il ragazzo spalancò gli occhi, imbarazzato.
Ma queste sono domande da fare?
“… Diciamo che ve la giocate entrambi”
“Eh no! Adesso sono curioso!”, disse Soma. “Dai, diccelo!”
“Vi siete coalizzati contro di me? Lasciatemi in pace!”.
Azami li osservò a braccia conserte, accanto a sua figlia Erina.
Tutto ciò che aveva intorno era davvero bizzarro. Ma se perfino i diretti interessati erano riusciti ad andare avanti, allora perché non avrebbe dovuto riuscirci lui?
“Emh, emh. Joichiro”, lo chiamò guardandolo male come al suo solito. “Ti sembra il caso?”
“Azami!”, esclamò lui. “Io stavo… stavo soltanto...”
“Ah”, sospirò lui. “Takumi, lascia che ti dica una cosa. Con gli anni è molto peggiorato. Anche perché è difficile dare un giudizio, considerato che la sera crolla lasciandomi a secco”.
Quell’uscita fece scoppiare a ridere i tre ragazzi, mentre Joichiro diventava paonazzo.
“MA INSOMMA. PERCHE’ MI UMILI COSI?! E POI IO TORNO DAL LAVORO ESAUSTO, NON E’ COLPA MIA”
“Lascia stare… Ti”..., distolse lo sguardo. “Ti amo comunque”.
In un lampo Joichirò gli balzò davanti.
“Cosa? Hai detto che mi ami? Di tua spontanea volontà?”
“… No”
“Sì invece. Ti amo anche io. Sei la mia persona”.
Dopodiché si chinò su di lui, donandogli un bacio estremamente passionale.
“Mi sta che qui stanotte non dorme nessuno”, scherzò Soma dando una gomitata al fidanzato.
“Va bene!”, esclamò Erina. “Ma non riproducetevi davanti a noi, grazie! Andiamo, ci aspetta una cena al ristorante!”
“Giusto!”, disse Soma. “Dai, così se il cibo non è buono possiamo sfidare i tipi che lavorano lì”
“Non mettetemi in imbarazzo”, sospirò Azami.
I membri della famiglia si diressero verso l’uscita. Takumi era l’ultimo. Prima di andare loro dietro, però, lo sguardo cadde sullo specchio appeso al muro che aveva davanti.

Ci fu qualcosa che attirò la sua attenzione. Lentamente si avvicinò alla lastra di vetro, scorgendo tra i suoi biondissimi capelli, uno di colore bianco.
Incredulo lo sfiorò, mentre il cuore prendeva a battere veloce.
E’ diventato bianco… perché sto invecchiando?
Perché forse quella notte… oltre l’esistenza, mi è stata ridata la vita?
Un sorriso dipinse le sue labbra.
Posso vivere finalmente come ho sempre sognato?
“Takumi!”, lo chiamò Soma. “Tutto bene?”.
Lui si voltò, sorridendo.
Se non fosse stato per te… io non sarei giunto fin qui. Grazie, Soma. Penso proprio che fossimo destinati.
“Adesso sì”, sussurrò. Poi lo raggiunse, tendendogli una mano.
La vita non era mai sembrata tanto bella come in quel momento.



NDA
Eccoci arrivati alla fine di questa minilong **
Beh, inutile direi che ho amato scriverla e che sono troppo felice che questa idea un po' bizzarra abbia avuto vita. E' stato davvero emozionante e ringrazio di cuore tutti i coloro che hanno seguito <3
Alla prossima :*
   
 
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