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Autore: Lidzard    22/06/2018    3 recensioni
Michifer AU
'' La gente fa caso solamente alle immagini delle cose. Nessuno fa caso alle cose stesse. '' -Kurt Vonnegut Jr.
Lucifer è un soldato, la sua famiglia è radicata nell'esercito da che ha memoria, il suo destino sembra già essere scritto e si arrende ad esso, abbandonando sogni, speranze ed ambizioni in un vecchio cassetto della mente. I colori e le luci svaniscono lentamente, finché non rivede la torre. Nella torre incontrerà un uomo, e la possibilità di un destino diverso, più luminoso, si affaccerà alle porte della sua coscienza. Riuscirà il misteriomo uomo della torre a far tornare Lucifer al suo vecchio splendore?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lucifero, Michael
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Michael


Fissai la torre a pochi metri da me, inconsapevole di quale sarebbe stato il mio prossimo passo. Ero affascinato,  attratto dalla torre luminosa, ma in qualche modo i chilometri percorsi per raggiungerla, erano nulla paragonati ai pochi metri che separavano me e la piccola porta di ferro che mi avrebbe permesso di esplorare davvero quello spazio e chiarire ogni incognita su qualsiasi fosse la natura di quell'attrattiva. La mia alchimìa con la torre era un qualcosa di ingiustificabile ed improbabile. Eppure eccomi lì, se mi avesse visto mio padre..

Proprio col pensiero di una sua possibile alterazione, o disappunto, falcai in pochi secondi quella distanza irrisoria e feci forza sulla maniglia laccata di un nero opaco. Era fredda.

Con mia lieve delusione essa non si aprì. Fu a quel punto che tornai coi piedi per terra. Cosa stavo facendo? Cosa speravo di ottenere? Abbassai la mano che fino a un attimo prima era poggiata alla maniglia e tornai sui miei passi.

Un rumore, come un fischio assordante, seguito da un metallico strusciare sull'asfalto, mi fece sbattere le palpebre e voltare il capo. Quel suono era da gelare il sangue, non tanto per l'insita dissonanza, ma per il semplice fatto che proveniva dai bulloni levigati della porticina che prima era chiusa, adesso non più. Lo stridente cigolio cessò, eventualmente, quindi mi voltai fronteggiando lo spazio vuoto e buio di quel pianerottolo. La porta era chiusa, la mia forza non è riuscita ad aprirla, quindi qualcuno doveva aver fatto scattare la serratura. C'era qualcosa di perturbante in tutto questo, ma non avrei saputo individuare cosa, di preciso.

Alzai gli occhi a percorrere l'altezza della torre, e siccome era tanto alta, dovetti alzare il capo. L'ampolla di luce era ancora tanto maestosa, la sua bellezza non cambiava da una distanza ravvicinata, come accade a molte cose.

Tornai a fissare lo spazio vuoto dinnanzi a me. Volevo esplorare la torre? Chiesi a me stesso se fosse il caso di farlo proprio adesso. E se alla fine di quella lunga scalinata a chiocciola, mi fossi ritrovato a fissare una bettola vuota con un grosso faro nel mezzo? Ma in che cosa speravo? Probabilmente era proprio così che sarebbe andata. Forse dovevo semplicemente andarmene ed accontentarmi della visione sublime di un qualcosa di misterioso e affascinante, qualcosa da poter guardare da lontano, piuttosto che rovinare tutto per pochi metri di curiosità.

Uno spiffero improvviso mi fece rabbrividire, ridestandomi dai pensieri. Per una volta nella vita mi chiesi: E se invece andasse tutto bene? Poco importa se mi diedi dell'ingenuo da solo, ma ignorai ogni parvenza di senso comune e percorsi quei pochi metri fino a fissare i primi scalini della torre.

Alzai il capo e mi persi nella spirale di quella scalinata. Con un sospiro affettato divorai la prima rampa, poi una seconda, finché, forse a metà del percorso, non udii un susseguirsi di suoni.. note. Mi resi conto di quanto fossi fisicamente contratto, come se stessi forzando me stesso a salire quelle scale. Quando udii le prime strofe di quella melodia che riconobbi come classica, mi rilassai leggermente, poco alla volta.

Proseguii con più calma, fino a ritrovarmi su di un piccolo pianerottolo vuoto e bianco. Dietro di me le scale, davanti una porta bianca e chiusa. Sotto la maniglia c'era una serratura complessa, più doppia di quelle normali, sotto la serratura un foro da cui penzolava una catena sottile e dorata. Probabilmente la porta era stagna, ben chiusa agli estranei, assicurata ulteriormente con quella catena, che adesso era sciolta e senza alcun catenaccio, come un invito silenzioso, un piccolo dettaglio a ricordarmi che una porta si era già aperta per me, non c'erano ostacoli, dovevo solo lasciare che accadesse.

Di lì a poco la mia determinazione non sarebbe stata un fattore rilevante, perché mi ritrovai di fronte a un ragazzo castano, con un paio d'occhi più espressivi e profondi che io abbia mai visto. Erano blu, con un po di verde intorno alla pupilla.

"La porta era aperta."

Dissi, inespressivo. Mi resi conto in quell'istante che indossavo ancora la divisa. L'uomo della torre mi guardava dritto negli occhi, non sembró importargli cosa indossavo, ed io mi sentivo come se non indossassi niente in quel momento. Un brivido che non avevo mai provato mi percorse le interiora, simile al terrore che mi infondeva mio padre, ma di tutt'altra natura.

"Sì, era aperta."

Rispose con voce bassa, ma incredibilmente profonda, il ragazzo di fronte a me, che non poteva avere più di venticinque anni a occhio e croce.

Non conoscevo il suo nome, non sapevo cosa ci facesse rinchiuso in una torre, ma mi ritrovai a seguirlo all'interno della stanza quando mi diede le spalle per attraversare la porta bianca.

La stanza non era come la immaginavo, non c'era un grande faro al centro, ma dal soffitto ricadevano tante lampadine, tutte a led. La luce era soverchiante.

Stavo per chiedere al ragazzo come facesse a sopportare tutta la luce, quando lo vidi prendere degli occhiali da sole dalla montatura bianca, che gli stavano veramente male, ma in qualche modo, paradossalmente, gli si addicevano. Dopo aver indossato i suoi, me ne porse un paio dalla montatura nera, decisamente meno stravaganti, quindi li infilai senza fiatare.

Il fatto che non vedevo più i suoi occhi non era bello.. E la cosa mi sorprese. Io odio guardare la gente negli occhi.

"Michael."

Disse. Supposi fosse il suo nome, gli si addiceva. Non allungó la mano per stringere la mia ed io un po' glie ne fui grato.

Mi guardai intorno. La stanza era ampia ed il pavimento era bianco, ma ogni sorta di mobilia, persino i comandi elettronici sulla postazione del ragazzo a un paio di metri dalla balconata, era grigia.

"Lucifer."

Dissi, volgendo lo sguardo al paesaggio.

"Come sei finito qui?"

Mi chiese, e forse mi stava fissando.

"Treno."

Dissi, scrollando le spalle.

"Io odio i treni."

Disse.

Sbuffai una risata e la musica classica raggiunse le note finali, poi si fermó, lasciando spazio al silenzio.

 

   
 
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