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Autore: _Black or White_    23/06/2018    5 recensioni
Germania, 2003
Accadono cose strane sulla piccola isola di Hiddensee, e ormai sono in tanti ad affermare di averne vista una.
Esistono veramente? E che aspetto hanno? Parlano, capiscono, amano?
Le sirene sono un mistero per la razza umana fin dall'alba dei tempi: nemiciamici da sempre, non possono fare a meno di cercarsi l'un l'altro.
Sarà proprio quell'attrazione irresistibile a portare il giovane Ludwig a conoscere una vera sirena.
Riusciranno i rappresentanti di due mondi tanto diversi a gettare un ponte per la conoscenza pacifica?
Riuscirà un'amicizia tanto impossibile, un amore tanto proibito, a trovare un lieto fine?
[Gerita | Spamano | accenni Pruhun]
[Merman AU]
[Lime HumanxMerman]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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NOTA:
Vi lascio la fan art a fine capitolo, ma non guardatela prima di aver concluso la lettura.
Pericolo spoiler.



SING FÜR MICH

6
“CACCIA SPIETATA”




15 ottobre 2014




Il treno si fermò con un fischio stridulo e una valanga di passeggeri armati di ventiquattrore sciamò fuori dalle porte scorrevoli.
Ludwig seguì la folla lungo i binari rumorosi, superò i cinque livelli e i rimbombanti corridoi sotterranei, prese due ascensori e tre scale mobili; infine riemerse in superficie, tra il chiacchiericcio e l’ordinato avanzare di migliaia di altri suoi connazionali.
La stazione di Berlino Centrale, la gigantesca e perfetta Hauptbahnhof, era un magnifico edificio a salienti, ricoperto da un’arcata di vetro azzurro.
Colpita dai raggi pomeridiani del sole autunnale, la facciata pareva risplendere come uno zaffiro mistico.
Il ragazzo si guardò attorno a bocca aperta, completamente spaesato: tutto, intorno a lui, era enorme, pulito, al suo posto.
Non c’era una persona che non sapesse esattamente dove andare, cosa fare, come farlo in modo rapido e ineccepibile.
Blocchi di vetture lucidissime e autobus rossi si spostavano lungo grandi strade decorate da querce e pioppi domestici; i semafori scattavano con la precisione di un orologio svizzero, guidando mandrie di pedoni tra i labirinti di case dai tetti rossi e palazzi bianchi come il marmo.
In lontananza spuntavano le cime acuminate di torrette gotiche, lunghi cavalcavia sospesi sopra al canale Landwehrkanal, graziose barchette che attraversavano il lago Schlachtensee e grandi parchi fiammeggianti dei colori autunnali.
Gli accenti esotici dominavano l’aria della stazione, dove turisti e pezzi grossi in carriera si allontanavano trascinando enormi valige, coi costosi cellulari sempre appiccicati all’orecchio.
Ludwig dovette battere le palpebre un paio di volte, disorientato come un pesce nella boccia di vetro.
Niente ponticelli di legno, né boschi di abeti, né profumo di mare: a Berlino tutto era ordine, funzionalità, cemento e rombo di mezzi pubblici costantemente in movimento.
Ludwig si posò ai piedi la pesante valigia e fece per tirare fuori il cellulare, già pronto a farsi guidare da google maps, quando una voce gridò nella sua direzione, facendolo trasalire.
« Sei tu Ludwig Beilschmidt?! » gli chiese eccitato un ragazzo poco più vecchio di lui, scuro di pelle, con un paio di vivacissimi occhi verde foglia e un’aria latina che sprizzava da tutti i pori.
Abbagliato da quei denti bianchi, Ludwig annuì incerto e rispose: « Sì, sono io. Per caso lei conosce il professor Bonnefoy, dell’Università di Heidelberg? »
« Ma certo! È stato il prof a chiedermi di venirti a prendere, Ludwig.E non provare a darmi del “lei”! Guarda che ho soltanto un anno in più di te, sai? »
Tutta quella confidenza già al loro primo incontro? Che ragazzo strano… e aveva anche un accento buffo, scandito e poetico.
Un accento simile a quello di Feliciano.
Ludwig scrollò il capo, e quasi gli venne un infarto quando il ragazzo gli marciò incontro a braccia aperte.
« Finalmente ci incontriamo, compagno di corso! Il prof mi ha parlato tanto di te. Lui e tuo fratello maggiore erano amici d’infanzia, lo sapevi? »
« Ehm, scusami, non vorrei sembrarti maleducato… » intervenne il tedesco, « Ma chi saresti tu? »
« Che? Non mi sono ancora presentato? Mierda, ma dove ho la testa?! Hola, io sono Antonio Fernández Carriedo, uno dei tuoi coinquilini. » si presentò con una gran pacca sulle spalle quadrate di Ludwig, « L’altro è Kiku. Kiku Honda. L’ho lasciato a fare la guardia alla playstation 4: sia mai che ce la rubino, proprio ora che sto finalmente finendo la remastered di Skyrim. Adesso ti faccio vedere dov’è l’appartamento, così può presentarsi anche lui. Ah, lascia, te la porto io questa. »
Gli rapì la valigia e lo guidò attraverso vie piene di profumi di strudel caldi e negozi dalle luci sfavillanti.
Tra un metro e l’altro, Antonio gli indicava un buon ristorante dai prezzi abbordabili, un lavasecco che non riducesse i maglioni della misura di una Polly Pocket o un supermarket aperto fino a tardi, rivelandosi una guida estremamente logorroica.
Ludwig si chiese ansiosamente come avrebbe potuto studiare sodo, se sotto al suo stesso tetto viveva un tipo così casinista.
Poteva semplicemente sperare che quel Kiku Honda non fosse fatto della stessa pasta, o in alternativa poteva dire addio ai suoi progetti per la laurea più veloce della storia.
Raggiunsero un palazzo elegante e storico, nei pressi di un piccolo parco ben curato, dove la fermata dell’autobus si affollava di vecchietti con in braccio microscopici cagnolini pelosi e altri studenti universitari.
Ludwig si guardò attorno con attenzione, eccitato e preoccupato: quell’angolino di mondo sarebbe stata la sua casa per i prossimi cinque anni.
« … e di là c’è il supermercato dal quale ci riforniamo regolarmente. Abbiamo un calendario con i turni di pulizie, cucina e commissioni, d’accordo? Di notte puoi studiare finché ti reggono gli occhi, basta che dalle undici in poi spegni la luce e non fai rumore. Se vogliamo fare after, dobbiamo chiedere almeno ventiquattr’ore prima. Non per me o per te, ma per Kiku, che studia in un altro corso e c’ha orari ed esami molto diversi dai nostri. Comunque, di solito lui non ha problemi per una festicciola o un pigiama party. Vedrai, è una persona mooolto tranquilla, quasi non si capisce che è in casa. Ah, Kiku ha un gatto. Si chiama Tama ed è un Bobtail Giapponese. Non sei allergico, vero? »
Ludwig capì che il suo coinquilino aveva smesso di parlare quando gli puntò addosso quegli occhioni verdi brillanti.
« Uhm… no, non sono allergico. »
« Fiuuu, meno male! Scusami, mi ero completamente dimenticato di dire al prof di Tama e di fartelo sapere. Che guaio, come avresti potuto concentrarti per il nostro corso con uno starnuto sui libri ogni cinque minuti? » e rise solare, armeggiando con lo zaino a tracolla che portava addosso, « Ma dove avrò messo le chiavi… »
« Uhm, scusami se te lo chiedo… » butto lì il tedesco, « … ma quando dici “il nostro corso” intendi che siamo in classe insieme? »
Antonio gli scoccò uno sguardo sorpreso, le mani ancora affondate nella borsa, « Il prof non te l’ha detto? Bah, quel mangia-baguette, fa fare tutto a me! »
Si grattò la testa, un po’ imbarazzato, « Sai, io sono stato bocciato l’anno scorso, per un soffio. Accidenti alla Biologia Animale, non mi ricordavo cosa fosse l’opercolo… »
« Oh, capisco. Mi spiace che ti siano andate così le cose. » rispose Ludwig comprensivo, « Quindi anche tu stai studiando per diventare biologo? »
« Già. Io sono di un anno più vecchio, ma puoi anche non chiamarmi “senpai”, ahaha! Oh, ecco dov’erano le chiavi… » tirò fuori due mazzi e ne lanciò uno a Ludwig, « Questo è il tuo. Mi sono preso la libertà di farti un regalo di benvenuto. »
« Grazie. » commentò Ludwig, chiedendosi che cosa significasse quel portachiavi a forma di pomodoro.
« Allora, Ludwig, entriamo? » gli sorrise invitante Antonio, infilando la chiave nella serratura del pesante portone, « Kiku si starà chiedendo se siamo sopravvissuti al traffico della Stresemannstraße. Di domenica pomeriggio c’è il mercato e non si riesce a fare due metri senza essere importunati da qualche pescivendolo. »
Gli fece cenno di precederlo sulla rampa di scale di mattoni rossi, mentre lui si occupava di controllare la buca della posta.
Ludwig contò i gradini fino al terzo piano, cercò la seconda porta a destra e lesse i nomi sul campanello.

Fernández
Honda
Beilschmidt


Avevano già aggiunto il suo.
Antonio lo raggiunse con una mano aggrappata alla gola e un paio di buste infilate nell’elastico dei pantaloni.
« Coh… come faih…? » gli chiese asmatico, barcollando fino all’uscio e bussando come fece la madre di Quasimodo alla porta della Chiesa.
Gli aprì un ragazzo giovane, pallido come un fantasma e affascinante come un samurai del periodo Edo, con una matita infilata dietro l’orecchio e un paio di occhialoni a fondo di bottiglia sollevati sulla lunga frangetta nerissima.
« Antonio-kun, le tue chiavi… » esordì, ma lo spagnolo agitò una mano come per dire “non ora, sto morendo” e si trascinò all’interno.
Il giapponese gli scoccò uno sguardo di disapprovazione e fece un profondo inchino a Ludwig, « Ti prego di scusarlo, ha il fisico di un novantenne. Hajimemashite, io sono Kiku Honda e frequento il corso di Medicina e Chirurgia. Spero che ti troverai bene qui con noi. »
Educato, formale, conciso: quel Kiku già gli piaceva.
« Piacere mio. » annuì serioso Ludwig, stringendogli una mano.
« Prego, entra pure. »
Kiku chiuse la porta alle sue spalle e gli fece fare un giro dell’appartamento.
Vi era un balcone fuori dalla sala da pranzo, due camere da letto, un salotto che lo spagnolo aveva monopolizzato come “area svago”, un bagno e una cucina piccola e funzionale.
Non era neanche lontanamente spazioso oagiato quanto la sua villetta a Hiddensee, però si respirava un’aria particolarmente accogliente e rilassata.
Un po’ ovunque si potevano notare calzini appallottolati, cartoni della pizza vuoti, custodie di videogiochi, libri di testo e cartacce di merendine; un disordine che non poteva appartenere certo a quel piccolo orientale tranquillo, e Ludwig arricciò il naso con aria di rimprovero.
Un bel gattone nero a macchie bianche balzò giù dalla lavatrice nel bagno per andarsi a strusciare contro le sue caviglie.
Gli ricordava un po’ il trapassato norvegese del signor Fischer, così bonaccione e amichevole con qualsiasi estraneo.
« Da bravo, Tama, non importunare il nostro nuovo coinquilino. » lo rimproverò Kiku, spostandolo con un piede, « È buono, sai, lo abbiamo castrato. Aveva la brutta abitudine di fare pipì sul cuscino di Antonio-kun. »
« Questo perché il tuo gatto mi odia! » gli urlò lo spagnolo dal divano, e Kiku arrossì elegantemente.
« Ti mostro dove dormirai, Ludwig-san. »
« Ehi, perché a lui l’onorifico e a me il colloquiale?! »
Kiku ignorò le proteste di Antonio e aprì la porta di una delle due camere da letto.
« Spero non ti dispiaccia dormire con Antonio-kun. » e fece un cenno col pollice verso lo spagnolo semi-svenuto sul divanetto, « È per lo studio, sai. Tu e lui siete nello stesso corso di Biotecnologie e Scienze, quindi è molto probabile che farete gli stessi orari. Dico “molto probabile” perché in genere Antonio-kun passa il suo tempo a giocare alla ps4 e a leggere i miei manga senza permesso, quindi… »
« Kikuuuuu, ti sentooooo! » intervenne una voce dal salotto, « Non è vero che ti rubo i manga, imbécil! »
« E allora dov’è finito il numero cinque di “Black Butler”? E il due di “Nine Stones”? » rimbeccò Kiku, prossimo a perdere il suo solenne contegno orientale.
« Ah non so! Li avrai persi… »
« Nandato?!»
Il piccoletto lasciò Ludwig per precipitarsi in salotto, armarsi di un cuscino e tentare di soffocare Antonio, « Io non perdo mai niente, soprattutto gli esemplari rari! “Nine Stones” è un fumetto italiano, non si trova così facilmente in Germania… »
« Ahia! Vabenevabenevabene ho capito! Te li ridò, ma non mi uccidere! »
Ludwig accostò la porta e si lasciò cadere stancamente sul bordo del suo letto a una piazza, incastrato contro una delle pareti ricoperte di poster di famose modelle in bikini e cantanti pop.
Al suono della fatidica parola “italiano” il suo cuore si era stretto come in una morsa spinosa.
Chissà dov’era Feliciano in quel momento, chissà cosa stava facendo… chissà se sentiva la sua mancanza quanto Ludwig.
La settimana prima della partenza per Berlino era stata la peggiore di tutta la sua vita: ogni giorno sveglio alle cinque di mattina, a correre sulla spiaggia di Jeliel, pregando e sperando di rivederlo almeno un’ultima volta.
E ogni volta la delusione era disarmante, con la vista dello scoglio così orribilmente vuota, inusuale, sbagliata.
Non c’era più e mai più sarebbe tornato da lui.
Ludwig avrebbe dovuto farsene una ragione e andare avanti, diventare un biologo degno di questo nome e lottare per difendere lui e la sua splendida specie.
Era un cammino lungo e difficile, e sarebbe cominciato dall’indomani mattina.
« Ludwig, aiutamiiiii! » lo chiamò disperatamente Antonio, « Omicidio domestico! Invasione giapponese! Salva un compagno europeo! »
« Smettila di dire fesserie e va’ a fare spesa, che stasera vi cucino ramen e tempura. »
« Davvero?! Kiku, ti amo! »
« Ma non stavi gridando aiuto, un attimo fa? »
« Ludwig, mi accompagni al supermercato? Ohi, Ludwig, ci sei? Ahia! Tama, non mi attaccare i piedi, stupido sputa-boli senzapalle… »
Ludwig si asciugò gli occhi con impazienza e uscì dalla stanza, sforzandosi di assumere un’aria normale.
Cinque anni in quel manicomio sarebbero stati lunghi.


29 dicembre 2014




Erano le sei del mattino quando qualcuno bussò al faro di Hiddensee.
Alfred F. Jones si alzò con gambe incerte e caracollò fino alla porta.
« Mr. Braginski, welcome. » lo accolse con un cenno del capo, « È arrivato presto. »
Un russo alto un metro e ottanta, largo come un armadio a due ante e massiccio come un buttafuori entrò nella stanza, portando con sé il gelido soffio dell’inverno e una cupa aura minacciosa.
Si fece scivolare giù dalle spalle il pesante pastrano impellicciato e fradicio di neve fresca, si sfilò i guanti con i denti e si scostò la lunga frangia color cenere dai placidi, magnetici occhi color pervinca.
Buttò l’abito sul divanetto nell’angolo della stanza e batté qualche colpetto degli stivali sul pavimento, per liberarli dal ghiaccio e dal fango.
« Ho preso il primo volo disponibile. » rispose sorridente, « Visto la fretta che mi ha messo, ho dovuto lasciare a metà la mia riunione sul recap annuale delle azioni in Bielorussia. »
« Ne sono costernato. » rimbeccò Alfred, anche se non suonava affatto sincero, « Prego. » e gli mostrò una poltrona accanto alla sua.
Il russo si accomodò e Alfred alzò col telecomando la temperatura di una moderna stufa a muro.
Si lasciò cadere stancamente al suo posto e spinse verso il finanziatore un bicchiere pieno di un alcolico trasparente dall’odore fortissimo.
« Si riscaldi un po’ le ossa. Fuori si gela in questo periodo. » « La ringrazio. »
Ivan Braginski buttò giù un sorso di vodka e spense velocemente il cellulare.
« Allora, che cosa voleva mostrarmi? » cominciò poi, con quell’angelico sorriso fuorviante, « Al telefono mi era sembrato molto scosso. »
« Infatti è così. » rincarò Alfred, versandosi a sua volta un goccio di vodka, « In tutta la mia vita non mi era mai capitato di registrare una cosa simile. Più ci penso più mi viene da ridere. » scrollò il capo con un verso buffo.
Con l’aria innocente di un bambinone incuriosito, Ivan gli versò dell’altro vodka, « Jones, non l’avevo mai vista in questo stato. Cos’ha registrato? »
Alfred svuotò il bicchiere in un sorso solo.
« È qualcosa peggiore del richiamo? » chiese emozionato il russo, « Ha trovato loro tracce? Si sono fatte vedere, finalmente? »
Lentamente, riluttante, l’americano annuì.
Ivan stritolò il bicchiere pieno di vodka tra le grosse dita rovinate dal gelo.
Con gli occhi che brillavano sinistramente, sussurrò: « Mi mostri. »
Alfred si alzò in piedi, barcollò fino al divanetto, recuperò un portatile e lo posò con mani tremanti sul tavolo tra le due poltrone.
« Ieri notte, intorno alle tre. La numero B-76 ha registrato questo. »
Aprì un file con un doppio clic sul tastierino e girò il portatile verso il finanziatore.
Ivan aggrottò scettico le folte sopracciglia pallide e si fece più vicino allo schermo.
All’improvviso sbarrò gli occhi, stupito.
Una delle numerose telecamere subacquee aveva ripreso qualcosa di veramente interessante, una volta tanto.
Che cos’era?
Risultava difficile da distinguere nell’oscurità verdastra e vorticante del fondale marino, ma qualcosa, senza dubbio, aveva nuotato a pochissimi metri dalla videocamera.
« Sembrerebbe una coda. » osservò Ivan, massaggiandosi il mento, « Ma potrebbe trattarsi di una focena, o di uno squalo. »
Alfred fece un sorriso tirato: « Anch’io la pensavo così, finché non ho visto questo. »
Schiacciò un tasto per mandare avanti veloce e ingrandì il video a schermo intero, « Si prepari mentalmente, potrebbe avere uno shock. »
Il russo ridacchiò incredulo, ma il suo sorriso si congelò all’istante, quando vide quella testa.
Un profilo bizzarro, piatto e fastidiosamente familiare: non c’era altro modo di descriverlo se non “umano”.
Emerse dalla nebbia di sabbia e fanghiglia, una chioma si gonfiò nella corrente e uno sguardo scintillò nelle profondità.
La strana creatura, qualsiasi cosa fosse, ruotò su se stessa con un’agilità serpentesca, passò una seconda volta davanti al vetro della videocamera e si dileguò nell’oblio del mare con un colpo della grande pinna.
Ivan si alzò in piedi e afferrò lo schermo del computer, « Non ci posso credere! »
« A me non sembra più un semplice pesce. » infierì Alfred, pigiando un altro tasto per ripetere in slow motion quella frazione di secondo allucinante.
« Guardi attentamente: si vedono quasi le braccia e il volto. Sembra un essere umano, no? Ora, nessuno può mettere in dubbio che il video sia molto sgranato. Dopotutto, non è così semplice avere immagini d’alta qualità da questo tipo di apparecchiature. Però posso ancora mettere le mani avanti, e accettare teorie di foche grigie e beluga che sembrano teste umane se ripresi nel buio dell’oceano… » l’americano ebbe uno sbuffo strafottente, « Teorie che con le ultime riprese mi sembrano sempre più ridicole. »
« Non diciamo idiozie. » cinguettò il russo, recuperando faticosamente il suo tono amichevole e tranquillo, « Guardi quegli occhi, guardi quel naso! Non c’è il modo di schiarire l’immagine? »
« Sinceramente, avevo paura di farlo. » rispose cupo Alfred, « Dopo quel richiamo e queste riprese sto cominciando a spaventarmi. Per questo l’ho chiamata qui, in Germania. »
Aprì un programma dall’aria complicatissima e scrisse velocemente qualche comando sulla tastiera.
« Volevo farlo insieme a lei. Così, nel caso dovessi sentirmi male, ci sarà qualcuno pronto a soccorrermi. »
Cliccò una sola volta col tastierino, e il fermo immagine s’illuminò a giorno.
Ivan si lasciò cadere mollemente sulla poltrona e Alfred scoppiò in una risata folle e stridula.
Catturato nell’atto di voltarsi, Efelién apparve, sfocato e in bassa risoluzione, sul computer dell’americano.
« Non può essere… ma allora… » sussurrò il finanziatore, accarezzando lo schermo con la punta delle dita tremanti, « Lo guardi! È così simile a un essere umano! »
Alfred si passò una mano tra i disordinati capelli biondi, con l’aria distrutta di chi non ha dormito né mangiato per giorni.
« Io lo sapevo. Lo sapevo che c’erano. » sorrise emozionato il russo, « Da quando vidi quel giovane esemplare in Cina, durante l’estate della mia infanzia, non ho mai smesso di cercarle. Lo sapevo. »
Si voltò verso il socio, senza fiato, con gli occhi color mammola che bruciavano di ossessione, « Lo catturi. Non m’importa come, non m’importa quante risorse ci vorranno. Voglio che lo catturi e che lo porti da me. Vivo. »
L’americano annuì gravemente, pallido come un cencio.
Ivan si alzò in piedi, la vodka completamente dimenticata nel bicchiere; recuperò il cappotto e si avviò con passo imponente verso la porta.
« Riceverà un assegno ogni giovedì del mese, con la dicitura “fondi per la ricerca scientifica di Hiddensee”. Il banchiere non le farà domande, ci ho pensato personalmente. »
Alfred deglutì e non osò commentare.
Per quanto comodo gli facessero i soldi di quel russo fissato, non gli andavano particolarmente a genio i suoi metodi coercitivi, corrotti e ambigui.
Però, se accompagnarsi alla tirannia di quel potente e ricco uomo d’affari significava riuscire a catturare e studiare una vera sirena… ebbene, Alfred avrebbe stretto i denti e sopportato in silenzio.
« Mi tenga informato, Jones, e mi mandi il video sulla posta. »
« D’accordo. »
Ivan stava per sbattersi la porta della cabina alle spalle, ma all’ultimo momento si voltò verso il socio e gli scoccò uno sguardo penetrante, il sorriso che mai abbandonava il suo volto bonaccione.
« Ah, e non ne parli con nessun altro. Non ancora. »
Alfred esitò, ma solo per un istante, e annuì.
« Sarà fatto, Mr. Braginski. »
L’uscio si chiuse con un tonfo, ma l’aria nella stanza pareva ancora avvelenata dalla presenza nefasta di quell’uomo.
Alfred ebbe un sospiro esaurito e si lasciò cadere sul divanetto.
Una nuova specie meritava tutte quelle attenzioni, e l’americano non resisteva all’idea di poterla finalmente studiare, osservare da vicino, dare un senso a tutti quei racconti mitologici, a tutte le cose assurde che aveva visto e sentito nella sua carriera di Direttore di Ricerche Acustiche ad Harvard.
Tuttavia, l’insano interesse di Ivan Braginski andava ben oltre la semplice curiosità scientifica.
Diceva di aver avuto, da bambino, un contatto accidentale con una vera sirena.
Per lo shock la sua mente si era ritorta e deformata, creando un vero mostro, un pazzo con il viso d’angelo che sarebbe stato capace d’inseguire quelle pinne fino in capo al mondo.
Quale fosse il suo scopo, però, Alfred non riusciva proprio a immaginarlo.
Ne voleva una tutta per sé, ma perché?
Voleva farci degli esperimenti top secret per il governo russo?
Voleva lucrarci sopra per diventare ancora più potente?
O forse, semplicemente, voleva dimostrare al suo lato oscuro di avere sempre avuto ragione?
Sfinito, l’americano lasciò che le palpebre gli scivolassero irresistibili sugli occhi, la misteriosa creatura che ancora nuotava sullo schermo del computer, ignara dei terribili progetti che andavano costruendosi sopra la sua testa.


4 giugno 2015




« Ludwig… »
Una voce familiare lo stava chiamando.
Si voltò nella sua direzione, e qualcosa gli scivolò intorno alle gambe con un fruscio setoso.
« Vieni, Ludwig… vieni con me. »
Lo chiamava con un canto musicale, lo attirava come un assetato alla fonte, e Ludwig non poteva certo disobbedire.
Camminò sospeso in un vuoto galleggiante, azzurro e fresco: sembrava il sogno di un oceano pacifico e accogliente.
Di nuovo, qualcosa gli sfiorò i polpacci e poi scappò via velocissimo, con una risata d’acqua.
« Feliciano, sei tu? » lo chiamò Ludwig, allungando una mano in quella seta trasparente, « Lo so che sei tu. »
Una figura sinuosa gli nuotò incontro saltellando, elegante e allegra come un delfino, gli circondò la nuca con le braccia sottili e strofinò il piccolo naso contro al suo.
« Sono qui, Ludwig, sono tornato. Ti sono mancato? » fischiò Feliciano.
« Da morire. » singhiozzò Ludwig, le lacrime che sbocciavano e rotolavano lungo le guance rosse.
Gli allacciò le braccia sulla schiena abbronzata e lo stritolò con disperazione, enormemente sollievo.
« Dio, fa’ che non sia solo un sogno, ti prego. »
Dita gentili gli accarezzarono la nuca e i capelli.
« Certo che è un sogno, Ludwig… ma ciò non significa che non sia tutto vero. »
Ludwig ebbe una risata sconfortata e gli affondò il viso nel petto magro, respirando il suo profumo di sale e aghi di pino fino in fondo all’anima, baciando la sua gola e assaporando la sua pelle scura e liscia, lasciando scorrere le mani lungo il suo sedere e godendosi i muscoli sodi e slanciati della sua meravigliosa coda rossa.
« Sei così reale… » pianse, sollevando il volto e incrociando i suoi occhi d’oro, « Dimmi che non mi stai mentendo. Dimmi che non è un altro dei tuoi incantesimi. »
Feliciano sorrise, gli strinse delicatamente il volto tra le dita palmate e calò sulle sue labbra.
« Te lo dimostrerò. »

« Ludwig… »
Una voce molto diversa, e qualcuno che lo scuoteva per la spalla.
« Mmh? »
Feliciano e l’oceano azzurro scomparvero come vapore, quando il volto bruno e divertito di Antonio comparve nel suo campo visivo.
« Ti sei addormentato, scemo. »
Il tedesco staccò la guancia dal libro di testo e sbloccò la schermata del cellulare.
« Le quattro? E ancora non ho finito il capitolo… » sospirò con aria esaurita.
Tama entrò nella stanza come un re obeso e balzò subito sulle ginocchia del tedesco.
Antonio gli chiuse il libro e spense la lampada da scrivania, « Amigo, prenditi una pausa. Se continui così finirai col beccarti un infarto fulminante. »
« Ma a luglio ho il primo esame di Biologia Animale… »
« E allora? Anch’io ce l’ho, eppure mica vivo nell’ansia! »
« Già… » ghignò Ludwig, mentre metteva a terra Tama e riponeva ordinatamente fogli e libri nella grande libreria a muro, « Infatti verrai bocciato anche quest’anno. »
Uno dei cuscini del letto lo colpì in piena nuca.
« Ripetilo se ne hai il coraggio! »
« Ahia! Stupido, abbassa la voce: sveglierai Kiku. »
« Meglio, così può aiutarmi a legarti al letto e costringerti a dormire. »
Ludwig sbuffò scocciato, tirò giù altri tre libri da quattrocento pagine l’uno e tornò a sedersi stancamente sulla scrivania, « Parla quello che sta alzato tutta la notte a fumare spinelli e bere Tequila Sunrise comprata al Lidl… »
Questa volta riuscì a schivare il cuscino, che colpì la libreria, fece crollare un quintale di volumi e strappò a Tama un’espressione del tipo “questi umani”.
« Se hai finito di lanciarmi cose, vorrei prepararmi per l’esame di luglio, grazie. » sibilò gelido Ludwig.
« Aaah, Lud, di che ti preoccupi? » cantilenò spensierato Antonio, lanciandosi a volo d’angelo sul suo letto e ripescando il cellulare da qualche parte tra le lenzuola accartocciate, « Manca ancora un mese e mezzo! »
« Antonio, io sono stato ammesso all’università con un’accordanza speciale. » gli ricordò il tedesco, forse per la millesima volta, « Ho praticamente saltato l’ultimo anno del liceo, e se non voglio rimanere indietro devo studiare il triplo degli altri. »
« Ma che stai dicendo? Appena messo piede nella classe eri già bravo quanto tutti noi. Ti sono bastati due mesetti e tiè: ecco a voi il primo del corso. » sorrise Antonio raggiante, come se fosse stato fiero del suo fratellino prodigio.
Gli ricordava un po’ Gilbert; quella piattola, che chiamava Ludwig praticamente tutti i giorni.
Gli mancava da morire suo fratello, e anche Elizaveta.
Gli mancava il brusio del mare all’alba, l’odore di resina fresca che riempiva i boschi, la sensazione dei granelli di sabbia che scorrevano tra le dita, di soffici pinne scivolose e di rosse scaglie che facevano delicatamente presa sulla sua pelle…
« Ludwig… »
Il tono improvvisamente curioso di Antonio lo riscosse bruscamente dai suoi pensieri dolorosi.
« Che vuoi adesso? »
« Mi dici una cosa? Poi ti lascio studiare in pace, te lo giuro. »
Ludwig ne dubitava alquanto, ma sbuffò e lo invitò a continuare con un mugugno, mentre finiva quel goccio di caffè avanzato nella tazza e prendeva appunti sull’apparato respiratorio dei pesci.
« Chi è Feliciano? »
Il tedesco si strozzò con la bevanda e fu squassato da un attacco di tosse.
« F-Feliciano? »
« Sì, Feliciano. Continuavi a chiamarlo nel sonno. » butto lì lo spagnolo, giocherellando svogliatamente a Temple Run, con Tama compostamente raccolto sul suo stomaco.
Ludwig strappò rabbiosamente un fazzoletto dalla scatolina sulla scrivania e asciugò le chiazze di caffè dal suo prezioso libro, « Nessuno. »
« Oooh, davveeeero? »
« Antonio, non incominciare… »
« Fiato sprecato, Lud! Avresti dovuto ascoltarti: manco io davanti a Maria Clara*. »
Ludwig avvampò, « È s-soltanto un amico, okay? Adesso lasciami in pace. »
« Perché t’imbarazzi? Mica ho dei pregiudizi, io. »
« Ti ho detto che è soltanto un amico! »
Antonio abbassò il cellulare e gli lanciò uno dei suoi rari sguardi intensi, uno di quelli che facevano sentire Ludwig come se lo stesse passando sotto i raggi X.
« Un amico… davvero? Ludwig, ma chi credi di prendere per i fondelli? Stavi praticamente venendo, e sbavavi pure. »
Il tedesco sussultò e si voltò di scatto verso il compagno di stanza, « Io non stavo v… e comunque, a me non piacciono i… bah, ma che te lo spiego a fare?! »
« È tutto a posto, a me sta bene. » ripeté pazientemente Antonio, « Mi interessa molto di più sapere chi è del sesso che ha. »
Ludwig si rigirò stizzito e scarabocchiò qualcosa sul foglio con un po’ troppa energia, borbottando tra sé e sé.
« Allora, non me lo dici? » insistette suadente lo spagnolo, « Ti prometto che non lo dirò a nessuno. Nemmeno a Kiku. »
E che diamine avrebbe dovuto raccontargli?
“Guarda Antonio, puoi pure prendermi in giro, ma mi sono innamorato di una sirena. Un tritone, per la precisione. Ebbene sì, esistono e ti giuro che se ti azzardi a dirlo in giro, a metterle in pericolo, prendo i tuoi amati jalapeno e te li ficco su per il culo.”
« Dalla tua espressione incazzata oserei dire che è il tuo fidanzato. Ci ho preso? »
« Va’ a quel paese. »
« Ludwig… »
Il tedesco sospirò spazientito, posò la penna e si voltò verso Antonio, « Cosa vuoi che ti dica? »
« Tutto. » rispose lo spagnolo, allungandosi per accendere un piccolo ventilatore posato sul pavimento.
Ludwig arricciò il naso per quello spreco d’elettricità, ma non fece commenti.
« Quando fai così sei veramente stressante. »
« Lo so, ma che posso farci? » e gli fece un occhiolino eloquente, « Cosa direbbe il prof? Ah, l’amour! Giusto? Quindi smettila di fare il timido e raccontami tutto. »
Ludwig non rispose, pensieroso.
Otto mesi.
Conosceva Antonio e Kiku da otto mesi.
Erano brave persone, ma se Ludwig aveva fatto tanti sforzi per nascondere la verità su Felicia persino a suo fratello, perché mai avrebbe dovuto rivelarla a quei due?
Otto mesi, si disse amareggiato, non bastavano per poter rivelare un segreto così importante.
Scrollò il capo e tornò chino sul libro, « Non c’è niente da dire. Adesso lasciami in pace. »
Antonio si grattò la testa e scambiò un’occhiata confusa con Tama.
Era tipico di Ludwig evitare qualsiasi discussione sull’amore, e da che Antonio e Kiku lo conoscevano, non aveva portato a casa una ragazza che fosse una.
Sempre piegato su quei testi pesanti e infernali, studiava fino a tarda notte, mangiava, dormiva, cagava e poi studiava ancora.
Quante volte erano riusciti a convincerlo a prendersi la serata libera per una bevuta? Forse un paio di volte, ed era sempre finita con Ludwig rintanato in un angolino della discoteca a ripassare di nascosto gli appunti scaricati sul cellulare.
Era un tedesco all’antica, tutto doveri e perfezione, ma la sua fretta di laurearsi sembrava andare ben oltre la semplice passione per la biologia.
Era come se stesse seguendo un percorso già prestabilito, una corsa a ostacoli il quale traguardo lo avrebbe inevitabilmente abbandonato, se non fosse riuscito a raggiungerlo il prima possibile.
Forse aveva la ragazza a Hiddensee, la sua isola natale, che lo stava pazientemente aspettando per maritarsi?
Non sembrava un’ipotesi così tanto fuori dal mondo, per un tipo come Ludwig… ma allora, chi era questo Feliciano?
Nessun uomo chiamava un altro uomo con quel tono, e i sogni si sa, son desideri; inoltre, la totale assenza di riviste porno e manga ecchi la raccontava più lunga di qualsiasi altra prova.
Ludwig era innamorato perso, e Antonio non vedeva l’ora di scoprire chi fosse Feliciano.
Se ne rimase buono e tranquillo a messaggiare sul letto.
Intorno alle sei di mattina, la testa di Ludwig ciondolò in avanti e il ragazzo si addormentò ancora una volta, spalmato sullo schema dell’anatomia di una piuma.
Antonio bloccò lo schermo del cellulare, spinse giù Tama, che uscì dalla camera con aria offesa, e scese dal letto.
Non che non avesse mai rovistato tra la roba di Ludwig - la filosofia di Antonio era semplice: compagni di stanza? Quel che è mio è tuo e viceversa -, ma c’era sempre stato un posto dove non aveva mai guardato.
Il portafoglio di Ludwig se ne stava nella borsa di scuola, ed era uno di quei modelli molto grandi, funzionali e noiosi, esattamente come il suo proprietario.
Antonio lo prese con mani tremanti d’eccitazione, vi rovistò dentro e scartò cose normali come paypal, carta d’identità, banconote, scontrini della caffetteria dell’università e la tessera per il club di calcio.
Stava già per rinunciare, tanto lì dentro non sembrava esserci nulla d’interessante, quando un piccolo quadernetto sgualcito gli saltò all’occhio.
Ficcato in una delle numerose tasche interne del portafoglio-borsetta, aveva l’aria di essere stato nascosto per un qualche ignoto motivo.
Ludwig scelse proprio quel momento per russare rumorosamente, facendo trasalire Antonio.
Eccolo di nuovo con i suoi “Feliciano… Feliciano…” sussurrati a fior di labbra come un amante in astinenza.
Lo spagnolo si allontanò in punta di piedi e si sdraiò sul suo letto, tirandosi il lenzuolo sopra la testa come una tenda.
Quel piccolo quadernetto cadeva a pezzi, in mezzo alle pagine c’era qualche granello di sabbia bianca e alcuni fogli erano staccati dal centro.
Sembrava molto, molto vecchio, ed era chiaro che Ludwig lo avesse usato per tanto tempo, senza mai separarsene.
Eccitato e col cuore che batteva forte, come quando si ruba il diario del fratello maggiore, Antonio sfogliò a caso e cominciò a leggere.
Riga dopo riga, le sue sopracciglia color carbone si aggrottarono sempre di più, e la bocca gli ciondolò incredula.
« No, dai, non ci credo… » sbottò, strappandosi di dosso il lenzuolo e correndo in camera di Kiku.
Bussò con impazienza ed entrò ancor prima che l’assonnato giapponese potesse borbottare un “avanti”.
« Ohi, Kiku, sveglia. » lo chiamò, scuotendogli energicamente una spalla.
« Che succede…? Non mi ha suonato la sveglia? » chiese disorientato il giovane, tastando alla cieca sul comodino in cerca del suo cellulare.
« No, no, niente del genere. Guarda un po’ qua piuttosto. » e lo spagnolo si buttò sul letto del coinquilino, ficcandogli sotto al naso il quadernetto malconcio.
Dopo un enorme sbadiglio, Kiku sollevò l’oggetto tra il pollice e l’indice, un po’ come faceva il suo adorato L di Death Note, e cacciò un’occhiataccia di rimprovero all’amico: « Antonio-kun, hai di nuovo frugato tra la roba di Ludwig-san, vero? »
« Lascia perdere! Leggi un po’ che c’è scritto. » lo spronò impaziente lo spagnolo, « Dimmi che sono io troppo credulone oppure ci esco pazzo. »
Con l’aria di uno che disapprova con tutte le sue forze, ma al contempo vagamente incuriosito, Kiku si tirò su a sedere e cominciò a leggere gli appunti sbiaditi di Ludwig.
La sua reazione fu identica a quella di Antonio: dopo le prime righe, aggrottò la fronte e spalancò la bocca.
« Può mai essere…? » balbettò.
« Hai visto?! Hai visto, che strano? »
« Ludwig non sta scrivendo un romanzo fantasy, vero? » tentennò il giapponese, sfogliando il quadernetto dall’inizio alla fine.
Antonio scrollò energicamente il capo, « Non che io sappia, e vivo con lui ventiquattr’ore su ventiquattro. In classe prende appunti, a casa prende appunti, fuori non esce se non per andare a fare la spesa. Che poi, andiamo… »
Girò qualche pagina fino a uno schema delle branchie di Feliciano, « Guarda qua che precisione, quanti dettagli. E qui invece… » saltò gli appunti fino a una piccola nota scarabocchiata in un angolo.
“Castagnola rossa del Mediterraneo” « Lud, il nostro Lud, che scrive quattro parole su un argomento? Troppo strano da parte sua. »
« Non hai tutti i torti. » osservò pensieroso Kiku, « Ci sono pagine su pagine d’informazioni anatomiche e comportamentali, ma alcune cose sono lasciate completamente allo sbando. »
« Esatto. » continuò concitato Antonio, « Inoltre, spiegami questo. »
Gli indicò un nome annotato nella prima pagina.
« “Ferishiano”… » lesse Kiku, con un accento tutto orientale, « Che vuol dire? »
« Credo sia un nome italiano. Ma vuoi sapere la cosa più creepy? » sussurrò Antonio, gli occhioni verdi sbarrati nella penombra della stanza, « Qualche ora fa ho sentito Ludwig dire quel nome nel sonno. »
« Davvero? »
« Sì. Lo stava chiamando come fa il prof Bonnefoy quando incontra il tuo insegnante di Anatomia. Com’è che si chiama lui? Mathias? Maximillian? »
« Matthew Williams sensei? Ma… lo sanno tutti che tra lui e il professor Bonnefoy c’è qualcosa. » rispose turbato Kiku, « Vuoi forse dirmi… no, Antonio-kun, non è possibile. »
« E se invece fosse proprio così? » insistette Antonio, « Se Ludwig avesse trovato una vera sirena, e se ne fosse innamorato? »
Il silenzio cadde tra di loro, pieno di dubbi e di paura.
Alla fine, dopo una lunga pausa, Antonio chiuse il quadernetto e se lo infilò nella tasca dei pantaloni del pigiama.
« Cosa… cosa intendi fare adesso? » chiese titubante il giapponese.
« Mi sento in colpa a sequestrarglielo, ma voglio saperne di più. » rispose con decisione lo spagnolo, alzandosi dal letto.
Kiku esitò.
Non gli piacevano quelle cose meschine fatte alle spalle degli amici; soprattutto di Ludwig, con il quale aveva legato molto di più che con qualsiasi altro compagno d’università.
« E… cosa farai quando si accorgerà che gli è sparito il quaderno? » chiese a disagio, alzandosi a sua volta e seguendo Antonio in cucina.
Lo spagnolo si buttò su una sedia e si abbandonò contro lo schienale di legno, massaggiandosi la fronte che pulsava ferocemente, « Lo affronterò. Gli chiederò cosa significa tutta questa storia. »
Scoccò uno sguardo preoccupato a Kiku, mentre si affaccendava per preparare la colazione, « So che questo genere di cose non ti piacciono e non ti chiederò di sostenermi. Vorrei solo che non intervenissi, d’accordo? »
Kiku annuì gravemente e gli posò davanti una ciotola piena della tipica colazione giapponese, composta da nattō - fagioli di soia fermentati, conditi con salsa di soia e amalgamati nel riso bollito caldo -, una fetta di sgombro essiccato e una bella tamagoyaki salata - omelette di uova fritte, in quel caso ripiena di cipolle, erba cipollina e formaggio quark, in una variante tedesca -, dopodiché si sedette stancamente accanto al coinquilino.
« Stiamo parlando di Ludwig, questa cosa accadrà molto presto. Lo sai, vero? »
« Non importa. » ribatté cupo Antonio, « Devo sapere. »


Passarono due giorni, e una sera tranquilla lo spagnolo rientrò in casa dopo un giro veloce al supermercato.
« Kiku, Ludwig, ci siete? » chiamò, posando la busta sul tavolo e liberandosi subito della maglietta sudaticcia, « Ho preso i wurstel, le uova e il riso. Facciamo quella specie di cantonese fasulla? »
Kiku lo raggiunse in cucina con gli occhialoni da studio calati sul naso, « Bentornato, Antonio-kun. »
Lo spagnolo tentò subito un approccio molesto, passandogli un braccio intorno alle spalle e sussurrandogli in un orecchio: « Ti sono mancato, mio piccolo kohai? »
Kiku arrossì fino alla punta delle orecchie e lo spinse via con dignità, « Primo: non sono il tuo kohai, visto che siamo dello stesso anno. Secondo: non gradisco che mi vieni così vicino quando puzzi di sudore. »
Antonio scoppiò a ridere e si allontanò verso la sua camera da letto, « Ciò significa che se mi faccio una doccia potrò sbaciucchiarti quanto mi pare? »
« Un po’ di eterosessualità in più non farebbe male a questa casa. » gli rispose Kiku dalla cucina, mentre tirava fuori gli ingredienti e cominciava a lavare il riso.
« Pff, senti chi parla! » sbottò Antonio, aprendo la porta, « Quello che custodisce gelosamente tonnellate di manga yaoi! »
« Nani?! »
« Non è stato facile scovarli. Devo ammettere che il doppiofondo nel cassetto è stata un’idea genia… » ma lo spagnolo ammutolì, non appena si trovò davanti quella scena inquietante.
Spettinato, con la canottiera spiegazzata e gli occhi cerchiati come un folle, il tedesco aveva messo sottosopra l’intera stanza.
« Ludwig, ma che stai facendo? » gli chiese turbato Antonio.
Il coinquilino trasalì e si voltò di scatto.
« Antonio, sei tornato…? » scrollò il capo, strappò via un cassetto dal comodino e lo svuotò sul pavimento, « Scheiße, non lo trovo! Non c’è più, da nessuna parte… è assurdo, io non perdo mai niente! »
Sul volto di Antonio si dipinse la consapevolezza.
Serrò i pugni e chiese, con voce ferma: « Che cos’hai perso? »
« Un quadernetto. Un quadernetto vecchio e nero. L’hai visto? Per caso l’hai visto? » Ludwig rivoltò la borsa di scuola, tirò giù file di libri dagli scaffali e mucchi di vestiti dall’armadio.
Quando Antonio non gli rispose, il tedesco si fermò, si alzò lentamente in piedi e si voltò verso di lui.
« Hai visto il mio quaderno, Antonio? »
Kiku comparve timorosamente alle spalle dello spagnolo, che scambiò con lui un’occhiata d’avvertimento e rispose: « Sì. Sono stato io a prenderlo. »
Ludwig sbiancò, barcollò all’indietro e dovette appoggiarsi al bordo del letto.
« Ludwig… » cominciò Kiku, ma Antonio gli afferrò un polso.
Soppesò la reazione di Ludwig, e tacque, in attesa della sua prossima mossa.
Ludwig era visivamente instabile, gli occhi azzurri sgranati, il respiro accelerato.
Sembrava che stesse per svenire.
« Tu… tu l’hai… » deglutì e riprovò, « L’hai… l’hai letto? »
« Sì. » rispose Antonio, senza cedere terreno, « E l’ha letto anche Kiku. »
Il tedesco cercò il suo sguardo e il giapponese annuì appena, « È vero. » Le gambe di Ludwig cedettero, facendolo crollare sul materasso.
Era finita.
Un unico, semplice lavoro: badare a un dannato quaderno.
Non era stato capace di fare neanche quello, e se due cretini come loro erano riusciti a scoprire delle sirene, chi diavolo pretendeva di proteggere Ludwig?
Se potevano Antonio e Kiku, avrebbe potuto anche il mondo intero.
Alzò la testa di scatto: « È un progetto extrascolastico… »
« Ehi, Ludwig, falla finita. » lo interruppe arrabbiato Antonio, « Non insultare la nostra intelligenza. »
« I-io… no, davvero! Io non… »
Kiku spinse da parte Antonio e raggiunse l’amico sul letto, « Ludwig-san, è tutto a posto. » scoccò uno sguardo allo spagnolo, « Non lo diremo a nessuno. Vero? »
Antonio annuì, « Ci mancherebbe altro. »
Ludwig riprese a respirare, si piegò in avanti e si nascose il volto tra le mani che tremavano incontrollabilmente.
« Dio… grazie, grazie, grazie… »
« Shhh, calmati. » gli mormorò il giapponese, accarezzandogli la schiena, « Manterremo il segreto, eh? Quindi, va tutto bene. »
« Già. » si unì a loro Antonio, lasciandosi cadere sul letto e battendo qualche colpo sulla grossa spalla del tedesco, « Il tuo amichetto squamoso è al sicuro con noi. Rilassati. » fece una risata per rompere la tensione, « Ti verrà un’embolia. »
Ludwig stirò le labbra in un accenno di sorriso e respirò profondamente dal naso.
« Dunque… » ricominciò lo spagnolo, tirando fuori il quadernetto dalla tasca dei bermuda mimetici e riconsegnandolo al tedesco, « Credo proprioche tu ci debba qualche spiegazione, entiendes? »
Ludwig lo prese, lo accarezzò e annuì lentamente.
Sollevò il volto sfinito e fissò gli amici dritti negli occhi: « Giuratemelo. Giurate che qualsiasi cosa io vi dica, non uscirà da queste quattro mura. »
Kiku gli strinse un braccio con forza, in segno di lealtà.
« Non lo andrò a dire nemmeno al gatto. » ribatté Antonio, mettendosi nella stessa posizione del saluto di Shingeki no kyojin.
Tama entrò in camera proprio in quel momento, scoccò loro un’occhiata che voleva dire “insulsi umani, dov’è il mio cibo?” e lo spagnolo fece una bestemmia nella sua lingua nativa.
« Troppo tardi. »
Kiku ridacchiò e perfino Ludwig si lasciò andare a un sorriso sollevato.
« Va bene, stupido gattaccio, puoi sentire anche tu. »
Antonio lo chiamò con qualche colpetto di palmo sul materasso e il micio gli balzò sulle ginocchia, attaccando istantaneamente con le fusa.
« Sai, Lud, dopotutto io e te diventeremo colleghi. » disse lo spagnolo dopo un po’, « Se ti sta bene, potremmo studiarle insieme. Mi ha sempre affascinato il mito delle sirene. »
Kiku annuì energicamente, « È un’idea meravigliosa. »
Ludwig si strofinò gli occhi, « Sì, magari… »
Strinse il quadernetto tra le dita e si fece coraggio, « D’accordo. Vi racconterò tutto. »


17 novembre 2015




« Hello? »
« Arthur, sono Alfred. »
« You fucking bloody bastard, com’è che ti fai sentire soltanto adesso?! » lo salutò il collega inglese dall’altra parte del telefono, col suo dolce e soave tono inviperito.
Alfred sospirò, « Hai ragione, mi dispiace. Sono stato molto impegnato in questi ultimi mesi, non ho avuto tempo manco per pisciare. »
« Shit, vuoi dire che ci sono state delle novità? » sbottò Arthur, dimenticandosi di maltrattarlo, « Non ne avrai mica presa una? »
L’americano sbuffò frustrato e si lasciò cadere stancamente sul divanetto.
« Dalla tua reazione oserei dire di no. »
« Eddai, piantala. Ci sono fottutamente vicino. »
« Ma non mi dire… »
« Dico sul serio. Arthur, mi serve il tuo aiuto. »
« Immaginavo. Ormai mi chiami soltanto per lavoro. »
Alfred sospirò pesantemente, « Ti ho detto che mi dispiace. Braginski mi sta col fiato sul collo, e se venisse a sapere che conosci la ricerca mi farebbe impacchettare in una cassa di legno e spedire in Madagascar. »
« Il sogno di una vita. »
« Arthur, non sto scherzando. Quel russo è malato. »
« Ma che vuoi che ti faccia? Senza di te non potrebbe pescare nemmeno una conchiglia senza farsi inseguire fino in capo al mondo dalla marina militare tedesca. Ha le mani legate. Quindi, se vuole portare avanti questo benedetto progetto, dovrebbe starsene zitto e fermo e lasciarci lavorare in santa pace. »protestò offeso l’inglese.
« Beh, non credo proprio che sia legale quello che stiamo combinando qui a Hiddensee. » osservò ironico Alfred, « Per questo Braginski mi ha imposto il silenzio. Teoricamente dovrei fare tutto da solo, ma di certe cose proprio non me ne intendo. »
« Ad esempio? » tagliò corto Arthur, in tono annoiato.
« Ad esempio il comportamento dell’ordine Mammalia. »
Dall’altra parte del telefono, l’inglese scoppiò in una risata canzonatoria: « Holy shit, Alfred, non vorrai venirmi a raccontare che le tue sirene sono mammiferi, vero? »
L’americano si alzò in piedi, cliccò un paio di volte sul tastierinodel portatile e si allontanò svogliatamente verso il frigobar nell’angolo della stanza, « Sapevo che non mi avresti creduto facilmente. In effetti, nemmeno io avrei potuto crederci senza averlo visto con questi stessi occhi. Perciò ti ho spedito i file più succulenti degli ultimi mesi. »
« Uhm… cosa intendi con “succulenti”? » chiese preoccupato l’inglese, « Se hai intenzione di farmi vedere qualche porcata di video in bassa risoluzione dove salta fuori una mano palmata dal nulla che si spiaccica sul vetro della telecamera, beh… puoi scordartelo. »
« Arthur… » sospirò Alfred, mentre tirava fuori una bottiglia di Fanta e un KitKat dal frigobar, « Questa è una ricerca vera, non un fake caricato su youtube. La questione è terribilmente seria e pericolosa. Ho davvero bisogno del tuo aiuto. »
Fece una pausa.
Dall’altra parte del telefono, si udì un lieve fruscio.
« Cosa faresti senza di me? » gongolò Arthur, « D’accordo, yankee, ma prima voglio vedere il materiale raccolto. Non posso aiutarti se non so di che cosa stiamo andando a occuparci. »
« Va benissimo. »
« Attacca ed entra su Skype. Ci rivediamo lì. »
La chiamata s’interruppe.
Alfred ebbe appena il tempo di bere un sorso scoppiettante della sua Fanta, dare un morso al KitKat cremoso e aprire il programma sul portatile, che davanti agli occhi gli apparve una schermata blu scuro, con la foto profilo di Arthur che facevail segno di vittoria accanto a una guardia reale inglese.
Premette sulla cornetta e le due webcam si collegarono laggando.
« Sei orribile. » lo accolse l’inglesino con aria di superiorità, « Per quante ore consecutive ti sei messo a spiare pescioni nell’oceano? »
Alfred sollevò un sopracciglio biondiccio e dette un altro morso al cioccolato, « Hi, Artie. Tu invece sei sempre bello. »
Arthur fece un versetto stizzito col naso e gli puntò addosso una stilografica di marca Mentmore, « Sta’ fermo dove sei, guardo i video al volo e sono subito da te. »
Cliccò col mouse e nei suoi grandi occhi verdi si rispecchiò lo schermo del suo pc, « Ci sono anche dei file audio? » ridacchiò scettico, « Cos’è, le hai beccate mentre cantavano “In fondo al mar”? »
Alfred non commentò. Ci avrebbe pensato la realtà a fargli passare la voglia di scherzare.
« Arthur, solo un consiglio. »
« Cosa? »
L’americano ghignò.
« Tieni il volume basso. »
Fu esilarante osservare la sua espressione che mutava passo dopo passo, i suoi tratti sciogliersi nella paura e nell’incredulità, la pelle sbiancarsi e gli occhi spalancarsi.
A un certo punto sussultò: doveva aver ascoltato il richiamo registrato quella fatidica notte.
Si lasciò scivolare le cuffie sul collo sottile e balbettò qualcosa rivolto alle proprie ginocchia.
« Artie, stai bene? »
« Pollici… e naso? E il bacino rivolto in avanti. Come se un tempo… no no no, impossibile. Anfibi e rettili d’accordo, ma questi sono come scimpanzé acquatici… »
« Arthur. »
« Eh?! » saltò su come punto da un calabrone, spaventato, disorientato.
« Stavi parlando da solo. » gli disse Alfred in tono morbido, « Qualsiasi considerazione tu abbia da fare, ti prego di farla anche con me. »
Arthur sbatté le palpebre e parve riprendersi molto faticosamente.
« Oh, sì… hai ragione. M-mi dispiace. » « Ti dispiace per cosa? »
« Per non averti creduto. »
L’americano fece il gesto di brindare con la bottiglia di Fanta, « Neanch’io credevo alle tue fatine, da piccoli. Ti ricordi? »
« For God’s sake, Alfred, quello era un gioco tra marmocchi! » proruppe Arthur, « Questo è molto diverso! Ma ti rendi conto di che cosa hai registrato?! »
« È per questo che quel pazzo maniaco del mio finanziatore vuole che gli riempia l’acquario il prima possibile. » commentò aspro l’americano, « Ed è per questo che mi serve il tuo aiuto. »
Arthur si passò una mano tra gli impeccabili capelli dorati, si slacciò il papillon del gilet di tweed e si abbandonò sullo schienale della sua poltrona di pelle.
Già era possibile leggere sul suo volto l’esaurimento nervoso che stava portando via Alfred.
« Non lo so, Al. Questa è una faccenda molto seria. »
« Io ti avevo avvertito. » ribatté Alfred, « Si può sapere che ti aspettavi di vedere? »
« Non… non lo so, che diamine! La carcassa mezza decomposta di un qualche cefalopode irriconoscibile. Il canto di una balena scambiato per qualcos’altro. Anche la punta di una lancia conficcata in un tonno mi sarebbe andata bene… sono cose che capitano, no? Sono cose spiegabili! Ma non questo. Cristo santo, Alfred, non questo! »
Lo fissò sconvolto, nella webcam.
« Si può sapere cosa ne vuole fare un riccone come Braginski? »
« Arthur. » il tono dell’americano si fece improvvisamente pungente, minaccioso, « Non posso dirti più di così. Ti ho già detto e mostrato fin troppo. »
Profondamente a disagio, l’inglese si abbracciò le spalle, come se un brivido gelido gli fosse scivolato lungo la spina dorsale.
Alfred si avvicinò allo schermo e mormorò nella webcam: « Sarebbe un problema se ti confidassi che stiamo organizzando una battuta di caccia in acque non consentite, capisci? »
L’inglese s’immobilizzò, prese la stilografica e con dita tremanti cominciò a scrivere qualcosa su un foglietto di carta.
« Mi metterei nei guai se mi lasciassi sfuggire che tutte le attrezzature per contenerne una sono pronte, e che l’unica cosa che ci manca è una trappola per attirarla. »
Gli occhi verdi di Arthur si sollevarono sull’americano, sbarrati e inorriditi.
« Sai già dove trovarle? »
« Le ho tenute d’occhio per un anno intero. Sempre gli stessi tre esemplari: un gruppo famigliare, probabilmente. Un adulto e due giovani. Uno dei due si avvicina regolarmente alla costa, ma non esce mai in superficie. »
L’inglese si massaggiò il labbro inferiore col cappuccio della penna, « Il momento in cui è più vulnerabile! In acque poco profonde sarà svantaggiato. Intendi catturarlo in uno di quegli appostamenti, vero? »
« Se ci riesco. » incalzò Alfred, « Si ferma sempre nello stesso punto, in una baia sabbiosa a sud del faro. Ho provato non so quante volte a raggiungerlo con il motoscafo, ma tempo che lasciavo il porto di Kloster e già era scappato via. Mi serve una trappola. »
« Devono avere un ottimo udito. » osservò affascinato Arthur, « Shit, non sarà facile, Al. »
« Fa’ tutto quello che puoi, usa tutto quello che conosci. Purché non lo uccida. »
Arthur annuì, immerso in terribili pensieri.
« Quanti uomini hai a disposizione? »
« Cinque. »
« Ma non dovevi lavorare da solo? » osservò beffardo l’inglese.
« Braginski sa come farti passare la voglia di cantare. Sono tutti schiavetti suoi, ben corrotti o ben ricattati. »
Arthur scrollò il capo, « Bloody hell, in che razza di schifo sei andato a cacciarti, Alfred… »
« Non avevo altra scelta. » si difese l’americano, « Tu non capisci. Sei un topo di biblioteca, un mago del computer, un nerd sfigato che vive col culo attaccato alla sedia. Non potrai mai comprendere il mio desiderio di prenderne una con le mie stesse mani. »
Arthur lo fissò a lungo, ed era come se un po’ lo stesse compatendo.
« No, infatti, non capirò mai. Dal mare vengono e nel mare devono restare. Siamo troppo diversi, da questo punto di vista. » alzò le mani in segno di resa, « Però condivido la voglia irrefrenabile di studiarle. Quindi d’accordo. Ti aiuterò a preparare una trappola. »
Alfred annuì con un cenno secco, sfinito, sollevato.
« Artie, non serve certo che ti spieghi cosa accadrebbe se quel materiale e questa conversazione dovessero essere rintracciati, specialmente dai tedeschi. »
Arthur fece un gesto spazientito, come per dire “per chi mi hai preso?” e scrisse qualcos’altro sul foglietto di carta, « Parlando di cose serie: mi serve una lista completa delle attrezzature che hai a disposizione. Io vedrò di fare quello che posso con quel che hai tu, d’accordo? »
« Non ci sono problemi. Il russo… » cominciò Alfred, ma l’inglese troncò subito la cosa sul nascere.
« Niente materiale illegale che arriva dall’estero. Sarà già abbastanza difficile fare del bracconaggio in Germania. Intesi? »
Arthur afferrò lo schermo del computer, come se potesse stringere il volto di Alfred tra le mani, « Non devi fare cazzate. Una sola mossa falsa e siamo tutti fuori. »
Bracconaggio di specie sconosciuta fuori dalla stagione di pesca, in acque non autorizzate con veicoli non brevettati, in un paese rigido come la Germania.
Suonava dannatamente pericoloso, ed eccitante.
Alfred annuì e gli fece un saluto militare.
« Let’s do it, mate. »


8 gennaio 2016




Ludwig scrollò velocemente la pagina online del Bild-Zeitung*, gli occhi che cascavano sulla tastiera del pc, Tama che gli faceva le fusa sulle gambe addormentate e la puzza di uomo che non si lava da tre giorni ben presente nelle narici.
Antonio russava felicemente, col volume dieci di One Punch Man, rigorosamente rubacchiato a Kiku, spalmato sulla faccia a mo’ di mascherina per dormire.
La porta della stanza si aprì con un quieto cigolio, il giapponese entrò in punta di piedi e posò una mano fine sulla grossa spalla del coinquilino tedesco.
« Oh, ciao Kiku. » lo salutò sfinito Ludwig, strofinandosi gli occhi così energicamente da farseli lacrimare.
Tama spalancò la boccuccia baffuta in uno sbadiglio enorme, saltò giù dalle ginocchia crucche e andò a strusciarsi svogliatamente contro le caviglie esili del padrone asiatico, per poi allontanarsi verso la sabbiera fuori in balcone, mulinando il suo mozzicone di coda nera.
« Non vai a riposarti? » gli chiese premuroso Kiku, a bassa voce per non svegliare Antonio, « Dopodomani hai l’esame di Scienze Naturali, no? Il professor Bonnefoy ci resterà male se non prendi 30 e lode. »
Ludwig sbuffò, « Non ti ci mettere anche tu, Kiku. Mi ha già chiamato mio fratello quattro volte, ed è dovuta intervenire Elizabeta per farlo smettere. »
Il giapponese ridacchiò, « Si preoccupa che tu riesca nel tuo sogno. È un bravo fratello, no? »
« Sì, certo. Ma ciò non toglie che sia anche un rompiscatole. »
Antonio mugugnò qualcosa nel sonno, qualcosa che suonava terribilmente come “Maria, te lo faccio assaggiare io un buon churros”, e i due amici gli rivolsero uno sguardo affettuoso.
« Allora, che cosa ti tiene sveglio a quest’ora, se non i tuoi soliti venti ripassi? » ricominciò Kiku, sedendosi sulla poltrona di Antonio e scivolando sulle rotelle accanto a Ludwig.
« Feliciano. » rispose lui, ricominciando a scrollare la pagina.
« Ci sono novità? » gli chiese il giapponese, improvvisamente serio.
Ludwig arrivò fino in fondo alle notizie del giorno, gli occhi rossi e gonfi che scorrevano ogni più piccolo e insignificante titolo.
Alla fine emise un lungo sospiro sfibrato: « No. Ancora niente. »
« Beh, è una buona cosa, no? Significa che si sta nascondendo bene, che non sta rischiando. »
« Certo, certo… »
Kiku osservò la sua ampia fronte aggrottata.
« Ludwig-san, ormai ti conosco fin troppo bene. Tu sei preoccupato. Preferiresti quasi che trapelasse qualche notizia, anche la più banale, tanto le altre persone non capirebbero. »
Al suono di quelle parole, il contegno impeccabile che Ludwig era solito ostentare si spezzò dolorosamente, mettendo a nudo le sue lacrime, le ferite che si riaprivano ogni giorno, l’aria distrutta di chi non ha mai smesso di sperare.
Si piegò in avanti e seppellì il volto in una mano, « Mi sento un mostro, Kiku. Voglio che stia nascosto, che non metta mai neanche la punta del naso fuori dal mare… e al contempo vorrei che qualcuno lo vedesse, che i giornali ne parlassero, che mostrassero la sua foto. Vorrei sapere se sta bene, quanto è cresciuto, se si ricorda come parlare, o che sapore abbia il cioccolato. Vorrei sapere se si è trovato una compagna, se ha già avuto dei piccoli, se gli manco, o se mi ha già dimenticato. »
La sua ampia schiena venne scossa dai singhiozzi, le lacrime gocciolarono tra le dita.
Dietro di loro, Antonio russava ignaro e fuori dal balcone Tama grattava energicamente nella sabbietta.
« Co-come posso pensare una cosa del ge-genere? » Ludwig si morse a sangue il labbro per trattenersi, « Sono un e-egoista. »
« Non è così. » lo interruppe Kiku, forse un po’ duramente, « È un sentimento umano. Vorresti soltanto rivederlo, ma non intrappolato. »
« No… mai, mai, mai. »
Kiku gli accarezzò la schiena, cercando di fargli un po’ di coraggio, « Io lo so quel che si prova, Ludwig-san. Quando ti manca da morire qualcuno, un amico o un amante che sia, e sapere di non poterlo raggiungere. »
Gli strinse una spalla con forza: « Ma devi essere forte e resistere. Arriverà il giorno in cui sarai pronto, e allora potrai tornare da lui. »
« Kiku, ve l’ho raccontato… lui mi odia. »
« No che non ti odia. Ti ama ancora, e sente la tua mancanza almeno quanto tu senti la sua. Ti sta aspettando in cima a Jeliel, e non vede l’ora che tu torni a prenderlo. »
Il tedesco ebbe un singulto e deglutì, « Come fai a saperlo? »
Il giapponese sorrise appena, eppure apparve più luminoso di un astro, « Me lo sento. »
Ludwig se ne rimase zitto per un bel pezzo.
Alla fine si strofinò un polso sugli occhi e si sforzò di riprendere il controllo, « Ti prego di scusarmi. Non è da me crollare in questo modo. »
« Non importa. » Kiku gli fece un occhiolino complice, « Non dirò niente ad Antonio-kun. »
« Mrmblrmlbmhbm… dirmi cosa…? » mugugnò lo spagnolo nel dormiveglia, sbavando.
« Ehm… che Maria Clara-chan voleva un appuntamento con te. » buttò lì Kiku, scambiando uno sguardo divertito con Ludwig.
Antonio grugnì soddisfatto e abbracciò il cuscino, una delle lisce cosce abbronzate che faceva capolino dalle coperte, « Ditele che arrivo… appena ho finito coi pomodori… roooonf… »
Kiku ridacchiò a bassa voce, si alzò dalla poltrona e fece per andarsene.
Ludwig lo afferrò per un polso e mormorò ai suoi piedi, troppo imbarazzato per poterlo guardare in faccia: « Grazie. »
Il giapponese annuì, semplicemente.
« Ora cerca di riposare, Ludwig-san. » e uscì dalla camera, chiudendosi piano la porta alle spalle.


20 febbraio 2016




Un allarme perforante lo svegliò di soprassalto.
Alfred rotolò giù dal divanetto, si trascinò fino al tavolo e aprì il programma delle videocamere subacquee.
« Eccolo… »
S’incastrò il cellulare tra un orecchio e la spalla, scrisse velocemente qualcosa sulla tastiera del portatile e pregò in tutte le lingue del mondo che funzionasse.
« Avanti, Arthur… rispondirispondirispondi… »
Una delle videocamere a infrarossi aveva captato la sua pinna fendere l’oscurità delle acque basse: come ogni giorno, si era avvicinata alla costa.
« Pronto? »
« Arthur, finalmente! È qui. »
« Cosa?! Holy fucking shit… ce-cerchiamo di non perdere la testa, okay? Abbiamo una sola occasione. »
Dall’altra parte del cellulare, Arthur respirò profondamente: « Non fallire, Al. Se non ci riusciamo oggi, non lo prenderemo mai più. »
Alfred schiacciò un tasto con rabbia, strappò via il suo cappotto dallo schienale della sedia e afferrò la chiave del peschereccio.
« I’m on it. »
Il segnale arrivò tempestivo a tutti e cinque i suoi aiutanti, e quando Alfred li raggiunse col fiatone sul molo di Kloster, lo stavano già aspettando ansiosi.
« Capitano, è a trecento metri dalla costa. » lo informò uno dei più robusti, un cubano col sigaro in bocca.
« Perfetto. » ansimò l’americano, rallentando sulla passerella di legno cigolante, « Montiamo sulla Rosa dei Venti. »
Si trattava del peschereccio d’altura* fornitogli da Ivan: un bestione di metallo bianco dal muso allungato, un ponte spazioso e la cabina dei comandi sistemata al secondo piano.
Un braccio meccanico e una gru si stagliavano contro il cielo invernale, come a voler suggerire qualche intento malvagio.
Gli uomini si disposero intorno al parapetto e attesero, parlottando a bassa voce tra di loro.
Era ancora notte fonda, il mare era talmente nero da mescolarsi perfettamente con la volta priva di stelle.
Spirava un vento crudele e gelido, qualche fiocco di neve scivolava vorticando dalle nubi e una fitta nebbia spettrale galleggiava a pelo dell’acqua.
Era spaventoso.
I bracconieri continuavano a scrutare l’orizzonte inutilmente, come se temessero di veder saltare fuori qualcosa da un momento all’altro, pronto ad afferrarli, a farli cadere dalla barca, a trascinarli con sé nell’oblio.
« Mantenete la calma. » li riprese in tono aspro Alfred, « Non dobbiamo fare rumore. »
In un qualche modo, nebbia e freddo sembravano aver assorbito ogni più piccolo suono: non si udivano più i larici e gli abeti frusciare, i gabbiani starnazzare sugli scogli semisommersi, il mare lamentarsi mentre si ritorceva tra le onde schiumose.
Alfred si strinse nel collo impellicciato del cappotto, senza mai staccare gli occhi dal radar nella cabina di controllo.
« Capitano, è a cento metri. » saltò su un giovane finlandese terrorizzato.
« Väinämöinen, prendi i bengala. Aspettiamo il segnale. »
Nel radar, un piccolo pallino luminoso si avvicinò lampeggiando.
Il cubano si sporse dalla ringhiera del tetto, scandagliando quell’oceano di nebbia soffocante, « Non si vede niente! »
« Cinquanta metri, Capitano! »
“Che diavolo stai aspettando, Arthur?!” pensò angosciato Alfred, sibilando all’equipaggio: « Fate silenzio. »
Il pallino arrivò a sfiorare l’epicentro del radar, le acque nere accarezzarono i fianchi della Rosa dei Venti e il segnale di Arthur, finalmente, fiammeggiò dall’altra parte del porto, nella piccola baia sabbiosa a sud del faro.
« L’ha visto! Accendete il sonar! »
Il giovane finlandese fece partire il pesante apparecchio lamentoso, diffondendo a bassissima frequenza un richiamo molto simile a quello che aveva sconvolto l’americano, due anni prima.
L’eco scosse il fondale, seducente, terrificante, ingannevole; viaggiò rimbalzando da uno scoglio all’altro, fino a sbattere contro un lungo orecchio cartilaginoso.
Il lavoro di Arthur era stato fine e spietato, ma che fosse sufficiente per attirare una creatura del genere… beh, lo stavano per scoprire.


Efelién s’immobilizzò, sgranando gli occhi nell’oscurità verdastra.
Qualcuno lo stava implorando, con un lungo urlo sofferente.
Chiunque fosse, era incredibilmente vicino: giusto qualche colpo di pinna più a ovest.
Nell’udire quell’atroce richiamo il giovane tritone si acquattò su se stesso, spaventato, tremante.
Aveva un’intonazione conosciuta ed era sicuramente una voce di famiglia, eppure c’era qualcosa di strano.
Luvìs?
Chi altri avrebbe potuto essere?
Efelién si spinse insicuro in quella direzione, fendendo l’acqua un po’ a zigzag, sondando con le dita e ruotando le orecchie a ogni vibrazione.
Fischiò di nuovo.
Luvìs, sei tu?
Davanti a lui si stagliò una grossa sagoma nera, una specie di balena allungata che galleggiava fuori dalla Grande Madre.
Che cos’era?
Efelién si fermò bruscamente, ma era già troppo tardi quando capì.


« È qui! È sotto di noi! »
« Calate le reti! »
Uno scroscio assordante spezzò il silenzio della notte, quando le corde affondarono nel mare.
Qualcosa si agitò forsennatamente nelle acque intorno al peschereccio, schizzi alti tre metri inondarono il ponte e accecarono i suoi uomini urlanti.
« Capitano, è nella rete! »
« Lo abbiamo preso! »
Alfred si sporse oltre al parapetto e li incitò, col cuore che sembrava scoppiargli: « Well done! Adesso tiratelo su! »
Col cubano in testa, i cinque uomini si disposero tre da un lato e due dall’altro, afferrarono le pulegge e sollevarono un centimetro alla volta la pesante rete aggrovigliata, a ritmo di “Issa! Issa! Issa!”.
Qualunque cosa avessero pescato, stava lottando con tutte le sue forze, e sembrava anche parecchio furiosa: bastarono infatti un paio di contorsioni per strappare le corde umide dalle loro mani sbucciate, mandandoli uno dopo l’altro a scivolare sul pavimento bagnato e a sbattere sulla ringhiera.
« Merda! Capitano, ci sta sfuggendo! »
Dagli anelli intrecciati sbucò graffiando una mano palmata.
Fu una visione da incubo.
Come colpito da un fulmine, Alfred si lanciò fuori dalla cabina di comando, sul ponte, a tirare insieme al suo equipaggio.
« Ricompattatevi! Puntate i piedi contro al parapetto! Quelli dietro issano e quelli davanti inchiodano! Forza, non lasciatelo scappare proprio adesso! »
Un urlo straziante fece gelare loro il sangue nelle vene, la rete dondolò come un pendolo impazzito, sballottata da quel peso che mordeva e graffiava nel disperato tentativo di liberarsi.
Quando la zavorra toccò il braccio trainante del montacarichi, Alfred mollò la presa e corse a sciogliere i nodi della gru.
« Aprite la rete! » comandò, calando il cavo d’acciaio.
Gli uomini allentarono le corde e il tramaglio si schiantò sul ponte, aprendosi in mezzo a loro.
Quel che ne uscì si agitava come un delfino in agonia, con lo stesso fischio raccapricciante di poco prima, avviluppato negli anelli, sbattendo la coda e sollevando una cortina di spruzzi.
« Svelti, prima che salti! » urlò il cubano, strattonando la rete per trascinarlo lontano dal parapetto.
« Oi jumalani… » sussurrò scioccato il giovane finlandese, « Ma che cos’è…? »
La creatura si sollevò sulle braccia e tentò di strisciare verso la ringhiera, gli occhi fuori dalle orbite per la paura.
« Bloccatelo! Bloccatelo! » urlò Alfred, « Se si rituffa non lo riprenderemo mai più! »
L’essere si piegò sulla coda, pronto a scattare, ma gli uomini diedero un violento strattone alla rete, ancora aggrovigliata intorno alle sue mani e alla sua testa, e lo sbatterono sul ponte.
Alfred si lanciò giù dal tetto, aggrappato al cavo d’acciaio come uno stuntman senza alcuna paura, atterrò sopra la bestia e gli serrò la pinna caudale nella trappola.
« Väinämöinen, tiralo su. » ordinò, ma qualcuno dovette dare uno spintone al giovanotto stordito, per convincerlo a salire in cabina.
Il finlandese ruotò una manopola molto simile al joystick di un aeroplano, fece sollevare la gru e riavvolse il cavo d’acciaio.
Progettato apposta per sopportare il peso di uno squalo bianco, il braccio meccanico sospese senza alcuno sforzo il bottino di quella battuta di caccia davanti ai loro occhi.
Era ancora più terrificante, così appeso per la coda: li fissava da sotto in su con gli occhi sbarrati, e con quelle bizzarre orecchie che sbattacchiavano, schizzando dappertutto gocce gelide.
Le branchie si allargavano e si stringevano affannosamente, le mani pericolosamente unghiute si allungavano verso di loro, per ridurli in pezzi o per chiedere pietà?
In testa aveva una zazzera color rame intenso, che fradicia si appiccicava alle guance e alla fronte; una squamosa coda rossa, che appariva tanto esile, ma che sarebbe stata perfettamente capace di spezzare loro l’osso del collo con un unico colpo, e una pelle brunita e glabra.
« Che razza di mostro… » osservò scosso il cubano, pungolandolo con un arpione, « Avvertiamo Mr. Braginski, Capitano? »
« Prima il segnale. » ribatté Alfred, « Spara quel bengala, Väinämöinen. Tenetelo sotto tiro, non sappiamo come potrebbe reagire. »
Il lampo di fuoco rosso salì fischiando nel cielo notturno, la bestia appesa per la coda si contorse con un fischio acuto e gli uomini furono costretti a tapparsi le orecchie.
« Merda! Fatelo smettere! »
« Mi esplode la testa! »
L’acqua ribollì a qualche metro dalla Rosa dei Venti e qualcosa si spostò lungo il suo fianco destro.
Una pinna frangiata, d’un blu argenteo ed elegante come un’ala infranse la superficie.
Il cubano si sporse oltre il parapetto e ringhiò: « C’è qualcosa di strano qui sotto, Capitano. »
Alfred lo raggiunse e tenne d’occhio la creatura che nuotava circospetta intorno alla loro imbarcazione.
« Non si vede niente… »
« Che… che cosa potrebbe essere? » balbettò il finlandese, aggrappandosi alla ringhiera con l’arpione in una mano.
« Mantenete la calma! » sbottò l’americano, « Von Bock, quanti bengala ci restano? »
« Soltanto due, Capitano. »
« Sparane uno in acqua. »
L’estone premette il grilletto della piccola pistola segnalatrice e il razzetto fiammeggiò di un intenso bagliore rossastro, si spense a contatto con l’acqua e affondò con un sibilo inquietante.
La pinna argentea s’immerse in profondità e la bestia appesa per la coda emise un urlo angosciato.
Alfred sbatté un pugno sul parapetto, « Lo sapevo! È uno di loro. »
Il finlandese indietreggiò dalla ringhiera, « Ce ne sono altri?! »
« Machado, torniamo a terra subito. Non staremo certo ad aspettare che ci raggiunga di nuovo. Von Bock, tieni pronto l’ultimo bengala, e sparagli addosso non appena lo vedi. Yong Soo, invia un segnale radio alla Elisabetta II, che attracchi con noi al porto di Kloster. Avvertili del pericolo con la parola d’ordine “World Stars incoming”, il Capitano capirà. »
Gli uomini si divisero per seguire gli ordini.
Alfred scrutò un’ultima volta le nere acque agitate sotto di loro, si voltò verso la creatura e le lanciò uno sguardo di sfida.
« Siete molto intelligenti, devo ammetterlo… ma il vero padrone del mondo è l’uomo. »
La bestia era sotto shock e non faceva altro che fissarlo come un animale messo all’angolo, ma rizzò le orecchie al suono della sua voce, come se lo stesse ascoltando.
Alfred scrollò il capo con un verso divertito, fece un cenno al finlandese e all’ultimo uomo dell’equipaggio, un lituano dall’aria seria e preoccupata.
« Tra poco faremo porto. Meglio portarlo a terra di nascosto. » e indicò la stiva, « Tirate fuori la vasca. »
I due giovani marinai si affaccendarono per trascinare sul ponte un pesante contenitore a parallelepipedo in vetro temperato, pieno d’acqua di mare.
Il finlandese tremava come una foglia, il cavo d’acciaio continuava a sfuggirgli via dalle dita insicure e ghiacciate; così il lituano gli posò una mano sulla spalla, slegò il cavo al posto suo e insieme sbatterono prontamente il coperchio quando la creatura cadde nella vasca aperta.
Fu orribile guardare come si contorceva tra quelle quattro pareti soffocanti, come continuava a sbattere la fronte e le pinne contro al vetro, disorientato, incapace di capire il perché non riuscisse a nuotare via, che cosa diamine fosse quel campo di forza invisibile che lo tratteneva lì, in mezzo a quei nemici terrificanti.
La pinna argentea emerse di nuovo e li inseguì instancabile, senza mai mostrarsi e senza mai superarli o perderli di vista anche solo per un istante.
La sirena nella vasca sbatté le mani palmate contro al vetro e fischiò come una disperata, chiamando e implorando l’aiuto del suo compagno in acqua.
L’estone puntò la pistola contro il loro inseguitore, ma Alfred gli afferrò il braccio: « Non sprecarlo adesso. Siamo quasi arrivati, signori, tenete duro! »
La Rosa dei Venti raggiunse il porto di Kloster sana e salva, ma la pinna nell’acqua si spostò esattamente tra loro e la passerella di legno, sfidandoli a scendere in ampi cerchi silenziosi, come uno squalo a caccia.
« Capitano… » sussurrò terrorizzato il finlandese.
Si udì uno scoppio, un lampo rosso colpì l’acqua fischiando e la pinna s’immerse un’ultima volta.
Sconfitto, almeno per il momento, l’inseguitore non riemerse più.
La sirena catturata premette la fronte contro al vetro ed emise una serie di gorgheggi affannosi, da spezzare il cuore.
Alfred si voltò di scatto e cacciò un urlo trionfante: « Arthur, vecchia canaglia! »
L’inglese soffiò sulla canna della pistola e gli fece un cenno, « Eccomi a salvarti di nuovo la vita, marmocchio. »
« Ma finiscila, era tutto sotto controllo. » borbottò l’americano, facendo cenno ai suoi uomini di portare giù la vasca.
Arthur ebbe una risata compiaciuta e si avvicinò al molo con aria vittoriosa, « Bella pesca stanotte. »
Gli uomini caricarono la vasca su un carrello e la spinsero lungo la passerella cigolante.
L’inglese si chinò sui talloni per guardare la creatura dritta negli occhi, « Wow… impressionante. » batté sul vetro con l’indice e la creatura tentò di ritrarsi, folle di paura.
« Ma che diavolo sei, eh? » Arthur scrollò il capo, « Quel russo ubriacone sarà contento, spero. È stato un lavoraccio. Ehi Al, la prossima volta sarà il Bigfoot o Nessie? »
L’americano scoppiò in una risata canzonatoria, « Divertente, Artie. Allora, signori… » e si rivolse all’intero equipaggio, « Per ringraziarvi dell’ottimo lavoro svolto, siete tutti invitati a farvi una bella bevuta. Offro io! »
Gli uomini esultarono, chi euforico e chi esausto, chi annuì appena, troppo scosso per poter parlare, e chi accettò solo per paura di ritrovarsi Ivan alle calcagna.
« Awesome! Portate quella cosa al sicuro, alla Henni Lehmann Haus. Ci ritroviamo tutti alla taverna di Fips, a Vitte, tra un’ora. »
Il gruppo si divise in due squadre: un paio spingevano il carrello - saggiamente coperto da un telo nero - in direzione del villaggio di Vitte, e gli altri rimontarono sulla Rosa dei Venti, per liberarsi in fretta della rete e di ogni traccia della caccia illegale.
« La Landhaus Lehmann? » ripeté sorpreso Arthur, affiancando Alfred mentre si avviava con passo baldanzoso lungo la passerella, « Ma non era custodita da un tedesco dell’isola? »
« Ci ha pensato Braginski, non ti preoccupare. » rispose l’americano, stiracchiandosi nell’aria fredda dei primissimi albori, indolenzito dall’aria di mare e dalla battuta di pesca più adrenalinica e pericolosa che avesse mai affrontato, « Sotto a quella residenza si trova un vecchio bunker per difesa costiera, risalente alla seconda guerra mondiale. Il direttore è un certo Gilbert Beilschmidt. Braginski è riuscito a convincerlo ad affittargli il bunker per… uhm, come le ha chiamate? “Ricerche autorizzate sulla fauna dell’isola”. »
« Ma davvero? » Arthur fece un sorrisetto, con l’aria di chi ha già capito, « Quindi questo Beilschmidt non sa niente della sirena. Non me lo dire: il russo ubriacone vuole trasferire lì il suo bottino. »
Alfred si scoccò uno sguardo diffidente attorno e gli fece segno di abbassare la voce, « Non dovrei dirtelo, Arthur. Se ci sentisse qualcuno mi darebbero fuoco con della vodka e un fiammifero. »
« Ormai ci sono dentro fino al collo, che piaccia o meno al tuo finanziatore comunista. » ribatté pungente l’inglese, « Cosa c’è là sotto, Alfred? Cosa ci ha messo quel pazzo malato? »
L’americano gli strizzò un occhio con aria complice.
« Lo vedrai. »


CONTINUA…



Note:

Maria Clara: intesa come Maria Clara C. Cruz, ovvero Filippine.

Bild-Zeitung: il quotidiano più letto in Germania. La sua sede di reazione è a Berlino, e vanta 2,1 milioni di copie vendute al giorno.


Peschereccio d’altura: un tipo di bastimento che può arrivare a pesare oltre le mille tonnellate, molto più imponenti dei normali pescherecci per la pesca commerciale.
I pescherecci d’altura, o motopesche d’altura, sono dotate di abbondanti reti e apparati radar e sonar.





Prima di qualsiasi altra cosa, desidero ringraziare nihil_can che mi ha offerto aiuto con questa fanfiction estenuante.
Grazie mille carissima, potrei spuntare da un momento all’altro implorandoti di leggere la beta dei prossimi capitoli, strillando come una pazza “sono sicura di aver fatto almeno 3 triliardi di errori ortografici, mettimi due in pagella e facciamola finita” stile Hermione Granger xD

Fiuu, l’ho terminato!
È stata dura e spero che sia venuto decentemente.
Il capitolo intendo eh, il disegno è stato il problema minore xD

Come al solito, vorrei chiacchierare con voi di alcuni dettagli del capitolo *si butta su uno sdraio al mare, con una noce di cocco con ombrellino per cocktail*

Seee certo, mi piacerebbe <_< a proposito, voi come state passando l’estate?
Spero bene!
Io purtroppo ho ancora delle magagne burocratiche e sanitarie da risolvere e non posso muovervi dalla città, tzé…
Beh, almeno così scrivo a raffica! E posso farvi compagnia con questa fic, ovunque voi siate <3 *sparge amore nell’aria*

Allora, tanto per cominciare, vorrei proporvi un giochino spastico:

Tutti i nomi dell’equipaggio di Alfred sono Nazioni di Hetalia, naturalmente.
Sapreste scrivermi i loro nomi umani completi? Senza guardare su internet, altrimenti non c’è sfida u_u
Sono curiosa di sapere quanto conoscete bene Hetalia :D

A parte le stupidaggini, parliamo seriamente di alcune cose.

Luvìs non è una castagnola rossa, bensì un rondone del mare, come specificai nell’angolo autore del primo capitolo.
Si tratta di una specie mediterranea molto elegante, una sorta di pesce volante.
Lo vedevo bene su Lovino, anche se, essendo due fratelli, avrebbe avuto senso dare a entrambi la stessa specie d’ispirazione.

Chi mi segue da tempo ormai lo sa: per ogni mia fanfiction m’informo molto, a livello ossessivo compulsivo oserei dire, ma trattandosi di storielle pubblicate su internet per passione, alcuni dettagli non li ho curati in maniera professionale.
Vi chiedo quindi di chiudere un occhio se doveste incontrare imprecisioni ed errori.

Oh beh, potrebbe anche rivelarsi un passatempo divertente: andate a caccia di queste piccole cose, dettagli che ho seguito alla lettera e invenzioni puramente personali.
Io lo faccio sempre nei libri o nei film, è troppo bello scoprire un particolare che esiste veramente o una licenza poetica dell’autore! * _ *

La fan art sarebbe la rappresentazione di una pagina di giornale, ma è una scena puramente illustrativa: figuriamoci se Ivan vuole far sapere al mondo intero di aver trovato una sirena vera!

Spero di avervi detto tutto >.< ci rileggiamo nel prossimo capitolo!
  
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