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Autore: Larceny    25/06/2018    0 recensioni
Fliegerabwehr: termine composto che indica tutte le forme di artiglieria specificatamente progettate per l'abbattimento di bersagli aerei.
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L'ombra del conflitto incombe nuovamente sul Commonwealth quando la Confraternita d'Acciaio dichiara guerra ai Minutemen. L'accusa è di aver tradito la razza umana, per aver nascosto e assecondato la Railroad nei suoi sforzi per la protezione dei synth sopravvissuti alla distruzione dell'Istituto.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il viaggio fino a Somerville non prese loro troppo tempo una volta superato il fiume: bastava seguirne le sponde. Le rovine del vecchio insediamento sarebbero state visibili su una collina alla loro destra, più verso l'entroterra.

Somerville Place era stato concepito come un insediamento agricolo, piccolo, con un'area comune costruita all'interno di un villino prebellico e delle piccole abitazioni private tutt'attorno, erette in tempi ben più recenti. Era stata attraversata, in passato, dalle carovane di rifornimenti che Nate aveva messo in piedi tra i suoi possedimenti; ma anche nell'epoca più florida della colonizzazione Minutemen, la posizione un po' isolata di Somerville l'aveva reso comunque poco frequentato. Ciò non era servito a salvarlo dalla distruzione: gli abitanti, temendo per via della loro florida produzione agricola di poter diventare un bersaglio per la Confraternita, erano stati tra i primi a bruciare le loro case ed unirsi ai miliziani più a nord.

I resti di Somerville ora non erano nient'altro che vecchi pezzi di legno e metallo anneriti dal fuoco. Alcuni frammenti di recinzioni che non erano state del tutto divorate dagli incendi si ergevano ancora dal suolo come lapidi sinistre.

Il gruppo si riunì sotto i resti di una copertura di una vecchia veranda, con Grognak che, per non sentirsi escluso, aveva infilato il testone tra due colonnine.

Shaun estrasse un dispositivo dalla tasca. Era uno dei suoi tanti piccoli progetti, diavolerie tecnologiche con cui il synth si divertiva a passare il tempo: una specie di piccolo Pip-Boy in miniatura, privo di un lettore di holonastri, ma con una radio e uno schermo in grado di mostrare informazioni. Vi aveva caricato una mappa del Commonwealth, anche se non mostrava la loro posizione attuale come quelle dei dispositivi Vault-Tec: tuttavia, Shaun poteva comunque inserirvi manualmente dei segnali, cosa che aveva fatto con tutte le posizioni che avevano incrociato per strada fin dalla loro discesa dal Nord.

Con l'aiuto di Valentine, il cui sistema di navigazione era un po' datato ma comunque funzionante, si presero quegli ultimi momenti per ricontrollare la posizione del bunker e del sito Prescott nel Mare Splendente. Era difficile, visto che sulla mappa non c'erano riferimenti geografici precisi a parte una macchia verde a segnalarne la vastità. Ma la posizione a cui erano arrivati era sufficientemente precisa.

Duncan non stava seguendo quelle discussioni. Si parlava di cose, a suo dire, decisamente fuori dalla sua portata intellettuale. Duncan sapeva orientarsi con gli occhi, con il proprio istinto: armeggiare con un marchingegno che sembrava il cugino scemo di un tostapane magro non rientrava tra le sue attività preferite. Senza negare, però, almeno l'utilità di avere una mappa in tasca tutto il tempo.

-Non dovreste poter mancare l'ascensore- stava dicendo Nick. –È posto letteralmente dietro alla capanna, leggermente più a sud. Non è nascosto da nulla, è in una struttura di cemento che spunta dalla terra. Ti ricordi come disattivare il blocco, vero?-

Shaun annuì. –Non ci vorrà molto. Potrebbe essere difficile localizzare l'ascensore però, se la capanna fosse crollata in questi anni- aggiunse, pensoso.

-Mh, non credo sia successo. Ha resistito per duecento anni, anche alle bombe. A meno che un Deathclaw non abbia deciso di prenderla a testate, non credo sia crollata proprio ora- replicò il synth. –Voi comunque ricordatevi di rimanere sulle colline più alte. Prima o poi dovrete per forza incappare in quel posto, o anche solo nelle sue rovine, se siamo sfortunati.-

-Sicuri di riuscire ad arrivare al Prescott Site da soli?- chiese a quel punto Shaun, per l'ennesima volta.

-La fauna del Mare Splendente non ci preoccupa- rispose Chase, anticipando Nick. –Siamo stati accolti da numerosi branchi di Deathclaw già nel nostro arrivo nel Commonwealth. Quelli un po' più irradiati non ci fanno paura.-

-E la piramide è più facile da localizzare del vostro capanno. Tempeste di sabbia escluse- aggiunse Nick. –Ma non preoccupatevi. Ci terremo in contatto. Nate ha attivato un ripetitore radio che dovrebbe coprire l'interezza della regione. Controlla le tue frequenze quando sarete in range. Anche tu, Duncan- disse il synth, rivolgendosi al ragazzo che solo a quel punto iniziò a prestare seriamente attenzione, togliendosi l'espressione distratta dal viso. –Dovresti avere una radio nel tuo equipaggiamento da caccia, no?-

-Sì, ma non è fatta per comunicazioni a lunga distanza. Credo- rispose incerto l'altro. Erano più che altro trasmittenti usate dalle mute di cacciatori per comunicare tra loro, non radio vere e proprie. Duncan dubitava avrebbero coperto la distanza che li avrebbe separati dal gruppo dei synth.

-Non importa, tu sintonizzala comunque. Potrebbe servirti se per qualsiasi ragione tu e Shaun finiste separati- insistette Nick.

Ci fu un attimo di silenzio a quel punto, dopo che i due synth ebbero terminato di revisionare le loro coordinate per un'ultima volta. Quello era il momento in cui avrebbero dovuto separarsi: Nick e i suoi avrebbero cambiato direzione, andando verso sud, mentre Duncan e Shaun avrebbero proseguito verso est. Tra i due, in teoria, quelli che correvano più rischi erano i synth, visto che via via che si scendeva verso l'area meridionale del Mare Splendente aumentavano di pari passo anche le mostruosità che vi trovavano casa: come se il cratere dell'antica bomba attirasse, o generasse, belve peggiori di quante ne trovavano a latitudini più miti. Ma Valentine aveva già attraversato quell'area così ostile una volta, e senza un'intera scorta. Erano fiduciosi sul fatto che ce l'avrebbe potuta fare di nuovo.

Ciò non impedì a Shaun di buttare le braccia al collo... o alla vita, di Nick. Il synth era diventato, per forza di cose, un membro della loro famiglia: non un sostituto dei loro genitori, certo, anche se a dire il vero era anche quella una condizione un po' complicata da spiegare. A prescindere dalle etichette, però, ciò non toglieva che ciò che stavano andando a fare fosse estremamente pericoloso. Duncan ci aveva già riflettuto, e aveva continuato a farlo anche durante il viaggio; l'espressione tesa di Shaun diceva che anche lui aveva fatto lo stesso. Nick era un po' più difficile da interpretare, ma non ci voleva un indovino per immaginare che avesse pensato le stesse cose. La possibilità che qualcuno di loro non tornasse indietro era estremamente reale, nonostante le promesse fatte al Castello –che ora suonavano come vuote, un po' ingenue rassicurazioni.

-Stai attento, zio Val- mormorò Shaun, la faccia nascosta nel suo cappotto, quando il synth ricambiò la stretta. –State attenti tutti- aggiunse.

-Anche voi, ragazzi- replicò il synth.

Quando i due si separarono, Daisy ne approfittò per abbracciare a sua volta il detective, sussurrando parole che Duncan non potè udire. Quando pareva che fosse arrivato, implicitamente, il suo turno, il ragazzo esitò: non era che non fosse una persona tattile, era più il fatto che quello suonava un po' troppo come un addio. Riconoscerlo come tale, anche se ci aveva già rimuginato sopra, avrebbe reso nella sua mente la possibilità che Nick potesse morire molto più reale; e nel contempo, sapeva che se ciò fosse veramente accaduto, non si sarebbe mai perdonato il non essersi congedati a dovere.

Con una minima spinta del muso di Grognak, Duncan attraversò le rovine della veranda e abbracciò il synth. Nick lo strinse con più forza di quanta ne avesse messa lui, e non gli sfuggirono le vibrazioni che emettevano i macchinari al suo interno –i marchingegni che lo tenevano in vita. Quando erano stati in fuga dal Commonwealth, il loro ronzio e le loro quiete vibrazioni erano state una fonte di conforto al suo sonno, quando era stato ancora un bambino e la paura e lo stress lo tormentavano con incubi e terrori notturni. Quel ricordo non gli era sovvenuto sino a quel momento, in cui aveva percepito di nuovo quel rumore: si chiese, brevemente, se non fosse un segno, prima di soffocare quel pensiero come una superstiziosa idiozia. –Guardati le spalle, zio Val- disse.

-E tu, le tue. E tuo fratello, Duncan. Mi raccomando- replicò Nick.

Il ragazzo annuì, senza riuscire a dire molto altro. Dopo pochi altri rapidi saluti, le due squadre si separarono definitivamente, e Duncan e Shaun rimasero soli con i ghoul, diretti ad est.

Il synth bambino era tornato con lui in sella a Grognak, ma non pareva molto incline a parlare. Daisy aveva tentato, dal loro fianco, dove camminava a fianco allo Strider, ma nessuno dei due giovani le aveva dato troppa corda. L'aria era tesa e lugubre, e pesava sulle spalle di tutti i presenti. Eventualmente la donna smise di tentare, zittita improvvisamente da un rumore lontano ed inquietante.

Era il tramonto quando il gruppo superò una collina e giunse in vista del Mare Splendente. Oltre una strada rovinata e mangiata dalle erbacce, iniziavano ad innalzarsi i resti distrutti dei pochi alberi che erano riusciti a rimanere ancorati a terra dopo l'esplosione. Sopra le punte frastagliate dei loro tronchi, simili ad immense zanne che spuntavano dal terreno, si vedeva già il cielo malato e radioattivo che sovrastava l'area più contaminata del Commonwealth. L'aria si era già fatta calda, malsana: puzzava dell'odore che aveva il ferro quando veniva strofinato, e lasciava uno sgradevole retrogusto metallico sulla lingua.

Duncan era abituato ad aggirarsi in aree radioattive: l'area sottostante la Morte Bianca ne era costantemente contaminata. Ma il Mare Splendente era una mostruosità a se stante, quasi più feroce nella sua crudeltà: la Morte Bianca avrebbe ucciso più col freddo, che con l'esposizione alle radiazioni. Qui, la possibilità di venire letteralmente bruciati vivi era molto più alta.

I due giovani indossarono a quel punto molto rapidamente i loro abiti protettivi. Duncan aveva deciso di optare per una vecchia tuta antiradiazioni, più efficace degli abiti di Lost South Hero nel proteggerlo dall'esposizione alla contaminazione. Nonostante anche quelli fossero protettivi, erano studiati per una quantità di radiazioni decisamente minore.

Prima di mettere il casco, Duncan scambiò un'occhiata con Shaun. –Ci siamo- mormorò. Non era da lui sentirsi tutti quei cattivi presentimenti addosso.

-No- replicò il bambino, scuotendo la testa. Duncan inclinò la sua, confuso. –Non siamo che all'inizio. Il peggio deve ancora venire.-

-Allegro- replicò sarcasticamente il fratello.

-Realista- lo corresse l'altro, infilandosi finalmente il casco. –Tieni gli occhi aperti. Grognak potrebbe essere confuso dall'ambiente. È molto più radioattivo di quanto lui sia abituato a vedere.-

-Ne abbiamo già parlato- lo rassicurò Duncan. Lo Strider pareva aver compreso i rischi anche se, in linea col suo temperamento, pareva esser stato certo di poterli superare senza problemi. L'orientamento forse sarebbe stata l'unica cosa in cui avrebbe potuto avere qualche difficoltà, ma con Shaun sul suo dorso a fargli da navigatore, non avrebbe avuto di che temere. Lo Strider non temeva nessun abitante della zona contaminata.

Duncan era incline a dargli ragione, e nel contempo a temere che la sua sfacciataggine fosse di per sé un rischio. Non voleva sottovalutare qualcosa e mettere in pericolo l'intera operazione: ma lo Strider si era rifiutato di dare troppo peso a discorsi di Deathclaw, Stingwing e ghoul ferali, e Duncan si era rassegnato a tenere gli occhi aperti per entrambi. Ma di questo, Shaun non aveva bisogno di sapere.

Il gruppo iniziò ad avanzare verso est, muovendo i primi passi sul terreno arido e bruciato del Mare Splendente.

 

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BOSTON, QUATTRO GIORNI PRIMA

L'unità che Danse avrebbe dovuto scortare all'Aeroporto non pareva un granchè professionale, nonostante i loro travestimenti fossero... beh, credibili, considerato che indossavano equipaggiamento rubato direttamente alla Confraternita. Era composta da solo tre individui, lui escluso: lo strano tizio con gli occhiali da sole, Deacon; un uomo di colore, magrolino e nervoso, con una faccia da topo, che rispondeva al nome (impossibile che fosse reale) di Tinker Tom; e una donna scura di pelle con una zazzera di capelli chiari e un'espressione di puro disgusto sul viso ogni volta che incrociava il suo sguardo, che Deacon aveva presentato come Glory.

Tutti e tre indossavano varianti delle tute e delle armature della Confraternita, e i fucili d'ordinanza erano un tocco di credibilità in più. Danse era abbastanza sicuro che, in qualche modo, nascondessero anche altre armi sui loro corpi, ma non era intenzionato a porre loro troppe domande. A lui non parevano affidabili, ma sia Garvey che Hancock gli avevani assicurato che fossero i migliori sul campo, e i più adatti a quella missione, che Deacon stesso aveva ideato.

Il loro scopo sarebbe stato penetrare nell'Aeroporto di Boston. Una volta dentro, avrebbero dovuto rintracciare la console di comando di Liberty Prime e metterla fuori uso con ogni mezzo: distruggendola o, come Deacon avrebbe preferito fare, rivoltando il robot contro i suoi attuali controllori, prendendo così a suo dire "due piccioni con una fava". Danse non aveva idea di cosa fossero entrambe quelle cose, ma non credeva sarebbe stato così facile come quel tizio diceva. Sembrava che Deacon si fosse convenientemente dimenticato che tra loro e la console di Liberty Prime ci fosse l'intero esercito della Confraternita d'Acciaio. Non proprio bruscolini, insomma. Senza contare, poi, l'approccio.

Danse avrebbe dovuto guidare il gruppo attraverso le rovine sotterranee dell'Aeroporto. Si trattava di un'area troppo danneggiata e pericolosa perché la Confraternita avesse mai potuto trarne qualche uso: le risorse che avrebbero dovuto utilizzare per poterla mettere in sicurezza superavano quelle che ci avrebbero guadagnato. Ragion per cui la Confraternita aveva preferito sigillarne gli ingressi.

Perché, come in tutti i terminal d'altro canto, ce n'era più di uno. E questo avrebbe giocato a loro favore: c'era una porta d'accesso alle rovine nell'area più esterna dell'Aeroporto, un ingresso di servizio la cui porta era priva di allacci elettronici. La massima sicurezza che aveva potuto installare la Confraternita era stata un campo di mine di prossimità, di cui Danse però conosceva la posizione e che sapeva non sarebbe stata cambiata.

In fondo, non l'avevano cambiata in oltre dieci anni di servizio.

Attraverso quelle rovine, avrebbero potuto raggiungere un altro accesso al terminal, e sbucare praticamente nel cuore dell'Aeroporto vero e proprio: la base della Confraternita. Lì, i loro travestimenti e la scelta del momento perfetto per fare breccia avrebbero dovuto essere fondamentali: avrebbero dovuto uscire senza che nessuno realizzasse che fossero individui nuovi, e mescolarsi immediatamente ai confratelli. Per l'occasione, l'armatura atomica che MacCready gli aveva regalato era stata attentamente modificata per somigliare all'esterno in tutto e per tutto a una qualsiasi suite della Confraternita. Le modifiche evidentemente non in regola erano state spostate e nascoste, per quelle che era stato possibile farlo; le altre, rimosse. Ciò non toglieva comunque a Danse diverse spanne di vantaggio su un qualsiasi Paladino con quella suite addosso. Era evidente che Nate avesse saputo cosa stava facendo, quando aveva messo mano su quell'armatura. Era un gioiellino.

Le modiche esterne, unite a un marchingegno per distorcere la sua voce in uscita dall'elmo, completavano i loro travestimenti. Una volta dentro l'Aeroporto sarebbe stato facile per Danse condurre la sua unità alla console. Da lì in poi, la sua competenza terminava.

Deacon aveva giurato di avere un piano per consentire loro la fuga. Non glielo aveva comunicato, ma aveva giurato di averlo. Questo non rassicurava Danse per nulla: ma che scelta aveva? Sia Tinker Tom che Glory parevano fidarsi ciecamente di quel tizio, e non parevano aver gradito le sue richieste di avere altri dettagli, se non aveva interpretato male le loro espressioni aspre quando le aveva mosse; non avrebbe potuto non fare altrettanto.

Il giorno in cui Duncan, Shaun e Valentine erano partiti dal Castello, Danse e i suoi fecero altrettanto. Col favore delle tenebre, lasciarono la fortezza senza troppe fanfare, per attrarre meno attenzione possibile: Danse stesso si muoveva lentamente, e aveva torce e sistemi di tracciamento spenti per evitare qualsiasi intercettazione. Solo una volta penetrati in profondità nelle rovine di Boston abbandonarono quel comportamento, e ognuno di loro prese immediatamente il ruolo di confratello.

Per Danse, era come rientrare a casa dopo mesi –anni, d'assenza, e trovarla con il focolare acceso e un pasto caldo pronto. L'armatura in particolare era stata una benedizione. Una volta riaccesa la torcia e i sistemi di tracciamento, l'uomo non perse tempo ad imbracciare il fucile e rivolgersi ai propri compagni.

-Prendete la formazione che vi ho mostrato alla base- ordinò. Poi indicò rispettivamente Deacon, Tinker Tom, e Glory. –D'ora in avanti vi rivolgerete a me come si confà alla mia stazione, e io farò altrettanto. Parlerete solo nelle trasmittenti. Non voglio sentire volare una mosca. Inteso?-

-Inteso- risposero i tre, con una precisione che in realtà sorprese un po' Danse. Non si aspettava che sarebbero stati in grado di entrare nella parte così bene –Tinker Tom incluso, anche se aveva esitato di una frazione di secondo nella risposta. Il comando che aveva dato loro era un codice per dare inizio all'operazione sotto copertura: d'ora in avanti si sarebbero rivolti l'un l'altro solo usando le identità false che avevano preparato prima della partenza, e si sarebbero comportati precisamente come confratelli qualsiasi, seguendo gli ordini dati dal Paladino della loro unità –Danse, appunto. Deacon gli aveva assicurato che si erano preparati accuratamente alla parte, e quanto pareva, non aveva mentito.

Poteva solo sperare che ciò fosse altrettanto vero per il piano di fuga. –Bene. Ad Victoriam!-

-Ad Victoriam!-

Cercò di non storcere il naso al fin troppo eccessivo entusiasmo di Deacon.

 

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IL MARE SPLENDENTE, SEI GIORNI DOPO

-Dovremmo giungere in vista del bunker tra poco- annunciò Shaun. La notizia venne accolta dai ghoul con uno stanco coro di approvazione.

Era la fine del secondo giorno di viaggio attraverso il Mare Splendente, ed erano già tutti estremamente provati. Il clima era stato in particolare a dir poco inclemente: quando non aveva piovuto sabbia, era scesa acqua radioattiva, talmente acida da avere un odore pungente perfino attraverso i numerosi filtri delle loro tute. Ai ghoul non aveva dato un granchè fastidio la radioattività: era stato tutto il resto, ad essere il problema. Tra le irritazioni causate dalla sabbia e il fastidio di ritrovarsela trasformata in fanghiglia tra le pieghe dei vestiti, avevano avuto non pochi problemi.

Senza contare, poi, tutto il resto dei problemi che portava l'essere nel Mare Splendente. Il terreno era infido, impraticabile in numerosi punti: l'itinerario pianificato da Shaun, privo di intelligence riguardo la geografia del territorio, era stato modificato diverse volte quando si erano ritrovati di fronte a voragini, pozze di liquido radioattivo bollente, colline scoscese invalicabili, rovine troppo pericolose per essere scalate, e via dicendo. La terra sotto ai piedi di Grognak era pastosa, calda e cedevole come sabbia umida resa bollente dal sole di mezzogiorno, anche a notte fonda. Lo Strider era in evidente disagio, e nonostante avessero con loro degli unguenti antibatterici per le piaghe che stava sviluppando, parevano far poco contro il semplice fatto che la creatura non fosse fatta per quell'ambiente. Era indebolito, di cattivo umore e un po' zoppo, e il suo malumore si rifletteva su Duncan come uno specchio. Il ragazzo, tra le preoccupazioni per l'ambiente in cui si trovavano e quelle per il suo Strider, era stato particolarmente spiacevole in quei due giorni.

Shaun capiva le ragioni di suo fratello. Dopo essere stati sorpresi da un enorme Deathclaw spuntato apparentemente dal nulla, Duncan aveva i nervi a fior di pelle. Nell'agguato avevano perso uno degli uomini della loro scorta, un gentile ghoul dell'Anteguerra di nome Jackson, prima che Grognak riuscisse a sottomettere il mostro: il Deathclaw l'aveva ucciso con un colpo di coda talmente potente che gli aveva spezzato la spina dorsale. Il timore che potessero spuntarne altri, uniti alla sensazione che Shaun era sicuro il fratello provasse, d'aver fallito nel proteggere i suoi compagni (anche se in teoria avrebbe dovuto essere l'opposto) aveva reso Duncan teso e scostante. Non aveva parlato molto nemmeno con lui, non andando oltre a poche sillabe quando avevano condiviso i pasti.

Poteva solo sperare che una volta arrivati nel bunker le acque si sarebbero un po' calmate.

L'area che stavano attraversando era una catena di colline ripide, intervallate da voragini profonde difficili da aggirare senza incappare in scorpioni o altri indesiderabili che parevano aver fatto di quella zona una vera e propria colonia. Grognak riusciva a sentirli prima che sbucassero dal terreno, e con le sue indicazioni riuscivano ad evitare di essere colti di sorpresa: ma era una situazione stressante, e speravano di uscirne in fretta.

Erano finiti un po' più a sud della capanna del previsto, nel dover aggirare delle aree impraticabili del Mare Splendente. Stavano approcciando il bunker da quella direzione, aspettandosi di vederlo spuntare in lontananza di fronte a loro da un momento all'altro, quando lo Strider si appiattì improvvisamente sul terreno, strappando a Duncan un verso di sorpresa.

I ghoul rimasero interdetti per qualche secondo, confusi, prima di fare altrettanto e nascondersi. Era buio –per quanto potesse essere buio nel Mare Splendente, pervaso com'era perennemente da quel vago bagliore verdognolo che gli dava il nome, e nessuno riusciva a capire cosa di preciso avesse provocato quel comportamento nello Strider.

-Che ha Grognak?- sussurrò Shaun.

-Deve aver sentito qualcosa- sibilò di rimando Duncan, irritato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

A pensarci bene, non aveva tutti i torti.

Quasi come se il momento fosse studiato a tavolino, Grognak iniziò a ringhiare: un verso non dissimile alle sue fusa, ma dal tono evidentemente ostile, le orecchie basse e il pelo talmente ritto che superava la sella in altezza e toccava il vetro dei loro caschi.

Duncan si tolse dalla cintola il binocolo –un'aggiunta al suo equipaggiamento della cui origine, nonostante Shaun avesse chiesto, il fratello non gli aveva detto nulla- e si rizzò oltre la linea della testa di Grognak, guardando nella direzione che fissava la creatura.

Per qualche secondo non si mosse una foglia. Metaforicamente parlando.

Poi, Duncan sibilò: -Scendi di sella, Shaun.-

Il bambino era perplesso. –Cosa? Perché?-

-Scendi!- gli intimò nuovamente il ragazzo. Poi si rivolse ai ghoul: -Daisy e Morrison, voi restate qui con lui. Se capita qualcosa, sparate in aria. Non muovetevi. Qui siete al sicuro, non ci vedono- ordinò. Stava evidentemente cercando di mantenere un tono fermo, ma c'era una nota di panico sottostante che era sfuggita al suo controllo.

-Chi non ci vede, Duncan?- insistette Shaun, che nonostante i dubbi stava sciogliendo le sue cinghie.

-Confraternita- rispose finalmente il ragazzo, incrociando il suo sguardo una volta che fu sceso al suolo.

Un mormorio d'ansia percorse il gruppo.

-Sono al capanno. Non vedo vertibirds, ma il capanno è poco lontano da noi. Sono almeno sei, di cui due in armatura. Ho visto le torce- continuò Duncan, prendendo il fucile dalla sella. –Possiamo avvicinarci di soppiatto in questa direzione fino a un certo punto. La luce del Mare nasconderà Grognak. Al mio segnale, ci dividiamo e troviamo copertura tutto attorno al capanno. Io e Grognak ci occupiamo delle armature; voi, del resto.-

-Non dovremmo separarci- lo avvertì Daisy. Ciononostante, la donna si avvicinò a Shaun. –Con due paia di braccia in meno potreste essere in difficoltà. Se quelli sono qua, non sono coscritti qualsiasi: non invierebbero gentaglia nel Mare Splendente. Devono essere soldati di rango.-

-Grognak non se ne fa niente del rango, se può mangiarseli prima- replicò Duncan. –Si fa come dico io.-

-Daisy ha ragione- interruppe un altro ghoul, cercando di avere un tono conciliante. –È pericoloso lasciarli qui. Gli scorpioni...-

-Si fa. Come dico. Io!- abbaiò Duncan a quel punto, apertamente ostile. Grognak emise un ringhio più forte, anche se per semplice reazione al tono del suo cavaliere o per dargli ragione, non era chiaro. –Non ci porteremo dietro Shaun per rischiare di farlo finire in mano a quei pezzi di merda. È l'unico che può azionare quella robaccia. Se va male a noi, e lui sopravvive, abbiamo ancora una possibilità. Chiaro?!- Quando nessuno osò più mettere in discussione le sue parole, Duncan strinse con forza le cinghie sulle sue cosce. –Allora muoviamoci. E fate silenzio. Danse ha detto che quelle armature ora sono piene di sensori. La radioattività dovrebbe disturbarne parecchi, ma non possiamo essere incauti.-

-Duncan- lo chiamò Shaun a quel punto.

Il ragazzo si voltò dalla sella di Grognak. Nella semioscurità, il tatuaggio che aveva sugli zigomi gli illuminava gli occhi in maniera lugubre, visibile per fino da dentro il vetro sporco del casco.

-La radio- gli ricordò il synth. –Tieni accesa la radio.-

Duncan annuì, e diede una pacca a Grognak. Sparì insieme ai ghoul oltre la collina, con un ultimo colpo di coda della creatura.

Shaun rimase immobile, come paralizzato, a guardare il punto in cui erano spariti per qualche secondo; sobbalzò quando la mano ossuta di Daisy gli si appoggiò su una spalla. –Leviamoci da qui- disse la ghoul a bassa voce, guardandosi attorno con gli occhi nerissimi. –Siamo bersagli troppo facili.-

Il trio si ritirò silenziosamente più indietro, dietro la copertura offerta da una faglia nel terreno che li copriva dalla vista in direzione del capanno. Si appoggiarono con la schiena alla roccia, sorvegliando il declivio da cui erano arrivati in origine.

Una pozza di liquido irradiato, in lontananza, diffondeva un sinistro bagliore rossastro. Minuti puntolini neri vi ci strisciavano, visibili ad occhio nudo anche in lontananza: un branco di ghoul ferali, che avevano evitato all'arrivo. Una buona decisione, visto che da quella distanza i loro spari sarebbero stati udibili dagli sgherri della Confraternita.

Shaun li guardava, la fronte imperlata di sudore dentro il casco. Quello era il primo contatto diretto che i due fratelli avevano avuto con la Confraternita dal loro ritorno nel Commonwealth, dopo aver passato undici anni a nascondersi da loro: e ora, Duncan aveva avuto la brillante idea di caricarli da solo, lasciandolo indietro. Nascosto. Protetto. Solo, soprattutto.

Shaun si torse le mani, facendo scriocchiolare lo spesso materiale plastico della tuta.

-Va tutto bene?- gli chiese Daisy.

Shaun si sforzò di inghiottire la risposta scortese che minacciava di uscirgli a quella richiesta. La donna era sveglia, matura, e intelligente: ma ogni tanto aveva quegli slanci di affezione, di preoccupazione, come se non riuscisse a mettersi in testa che lui non era affatto un bambino come sembrava. Lo facevano infuriare, anche se in cuor suo sapeva che fosse molto più probabile che la donna fosse solo genuinamente in pena per lui, a prescindere dal suo aspetto infantile.

-Tutto ok- rispose alla fine. Non era sicuro che il ghoul potesse vederlo in viso da sotto il casco: confidava che il riverbero lo mascherasse. –Solo teso.-

-Uno di quei binocoli di tuo fratello c'avrebbe fatto comodo- commentò Morrison, quasi distrattamente. –Con queste fumarole tra noi e loro, non si vede un accidente.-

Shaun lanciò un'occhiata all'altro ghoul, e vide che si era appena appena sporto dal bordo della faglia. –Sta' giù, Morrison- lo redarguì Daisy. –Se ti vedono?-

-Siamo lontani- replicò l'altro. –Impossibile.-

-Ci vorrebbe un visore apposito per vedere oltre il fumo- disse Shaun, in un apparente non sequitur che lasciò i due ghoul in silenzio, perplessi. –Sul binocolo- aggiunse, quando notò i loro sguardi confusi. –Per vedere con i binocoli, oltre il fumo.-

-Dici che quello di tuo fratello ce l'ha?- chiese Morrison.

Perché diavolo stavano parlando di visori per binocoli?

-Non lo so- rispose il synth. –Non so nemmeno dove abbia preso quello che ha.-

L'eco assordante di una sfilza di spari li fece tutti sobbalzare, e Morrison tornò dietro la copertura con un gesto così rapido da picchiare la faccia contro la roccia.

Shaun mise immediatamente mano al casco, accendendo la radio. Era già impostata sul canale della trasmittente di Duncan, il più vicino: ma dal canale veniva solo statico. Quella di suo fratello era spenta. –Stupido! T'avevo detto di accenderla...- mormorò, armeggiando col volume in una vana speranza che ci fosse solo qualche problema di trasmissione.

Agli spari balistici dei ghoul si era aggiunto il fuoco di risposta dei laser della Confraternita, perfettamente udibile anche sotto il brontolio di fondo che veniva dalle viscere della terra martoriata del Mare Splendente. Lo scontro era cominciato a tutti gli effetti: Duncan non riusciva a capire se le vibrazioni che sentiva sotto di sé venissero da scosse telluriche o dai passi pesanti delle armature atomiche lanciate alla carica.

Dalla radio non veniva nulla: solo statico nelle sue orecchie.

-Andrà tutto bene- disse Daisy, alzando la voce per farsi sentire sopra le scariche di proiettili.

Shaun ebbe l'improvvisa, nauseante sensazione di essere trasportato fisicamente in una sorta di deja-vu. Nell'androne dell'Istituto, un synth vestito di bianco con un'immensa macchia cremisi a sporcargli la maglia e il fronte dei pantaloni lo aveva accompagnato fin quasi all'ingresso della sala di controllo del teletrasporto, crollando a pochi passi dalla porta.

Shaun all'epoca era stato ancora piccolo, mentalmente. E recentemente reduce da un lavaggio del cervello totale –l'ultimo a cui lo aveva sottoposto il Direttore, prima di metterlo nelle mani di suo padre. Non aveva capito cosa fosse successo al synth.

Qualcuno gli aveva sparato –un miliziano, probabilmente, qualcuno di rango non abbastanza alto da essere armato di laser. Il synth aveva sanguinato con un bramino macellato per molto tempo, prima di cedere –stava già sanguinando quando aveva trovato Shaun nella sua cella, dopo aver ricevuto nella sua mente gli ordini postumi del Direttore.

Il synth, un ragazzo pallido dai capelli biondo cenere e occhi azzurrissimi, lo guardò e fece un sorriso incerto. Aveva i denti macchiati di sangue. –Andrà tutto bene- gli aveva detto, la voce ridotta ad un sibilo raschiante. –Si prenderanno cura di te.-

-Chi?- aveva chiesto Shaun.

Il synth era morto prima di poter rispondere. Shaun aveva saputo di dover arrivare al trasporto, ed era riuscito a raggiungerlo da solo. Nessuno si era curato del synth dissanguato a pochi passi da loro.

Daisy lo riportò al presente, facendolo nuovamente sobbalzare con una mano sulla sua spalla.

-Shaun, la radio- gli chiese, quando il suo casco si voltò minutamente in sua direzione. –Senti qualcosa?-

-No- replicò il synth.

In quel momento, un ruggito che Shaun non aveva mai udito si alzò ben oltre il rumore degli spari e delle scosse, facendoli tutti sobbalzare. Fu un'esperienza simile al momento in cui si sente un cane latrare di dolore e sgomento per la prima volta: un suono sconosciuto, ma in qualche modo il cervello è in grado di categorizzare immediatamente come espressione di sofferenza.

Con quella nuova ed istintiva nozione in mente, Shaun a malapena attese che il lamento terminasse di riverberare per le colline prima d'alzarsi, saltare oltre la faglia, ed iniziare a correre verso il capanno.

-Shaun!- lo chiamò, prevedibilmente, Daisy; Morrison fu più veloce e saltò direttamente a sua volta oltre la spaccatura, fucile in mano.

-Mio fratello deve essere nei guai...!- spiegò Shaun correndo, incurante del fatto che probabilmente Daisy non avrebbe potuto sentirlo. –Non posso stare qui! Non posso!-

-Shaun! Non correre avanti da solo!- esclamò Morrison, e finalmente il ghoul riuscì ad afferrargli un braccio. Shaun era svelto, ed evidentemente doveva aver sottovalutato la mobilità di quell'uomo.

-Mio fratello...-

-Lo so! Ma hai sentito quello che ha detto, no?- replicò il ghoul, trattenendolo più vigorosamente quando Shaun cercò di divincolarsi.

Non era da lui, quel comportamento. Andava contro ogni forma di logica. Se qualcosa fosse andato male, avrebbe dovuto seguire il piano di Duncan: allontanarsi, proteggere se stesso e le proprie capacità, e tornare in un secondo momento. Risparmiarsi per un'altra opportunità.

Ma la logica non aveva un granchè da dire quando la premessa a quel piano era che suo fratello potesse potenzialmente perdere la vita.

-Ho sentito- replicò Shaun. –Ma non lo lascerò morire così.-

-Non abbiamo detto questo- obiettò Daisy, ora che li aveva raggiunti. –Tra le due, dovremmo almeno prima capire che sta succedendo. Uscire da questo posto noi soli, se le cose fossero veramente andate per il peggio, sarebbe comunque una condanna a morte- disse, aspra. –Tanto vale tentare.-

-Allora sbrighiamoci!- insistette il synth, liberandosi il braccio dalla stretta di Morrison. –Grognak è nei guai, e se qualcosa è capitato a quella creatura, dev'essere per forza serio. Muoviamoci.-

-In silenzio- avvertì Daisy. –Non vogliamo rischiare d'attrarre l'attenzione di qualcuno prima del tempo. Shaun, stai dietro di noi. Tu andrai avanti, e io ti coprirò col cecchino- ordinò la donna all'altro ghoul, prendendo il fucile dalle proprie spalle. L'altro ghoul annuì.

Il trio avanzò in silenzio a quel punto, tenendosi bassi dietro la cresta della collina su cui si erano separati dal resto del gruppo. Gli spari erano continuati mentre parlavano, la loro eco rinforzata dal sinistro avvicinarsi dei brontolii di una tempesta radioattiva. Quel genere di cambiamenti era comune nel Mare Splendente: nel giro di due minuti, il tempo poteva passare da terribile a semplicemente intollerabile, senza alcun preavviso.

Era chiaro che ora il cambiamento andasse in quella precisa direzione, visto l'odore d'ozono che s'alzava dal terreno e dal lampo verde che li accecò per un attimo, innaturalmente brillante rispetto al brontolio ancora lontano dei tuoni. Shaun deglutì, l'ansia per la sorte di Duncan che certo non veniva aiutata da quei presentimenti sinistri.

Si fermarono dietro un masso, lasciando che Morrison andasse avanti e ottenesse un minimo di visuale sul capanno. Il ghoul era a malapena visibile, nascosto dalle stesse fumarole di cui si era lagnato solo pochi minuti prima. I vapori sotterranei parevano ancora più soffocanti ora che la tempesta si stava avvicinando, più densi: quell'ostacolo rese ai due inizialmente difficile vedere che il ghoul, posizionato più avanti, stava gesticolando nella loro direzione.

Lo videro molto bene quando passò sopra le loro teste, sbalzato da un'esplosione ben più assordante ed accecante dei tuoni della tempesta.

La terra aveva vibrato, ben più forte del semplice rollio a cui si erano ormai abituati: qualsiasi cosa fosse esplosa, non era stato un petardo qualsiasi, ma un ordigno più potente. Daisy era impegnata al fianco di Morrison, nel tentativo, a prima vista, di rianimarlo: vi era corsa immediatamente dopo averlo localizzato, abbandonando Shaun dietro la copertura del masso. Il synth colse l'occasione per quella che era e, con la pistola stretta in pugno, superò il masso, correndo in direzione del capanno. Una mossa sciocca: le orecchie ancora gli fischiavano dall'esplosione, e il fumo radioattivo gli faceva piangere gli occhi, rendendolo a tutti gli effetti cieco e sordo. Un'assurdità, dunque, la scelta di muoversi da quella copertura: una decisione illogica, potenzialmente fatale.

Ma la ragione ora era muta nella sua mente: le uniche cose che vi riverberavano erano il fischio, e l'urgenza di trovare suo fratello.

Nemmeno i fumi più irritanti avrebbero potuto impedire a Shaun di vedere, in ogni caso , lo stato dello spiazzo in cui si ergevano le rovine di ciò che restava del capanno.

La prima forma che riconobbe, inequivocabile e più vicina, era quella di un'armatura atomica: era a pochi passi da lui e dal punto in cui Morrison si era sporto poco prima, le gambe di pesante metallo ancora ritte e mezzo sprofondate nel terreno letteralmente bollito e cedevole. Il resto della suite, però, era più simile a rottami montati a formare l'architettura di un'armatura, non da un ingegnere; bensì, da un bambino con evidenti problemi a tenere le mani ferme. Pareva fosse esplosa dall'interno.

La batteria nucleare, realizzò Shaun a quel punto. Qualcuno doveva aver sparato alla batteria nucleare.

Venne investito a quel punto dalla consapevolezza di star respirando l'odore rivoltante di carne bruciata, e non poteva nemmeno mettersi una mano davanti la bocca per trattenere il bisogno di vomitare: inghiottire la bile fu uno sforzo non indifferente.

-... aun! Shaun!-

Si forzò a continuare a camminare, superando i resti dell'armatura fusi ormai col terreno, certo di essere un bersaglio troppo facile per un attaccante: ma battendo con forza le palpebre, e togliendosi dagli occhi la patina di lacrime che le aveva coperte, si rese conto che lo scontro pareva essere terminato. L'altra suite di armatura giaceva al suolo, senza essere stata fatta detonare; quattro di quelli che semnbravano essere scribi erano a terra, crivellati di colpi. Tre dei suoi compagni erano al suolo a loro volta –quattro, se contava anche Morrison, di cui non conosceva lo stato.

Grognak giaceva in una posizione a prima vista non ben chiara, sbalzato evidentemente contro i resti del capanno. L'esplosione ne aveva strappato via un bel pezzo; il resto del danno doveva averlo fatto il suo corpo quando vi era stato spinto contro. Era contorto in una posizione innaturale, steso tra i pezzi di legno come in un campo di spine; dal suo corpo si alzava, acre, la puzza di carne e pelo bruciato. Era completamente immobile.

Ci volle qualche attimo di silenziosa, istupidita osservazione da parte di Shaun perché finalmente il synth capisse da che parte fosse la testa. Era sdraiato su un fianco, il ventre scoperto nella sua direzione. Senza doverci nemmeno riflettere, le sue gambe avevano iniziato a muoversi istintivamente verso la creatura, mosso dalla necessità viscerale di trovare suo fratello. Non c'era apparente traccia di Duncan sul campo di battaglia.

Realizzò che qualcuno lo stava chiamando solo quando la fonte di quella voce comparve da dietro Grognak. Per un attimo il suo cuore salì fino in gola, immaginando che quella forma potesse essere quella di Duncan; ma quando si fece più vicino, Shaun lo riconobbe come uno dei ghoul della scorta, un ex-colono di nome Wiseman.

-Dov'è Daisy?- urlò il ghoul quando gli si affiancò, prendendolo per una spalla. Lo scosse quando il synth, inizialmente, non gli rispose.

Shaun indicò vagamente la collina dietro di lui, tirando il braccio perché il ghoul lo liberasse.

Wiseman pareva disperatamente in cerca di qualcosa. Shaun seguì il suo sguardo, notando a quel punto che gli altri superstiti del loro gruppo si stavano or ora riprendendo dall'esplosione: chi era ancora svenuto stava venendo gentilmente scosso da chi era riuscito a rimettersi in piedi. –Stai qui!- urlò il ghoul al ragazzo. Shaun immaginava che, per il tono che aveva la sua voce gracchiante, non avesse ancora recuperato l'udito. –Stai qui, hai capito? Non muoverti! Daisy ha l'emostatico... Daisy... dov'è Daisy?- continuò Wiseman, sembrando ora parlare più che altro a se stesso. Mollò Shaun, dirigendosi con passo incerto verso la collina.

Appena liberato dalla presa del ghoul, il synth riprese immediatamente a camminare verso lo Strider. Non capiva se fosse ancora il fischio dell'esplosione ad assordarlo, o se ci fosse qualche altro rumore bianco a confonderlo: non riusciva a sentire il respiro cavernoso della bestia, non importava quanto si sforzasse. Iniziò ad aggirarla, scegliendo di passare da dietro la sua coda per evitare il grosso dei detriti del capanno, e fu solo dopo qualche passo che si rese conto che i suoi piedi non battevano più seccamente contro semplice terra asciutta, ma che schizzavano liquido come da una pozzanghera ad ogni passo. C'era un lago di sangue a terra, che ad un'occhiata leggermente più approfondita –per quanto Shaun potesse concentrarsi: si sentiva in maniera curiosa, come se guardasse da dietro un vetro ben più spesso di quello del suo casco- si stava allargando rapidamente.

Dovette farsi strada sotto due pali di legno divelti prima di riuscire a trovare il dorso di Grognak e le prime cinghie della sua sella. La maggior parte erano state strappate, lasciando nel pelo della creatura segni profondi e dall'aspetto doloroso, ma la sella era più o meno ancora in posizione.

Prima che potesse mettere in ordine mentalmente cosa stava guardando, due mani lo presero nuovamente per le spalle e lo spostarono, togliendo quell'immagine dal suo campo visivo.

-Via, via! Fai spazio!- stava urlando Wiseman, spostandolo fisicamente dal passaggio: dopo che l'aveva liberato, due ghoul si infilarono al suo posto, con Daisy alle calcagna. La donna aveva una grande macchia di sangue sui pantaloni, ma non sembrava zoppicare. Quando i suoi occhi si posarono su Shaun, si fermò, smettendo per un attimo di seguire gli altri, e attirò la sua attenzione.

-Ascoltami bene, Shaun- disse, parlando lentamente e a voce alta. –Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Mi senti?-

Il synth non si fidava abbastanza della sua voce per rispondere, quindi annuì. Il gesto era un po' diminuito dal casco, ma Daisy parve cogliere l'antifona. –Molto bene. Ho bisogno che tu vada all'ascensore e disattivi il sistema di sicurezza, in fretta- gli spiegò il ghoul. –Non possiamo stare qui. Il tempo sta peggiorando troppo in fretta. Fai funzionare l'ascensore, così possiamo portare Duncan di sotto. Hai capito, Shaun? Fai funzionare l'ascensore.-

-Io non...-

-Shaun. Duncan ha bisogno di te-. Daisy pareva aver percepito la sua incertezza, e il suo tono si fece duro. –Tu sei il fratello maggiore, giusto? Duncan ha bisogno di te, e tu devi prenderti cura di lui. Avete promesso a Mac di tornare. Se non fai funzionare l'ascensore, non possiamo portarlo al sicuro.-

Il synth lottò ancora per qualche secondo, silenziosamente, mentre cercava di far combaciare nella sua mente l'immagine di suo fratello, vitale e spigliato come tutti i ragazzini della sua età, con la forma rotta e sanguinante che aveva intravisto solo pochi secondi prima. Era difficile. Shaun era più maturo di lui, ma non era mai stato preparato a... quello. Era stata una possibilità che aveva considerato, nei giorni precedenti: ma, si rendeva conto ora, mai completamente accettato.

-Shaun? Hai capito cosa devi fare?- chiese ancora Daisy, stavolta scuotendolo leggermente.

-Ho capito- replicò il synth. –Tolgo il sistema di sicurezza. Richiamo l'ascensore.-

-Quanto ci vorrà?- chiese il ghoul.

-Non lo so- ammise Shaun a quel punto. Non aveva ancora visto che sistema avesse installato suo padre, e non poteva tirare ad indovinare. –Voi stabilizzatelo nel frattempo. Fate in fretta. Quando sarà il momento, l'ascensore sarà pronto.-

Daisy annuì e gli lasciò le spalle, inoltrandosi finalmente tra le macerie del capanno.

Shaun non perse ulteriore tempo, dalla sua, e andò direttamente verso la direzione in cui sapeva essere l'ascensore, seguendo le indicazioni della sua mappa. Aveva un sistema di sicurezza da disarmare, e una tempesta di radiazioni contro cui combattere, se le gocce d'acqua che avevano iniziato a scorrere sul suo casco non erano un'allucinazione.

 

---

 

ROVINE DELL'AEROPORTO DI BOSTON, UN GIORNO PRIMA

Trovare l'accesso alle rovine era stato molto più facile perfino di quando Danse si fosse aspettato, e Danse s'aspettava guai. Tutta l'area era stata fin dai suoi tempi poco pattugliata dalla Confraternita; ora non c'era l'ombra nemmeno di un drone di passaggio. Tutta la zona attorno a quell'accesso era incolta e portava i segni recenti del passaggio di creature selvatiche. Era stata, a tutti gli effetti, abbandonata.

Col favore della notte, Glory e Danse ci misero poco a liberarsi della barricata che bloccava l'accesso alla porta –impossibile capire se fosse stata cambiata di recente, o se fosse la stessa che gli scribi avevano montato dieci anni prima: aveva in ogni caso un aspetto terribile, e non molto resistente. Con Deacon a coprire loro le spalle, entrarono nelle rovine uno dopo l'altro, inghiottiti immediatamente dall'oscurità.

Non c'era energia elettrica in quel settore delle rovine. La Confraternita aveva reindirizzato quanti più generatori possibile a fornire alimentazione ai loro sistemi, sigillando ed ignorando qualsiasi cosa non fosse loro immediatamente utile. Tutti accesero le torce sui loro elmetti e si inoltrarono nelle rovine, fucili in mano. Non si aspettavano resistenza da parte della Confraternita, ma era impossibile dire cosa aveva potuto trovare rifugio tra quei tunnel, se le pareti sotterranee fossero state in qualche modo danneggiate.

C'era un ascensore, che però richiedeva un qualche sistema di sicurezza per essere attivato. Lo ignorarono e procedettero oltre, attraverso l'unica porta funzionante dell'androne, rivelando l'accesso ad uno dei livelli dell'antico parcheggio dell'aeroporto. Numerosi corpi di ghoul ferali affollavano quella che in passato doveva essere stata una sorta di passerella motorizzata.

Il suo contatore Geiger stava dando i numeri. Dovevano esserci delle scorie nucleari nelle vicinanze, o una perdita da qualche generatore, che il synth ignorò per il momento: tutti i membri del gruppo erano ben equipaggiati contro le radiazioni.

Si spostò piuttosto ad esaminare i cadaveri, incuriosito, una volta che si fu assicurato che fossero effettivamente morti.

-Non ci sono bossoli, in giro- mormorò Deacon.

Era impossibile capire da quanto fossero lì i corpi: già in vita erano stati mezzo decomposti, e le radiazioni avevano fatto il resto, rendendo quei cadaveri poco appetibili per i parassiti decompositori. Potevano essere lì da anni. -Laser. Li deve aver abbattuti la Confraternita- replicò Danse alla spia, altrettanto quietamente.

Ma non abbastanza.

Una voce rovinata, tremante, che suonava come se il suo proprietario stesse cercando di parlare attorno ad un'emorragia, o a una patata, risuonò debolmente nell'androne. -Chi... chi è là?-

Veniva da quella che sembrava una nicchia, a malapena visibile dietro le macerie del soffitto crollato, nella parete del corridoio. Le tre spie si misero immediatamente in guardia, seguite da Danse una frazione di secondo dopo, ma fu il synth a mettersi alla posta dietro l'angolo che dava accesso alla nicchia.

L'accesso era coperto da una grata che pareva essere stata installata di recente: sicuramente non faceva parte dell'architettura originale dell'aeroporto. Non aveva, a prima vista, un sistema di apertura che non fosse un lucchetto evidentemente rotto e bloccato in posizione chiusa: era piegato come se fosse stato colpito con violenza da qualcosa.

Un accesso di tosse, patetico e bagnato come se chi ne fosse afflitto avesse liquido nei polmoni, lo sorprese, ma Danse non sobbalzò. Col fucile carico, superò la soglia e puntò l'arma verso la nicchia, pronto a sparare.

Nulla avrebbe potuto prepararlo alla vista che lo aspettava oltre l'angolo.

La forma che era al suolo, sdraiata con la schiena adagiata ad un mucchio di cemento spinto contro il muro, una volta doveva essere certamente umana. Indossava stracci che avevano un aspetto rigido, incrostati completamente di sangue al punto che qualsiasi colore originale avessero avuto era ormai irriconoscibile; sotto quei pochi stralci di tessuto, erano visibili membra scheletriche, che alla luce della sua torcia brillarono in maniera sinistra. Non erano semplicemente coperte di sangue: erano prive di pelle, i muscoli e altri tessuti che mai un occhio umano avrebbe potuto dover vedere in occasione normale esposti all'aria aperta.

Lo stesso valeva per il suo viso. I denti erano scoperti in un ghigno perenne, sinistro, esposti dalla tensione e dal ritirarsi dei tessuti. Aveva occhi verdi spiritati, iniettati di sangue; pochi fili di capelli sopravvivevano testardamente in cima alla sua testa, ma era impossibile capire di che colore fossero stati in origine.

A quanto pareva, il sistema di filtri dell'armatura stava risparmiando Danse dall'odore. Quando non sparò, le sue tre spie gli si affiancarono: Glory e Tinker Tom si girarono immediatamente, il secondo per vomitare, mentre Deacon si limitò a storcere il naso, per il resto completamente illeggibile.

La... persona, non pareva avere intenzione di muoversi. Non poteva, con tutta probabilità. Le sue membra parevano troppo danneggiate per poter anche solo sperare di poter reggere il suo peso, scheletriche com'erano.

Sotto di lei, una pozza di materiale verdognolo e dall'aspetto curioso si allargava, proveniente all'apparenza da dietro le macerie contro cui giaceva. Scorie nucleari.

-Beh. Questo è spiacevole-, commentò Deacon, fucile comunque puntato sulla persona a terra.

Quella spostò lo sguardo prima ad uno, poi all'altro, con estrema fatica, come se le provocasse dolore anche solo girare gli occhi.

Danse non capiva. La sua mente non riusciva nemmeno a formulare una qualche ipotesi –la presenza di quella... persona, nella sua testa, non trovava nessuna giustificazione logica. Non lì, non in quello che pareva un avanzato stato di decomposizione. Non doveva essere viva, non in quelle condizioni.

A meno che...

-Ghoulificazione. Eugh. Credevo fossimo abbastanza avanti con gli anni per non doverlo mai veder succedere di persona- si lamentò Tinker Tom da un angolo, prima che la sua voce venisse stroncata da un altro conato.

-Chi... chi siete?- chiese debolmente il... ghoul, faticando ad articolare le parole. Quando socchiuse la bocca, Danse potè vedere un frammento della sua lingua, gonfia e mutata oltre ogni possibilità di salvezza. -... Kells? Rhys? ... vi prego, vi prego... fatelo smettere- mormorò, in quella che doveva essere una supplica.

-Cosa? Di che stai parlando?- chiese Danse, confuso.

-Fa male...- sibilò il ghoul. Un rivolo di materiale scuro, sangue o chissà che altro, colò dalla sua bocca. –Ho sbagliato. Ho capito.- Prese un respiro strozzato, bloccato sul nascere da un altro accesso di tosse violenta. –Maxson aveva... promesso un'esecuzione. Vi prego... vi prego...-

Deacon e Danse si scambiarono istantaneamente, istintivamente uno sguardo.

Chiunque fosse quel povero cristo, conosceva l'Anziano. E a quanto pare l'Anziano aveva una gatta da pelare con lui, se gli aveva garantito la forca. Eppure... se così era, che ci faceva lì, invece di essere nelle prigioni?

-Che ci fai qui?- chiese Deacon, quando Danse esitò a interrogarlo. –Identificati, civile.-

-Non... non sono un civile. Chi siete...? Coscritti?- chiese il ghoul a sua volta. –Sono... prigioniera. Traditrice. Maxson era... all'udienza. Affidata ai... carcerieri. Ma non mi hanno più...- Un suono più simile a un rantolo che a un gemito le sfuggì dalle labbra.

-Traditrice? Sei una traditrice della Confraternita?- insistette Deacon.

-Sì... No...!- si corresse dopo un secondo il ghoul, con più convinzione stavolta. –No. Ho fatto... ho fatto la cosa giusta da fare. L'unico modo- aggiunse, in un apparente non sequitur, come se faticasse a mettere in ordine quanto voleva dire. –Era... era l'unico modo... io non l'ho tradito. Non abbiamo mai... tradito la Confraternita...-

Prima che Danse potesse trattenersi, una delle sue mani passò dal fucile alle sbarre, in una stretta che le fece scricchiolare. Aveva un orrido, terribile presentimento, inspiegabile nella sua mente a livello razionale, ma comunque disturbante. Aveva un bisogno viscerale di assicurarsi che non fosse vero, che non potesse essere vero.

–Scriba Haylen?- chiese.

Lo sguardo del ghoul, che passò immediatamente da Deacon a lui in un chiaro segno di riconoscimento, fu la conferma che Danse non avrebbe mai voluto avere.

   
 
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