Capitolo
7 – Primi passi
Lettera
43
Cos’è che non ti è
chiaro, Thor? Sono ancora inchiodato al
letto e, come immaginerai senz’altro, questo non aiuta
affatto il mio umore.
Come la risposta alla domanda 19. Sei un cretino e Heimdall un uomo
senza
fantasia. Le mie condizioni migliorano, si fa per dire. Non rischio di
crepare
da un momento all’altro, se è questo che intendi,
ma stare bene è un’altra
cosa. Fatico ancora a tenere in mano la penna. Ad ogni modo, hai
frainteso il
mio rapporto con questa ragazza lasciando che le frasi prendessero il
sopravvento sulla ragione e non hai valutato fattori come la noia, la
mia
naturale propensione a mentire e, non ultimi, i miei impulsi costretti
ad
appagarsi con una sola presenza. La letteratura, fratello, è
finzione,
nient’altro.
Vivevo in una gabbia senza finestre. Lei mi
sorrideva e,
quando lo faceva, la cella diventava inevitabilmente meno grigia. Mi
hanno
rinchiuso, ma continuavo ad avere esigenze, bisogni, speranze, persino.
Non
l’avrei potuta avere mai. Per questo ci adoravamo.
Il vetro attutiva l’uno i difetti dell’altra.
Sospirare di fronte a un miraggio
non ha implicazioni, fratello. La mente galoppa libera verso scenari
fantastici, stuzzicata da una scollatura più intrigante, da
un rossore che, se
solo non ci fosse la lastra a dividerci, potrebbe essere il punto
d’inizio di
qualcosa, qualsiasi cosa.
È stata la mia amante mille volte, nei
miei sogni, ma le
Norne non hanno incrociato i nostri destini. Si sono permesse di far
vibrare i
fili delle nostre vite per un momento, uno solo, ma non ci siamo
sfiorati né
mai lo faremo. Sarebbe stata una delle tante e, come molte, si sarebbe
illusa
che un paio di notti di follie in un letto avrebbero scatenato
chissà che
risultati. Le avrei spezzato il cuore e mi sarei tolto uno sfizio.
Questo
siamo, saremmo stati. Solo che nel buio di una prigione mi è
parsa più bella di
quanto non sia in realtà: senza l’aria marcia dei
sotterranei, lei è solo una
ragazza che mi ha chiesto aiuto per compiere una sua vendetta, dolore
che sto
sfruttando per ottenere un maggior beneficio per me. Sto riducendo ai
minimi
termini una storia che già conosci. So benissimo quello che
ti ho scritto nelle
mie precedenti comunicazioni, né c’entra niente la
promessa che nostro padre
crede gli abbia fatto; non gli devo la mia lealtà per un
discorso di mera
coerenza. Se gli fossi stato fedele non sarei rinchiuso e non
c’è ragione per
iniziare adesso: non fa una piega, non ti pare?
Certo, per tornaconto potrei, dovrei, ma sai una
cosa? Sono
stanco, tremendamente. Di cercare il suo consenso, di compiacere un
popolo che
si esalta fin troppo facilmente. Stai tremando, Thor? Credi che possa
di nuovo
eludere ogni sorveglianza per fuggire in modo definitivo e
tremendamente
scenico? Potresti non essere così fortunato, stavolta: io,
in compenso,
otterrei la libertà e mi rimarrebbe addosso persino la
soddisfazione di vedere
il tuo smarrimento per avermi fatto riempire centinaia di metri di
carta
scritta fitta praticamente invano.
Lettera
44
È consolante la tua bella epistola
zeppa di insulti. Due o
tre errori di sintassi in meno e l’avrei definita una vera e
propria opera
poetica. Così adesso la gara è tra me il
Cacciatore. È un gioco a chi è più
furbo? Una gara di velocità stuzzicante? Devo ammetterlo,
fratello: conosci
alcuni dei miei punti deboli, anche se ti inganni tragicamente su molti
altri. Stamattina
è stato un giorno molto importante, per me: ho guadagnato in
completa autonomia
il gabinetto. Le infermiere mi hanno definito un eroe e hanno voluto
chiamare
nostra madre per renderla edotta sul notevole progresso. Mi ha parlato
per
mezz’ora di lavori di ristrutturazione e altre
amenità simili e io ho finto di
ascoltare, ovviamente. Una cella, per quanto bella, è pur
sempre una cella, non
credi?
Giocherò a renderla un quartier
generale, però. Allestirò un
tavolo e una stanza intera per raccogliere e rendere immediatamente
visibili
gli indizi e le supposizioni raccolte. Ci spia, Thor. Ci osserva e
attende il
momento migliore per colpire. Quattro persone che non si conoscevano ma
avevano
legami con la Corte di Asgard. Cinque morti che sono una tragica beffa
nei
confronti di Odino, Heimdall, me persino. L’amico
d’infanzia di Odino caduto in
disgrazia, il mercate; la sorella della dolce fanciulla che fa visita
al mostro,
Astrid; la ragazzina che doveva la sua vita al guardiano, la piccola
lavandaia salvata
dal Guardiano; il marinaio beone. Mi sfugge il legame di uno degli
sventurati,
ma non temere: lo troverò non per Asgard né per i
suoi begli occhi né per
nostro padre, ma per me. Non è l’unico cacciatore,
qui.
Lettera
45
Cosa vuoi che ti scriva oggi, fratello? Un buon
piano deve
contenere una dose generosa di rischio, solleticare il destino e la
fortuna,
comprendere quella piccola variabile di caos e genio. Mi risponderai
“non mi aspettavo che lo facessi
così presto.”
Il tempo ci scivola dalle dita e ha smesso di essere qualcosa di
inconsistente,
per me. Ha una scadenza, adesso: non sono più cinquemila
anni circa di noia e
tedio da passare dentro a una scatola di vetro sepolta nella terra, ma
una
sfida contro una bestia che mi divora dall’interno. Nostra
madre ha chiesto e
ottenuto che le analisi fossero rifatte altre due volte,
perché non si fidava del
risultato. È venuta a dirmelo di persona, non voleva che
fossi costretto a
mascherare il disappunto di fronte a un estraneo, e nostro padre
gliel’ha
concesso, ma senza accompagnarla. Presto diventerai re
perché lui non è più in
grado di fissare a testa alta i risultati delle sue decisioni.
Quando eravamo bambini, mi infastidivi tutto il
tempo al
primo raggio di sole primaverile, non appena cadeva un fiocco di neve.
Stracciavi i miei appunti, mi strappavi di dosso i libri trascinandomi
fuori
dalla stanza. Volevi giocare ad essere
Thor e pretendevi che io fossi Loki
l’aiutante. Volevi vivere nella favola audace che
ti avrei raccontato e
distruggere a colpi di spada i nemici inventati dalla mia fantasia
eccessiva,
febbricitante, resa ancora più vivace dai testi polverosi
che sottraevo dalla
biblioteca privata di nostro padre. Libri proibiti, non adatti a un
bambino, ma
quel divieto che mi imponeva di non toccarli li rendeva i volumi
più preziosi
al mondo, vere e proprie reliquie. Cosa c’è di
più eccitante che violare un
ordine? Questo libro non è per te (1),
mi dicevano, e io subito lo desideravo fino a provare una fitta
dolorosa allo
stomaco. Così mi inventavo ogni sorta di trucco per
sottrarlo, rubarlo,
nasconderlo. Alle volte, ti trascinavo nelle mie trame raggirandoti con
poche,
semplici mosse.
Altre, eri tu che mi offrivi l’occasione
per ingannarti.
Creavi il contesto, esponevi il fianco. Allora certe mie
abilità ti incantavano
ancora: mutare aspetto non era una trasformazione inquietante, ma
l’elemento
che rendeva più efficaci i nostri pomeriggi passati a
immaginare un futuro
glorioso, di guerrieri. Solo che nei campi di battaglia non abbiamo
trovato
proprio quello che ci aspettavamo, non credi? Ci hanno imbottito la
testa di
una retorica vuota e ridondante, raccontandoci che i Nove Regni erano
il
giardino prezioso che dovevamo coltivare e proteggere, hanno detto che
combattere per Asgard era un onore e un privilegio, e poi ci hanno
sbattuti nel
fango, nella polvere, nella furia concitata delle battaglie. E noi
nascondevamo
la paura dietro a un sorriso fanfarone, stringevamo con più
forza le nostri
armi per nascondere le mani che tremavano.
Non sto dicendo che la politica espansionistica di
Asgard
sia errata, attenzione: alcuni interventi li ho caldeggiati io stesso
perché
solo il caos può portare l’ordine, e chi ha osato
alzare la testa verso gli
Aesir era necessario che pagasse il prezzo della sua arroganza.
È semplicemente
un modo per spiegarti cos’ho fatto anche se, a ben guardare,
probabilmente sto
sopravvalutando le tue abilità di comprensione del testo.
Bisogna sporcarsi le
mani per ottenere un risultato, Thor. Non possiamo permetterci di
bruciare
l’unica pista che può condurci da qualche parte.
Occorrerà solo fare
attenzione. Questa farsa non peggiorerà le mie condizioni, e
mi offre il
vantaggio strategico di stare un passo avanti al mio sfidante. Non ho
la benché
minima intenzione di immolarmi sull’altare di Asgard: Padre
Tutto ci ha già
cavato il sangue e non verserò più una sola
goccia per lui.
Lettera
46*
Non fraintendere, Sigyn. Non commettere
l’imperdonabile
errore di credere che l’improvviso mutamento della mia
condizione significhi
qualcosa di diverso: ci sarà sempre una lastra di vetro, a
dividerci. Ciò che
ieri hai visto e sentito non è che una parentesi strana
messa fuori dal tempo
di cui tu hai solo colto un frammento. Non sono più il
figlio di Odino che
ghignava ai banchetti e se la spassava con le ancelle, né il
giovane tronfio
che incrociavi per i corridoi del palazzo. Quello che hai visto ieri
sera, sono
io. Non intendo compatirmi né giustificarmi. Non rinnego uno
solo degli atti
che ho compiuto, delle alleanze che ho stretto. Se tornassi indietro,
rifarei
ogni cosa nello stesso identico modo: presterei solo attenzione a non
farmi
prendere.
Ad essere onesti, cara Sigyn, anche in
quell’occasione ho
agito in modo tale da essere esattamente dove sono: solo, ho creduto
che la
scure della giustizia di Odino si abbattesse con meno violenza sul mio
capo. Un
pessimo errore di valutazione, lo ammetto, ma la fine che mi spetta,
per quanto
lunga e straziante, sarà certamente migliore di quella che
mi avrebbe atteso
con il mio passato signore. Gli Asi
non sono gli esseri viventi più potenti di tutti i Mondi,
mia bella Sigyn:
l’universo è immenso e nella sua
vastità noi siamo riconosciuti per essere un
popolo robusto e fiero, ma non certo per la nostra
invincibilità. Un altro ha
questo nome, uno presso cui io trovai asilo tempo fa. Una certa
educazione
dovrebbe vietarmi di farti parola delle circostanze in cui mi
trovò e com’ero
ridotto. Vedi Sigyn, e anche adesso non ho intenzione alcuna di
giustificarmi,
io non andai da lui di mia volontà. Mi trovò. Ero
ferito, spezzato, confuso e
con il cuore gonfio di vendetta. Ho visto un potere nuovo e spaventoso,
ho
fatto cose, per inseguirlo, che qui ad Asgard sono irripetibili. Il
prezzo
della mia fuga, però, è il terrore che non mi
abbandona mai. Lo tengo a bada
durante il giorno, mascherandolo sotto a un sorriso sprezzante; lo
nascondo
dietro una battuta affilata o divertente, ma c’è,
sempre. La notte sguscia via
dalle catene in cui lo frena la coscienza ed emerge prepotente
invadendo i miei
incubi. Mi cerca ancora, forse, e lo farà fino alla fine dei
tempi non perché rappresenti
una minaccia per il suo impero, ma perché ho avuto
l’ardire di trovare una via
di fuga e infilarmici.
Ieri sei entrata nella mia stanza e io non ti
aspettavo e
hai visto quello che non era necessario osservassi: il terrore sordo,
la febbre
che attanaglia la ragione, il lamento per una sofferenza fisica che
rallenta le
nostre indagini e mi squassa. Non provare pena per me, Sigyn: non ne ho
bisogno. Non guardarmi con quei tuoi occhi profondi e dolci, non lo
merito.
Quando avrai la tua vendetta, dovrai lasciare questo posto e inseguire
altri
sogni, altri amori e avventure. A me, restano solo i racconti di quelle
che ho
passato e metà delle storie che la mia mente evoca sono
false, manipolate,
distorte dalla mia personale visione. Succede così a tutti,
Sigyn. Tu, ad
esempio, ricordi di avermi sentito invocare il nome di mio fratello e
ti sei
avvicinata per posarmi sulla fronte una pezza bagnata e stringere le
mie mani
gelide tra le tue. Il tuo errore è stato guardarmi con occhi
innamorati. Credi
di aver visto un guerriero sconfitto, ma non piegato, un principe
costretto a
pagare per le sue ambizioni smodate, un uomo su cui non hai smesso un
giorno di
fantasticare, nemmeno quando Odino mi ha costretto in ceppi a dirigermi
per
sempre verso i sotterranei. Dovresti guardare il resto: certe cicatrici
che non
mi sono state inflitte in battaglia che sicuramente ieri sera, con i
polpastrelli, hai sfiorato. La pelle pallida di chi sta perdendo la
battaglia
contro una malattia feroce e debilitante, la follia di un condottiero
ossessionato dal passato, divorato dal rancore.
Credi che ti stia aiutando per i tuoi begli occhi
e confondi
la cortesia che ti devo per educazione e lignaggio con un innamoramento
che
nasconderei ad arte. Non è così. Il Cacciatore mi
ha consentito di trattare con
Odino condizioni migliori della mia prigionia; un vantaggio che, nel
lungo
periodo, potrebbe rivelarsi fondamentale perché nessuna cosa
è immutabile,
nemmeno le decisioni di Padre Tutto. Ti giustificherai dicendo che sai
tutto,
ogni cosa: non ti illudi che io sia migliore di come mi descrivono i
miei molti
nemici e detrattori, sai bene che il principe che ti affascinava si
è tramutato
in un traditore che ha minacciato il trono. Spiegherai in una lunga
lettera che
mi hai preso la mano e accarezzato la fronte in un gesto non
d’amore, ma di pietà,
e ti pentirai per aver scelto quel termine perché non
desideri né riesci a
compatirmi: io lo so. Cerca di guardare il mondo con più
disincanto, Sigyn.
Estrapola la verità dalle confessioni dei tuoi
interlocutori, distaccati dagli
eventi e cerca di trovare le connessioni giuste tra le vittime e il
Cacciatore.
Lui le sceglie, le seleziona, le segue e, infine, le prende. Ricorda
che cercare
legami è un gioco che la maggioranza delle volte ti
porterà fuori strada, ma in
un’unica occasione potrebbe rivelarsi fatalmente utile,
decisivo. Brucia questa
lettera.
Lettera
47
Di cosa hai paura, fratello? Che possa
approfittare della
guardia bassa di Asgard tutta per fuggire? Già ci pensa
l’indomita Sif a
nutrire questi sospetti, e io sorridendo non posso smentire
né avallare la sua
ipotesi. Cogliere le opportunità che mi si presentano
davanti è omaggiare la
mia natura, assecondare la trama filata per me dalle Norne. Chi
sceglierebbe di
scontare una pena lunga fino al proprio ultimo respiro, se fosse a
conoscenza
anche solo di un modo per scappare? Te lo dico io: nessuno. Anche il
fiero lupo
di nostro padre la pensava così. Si muoveva instancabilmente
nel suo recinto
fiutando tracce e pensando alle vie di fuga per poi fissarci con i suoi
occhi
gialli, selvatici, solenni. Credo di aver pianto per giorni, quando
è morto.
Non è il momento di parlare di questo,
adesso. Il lupo, la
fuga, il passato, sono ombre che è opportuno accantonare da
un lato. Credo che
il fulcro di tutto sia sempre Astrid, fratello: la prima a essere
ritrovata, la
terza a morire. C’è un nesso che mi sfuggiva e che
la mia assistente non riesce
a sviscerare. Le ricerche si sono arenate, da quando sono costretto a
letto, e
questo non va bene non perché, come credi tu, mi interessi
particolarmente
questa caccia, ma per una ragione più pratica ed egoista.
Senza passi in avanti
tangibili, nostro padre nella sua sfavillante giustizia,
troverà il modo di
trasformare a mio danno i privilegi che mi ha concesso e che, ironia
della sorte,
avrebbe dovuto accordarmi ugualmente. Heimdall è venuto a
trovarmi, ieri. Una
visita sgradita e inaspettata, ma non infruttuosa, lo devo ammettere.
Mi ha
fissato a disagio, guardingo, come se potessi balzare fuori da questo
fottuto
letto e tirargli qualche scherzo che certo meriterebbe, ma che non mi
dò la
pena di infliggergli. Certe sfide sono divertenti e gustose solo se si
svolgono
ad armi pari, altrimenti hanno un retrogusto amaro. E tu la pensi come
me.
“La tua fibra è sempre stata
robusta,” ha detto
osservandomi, “non avrei mai pensato di vederti deperire
così.” Ho riso, ma
questo te lo racconterà lui, come ti riferirà
quello che ci siamo detti e le
analisi hanno finalmente confermato. Il mio aspetto inganna, lo ha
sempre
fatto: se non hai una forza bruta devi puntare
sull’agilità, la destrezza, la
velocità. I miei colpi dovevano essere precisi e se mi
toccava prenderle,
occorreva che mi rialzassi in fretta. Non sarei mai stato come te
– né lo
desideravo –, ma avrei reso degno nostro padre, forse. Il
riconoscimento
tardivo di Heimdall e il suo sguardo assorto mi fanno pensare a
ciò che è stato
più di quanto non sia lecito. Inseguiamo un’idea
azzardata, rischiosa, che non
ti piacerà affatto, ma non potrai fare a meno di appoggiare.
Di questo, come di altre cose, parleremo a voce
quando mi
degnerai di una tua visita. Mi chiederai di lei, adesso, e della pista
che
riconduce ad Astrid. La dovevo vedere. Le descrizioni di Sigyn sono
velate
dall’amore e dalla nostalgia per sua sorella, non poteva
aiutarmi. Per questo
l’ho fatto. Mi dirai che è stata una scorrettezza,
date le circostanze, ma con
la mia bionda aiutante credo di aver chiarito ogni cosa sia per
iscritto che a
voce e adesso non mi importa più, davvero, se
quell’uomo riuscirà prima o poi a
sposarla.
Perché dovrebbe, in fondo? Sarebbe
opportuno che si
allontanasse da me, piuttosto, e andasse a convivere con il suo lutto
lontano
da qui, in un luogo dove potrebbe farsi una famiglia sua. Ecco
perché ho
chiesto udienza a nostro padre. Non avevo nulla da dirgli circa il
Cacciatore,
e non mi andava di condividere le supposizioni acerbe che sto ancora
valutando.
Lui si è fatto attendere per ben due giorni. Si è
astutamente presentato di
sera, quando sapeva che la febbre si sarebbe rialzata: gli ho chiesto
di
affibbiarmi chiunque altro al posto suo, persino quell’idiota
senza fantasia
del buonissimo Balder. Mi ha guardato compiaciuto con quel suo occhio
gelido e
rapace, soppesando la mia giusta richiesta. A lui non cambierebbe
nulla, anzi.
Dimostrerebbe a tutta Asgard come è riuscito a piegarmi per
l’ennesima volta –
questo è ciò che crede, almeno – e non
dovrebbe più preoccuparsi di dover
giustificare le mie azioni. Io, da parte mia, potrei torturare
quell’idiota
fino allo sfinimento e sarebbe divertente. Me l’ha negato,
ovviamente. Mi ha
rigirato contro le stesse frasi usate con il padre di Sigyn.
Sai che non desidero scriverti di lei: se te ne
parlo, è
perché mi metti nella fastidiosa condizione di doverti
spiegare le mie giornate
da prigioniero con questa tua inutile idiozia del dirci continuamente
cretinate
e, soprattutto, per evitare che la tua mente fantastichi appresso a
cose di
nessuna rilevanza. Tuttavia, l’indagine che entrambi seguiamo
per ragioni
differenti si interseca con Sigyn, e allora sono costretto a
raccontare,
puntualizzare, precisare, affinché tu non scambi o travisi
un rapporto che
fuori dalla mia prigionia non esiste. Vedi fratello,
l’immobilità costringe a
pensare, a valutare, a grattare via orpelli e considerazioni lasciando
la
verità nuda, esposta. Strano che io ne parli, non trovi?
L’ingannatore
imprigionato che si arrovella per risolvere un mistero e scoprire la
verità.
Curioso, per uno che non ha mai creduto che ne esistesse una sola.
Il fulcro è Astrid, la prima che ci ha
fatto trovare. Potrei
elencare a memoria tutto quanto si è detto di lei nelle
settimane concitate che
sono seguite alla sua sparizione e al ritrovamento dei suoi poveri
resti
martoriati. Più graziosa delle sorelle, ottima musicista,
buona conversatrice,
gentile con tutti. Una serie di luoghi comuni che la rendono la
perfetta
vittima da piangere disperatamente. Quanto sono state ingiuste le
Norne,
strappandocela così presto! Avevo bisogno di altro,
però. Di un viso, un gesto,
un contesto in cui inserire questa figura quasi evanescente.
L’ho detto a
Sigyn. È facile, per lei, prendermi la mano quando la febbre
mi lacera: più
difficile è rimanere in questa stanza d’ospedale
con me senza un vetro a
separarci. È abbastanza coraggiosa da fissarmi negli occhi,
ma vedo in lei la
paura, la cautela, il dubbio. Le velano lo sguardo, rendono incerta la
sua
voce. Io non la aiuto affatto a rilassarsi, anzi.
Perché dovrei, in fondo? La mia amante
immaginaria dovrà pur
soddisfarmi in qualche modo, non credi? Ora che
c’è una finestra, per quanto
piccola, nella mia stanza, deve offrirmi qualcosa di più che
la sua presenza e
il suo profumo di fiori e miele. Se solo fossi nobile come te,
fratello, se
soltanto le Norne mi avessero donato un briciolo
dell’integrità morale del
figlio di Odino, non avrei mai fatto niente. Mille remore mi avrebbero
dovuto
fermare, non fosse altro che per la dolcezza con cui ha poggiato per
una notte
intera una pezza gelida sulla mia fronte. E invece. La sua figura
sottile e
flessuosa è scivolata oltre la porta; con dispetto ho notato
che aveva
acconciato i capelli in una spessa treccia, mentre io li preferisco
spettinati,
sciolti e ribelli come se si fosse appena alzata dal mio letto. Mi ha
portato
solerte tutto ciò che le ho chiesto: documenti, referti,
testimonianze. Un
plico di carte che mi ha teso con una certa ansia.
“È sparita un’altra
ragazza,” ha detto.
Non le ho volutamente prestato troppa attenzione.
Sfogliavo
lentamente le pagine scritte fitte. Ha iniziato a dirmi che
è successo
stamattina, al mercato, affrettandosi nel riportarmi una serie di voci
concitate, contraddittorie, irritanti.
“Non è che ogni persona che
manca per sei ore da casa è
stata presa dal Cacciatore,” le ho fatto notare.
“Perché tanta ansia? La
conoscevi?”
Ha risposto di no, ma la sua espressione era
sbalordita.
Come facevo a restare così calmo e impassibile? Cosa avremmo
fatto, se davvero
fosse stata rapita?
“Se”, ho ribattuto laconico.
Posando finalmente il mucchio
di fogli, mi sono finalmente degnato di guardare il suo bel viso
pallido e stanco.
“A me non interessa salvare questa disgraziata sfortunata,
Sigyn, ma solo di
prendere il nostro amico. Un bravo predatore sa attendere il momento
giusto,
per lanciarsi sulla preda. Ecco, lui è la mia preda. Non mi
serve un colpevole
da esibire, ma l’indizio giusto. Non importa quanto ci
vorrà.”
Era delusa, sconvolta dal mio cinismo, forse
persino turbata
dall’analogia che ho creato tra me e il Cacciatore.
“L’indizio che mi serve
è racchiuso nella vicenda di
Astrid,” le ho detto senza alcuna emozione. “La
devo vedere.”
“È sepolta, tu non puoi
uscire.”
“Non mi serve vederla dal vivo. Basti
tu.” Avevo appena
catturato la mia, di preda. Ha fatto un passo indietro trattenendo il
respiro,
quasi il solo inalare la stessa aria che respiravo potesse nuocerle e
forse è
vero. Se ci fosse stato un vetro spesso, a separarci, avrebbe riso
sicura, mi
avrebbe negato il suo aiuto, perché quello che le ho chiesto
è stato davvero
crudele. Se le avessi ordinato di spogliarsi e soddisfare le mie voglie
sarebbe
stato meno doloroso, invasivo, spietato, perché entrare
nella testa di qualcuno
come Sigyn e poi frugare, è un atto violento.
Avrei dovuto spiegarle cosa significava,
prepararla
all’ingerenza. Riesco ad alzarmi, adesso, e per quanto sia
ancora debilitato,
resto ugualmente un guerriero Asi e lei una ragazzina esile e minuta.
Che le
Norne mi maledicano, Thor, l’ho afferrata
all’improvviso e le ho messo una mano
sulla fronte prima che lei potesse anche solo gridare. (2)
Non me lo perdonerà mai.
Non è consolante dirti che ci avevo
visto giusto, per
niente. Violare la sua mente, calpestare i suoi ricordi e scoprire la
parte più
nascosta della sua essenza è stato esaltante, terribile,
doloroso,
sconvolgente, proficuo, eccitante. Astrid era la chiave, e adesso che
lo so non
ho più bisogno che mi aiuti nelle ricerche, anzi: se mi
servisse il suo aiuto
ora sarebbe lei a negarmelo, e nemmeno nostro padre con tutta la sua
autorità
potrebbe costringerla. Povera Sigyn. Avrei dovuto raccontarle che ogni
sera
portavo al lupo rinchiuso e furioso la cena, ma che lui mi ringraziava
con un
ringhio basso e spaventoso, tentando ogni volta di azzannarmi. Non
mangiava
nulla, ovviamente, e per non cadere nella tentazione di assaggiare la
carne che
puzzava di prigione ci defecava sopra. Che magnifica bestia, che era.
Sotto la
polsiera, ho ancora il segno dei suoi denti, sulla pelle. Per questo
quando sbranò
Tyr strappandogli una mano, alzai le spalle. Era stato incauto.
Ho visto più cose di quante non ne
avessi volute. Trascinato
dal seiðr, ho osservato ciò che non dovevo, e non mi
aiuta scriverti che Astrid
è la chiave e che conosceva l’assassino. La sua
morte è stata orrenda e priva
di senso, ma adesso il disegno è più chiaro e
nitido di quanto non fosse ieri.
È già passato un giorno da quando Sigyn ha capito
sulla sua pelle quanto
meritata fosse, la mia prigionia. La sua adorata sorella, la terza
vittima, non
era priva di macchie, tutt’altro. Quegli occhi, quel naso,
quella bocca. Non
posso essermi sbagliato. Devi tornare.
Continua...
L’angolo di Shilyss
Cari lettori,
Mi sono portata avanti con Confessioni
perché il mio stato fisico rasenta quello del principe
Loki. Ebbene sì, ho l’influenza e qualche altro
acciacco collaterale. A giugno,
sì. Scrivo con la coperta addosso. La Fatina
dell’Ispirazione è molto mesta per
questo, sappiatelo. Come avrete intuito,
pare che il nostro stesse proprio male per davvero, ma con
l’ingannatore non si
può mai dire. Grazie a chi ha recensito e a chi
recensirà, a chi leggerà e a
chi ha inserito la storia tra le ricordate/seguite/preferite.
1 citazione da La
storia infinita.
2 come in Thor: Ragnarok fa con Valchiria.
Ci vediamo domenica (se sopravvivo)
Shilyss