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Autore: Alba_Mountrel    27/06/2018    2 recensioni
Una ragazza č persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverā
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Secondo capitolo
"Presentazioni informali"
 
All’improvviso apro gli occhi o almeno è quello che credo, e ciò può solo significare che non sono morta.
“E allora perché vedo tutto nero? Non vedo niente di niente, esattamente come fossi morta o abbia gli occhi chiusi. Non so proprio cosa pensare, ma riflettendoci… morire per una sfuriata è altamente improbabile alla mia età, non ho ancora raggiunto i cento anni per avere un infarto in quel modo. A conti fatti, quindi sono ancora viva, anche perché mi sento le membra e sto pensando, cose che una persona morta non può di certo fare”.
Un sorriso amaro mi pervade, e sento di nuovo lacrime di tristezza scendermi dagli occhi sul viso e forti singhiozzi impadronirsi di me, bloccandomi perfino il respiro.
“Già. Non sarebbe un metodo poi male: morire piangendo. Ma non sarei mai abbastanza forte da trattenere il respiro così a lungo e… inevitabilmente ritornerei a respirare”. Mi giro di fianco e mi aggrappo a quello che il cervello registra come un lenzuolo. Questo mi fa sussultare e spalanco gli occhi, quindi stranamente i singhiozzi s’interrompono per far spazio ai dubbi, che si fanno prepotentemente spazio nella mia mente.
“Dove sono? Non eravamo sul terrazzo?”.
A evidenziare certi dettagli sento uno strano suono: un mugolio proveniente dalle mie spalle che mi fa girare, anche se essendo ancora intorpidita trascino con cautela gli arti. Vago con le mani, in cerca di qualcosa che mi dia un indizio sulla provenienza di quel suono ma sento solo le lenzuola, e temo di aver sbagliato tutto, quando all’improvviso però, sento qualcosa di consistente al tocco e ritraggo le mani.
“Ho paura pure di ciò che non vedo… sono un caso disperato”.
Provo a farmi coraggio e, riavendo quello sconosciuto contatto mi balenano mille immagini e ipotesi, quindi ritraggo di nuovo le mani verso di me per lo stupore ma ancora non capisco bene cosa io abbia toccato: solo una fastidiosa se pur improbabile ipotesi mi attraversa la mente. Riavvicino con un po’ più di coraggio le mie sottili dita curiose e, nel ritrovare il contatto con quel qualcosa che non riuscivo prima a identificare, all’improvviso l’ipotesi si trasforma in consapevolezza e decido di esplorare un po’ più audacemente l’oggetto in questione per accertarmi che sia reale, e non una mera illusione della mia debole mente ancora sotto shock.
“Sembra tutto reale, tutto disgustosamente reale. Non mi sto sognando niente. Voglio tornare alla mia solitudine, tranquilla e sicura solitudine. Però, tralasciando questo particolare… con chi sono adesso? ... che situazione pietosa… Mente adorata, da quando ti rifiuti di carpire anche i puri e semplici fatti? Sono con quello sconosciuto. Già, ci voleva uno sconosciuto per salvarmi… ma che dico? Salvarmi? Mi ha condannata… ad una lunga e miserabile e, soprattutto inutile vita di solitudine e monotonia. Odio la monotonia ma è la condizione in cui irrimediabilmente sono caduta, con o senza l’influenza negativa di mio padre. Perfetto, anche in questo momento riesco a pensare a quel…”.
Emetto un ringhio strozzato per non rimettermi a urlare come una pazza.
“Tanto ormai mi sono abituata ad avere dentro solo pazzia, rabbia e dolore e non posso tirarli fuori tutti assieme, ma nemmeno separatamente. Devo tenerli in me, o anche debellarli proprio non sarebbe una cattiva idea ma non è possibile”.
All’improvviso, sento il corpo dello sconosciuto muoversi sotto il mio delicato ma insistente tocco.
“Si sarà svegliato. Avendo percepito che lo sto toccando, si sarà infastidito”.
Ritraggo ancora le mani consapevole che non mi servirà più capire, perché so già cosa e chi mi trovo davanti. Non faccio a tempo a muovere un altro muscolo che mi sento tirare da un braccio, e ora sento tutto il calore possibile di questo mondo avvolgermi mente e corpo, il quale ormai credevo congelato.
“Più che altro la mente e il cuore lo sono, perché il mio corpo stranamente non va di pari passo, per niente”.
Sento il ragazzo mugugnare di nuovo per poi sbadigliare leggermente ma non ne sono del tutto sicura, dati il calore e il profumo di pulito delle lenzuola, i quali non mi lasciano affatto ragionare.
«Ehi, bellezza! Finalmente ti sei svegliata». Biascica e sbadiglia nuovamente.
“Dev’essere proprio stanco, è tutta colpa mia”.
Emetto un lieve sospiro sconsolato e depresso.
«Se stai ancora piangendo dimmelo, perché con questa oscurità non vedo niente».
«Già… l’oscurità…». Sto per perdermi nei miei pensieri quando mi distoglie fortunatamente, riportandomi al presente.
«Come ti senti?».
«Non volevo svegliarti».
“Ha ragione, sto per piangere e, di certo non perché l’ho svegliato. Ma perché il solo essere io stessa sveglia e, … ancora viva, mi provoca un dolore insopportabile, insostenibile. Vorrei essere un tipo freddo, così la semplice solitudine non mi toccherebbe nemmeno di striscio. Ma anche qua la ‘fortuna’ non è stata dalla mia. Piango e piango e, piango, perché tanto… che altro posso fare? Quanto posso essere negativa in un solo secondo di riflessioni. Tanto, è ufficiale”.
«Non dirmi che ti preoccupi per me…».
«No». Piango più forte.
«Ah… grazie eh… dopo che ti ho portato nel mio covo segreto e ti ho tenuta in vita». Ride divertito alla fine, mentre inizialmente credevo si fosse offeso.
“Questo tipo sembra incomprensibile anche per una riflessiva ossessiva compulsiva, come me”.
«Comunque… ti chiederai dove siamo o che ci faccia tu qui, con me: uno sconosciuto».
“Sì, forse solo un po’”.
Tutto è offuscato dal pianto, e dal dolore allo stomaco e al cuore, che ancora è presente e non smette di lanciare scariche di dolore, come una ferita aperta e pure auto inflitta.
«Beh, sei svenuta tre giorni fa e non ho proprio avuto voglia di lasciarti lì o riportarti a casa tua, non che sappia dove abiti… mi sarei informato».
“Perché mi sa tanto di bugia?”.
Il pianto e il viso immersa nelle lenzuola non mi permettono di far seguire una reazione a quel mio pensiero.
«Chissà cosa avresti provato a rifare, o meglio… come ti saresti sentita». Finisce la frase in tono più serio, allora capisco che non ha intenzione di provare qualche sporco giochetto mentale per farmi rinsavire.
“Ne sono felice, avrò pur il diritto di sfogare tutto il dolore che sento, senza dover per forza ragionare per tirarmene fuori. Voglio annegarci invece, nel dolore. Dicono che dopo si riesca a riemergerne più forti, visto che l’annegamento simbolico non ti uccide… in teoria… e invece uccide solo la vecchia parte di te stesso. Non sono affatto d’accordo, ma non posso esserne sicura finché non lo vivo in prima persona, penso. Penso, perché non sono più sicura di nulla. Questa situazione non me la sarei mai aspettata, per esempio. Forse, adesso il mio pianto si può un pelo affievolire, perché sento di non dover trattenermi e, quindi mi sento più libera. Il fato, almeno questa carità me l’ha concessa”.
Stiamo così, attaccati per un tempo che non saprei proprio definire e, mi viene voglia di ammazzarlo per quello che sta facendo per me.
“Non lo gradisco appieno perché non volevo svegliarmi di nuovo con il peso nel cuore dei ricordi della mia inutile e storta vita”.
A pensarci comincio a piangere, quindi giro senza accorgermene il viso verso il suo petto, in un gesto quasi involontario, ma tornando un po’ lucida noto che è nudo. Ho un sussulto, appena accennato come sempre perché sono molto introversa e mi stacco, quasi bruciata.
“Beh, in effetti è bollente, neanche fosse fatto di lava”.
«Non preoccuparti bellezza, non brucio mica» ride. Che bella, dolce e sincera risata. Mi soffermo sulle sue parole… l’ha fatto di nuovo, mi ha come letto nel pensiero. In ogni caso, quella non è la risata di chi si stava per buttare, o forse sono solo paranoica. Sì, questo è più plausibile, sicuramente. Però, devo ammettere che questa sua spensieratezza sta alleggerendo la morsa che sento allo stomaco e alla gola e, anche il pianto si calma un po’. Quella risata mi fa pensare che rida più per le battute che fa lui stesso e, per il proprio spirito allegro, che per altro. Forse ride solo perché gli viene naturale, non come me che ci devo pensare prima di emettere anche un solo suono e, scervellarmi quando sia più consono farlo e quando no. Queste riflessioni come al solito mi hanno portata lontana dal mondo reale, perché mi sento accarezzare la schiena dolcemente senza che me ne fossi accorta prima, in modo fraterno, rassicurante, rinvigorente quasi. Perché sì, ero disidratata. Disidratata di affetto e di calore umano. Non ricordavo già più questa sensazione: di un peso che tenta di sciogliersi come neve al sole. Mi ero quasi abituata a quel ‘peso’ e l’avevo diciamo, accolto in famiglia come parte fondamentale di me, quindi ecco perché fatica ancora adesso ad andarsene. Sento che potrei rilassarmi, smettere di piangere amarezza, sciogliere quel groppo di muscoli che mi blocca la schiena, liberare il cuore, smettere di pensare. Pensare… forse la mia unica e malvagia croce. Però… però sento che uno sforzo il cuore lo sta facendo, almeno uno e forse anche il primo. Il pianto si affievolisce e torno a respirare regolarmente, lasciando cadere sul suo petto lacrime silenziose e solitarie, ora tranquille.
«Adesso scommetto che ti senti un po’ più tranquilla». Sì, ma se lo ripeti ancora finirò per sentirmi solo in ansia e, quindi peggio ancora.
«Sì…. ma…». Il mio tono deve essere risultato un po’ sulla difensiva, perché…
«Ok, ok. Non te lo chiederò più. Certo che con questo buio è più difficile del previsto capirti». Una veloce risatina e, poi riprende…
«Però non amo affatto la luce che mi acceca gli occhi, soprattutto nel cuore della notte mentre sono totalmente rincoglionito. In questo periodo sta succedendo un po’ troppo spesso… con la vita che faccio, il mio coinquilino che è ogni volta più mestruato della prima… a volte penso davvero che lo dovrei incatenare per una settimana al letto… ma poi mi ricordo che se lo facessi, dopo averlo slegato sarebbe solo un tornado di dimensioni gigantesche perché ha covato, covato e ancora covato contro di me, cioè quello che l’ha tenuto bloccato. Quindi, come potrai ben immaginare… non so proprio che pesci prendere in alcuni casi». Me lo immagino con quella espressione finta rassegnata ma divertita che adoro tanto quando la vedo, soprattutto in un ragazzo che mi piace tanto… già, come lui. Sorrido e… rido. Cos’ho appena fatto, scusa? Ho riso. Ho riso? Perché ho riso? Non c’era niente da ridere. In tutto questo mi tiene ancora stretta a sé per la schiena e, quando mi sente quella breve risata smette quel bellissimo movimento tranquillante sulla mia schiena.
«Ehi bellezza, hai riso… hai davvero riso per me e una delle mie squallide battute, sono in paradiso!». Esclama concitato.
«Hai un coinquilino? Beh era comprensibile, con quella testa bacata non potevi vivere davvero da solo». Ora sto davvero sorridendo. Voglio dire, ho fatto una battuta, da quanto non ne facevo una, volendolo veramente intendo e, senza sentirmi poi stupida… e da quanto non sentivo la voglia di sdrammatizzare o fare della comicità per il solo gusto di farla.
«Beh, non mi pare sia un problema se mi faccio un po’ coccolare, con tutti gli aiuti che gli concedo… rischio anche la vita per lui. Quindi non può dirmi proprio niente. In realtà, me ne dice di tutti i colori… ma non lo fa sul serio». Sorrido di nuovo, sì sì… chissà cosa intende per rischiare la vita e per coccolare, saranno amanti. Dio, non me ne va bene una. Ma che vado a pensare? Sono proprio un’egoista, se sono felici non mi dovrei immischiare. Ma aspetta… che scema, mi ha detto di voler attirare ragazze appena ci siamo conosciuti. Forse ha mentito… ma perché avrebbe dovuto farlo? Per trarmi in salvo? Ecco… i dubbi e quel senso di peso mi attanagliano nuovamente. Che strazio!
«In che senso rischi la vita?». Chiedo cauta, cercando di mantenere un tono quasi scherzoso.
«Nel senso che quel dannato culo gliel’ho salvato io da quello sporco edificio, l’ultima volta» ribadisce serafico. Sporco edificio e culo in una sola frase non sono proprio tanto rassicuranti…
«Continuo a non seguirti… Tizio!». Vorrei chiamarlo col suo nome ma mi sono accorta di non saperlo e, così l’ho preso in giro col nomignolo come quello che lui ha usato la prima volta con me… di certo bellezza non è adatto a me, fredda, riflessiva e… scioccamente indiretta e, cauta.
«Purtroppo non posso dirti il mio vero nome ma puoi chiamarmi ‘bellezza’… mi starebbe proprio a pennello». Adesso sfoggia una risata di pancia parecchio divertita, contraendo i muscoli facendomi di conseguenza sussultare. Cosa che mi auguro non succederà a ogni suo minimo movimento.
«No, non penso».
«Perché no?». Mi sembra già di immaginargli stampato sul viso uno sguardo quasi ironicamente beffardo e… malizioso? Il buio mi lascia il beneficio del dubbio e preferisco così, non sono mai riuscita a sostenere uno sguardo del genere. L’ho già detto che sono troppo codarda? Credo di sì, ma non basta mai.
«Per favore… non guardarmi così… intendo: non è da me esser così sfrontata, anche se ti conoscessi e fossimo in… intimità». Deglutisco alla sola idea, anche se non mi dispiacerebbe affatto.
«Come ti sto guardando bellezza?». Intravvedo delle iridi chiare e divertite davanti a me farsi strada nel buio, a un dito dal mio naso, i miei occhi si stanno abituando al buio… purtroppo.
«Pervertito» arrossisco violentemente «Ti stai prendendo gioco di me». Sbuffo leggermente infastidita.
«Pervertito? Ma come? Non ero un fighettino viziato di merda?». Si finge risentito ma ormai vedo chiaramente la sua espressione e, la lucentezza che in questi giorni hanno acquistato i suoi occhi. Se possibile, sono ancora più belli così luminosi e lucidi, quel giorno invece sembravano leggermente arrossati e nel colore tendevano al grigio, pur distinguendosi i due colori predominanti. La sua faccia da schiaffi però non mi impedisce di ridere un’altra volta… mi sta proprio contagiando… ‘bellezza’, che però io chiamerò ‘Tizio’. A proposito, perché non potrei sapere il suo nome?
«Posso farti una domanda prima che ti esalti ancora per avermi fatta sorridere?».
«Veramente a me quella sembrava una risatina in piena regola…». Grugnisco lievemente, in faccia a Tizio e lui finge uno sbuffo scocciato e mi cede la parola con un tacito assenso.
«C’è un motivo particolare per cui non posso sapere il tuo nome? Non sembrava una battuta, ma non me ne spiego il motivo… non sarai mica un mafioso». Ho sempre voluto fare questa battuta. E non mi aspetto di certo una risposta ma mi diverte pensare come l’altro si incastrerà e farneticherà scherzosamente per farmi capire che non è come sostengo. Certo che, però potevo evitarla con un mero sconosciuto… e se lo fosse davvero? NO! Non vedo l’ombra di tutto ciò e, certe cose le sento perfettamente. Però non sento arrivare nessuna risposta… che fa? Non mi starà prendendo in giro… vero? Altrimenti mi alzo seduta stante e me ne vado.
«Veramente dolcezza… non ho ancora ammazzato nessuno, quindi tecnicamente non lo sono». Cosa?
«Dolcezza? Non ero: bellezza?».
«Te ne sei accorta eh? Certo che mi metti in difficoltà così… non mi aspettavo proprio una domanda così da te e, così a brucia pelo, poi. Certo, dovrei mentire…».
«Eh?». Mi scappa spontaneamente per la sorpresa, la quale comincia a far spazio a una lieve ma sensata paura.
«Aspetta, aspetta fammi finire, altrimenti sembrerà che io sia una persona orribile». Non mi stai per niente aiutando a mantenermi zitta ad ascoltarti, cazzo! Stringo le mani a pugno, ancora schiacciate tra i nostri corpi, per il fastidio e la rabbia che servono a coprire la paura dentro di me.
«Non so come spiegartela una cosa del genere… non è come appunto dire… sono un mafioso. Che io non sono, ribadisco. Diciamo che aiuto il mio ‘coinquilino’ nelle sue ‘avventure’. Ah e, sono un informatico». Vorrai dire un truffatore informatico…
«Vorrai dire un hacker, perché chiunque può essere un informatico al giorno d’oggi». La mia voce è più dura di prima perché non sopporto che mi si dicano mezze verità, soprattutto quando non so di cosa si parla.
«Eh, già! Non immagini neanche quanto». Cos’è questo tono adesso? Sembra… dispiaciuto? Perché dispiacersi con un’estranea? Beh, visto come mi ha trattata finora non credo abbia cattive intenzioni, infondo è questo l’importante, no?
«Spiegami». Lo invoglio a parlare, tanto ormai ha cominciato, che vada fino infondo.
«È complicato bellezza». I suoi occhi sono ancora mogi, mogi.
«Certo che voi uomini siete proprio tardi, eh…». Lascio cadere la frase in modo da fargli capire che si può fidare di me, mi sembra più intelligente degli altri che ho conosciuto. Decisamente più intelligente, lo è più di quello che dimostra e, la mia era solo una semplice offesa di provocazione. Ride lievemente e mi fa increspare le labbra in un ‘tenero’ sorriso, uno di quelli che non ho quasi mai espresso perché non sono affatto tenera. Incurva la schiena per posizionarsi più comodo.
«Sei davvero decisa a scoprire i loschi segreti di questo sconosciuto soprannominato ora Mafioso, ma che si chiama ‘bellezza’?».
«Tizio» lo correggo. Non lo chiamerò mai ‘bellezza’, non mi abbasserò mai a tanto, che orrore.
«Certo… beh, allora… da dove inizio?».
«Da Adamo ed Eva». Gli rispondo seria e lui, come supponevo inizia invece con una battuta, ma se ne pentirà.
«Ah sì? Ma non ne so molto, non ho avuto molto tempo e soprattutto voglia di studiare la bibbia secondo pierino». Gli sferro un pugno sullo stomaco per quanto posso, vista l’assenza di spazio tra noi.
«Ah! Mi hai ucciso!» ride orgoglioso della sua resistenza «Va bene, allora… come avrai già capito… non centra la voglia… non ho proprio potuto studiare… almeno non cose normali, quelle erano frammentarie perché avevo tutto un altro tipo di percorso. Tra l’altro non ci hanno insegnato a credere nelle religioni, se mai in noi stessi e nel mondo, ma nemmeno in quello, sono io che sono un inguaribile ottimista». Sorride a questa sua affermazione. Dio, vorrei non vedere altro in questo momento, se non fosse che praticamente sta per dirmi di essere un criminale.
«Però sembri molto più intelligente di me che il liceo l’ho finito… da un pezzo ma l’ho finito. Anzi, sembro aver risentito molto più di te per la mancanza di studio e comunque non è questo che volevo sapere, quindi non ti interromperò e ti lascerò andare avanti, magari riesci ad emozionarmi con una storia, quasi quanto i miei libri preferiti». Lo punzecchio. Spero proprio che reagisca e finga di volersi impegnare al massimo per ‘eguagliare’ i suddetti libri, con il suo racconto. Infatti, mi guarda divertito con la sfida negli occhi e il sorriso sulle labbra… e che labbra… ehm… torniamo a concentrarci va là, non c’è dubbio che anche lui a quest’ora riesca a vedere le mie espressioni e, dove guardo…
«Ah… allora è una sfida! Ma bene, però sappi che non perdo quasi mai le sfide… e quel quasi lo colma il mio compagno di casa che invece non le perde proprio mai, è un genio assoluto. Sicuramente molto più intelligente e arguto di me… anche un fottuto figlio di puttana, però dai, gli voglio bene in ogni caso». Non è molto normale chiamare il proprio amico: fottuto figlio di puttana… sarà un modo di dire.
«Va avanti Tizio…». Va bene che mi dai indizi anche con le battutine ma io voglio sapere di te, non del tuo… compagno… mah.
«Ehi…». Sospiro esasperata, roteando gli occhi e continuando a fissarlo come a invogliarlo a continuare, non posso sempre essere dell’umore adatto per le battute, ma soprattutto non lo sono di natura.
«Va bene, va bene bellezza, vai avanti». Mi fissa per un assenso e gli sorrido compiaciuta che abbia capito.
«Allora, ti evito sconci dettagli…». Mugugno di disappunto ma me ne pento immediatamente, perché è come affermare apertamente che mi piaccia, solo che ormai l’ho fatto e lui se ne sarà sicuramente accorto. Ma sì, tanto è solo uno sconosciuto, che m’importa se capisce o no cosa penso? Mi stavo per suicidare proprio perché mi preoccupo sempre di quello che pensano gli altri. Stranamente però, va avanti col racconto… mi aspettavo una battuta o un versaccio ironico, meno male.
«Sono orfano… fin dall’infanzia, la mia amata famiglia mi è stata strappata alla bruttissima età di dieci anni. Per fortuna, o per sfortuna… dipende da come la si vuole vedere, sono stato trovato da un santo uomo e portato nel suo personale orfanotrofio in Inghilterra. Comunque non sono inglese ma americano. Non sono nemmeno sicuro di dove precisamente sia nato, ma… mi piace pensare di esser nato a Los Angeles. Che significa Angeli, giusto? Un significato intrinseco molto nobile e poetico. Per uno ateo e menefreghista come me… è un bel pensiero, non trovi?! Ma lasciamo stare, non è importante. Appunto, sono stato portato all’orfanotrofio e lì sono stato addestrato, per così dire a essere una specie di successore di un certo L, chiamato con molti nomi per mantenere al sicuro la propria identità, in quanto miglior detective al mondo. Era un uomo fantastico secondo me, non so se ne hai mai sentito parlare ma probabilmente no, era così sfuggente che non l’avresti trovato nemmeno dopo cent’anni, lui solo poteva trovare te. Un genio anche in campo informatico, certo non come me». Ride energicamente e questo mi riempie il cuore di gioia, vuol dire che la morte di questa persona non è più o non è mai stata un dramma per… Tizio. Accidenti, devo scoprire il suo nome. Comunque, è bello non vedere quasi nulla e, quindi non doversi concentrare che sulla sua voce. Gli occhi per me sono sempre stati un ostacolo.
«Questa persona come la conoscevi se era così sfuggente?». Sono curiosa all’inverosimile, la sua storia è oltre modo avvincente e la sua voce basta a farlo ‘pareggiare’ con la bellezza dei miei libri. Che tremenda che sono. Sorrido al pensiero.
«Beh, perché ogni tanto veniva a farci visita… o ufficialmente o in incognito, facendoci capire solo molto tempo dopo che era lui a esserci stato affianco, ma in generale mi ricordo molto bene i pochi incontri che abbiamo fatto, non direttamente con lui ma con la sua voce in un pc. Sai, sempre per mantenere la privacy. Ah, che genio. In effetti ci sarebbero stati parecchi problemi se fosse stato visto da almeno metà dei ragazzi che gira per quell’istituto. L’ho capito solo ora che sono successe tutte queste cose… e lui… ancora prima che accadessero le aveva intuite, così da poterle evitare. Voglio dire che conoscendo anche poche parole e gesti di tutti noi ragazzi, si era fatto un’idea oltremodo accurata dei nostri profili e quindi si era comportato di conseguenza con ognuno di noi. Per esempio, e ci sono arrivato sempre molto dopo, ovviamente: a me non ha mai chiesto di vederlo di persona per conoscerlo, fargli delle domande o che so io, sai perché? Anche se non centra poi molto…». Penso sia quasi indispensabile invece, caro il mio ‘rosso’.
«Dimmi, tanto ti devo ascoltare lo stesso e non ho niente da fare, ti pare?». Vedo che mi sorride gioioso, come dire che gli ho rivelato la cosa più bella del mondo… esagerato.
«Ok. Lui non mi ha mai incontrato semplicemente perché non ero interessato a diventare come lui, o a incontrarlo per davvero, forse ogni tanto ma era solo un capriccio, infatti è una cosa per cui non ho mai penato. L devo dire che me l’hanno descritto come un tipo un po’ competitivo e freddo, quindi tutto torna». Dubito sia così ma vai pure avanti: gli faccio capire con un accenno del capo e, lui va avanti.
«Poi c’è un altro personaggio importante della mia vita, di cui non posso non parlare. Che è proprio un personaggio… come dite qua. Parlo del mio coinquilino, amico, compagno di avventure o, dovrei dire sventure, confidente ecc, ecc, ecc». Lo vedo sorridere con dolcezza e divertimento negli occhi parlando di questo ragazzo, dev’essere proprio speciale anche se ho potuto constatare che il Tizio che ho di fronte non è gay, quindi non lo sarà nemmeno il suo coinquilino altrimenti dubito rimarrebbero nello stesso appartamento, senza che l’altro gli salti addosso. Beh, sono sollevata… per così dire, chissà che altro c’è dietro a questo sorriso da angelo.
«Ah sì, oltre che tutto questo è anche il mio capo, non perché lo sia veramente ma perché è fatto così e io gli sono troppo affezionato per andargli contro o, peggio…». Si rabbuia leggermente al pensiero di quello che dovrà dire, si capisce perfettamente cosa intende.
«Abbandonarlo… infondo, anche un capo ha bisogno di un amico e una spalla. Un capo non è mica perfetto, giusto?!». Già.
«Giusto». Potrebbe essere anche un assassino, ne dubito, ma mi sembra comunque un ragazzo d’oro, da non farsi scappare in poche parole.
«È una furia in tutto quello che fa, si incazza come niente ed è la persona che forse temo di più e, allo stesso tempo di meno. Questo perché so che non mi farebbe mai niente… specialmente dopo l’episodio all’orfanotrofio». Esita, forse non trova le parole per continuare, ma i suoi occhi dicono tutto. Un episodio finito parecchio male a mio avviso.
«Lui, il mio migliore amico mi abbandonò all’improvviso, senza dirmi nulla e dandomi le spalle, con la sua solita furia omicida negli occhi e nei movimenti, che però in quel momento non riuscii a gestire perché ero ancora piccolo e, soprattutto demoralizzato dalla notizia di non poter più rivederlo». A questo punto sospira pesantemente e mi arriva una ventata d’aria calda sul viso, che mi fa fremere impercettibilmente. Da quanto non sentivo questo tepore, questo calore umano, questa vitalità che mi scorre addosso. Abituata come sono ad allontanare gli altri, non ne ero più neanche consapevole, non me lo ricordavo neanche più e, potevo anche immaginarmelo ma non era affatto come averlo davvero a un palmo dal naso. Comunque, gli deve esser pesato molto quell’episodio, come pensavo. Uno come lui non emetterebbe un suono che sia uno se non fosse importante, al massimo farebbe una battutina facendo cadere il discorso. Gli appoggio una mano sull’avambraccio per incoraggiarlo ad andare avanti, magari ne ha bisogno anche lui, non lo posso sapere. A questo gesto lo sento fremere e contrarre i muscoli dell’avambraccio, ma non voglio badarci in questo momento e stacco la mano incriminata dalla sua pelle.
«Ti va di andare avanti?». Mi guarda fisso negli occhi, che ora brillano anche più di prima. Possibile? Con questo buio sarà solo un riflesso. Lo vedo distogliere lo sguardo e sospirare, ancora ma prende nuovamente coraggio e continua il suo racconto, che ora più che mai… di sicuro mi sta prendendo più d’un libro.
«Certo…».
“Il caro vecchio ‘bellezza’ è andato a farsi fottere… Uff! Non dovevo toccarlo, siamo troppo vicini, ma… mi farebbe addirittura male distaccarmi e,  poi sono sicura che non me lo permetterebbe, pensando che io me ne voglia andare”.
«Beh… dopo quello schifoso giorno… in cui non mi dilungo su come mi sentii… anche se una bella seduta con una psicologa mi farebbe passare gran parte di tutto… dicevo, dopo quel giorno, ancora quello dopo avevo la gioia sotto le scarpe ma mi decisi a cambiare il mio modo di vedere il mondo… peggio di come lo vedessi prima, a causa della morte dei miei… ti lascio immaginare cosa diventai. Però, il ricordo e soprattutto la voglia di rivedere il mio amico non se ne andava in nessun modo… bevendo, scherzando, fumando… pippando. E chi più ne ha più ne metta…». Continua cantilenando per far apparire tutto meno deprimente e sconcertante, povero ragazzo. Possibile che un amico possa fare quest’effetto? Dev’essere proprio un tipo particolare… ma questo l’avevo già capito, quindi non ha molto senso stupirsi.
«Ma… dopo un po’ mi sono detto che era inutile andare avanti a buttar via la vita e, siccome ancora non me lo scordavo… d'altronde come potevo? Non c’era nessuno con cui sfogarsi o impiegare il tempo libero in quel posto…. tutti troppo occupati da se stessi, le proprie passioni, i propri obiettivi e…. la maledetta successione. Decisi che lo avrei ritrovato anche se fosse stato impossibile. Lui non è sfuggente, al contrario è ingombrante ma basta un passo falso o una voce di troppo, e sei morto. Nel mio caso, non morto ma nei guai sì, eccome… perciò dovetti usare tutte le tecniche di spionaggio che conoscevo e… pianificare, cosa che proprio mi risulta insopportabile… però dai, col tempo ci ho un po’ legato, altrimenti non andavo da nessuna parte. Soprattutto nel mio ‘lavoro’ è impossibile non pianificare le azioni da compiere».
«Hai detto spionaggio… cosa sei, un investigatore? Anche se dalla tua prima reazione non si direbbe proprio, anzi sembra che tu debba essere uno dei peggiori furfanti» sorrido lievemente, divertita dal fatto che adesso sono io a far battute per alleviare il suo umore, sempre che ce ne sia bisogno «Comunque, adesso che ci faccio caso, lo parli davvero bene l’italiano. Alla fine mi devi proprio spiegare il perché dell’azzardata decisione di trasferirvi in Italia, in questo buco di stivale che sembra isolato dal mondo da quanto è messo male».
«È semplicissimo bellezza…».
«No… alla fine… Bellezza». Profilo in un sussurro, mi vergogno troppo, ma la vicinanza gli permette purtroppo di sentirmi e anche troppo bene e, infatti esulta soddisfatto. Cosa mi è saltato in mente…
«Mi hai chiamato bellezza… a-ha! Che gioia, sono riuscito a fartelo dire. Che bello! Ora posso lasciarti andare, sei guarita» ride di gusto. Allora fingo di allontanarmi.
«Beh, se è così…». Comincio con finta tristezza nella voce ma i miei occhi dicono tutt’altro… gli poggio le mani sul petto, un’altra volta…. devo essere proprio tarda, non do ascolto nemmeno a me stessa. Poi, mi allontano un poco ma lui è subito pronto a trattenermi a sé per la schiena e cerca in tutti i modi di restare spiritoso e di ignorare la situazione che si sta creando.
«Eh no… stavo solo scherzando… e poi mi hai promesso di non interrompermi e di farmi finire il mio racconto». Sorride divertito ma vedo un’altra nota in quello sguardo, che per ora catalogherò come ‘da ignorare’ …
«Va avanti Tizio…». Lo ammonisco con voce fintamente brusca e fredda.
«Mi mancherà ‘Bellezza’. Dov’ero rimasto? Ah sì!» solleva un dito in aria per puntualizzare «Dopo un anno di ricerche estenuanti e… pericolose, molto pericolose, sottolineato mille volte, lo trovai e… penando per farmi riconoscere, perché a quel punto ero abbastanza cambiato, ci riunimmo. Pensa, che da quando se ne andò dall’orfanotrofio passarono due anni e, poi ne passò un altro per cercarlo, in più avevo preso a tingermi i capelli sotto consiglio di una, quindi ero già arrivato ad avere diciotto anni e, soprattutto noi ragazzi a quell’età cambiamo da così a così nel giro di pochissimo. Ma tu lo saprai meglio di me… chissà quanti ne avrai frequentati a quell’età…». Sospiro pesantemente, ma che cazzo stai a dì Tizio? Ne ho frequentato uno per due stupidissime settimane a diciotto anni. E poi, è stato anche peggio. Tutto è stato peggio. Sbotto e stringo gli occhi a due sottili fessure, per la rabbia che questo ricordo mi provoca.
«Ehi, ehi! Gradirei che ti concentrassi sul mio racconto e non pensassi a nient’altro signorina ‘Bellezza’». Profila divertito… e ‘risentito’, non è mai serio questo ragazzo, accidenti a lui.
«Certo… ‘bellezza’» rispondo acida, ma poi mi do un po’ di contegno «Ma sei tu che mi hai fatto quella domanda implicita. Beh, non voglio rispondere e preferirei che andassi avanti… senza far riferimenti alla mia di vita, diciamo che la mia vita in generale è un tasto dolente per me. So che forse sono troppo drammatica e negativa, ma… anche fosse? Se sono nata così, non ci posso fare niente». Mi guarda… sembra stare pensando a come continuare e, se… continuare.
«E continua…». Lo sprono sorridendo e distogliendo lo sguardo, tirandogli un pugnetto sul petto.
«Certo. Da lì ci riunimmo e iniziarono solo i guai, solo che stranamente non mi importava più di tanto quello che avrei dovuto fare, mi bastava essere con lui»
«Disse quello che non voleva attirare il sesso maschile…».
“Incredibile… ho fatto una battuta”.
«Ah! Adesso mi dai anche del gay mancato… beh, se la lista non è completa dimmela tutta adesso». Adesso non è più così buio, si intravvede un po’ di luce penetrare dalle serrande che barricano questo posto e quindi lo vedo perfettamente. Ha gli occhi che brillano, questa situazione… con me o con una donna in generale, non gli dispiace affatto. Altro che gay. E poi, come mi ha stretta a lui prima… per ben due volte. Sospiro per calmare le sensazioni che sto provando e, per ignorare i brividi che mi stanno attraversando. Rovinerei soltanto questo momento, magico ma in bilico su un filo sottile che lo divide dal totale disfacimento di esso stesso.
«In ogni caso… cosa intendi con… qualsiasi cosa? Ti ripeto… non ti interromperò. E l’avrai capito anche tu… intendo che non ti giudicherò fino a che non mi dirai che hai finito il tuo racconto o, non vorrai fermarti». Impegnativa come promessa.
«Sì, l’avevo intuito…» si fa più serio, evidentemente apprezza questa mia decisione e l’accoglie seriamente ma di buon grado, avrà qualcosa di ‘spinoso’ da raccontarmi «Beh, intendo che… dovendo risolvere un caso dopo l’altro ma soprattutto quello di quei tempi… ecco, lui non viveva come un santo di sicuro e dovendo seguirlo, stargli dietro, mi sono dovuto immischiare con la mafia americana, tra l’altro proprio nella mia città, non in Inghilterra dove sono cresciuto».
“È quasi triste, in effetti dover vivere come un mafioso senza volerlo dev’essere brutto ed è un eufemismo”.
«Avrei preferito almeno che non si dovesse lavorare proprio in quella città che una volta tanto amavo, ma in Inghilterra che mafia mai si poteva trovare? E, di conseguenza, che razza di potere si poteva ottenere, per poi utilizzarlo per catturare e incastrare quel dannato assassino? Dimmi te, tutto per un solo stupido dannato ragazzino». Sbatte un pugno sul materasso. È... arrabbiato. Non l’avevo ancora visto così. È bello pure ora, mi trovo a pensare… non sono proprio capace a concentrarmi sulla realtà.
«Ora è tutto a posto con quell’assassino?». Lo fermo prima che scaturisca in una scenata e si perda nella rabbia del momento. Beh, in effetti quella sono io, però con mio padre mi sono abituata a essere una specie di psichiatra, quindi magari funziona anche con questo ragazzo. Ecco perché la mia vita è rovinata. Non ho mai potuto essere me stessa, essere umana o normale, son sempre dovuta essere diversa e distaccata e, infatti non so come lui possa sopportarmi ancora… mi ha anche tenuto con sé, un caso umano come me. Mi sento quasi fortunata adesso, pensa un po’.
«No, cazzo!». È ancora incazzato ma ora che ho le difese abbassate non riesco a contenere le mie reazioni o a prevederle come faccio di solito, così da reagire di conseguenza, così sussulto e spalanco gli occhi. Tizio se ne deve essere accorto perché con molta calma, come non fosse successo nulla…
«Scusami, non volevo spaventarti. Ci ho quasi rimesso la pelle e il mio coinquilino peggio ancora, lui un po’ ce l’ha rimessa davvero. È rimasto coinvolto in un’esplosione e, adesso sul viso ha un’enorme bruciatura cicatrizzata che lo sfregia per tutta la metà sinistra. È stato terribile trovarlo immerso nelle fiamme e ridotto in quello stato. Tu non l’hai ancora visto perché ci ha gentilmente lasciato la casa libera oggi, ma vederlo ora non sarebbe niente in confronto a quello che ho visto quel giorno io. Mi sconvolse pure il fatto che prevedevo già come l’avrebbe presa una volta vistosi allo specchio. E infatti, se non lo avessi calmato avrebbe messo a fuoco e fiamme il nostro stesso covo. Sarebbe stato capace. Perché lui le fiamme mi sa che le ha direttamente nell’anima, però te l’ho detto anche prima. Dipende… con chi è e come gli si parla. Non ha vissuto una bella vita nemmeno lui e ovviamente ha un carattere opposto al mio, o a quello… per esempio di L. O di un nostro vecchio compagno di orfanotrofio».
«Mi divorerebbe». Rido brevemente per poi tornare seria, perché penso non sia un argomento propriamente scherzoso, non voglio esagerare.
«Sì, infatti…! Ovviamente non glielo permetterai mai». Drizza la schiena e solleva nuovamente l’indice, orgoglioso come quando l’ho conosciuto giorni fa.
«Ma io veramente intendevo in un altro senso». Lo stuzzico con un sorrisetto malizioso, voglio vedere fin che punto va avanti a far lo spiritoso. Andiamo. Vorrebbe proteggermi? Sono un’estranea e, lui è un detective con una vita da nascondere per non avere grane… non gli passerebbe mai per la testa di mettersi nei guai per così poco. Però, per ora devo ammettere che è piacevole parlare con lui. Poi, dovrò ritornare alla realtà e uscire da questa bolla di tranquillità, spensieratezza e leggerezza, dove sto provando in una sola volta tutto quello che non ho potuto in un’intera vita. Ma intanto mi godo questi bei momenti.
«Ah sì, e in che senso intendi?». Sembra preoccupato… ma che è, scemo? Era una battuta la mia…
«Be sai, hai detto che ha il fuoco dentro…». Rispondo con finto disinteresse nella voce.
«Ah! Ma dai… lo sapevo che non dovevo parlarti di lui subito. Se le prende tutte lui quelle che conosco e finora non mi sono mai lamentato visto che c’è il libero arbitrio per tutti e… tutte, ma insomma, che cavolo». È proprio un amore quando se la prende… per finta, credo, spero.
«Sei proprio un bravo ragazzo Tizio, per me ti sforzi anche di non essere volgare ma di questo non ti devi preoccupare, ci sono abituata e preferisco il linguaggio scurrile a quello falso. In ogni caso, non ti chiamo bellezza… sai perché? Ed è un altro dei vari motivi» gli chiedo serafica «Perché lo sei veramente. Comunque, per mia sfortuna ho preso il carattere da mio padre, inoltre ho un fortissimo senso della giustizia e della vita, quindi… non penso proprio che mi avvicinerei a un tipo come il tuo amico».
«Davvero? Perché, che carattere hai?».
«Non credo ti serva chiedermelo. Lo hai visto tu stesso, no? Ci scanneremmo a vicenda. E comunque devo ammettere che non te la sei cavata tanto male… dopo tutto». Continuo tranquilla, ma decisa a fargli capire che non mi è indifferente. Infatti…
«Davvero? Quel dopo tutto alla fine me l’aspettavo, è tipico, mi becco sempre qualche rimprovero alla fin fine, non riesco in nessun modo a evitarlo». Ride lievemente passandosi una mano dietro la testa, come se fosse in imbarazzo.
«Comunque sì, davvero».
«Me lo sentivo che ti avevo fatto cambiare idea, almeno un po’».
«Su questo ci ritorneremo… comunque intendevo che…». Prendo un bel respiro per farmi coraggio, ogni tanto lo dovrò pur tirar fuori… ma tentenno, non sono mai stata abituata a questo genere di conversazioni. Sbuffo… questo sì che mi sprona e, quindi riesco a continuare.
«Che a pensarci bene… non mi sei indifferente, ecco. Ammetto che al mio ‘convincimento’ ha contribuito un po’ anche la tua… personalità». Non voglio sbilanciarmi oltre, ho detto anche troppo per i miei standard.
«Bellezza… così mi fai arrossire». Che spiritoso, sono io a essere avvampata come un kaiser.
«Come no… vai avanti Tiziettino». Provo a sviare il discorso e, sono molto ma molto contenta che lui lo accetti.
«D’accordo… dov’ero rimasto? Questo racconto non avrà mai fine… ma infondo era questo l’obiettivo» mi squadra. Mi dà fastidio quando mi squadrano enormemente, chiunque sia. Prego che davvero vada avanti e, non mi lasci ad annegare nell’imbarazzo.
«Se ti piace così tanto parlare allora non credo di essere la persona giusta… sono molto silenziosa e quasi non reagisco». Fingo di nuovo di spostarmi da questa posizione ma è evidente che non me ne voglia davvero andare da lì eppure lui mi ferma, di nuovo. Questa volta per il fianco sinistro, quello libero, visto che sono sdraiata di fianco. A questo punto non mi sento andare a fuoco solo le guance. L’ho già pensato e lo penso ancora, sto provando in una volta tutto quello che non ho provato in una vita e, non mi dispiace affatto. Il problema è che mi sento agguantata e sommersa da tutte queste emozioni. Beh forse esagero a dire che non le ho mai provate, dai non è vero. Però… erano anni, anni su anni. Deglutisco nuovamente, più rumorosamente di prima, mi sento la gola secca e le guance come tutto il resto andare a fuoco ma non riesco proprio a staccarmi dalla sua dolce morsa.
«Ti sei proprio preso a cuore la mia causa persa». Constato con tono quasi sensuale ma intimidito, mentre ancora mi tiene ancorato il bacino con la sua mano, una mano grande e calda ma non viscida e, in più c’è da dire che la gradisco visto che è la sua.
   
 
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