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Autore: Susannah_Dean    27/06/2018    2 recensioni
Un'esplosione in un quartiere di periferia, un mistero da risolvere e un pericolo da combattere. Una giornata come le altre su Mobius, se non fosse per un passato che non vuole essere dimenticato e dei legami impossibili da spezzare. Riusciranno i nostri eroi a salvare la situazione ancora una volta, o sarà il destino a lasciarli senza scampo?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Knuckles the Echidna, Rouge the Bat, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Solo quando ebbero finalmente girato l’angolo si concesse un attimo di respiro. – Bene, gente. Sono felice di rivedervi, anche se avrei preferito farlo in un’altra situazione.
- Lo stesso vale per me. – Espio si scrollò di dosso la polvere che le decine di piedi in movimento avevano sollevato dal terreno. – Qualche idea su cosa sia successo nelle ultime ventiquattr’ore? Credo di essermi perso qualche dettaglio.
- Zero assoluto. Da quando mi sono svegliato qui mi è sembrato solo di stare in una gabbia di matti. Voi?
- Lo stesso. – Il camaleonte accennò con un gesto della mano a Charmy, che ora svolazzava in cerchio sopra le loro teste, lanciando occhiate preoccupate a loro e alla folla a cui erano appena sfuggiti. – Ho trovato lui per pura fortuna, e solo perché l’ho trovato che prendeva a calci uno sconosciuto.
- Quel tipo ha cercato di afferrarmi! – Protestò l’ape. – Dovevo difendermi, insomma, sono tutti matti qui dentro!
- Non sono matti – intervenne Hecale con un sospiro. – Sono nel panico. Guardateli. Prima seguono la persona che a loro sembra più forte, poi non appena qualcosa li spaventa corrono di qua e di là come una colonia di formiche. Vergognoso. Non mi sorprende, ma è vergognoso.
Vedendo che i suoi amici la stavano fissando con tanto d’occhi, Vector si affrettò a fare le presentazioni. – Hecale, questi sono Espio e Charmy. Ragazzi, lei è Hecale. Quei gentili signori sono tutti suoi vicini di casa.
- Non li ho scelti io, se ve lo state chiedendo – aggiunse la lupa con un sorriso amaro.
- Lo spero. – A suo credito, Espio non fece alcun commento, anche se lanciò a Vector un’occhiata perplessa che prometteva altre domande in futuro. – Dobbiamo risolvere la situazione prima che peggiori. Per ora sembra che siamo seduti su una bomba ad orologeria senza sapere quando esploderà.
- Tic tac, tic tac, e a un certo punto…boom! – Esclamò Charmy.
- Già. Boom. – Hecale scosse la testa. – Non sappiamo nemmeno da dove cominciare, però. Se solo avessimo qualche idea, se solo…
- Di qua! Di qua!
Vector girò la testa di scatto, aspettandosi qualche altro furbacchione intenzionato ad attaccarli, ma si trattava solo di Zenit. Il ragazzo era poco distante da loro, seminascosto dal muro di una casa, e con le mani compiva gesti brevi e carichi di urgenza. Non l’avevano nemmeno sentito avvicinarsi.
- Zenit? Tesoro, cosa succede? – Hecale stava già camminando verso di lui, prima ancora che il leone spiegasse cosa diavolo gli fosse preso.
- Ho trovato una cosa. Ma dovete venire, veloci. Gli altri non devono prenderci!
- Non ci prenderanno. – La donna alzò lo sguardo su Vector. – Che cosa facciamo?
Il coccodrillo alzò le spalle. – Non abbiamo molte altre opzioni, no? – Disse. Poi, rivolgendosi a Zenit: - Ma spero che sia qualcosa di utile, ragazzo.
Lui annuì bruscamente, poi si voltò e sparì dentro un vicolo. Senza esitare, Hecale gli andò dietro. Vector stava per seguirli, ma si accorse che Espio e Charmy avevano fissato l’intera scena senza dire una parola, e ora non accennavano a muoversi. – Beh? Venite anche voi?
- Un altro amico tuo? – Chiese Espio, inarcando un sopracciglio.
C’erano, al momento, troppe cose da spiegare per andare troppo nello specifico. – Già. Si chiama Zenit, ed è un tipo un po’ strano, ma finora ha trovato gli unici indizi utili in questo posto assurdo.
Era chiaro che il camaleonte avrebbe voluto saperne di più, ma era chiaro che non c’era tempo per le domande, perciò si limitò a scuotere la testa e a seguirli. Charmy, vedendoli andare via con tanta sicurezza, andò loro dietro e rimase a ronzare sopra le loro teste.
Zenit li condusse per un percorso tortuoso, infilandosi in vicoli stretti e bui e continuando a svoltare a destra e a sinistra. Vector era lì lì per chiedergli se si fosse perso, ma il leone aveva un’espressione tanto decisa da convincerlo del fatto che conoscesse davvero la strada.
Quando finalmente raggiunse la sua destinazione, però, questa sembrava una casa come tutte le altre. Zenit tuttavia si infilò dentro all’istante, e Hecale lo seguì con solo una brevissima esitazione. A Vector non rimase altro da fare che fare lo stesso, e alle sue spalle sentì Espio e Charmy fare lo stesso.
Una volta dentro Zenit puntò deciso verso un’altra porta e sparì dietro la tenda che la copriva. Vector fermò Hecale con un gesto e si mise in testa al gruppo. Se il ragazzo si fosse sbagliato, sarebbero potuti finire tutti in qualche guaio, e non sarebbe stato molto cavalleresco far rischiare subito la vita a una signora.
Perciò fu il coccodrillo a scostare la tenda, aspettandosi di trovare un’altra stanza, o una scala che li portasse ad un piano superiore. Rimase molto sorpreso, quindi, nel constatare che c’era sì una scala…che puntava verso il basso.
- Zenit? – Chiamò, sperando che l’altro lo sentisse. Oltre un certo numero di scalini, la discesa diventava sempre più buia, ed era difficile capire quanta distanza avesse già percorso. – Dove ci stai portando, ragazzino?
- La mappa che vi ho fatto vedere! – Fu la risposta, proveniente da pochi metri più giù. Non una gran distanza, quindi, ma notevole da fare al buio. Cosa aveva, Zenit, un sesto senso per i gradini? – C’erano le strade normali, e poi delle altre strade in un altro colore, e quelle erano strade sottoterra, e da qui si va sottoterra!
Gallerie. Passaggi segreti sotterranei. Di bene in meglio. – E non hanno pensato di mettere un interruttore della luce, qua sotto?
Vector non si era aspettato una replica, e anzi aveva già iniziato a scendere un paio di gradini, brontolando sul rischio credibile di rompersi l’osso del collo, quando la voce di Zenit tornò a farsi sentire. – In realtà c’è. Solo che non lo trovo più. – Il ragazzo sembrava quasi preoccupato di averli delusi, ma si riprese subito. – Eccolo!
Una luce si accese in fondo alla scala, mostrando Zenit che, in piedi sull’ultimo gradino, sfoggiava un enorme sorriso. Si ricompose subito, non appena si rese conto che ora Vector poteva vederlo, e scappò via, attraverso un’ennesima porta che stavolta si apriva alla fine della discesa.
Il coccodrillo accelerò il passo, col resto del gruppo alle calcagna. Sperava che Espio stesse tenendo fermo Charmy in qualche modo, perché non era ancora del tutto sicuro che non ci fosse qualche strana trappola là sotto, e il loro piccolo amico era capace di tuffarsi dentro le trappole come…come un’ape nel miele.
Dall’altra parte della porta non c’era nessuna trappola, però, né qualche mostro mangiacoccodrilli. Solo un lungo corridoio, apparentemente scavato nella nuda terra. Alle pareti erano appese innumerevoli lampade elettriche, collegate fra loro da file di cavi.
Tutto sommato, era una scena talmente surreale che forse un mostro mangiacoccodrilli sarebbe stato preferibile.
- Non sembrava esattamente un posto abbastanza sviluppato da avere l’elettricità – commentò Espio. Vector annuì sovrappensiero, perché era tutto dannatamente strano, ma Hecale sembrava preoccupata da ben altro. Si voltò verso Zenit, che era rimasto addossato al muro, fissando la scia apparentemente infinita di luci. – Come hai trovato questo posto?
Il leone si strinse nelle spalle. – Aveva senso – disse. Continuava a tormentarsi un ciuffo di pelo della sua ridicola criniera, a volte tirandola tanto forte da minacciare di strapparla. – Dovevano esserci delle altre strade, e aveva senso trovare qui l’entrata. Quando ho visto che c’era anche della luce, ho pensato che dovevate vederlo pure voi.
(Non aveva senso, per nessuno di loro, ma Vector ormai si era abituato al fatto che il cervello di Zenit viaggiasse a una frequenza diversa dalla loro).
- D’accordo, ma come hai fatto a scendere fin quaggiù? – Insistette Hecale. – Tu hai paura del buio.
- Lo so – replicò Zenit, fissando ostinatamente le lampade e non la persona con cui stava parlando. Sembrava che non osasse farlo. – Ma avevo più paura a lasciarvi con Uriel e gli altri.
Un silenzio attonito seguì l’ultima affermazione, come se nessuno degli adulti sapesse esattamente come reagire. Charmy, invece, sbuffò sonoramente. – Cosa facciamo, restiamo qui impalati? Fa venire i brividi, questo posto!
Finalmente, Zenit si riscosse. Lanciò persino un sorriso nella generale direzione di Charmy, evitando però accuratamente di incrociare lo sguardo di chiunque. – Non c’è da avere paura, finché le luci stanno accese. Nessuno ci prenderà mai, qua sotto.
Dopodiché, iniziò a camminare lungo il corridoio, senza aggiungere altro. Charmy, apparentemente soddisfatto, lo seguì in volo. Espio li guardò andare via per un momento, poi scosse la testa. – Parla in un modo inquietante, e io sono sempre più confuso, ma ha ragione. Se continuiamo a muoverci, saremo al sicuro da quella mandria di pazzi là sopra.
Il camaleonte si incamminò a sua volta, ma Vector esitò, vedendo che Hecale non si muoveva. La donna continuava a fissare imbambolata il punto dove fino a poco prima si era trovato Zenit. – Tutto bene? – Chiese, incerto sul da farsi. Era un maestro nell’affascinare le signore e nell’indagare sui loro problemi, ma confortarle dopo esperienze traumatiche non era esattamente il suo forte. Se lei si fosse messa a piangere, sarebbe stato un bel guaio.
Ma Hecale non pianse. Invece iniziò a parlare a bassa voce, in un tono monocorde che ricordava pericolosamente quello di Zenit la prima volta che Vector l’aveva incontrato. – Passi tutta la vita nella stessa strada, con le stesse persone. Succedono dei pasticci, ma tu li risolvi, e tiri avanti, perché che altro puoi fare? Poi all’improvviso ti ritrovi rinchiusa in una città soffocante con tutte queste persone e scopri che la maggior parte di loro ti darebbe volentieri in pasto al primo idiota di passaggio, te e tutti quelli di cui puoi fidarti. Mi piacerebbe avere il tempo per un attacco isterico, perché è l’unica reazione adatta a delle giornate come queste. – La lupa alzò la testa e lo guardò fisso negli occhi. – Francamente, non so come facciano i tuoi amici. A vedermi catapultata in una situazione del genere, credo che sarei paralizzata dall’ansia.
- Ah, ma noi siamo l’Agenzia Investigativa Chaotix. Il pericolo è il nostro mestiere – replicò Vector, gonfiando il petto. – E non temere, risolveremo tutto e ce ne andremo di qui. E se dopo vorrai prendere a calci nel sedere quei geni laggiù in piazza, saremo felice di darti una mano.
Hecale sorrise. Appena appena, ma era già una consolazione. – Ti prenderò in parola – disse, prendendolo sottobraccio. – Ora è meglio che andiamo, non possiamo perdere di vista quegli altri. Zenit è bravo con i bambini, ma diventa un pericolo pubblico quando è con uno di loro. Lui e quella piccola ape potrebbero tirare giù la galleria se non facciamo attenzione.
 
 
Fu il momento di maggior calma che avessero avuto da quando era finiti in quella città. Zenit guidava il gruppo, tenendosi vicino al muro e sfiorandolo con le dita, e gli altri lo seguivano in silenzio. Solo Charmy ogni tanto iniziava a parlare, più che altro per chiedere per l’ennesima volta quando sarebbero arrivati. Espio e Vector erano abituati alle sue lamentele, e l’esperienza dimostrava quanto fosse meglio ignorarlo del tutto, ma Zenit continuava a rispondergli. Si trasformava completamente quando parlava con un bambino, era più calmo, meno teso. Un’altra persona rispetto al ragazzino terrorizzato della prima notte.
Magari c’entrava anche il fatto che Charmy fosse l’essere meno intimidatorio dell’universo, ma era un buon segno in ogni caso.
- Dov’è che stiamo andando, però? – Chiese Vector a un certo punto. Non che non fosse piacevole lasciarsi guidare da qualcun altro, soprattutto dopo essere stati sballottati da una folla intera, ma il ragazzo sembrava un po’ troppo sicuro sulla direzione da prendere. Sul primo corridoio che avevano visto se ne aprivano molti altri, che si incrociavano a formare una specie di labirinto, ma Zenit non esitava mai sulla direzione da prendere.
Il leone continuò ad avanzare, senza staccare la mano dal muro. – Ci sono dei segni che indicano la strada. Ecco, guarda.
Avevano raggiunto un altro incrocio. Vector si avvicinò per controllare, perplesso. In effetti, a circa un metro e mezzo da terra, c’erano degli strani disegni incisi sulla parete. Lo stesso valeva per tutti gli angoli di quel tratto di strada. Era un tratto talmente leggero che se Zenit non glieli avesse fatti notare, lui li avrebbe presi per segni naturali. Chissà se anche gli altri se n’erano accorti in precedenza, o se si trattava dell’ennesima dimostrazione di come il giovane si concentrasse su delle cose differenti da loro. Dopotutto, nonostante la sua grande attenzione per quegli scarabocchi, Zenit era già riuscito a inciampare quattro volte su un terreno pressoché senza ostacoli.
Alcuni degli angoli avevano delle indicazioni indecifrabili. Sulla strada che loro stavano percorrendo, però, accanto ad una freccia stilizzata, era tracciato uno smeraldo, lo stesso che avevano trovato disegnato in cima alla torre.
Vedendo che Vector continuava a guardare i disegni senza reagire, Zenit aggiunse: - Non so cos’è, quella roba. Però se lo hanno messo sulla mappa deve essere qualcosa di importante.
- Questo è uno Smeraldo del Caos – borbottò Vector. La cosa non gli piaceva per niente. – E non vuol dire niente di buono, se lo chiedete a me.
- Che cos’è uno Smeraldo del Caos? – Chiese Hecale, chiaramente perplessa.
- Sono delle pietre in grado di fornire una quantità immensa di energia. Alcuni nostri amici le custodiscono per evitare che finiscano nelle mani sbagliate – spiegò Espio. Poi, fissando Vector con la fronte corrugata: - Ma non c’è nessun motivo per cui dovrebbe esserci uno Smeraldo quaggiù.
- Già. Per questo è meglio che andiamo avanti e capiamo cosa sta succedendo.
Il camaleonte annuì e fece segno a Zenit di proseguire. La loro carovana riprese il suo viaggio, ma adesso c’era ancora più tensione nell’aria.
Vector non riusciva a fare a meno di rimuginare su quello che aveva appena visto. Da quello che sapeva, tutti gli Smeraldi erano in mano a Sonic e ai suoi compari. Quanto al Master Emerald, quello era rimasto fisso su Angel Island per un bel po’, sotto la protezione di Knuckles. Non c’era nessun motivo per cui qualcuno di loro potesse avere a che fare con quel luogo spettrale.
Qualcosa non quadrava. Soprattutto perché, sia sulla mappa che nei segnali delle gallerie, quello raffigurato gli aveva fatto venire in mente subito il Master Emerald, e non i suoi simili di dimensioni ridotte. Non riusciva a capirne il motivo: in fondo, la pietra che Knuckles proteggeva non era diversa dagli altri Smeraldi, a parte il fatto che era…beh, più grossa.
Ma il suo istinto gli stava dicendo qualcosa, e l’istinto di un investigatore non era cosa da ignorare. Vector scosse la testa, preoccupato, e continuò a camminare.
Ci volle un bel pezzo perché accadesse qualcosa di nuovo, ma finalmente, girato un angolo, si trovarono di fronte a una porta. Tutti e cinque si fermarono a guardarla, perplessi.
Di per sé, una porta era già fuori posto, in un luogo dove tutti gli ingressi erano lasciati aperti o coperti a stento da una tenda. In più, questa porta nello specifico era discretamente inquietante. Era fatta di metallo, ma al centro era rigonfia e bitorzoluta, e i suoi bordi erano dentellati e piegati. Come se dentro alla stanza a cui dava accesso avessero fatto scoppiare una bomba.
- Non mi piace – disse Charmy.
- Già, nemmeno a me – replicò Espio. Dopo aver scambiato un’occhiata con Vector, il camaleonte si fece avanti, avvicinandosi alla porta.
Vector gli andò dietro. L’istinto di sopravvivenza gli diceva di scappare a gambe levate, preferibilmente portandosi dietro tutti gli altri, ma se il suo collega correva il rischio allora era meglio che lo facesse anche lui. Più che altro per non perdere la faccia.
La lastra di metallo era talmente rovinata che non riusciva neanche a chiudere bene. Bastò tirarla leggermente perché si aprisse e rivelasse cosa c’era all’interno.
Si trattava di una stanza piuttosto grande, dalla forma circolare. Ogni superficie, il pavimento, le pareti, il soffitto a cupola, erano coperte da lastre di metallo, apparentemente lo stesso da cui era formata la porta. In alcuni punti le lastre erano cadute o erano state tolte, rendendo visibile la terra sabbiosa sottostante. A terra c’erano oggetti di ogni tipo, attrezzi meccanici, fili elettrici, fogli di carta, sparsi ovunque senza alcun ordine.
Non sembrava esserci niente di immediatamente pericoloso lì dentro, ma l’atmosfera era comunque aliena, inquietante.
- Stiamo per morire? – Chiese Hecale alle loro spalle, cercando di scherzare.
Vector scosse la testa. Faceva venire la pelle d’oca, ma probabilmente non sarebbe esplosa uccidendoli tutti. Probabilmente. – Venite a vedere.
Charmy e Zenit fecero capolino da dietro di loro all’istante, curiosi nonostante tutto. Hecale si avvicinò con più calma, e la preoccupazione sul suo volto divenne palese dopo che ebbe osservato la scena. – Che cosa significa tutto questo? – Chiese, confusa.
- Non ne ho idea, ma continua a non piacermi – rispose Vector.
- Sembra una cosa che ho visto in un film – commentò Zenit. Non era un commento molto utile alla loro situazione, ma Vector non glielo disse. Nessuno di loro stava avendo idee utili, comunque.
Hecale si prese la testa fra le mani. – Non ci capisco più niente. Il mondo sta andando a rotoli.
- Non scopriremo niente se restiamo qui impalati. Meglio che diamo un’occhiata – disse Espio, facendo un passo verso il centro della stanza.
In quel momento, una luce abbagliante riempì la stanza. Era verde, quella luce, così innaturale e improvvisa da far rizzare loro i peli sul collo. Vector si accorse appena del rumore di passi alle sue spalle, come di qualcuno che scappava, mentre una figura appariva in mezzo alla luce, diventando più definita a mano a mano che questa si affievoliva.
Era una figura familiare, decisamente, anche così confusa e in un momento di tale caos. Vector fece appena in tempo a domandarsi (irrazionalmente, perché chi pensa a certe cose quando è in pericolo?) quando mai Knuckles si era fatto crescere la barba.
Poi l’echidna, ora ben più visibile e circondato solo da un vago alone di luce, si voltò verso di loro.
 
 
Rouge era terrorizzata.
Aveva avuto paura, prima. C’erano molte cose che potevano far paura, nella sua vita. La guardia del centro commerciale che la fermava mentre sgraffignava un braccialetto e le chiedeva cosa stesse tentando di fare. Sua madre che la sbatteva contro un muro, urlando che non portava a casa abbastanza soldi. Gli sguardi avidi degli uomini con cui Lucan l’aveva spinta a lavorare.
Ma quelle erano tutte paure da cui si poteva scappare, in qualche modo. C’era sempre casa di Hecale dove nascondersi, farsi medicare le ferite e spazzolare il pelo, come c’era sempre Lucan a darle un sorso di birra e a portarla al parco giochi come se fossero ancora dei bambini
(SONO ANCORA UNA BAMBINA LO SONO LO SONO NON POSSONO FARMI NIENTE)
a dondolare sulle altalene e a urlarsi parolacce fino all’una di notte.
Non adesso. Adesso, mentre sua madre la trascinava per un polso lungo la strada, non c’era modo di scappare da nessuna parte.
Era già preoccupante che la mamma avesse preso l’iniziativa e fosse uscita di casa in quel modo. Di solito non arrivava mai più lontano del negozio all’angolo, per scoprire quanto alcol potessero comprare il denaro che Rouge le aveva lasciato (poco, il meno possibile, perché tutto ciò che poteva essere messo da parte spariva nella calza sotto il materasso). Non scendeva praticamente più in strada la sera, quando avrebbe potuto trovare lavoro.
(Una volta Rouge conosceva tutte le donne sul marciapiede, perché tutte l’avevano vista neonata, l’avevano presa in braccio e coccolata, perché loro erano state più fortunate o più furbe di sua madre e non avevano avuto bambini. Montse che le diceva di non raccogliere le cicche da terra, Alysanne che voleva diventare una stella del cinema. Dove erano sparite tutte? Adesso sulla strada c’erano ragazze più vicine alla sua età che a quella di sua madre, e del gruppo erano rimaste solo lei e Hecale.
Ogni tanto Rouge pensava che non avrebbe pianto, se la mamma una notte fosse scomparsa a sua volta).
Ma non era solo la presenza della mamma a preoccuparla. Era la fredda determinazione nei suoi occhi, come se avesse uno scopo a parte la prossima bottiglia. Dimostrava anche una forza inusuale, stringendo il braccio della figlia e tirandola di peso senza darle la possibilità di fuggire, lei che era la più brava del quartiere a svicolare via dai poliziotti.
E poi, come se non bastasse, la stava portando nel cuore di Stormtop Lane.
Quando se ne accorse, Rouge raddoppiò la foga con cui tentava di scappare. Stavano entrando nella zona dove i capi avevano le loro basi, i nascondigli migliori, i depositi della loro roba. Lei stessa ci era andata raramente, solo per prendere ordini specifici, e ne era felice, perché proprio in quei posti si sentiva più a disagio, più osservata.
Di sicuro, non ci era mai andata con i vestiti che sua madre l’aveva costretta a infilare oggi, leggeri e aderenti e più simili al suo stile solito che agli stracci in cui la infagottava Lucan.
Rouge si sentiva addosso gli sguardi di molti, mentre facevano il loro ingresso in uno dei palazzi. Non avevano nessun motivo per essere lì. LA MAMMA non aveva nessun motivo per essere lì. Che l’alcol le avesse finalmente dato alla testa e lei avesse deciso di venire a chiedere più soldi direttamente a chi la pagava, come se fosse una cosa normale? Le avrebbe fatte ammazzare entrambe.
Le guardie armate alla base delle scale però le fecero passare, dopo che la donna ebbe sussurrato il nome di chi doveva vedere. Lo fecero con una risata di scherno, come se conoscessero già la fine che avrebbe avuto quella storia. Uno di loro la perquisì sommariamente, ma nessuno fece lo stesso con Rouge. Non avrebbe potuto nascondere niente, scoperta com’era, e comunque dovevano essere una scena davvero patetica, nulla di pericoloso.
Salirono diverse rampe di scale, scortate da uno degli uomini, ma la presa sul polso di Rouge non mollava. Sarebbe bastato solo un secondo, solo un attimo di distrazione, e lei sarebbe potuta volare via, ma non c’era modo. Era in trappola.
Alla fine, entrarono in una stanza che Rouge non aveva mai visitato. O meglio, così le sembrava, perché era immersa nella penombra, e lei stessa non osava alzare la testa per controllare. La sola idea di vedere dove fosse finita, di cosa potesse aspettarla, le faceva ghiacciare il sangue nelle vene.
- Ah, Albine – disse una voce compiaciuta. Con la coda dell’occhio, Rouge vide una scrivania, e dietro di essa una sagoma indefinita. La voce (vagamente familiare, ma lei non riusciva a identificarla, né a capire chi potesse chiamare sua madre per nome a quel modo) veniva da lì. – A cosa dobbiamo questa tua…gradita visita?
La mamma raddrizzò la schiena. – Mi dicono che avete preso mia figlia qui nelle vostre fila. – Non trascinava le parole come al solito, ma suonava folle e fuori di sé lo stesso.
- Davvero? – Lo sconosciuto sembrava sorpreso, e anche piuttosto divertito. – Ah, è possibile. I ragazzini vanno e vengono, qui da noi.
Fece una pausa, poi riprese in tono mellifluo: - Certo, se avessimo notato che bella bambina si è fatta, avremmo potuto…darle qualcosa di meglio da fare.
Rouge si sentì correre un brivido lungo la schiena. Tentò di scattare verso la porta, ma la madre la stringeva in una morsa d’acciaio. Avrebbe lasciato dei lividi, come al solito.
La donna le mise due dita sotto al mento, costringendola ad alzare la testa e a mostrare il volto.
- Beh, potete farlo – replicò, secca. – E’ in vendita.
 
Sono riuscita ad essere rapida e indolore. Più o meno, ecco. Rapida rispetto all'attesa di sei mesi e indolore per me e per voi (ma non per Rouge e tutta la compagnia).
Come al solito, spero non ci siano errori, ma se ce ne fossero non esitate a dirmelo. Tanti baci e più Zenit per tutti <3
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