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Autore: Servallo Curioso    06/07/2009    1 recensioni
"L'immagine che quel ragazzo mi trasmise era quella di una bambola di porcellana. Una di quelle appoggiate alle mensole, tenute a lucido, con cui i bambini non possono giocare perché fragili. Forse lo giudicai frettolosamente, ma al primo impatto fu l'unica cosa che notai.Tremai nuovamente. Mi metteva a disagio."
Dopo la morte di sua sorella, Isaac è rimasto da solo con un padre che lavora in continuazione e una madre che non ha mai conosciuto. Eppure non si butta giù: continua a vivere cercando di superare la tristezza e la nostalgia di quel periodo. Ciò che lo sconvolge è l'arrivo di un uomo in casa sua. Privo di nome, di un passato e di emozioni, costui risulta essere messo peggio del protagonista.
Tra i due però accadrà qualcosa: Isaac è come una botte traboccante di sentimenti, l'altro è una scatola vuota.
Questa storia è piuttosto vecchia, ma ero sempre stato restio nel pubblicarla. Spero che vi piaccia.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Act.2

Il tempo passava ignaro dei miei sentimenti. In uno degli ultimi giorni dell'anno entrai in una grande libreria dall'aria molto seria. Era grande e possedeva ben due piani, ma non ci entravo da moltissimo tempo. Ultimamente facevamo alcune passeggiate e stimolavo Hito per estrarre dal suo corpo qualche emozione meno vaga e confusionaria.
Lui si sentiva molto spaventato. Lo percepivo indubbiamente anche dal suo nuovo sguardo. Quel calore o quel gelo che improvvisamente percuotevano il suo corpo lo lasciavano senza parole. Ricordai la prima volta che provai un sentimento, mi inebriava a tal punto da farmi dimenticare del mondo. Con un calcolo, pensai allora a come doveva sentirsi lui a testare per la prima volta tutti quanti gli stati.
Lo tenevo vicino a me, anche in mezzo a tutti quei libri. Con disinvoltura ne aprivo alcuni, leggevo qualche breve trama e poi passavo oltre. Era cambiato molto dall'ultima volta. Quel negozio si trovava vicino casa mia, eppure, avevo dimenticato molti suoi particolari.
Entrando tra due piccoli scaffali, dove erano contenuti svariati vocabolari, la mia mente cadde in trance. Uno stato che durò un secondo ma mi fece piangere. Mi ricordai che dopo la sua morte avevo evitato tutti i luoghi la ricordassero.
Lei amava molto i libri.
I proprietari mi salutarono distaccatamente, si ricordavano bene il mio volto. Io e Sarah avemmo una specie di incidente dentro del luogo.

A quel tempo, uscivo sempre con lei nei momenti di vuoto. Quando sentiva che ero giù, o mi annoiavo: lei disdiceva sempre tutto ciò che aveva da fare e mi portava a giro. Fin da piccoli passavamo molto tempo assieme.
D'inverno fa sempre molto freddo. Eravamo tutti bardati, ma entrando nella libreria iniziammo a sudare. Era davvero molto caldo là dentro. Mi slegai la sciarpa e tolsi il giubbotto. Nello stesso istante, in maniera istintiva, tirai su le maniche della felpa, lasciando scoperti i polsi.
Era dietro di me. Con un fare preoccupato posò il libro che stava sfogliando e venne verso di me afferrandomi.
“Cosa hai fatto qui?” Chiese indicando un mio taglio. Non era molto grande e stava proprio vicino al polso sinistro. Sembrava uno quello che gli aspiranti suicidi si fanno con le lamette. Nel mio caso era nato diversamente.
“Mi sono tagliato”
“Con cosa?”
“Con un coltello”
“Perché?”
“Perché mi andava”
Aveva sempre posseduto un pessimo senso dell'umorismo. Io, dal canto mio, scherzavo sempre nei momenti meno adatti. Facendo saettare il suo fragile braccio, mi colpì violentemente. Uno schiaffo ben piazzato. Quel rumore ruppe il silenzio del negozio.
“Sei un cretino!” esclamò subito dopo quel gesto.
“Te sei cretina! Stavo scherzando!” Mi giustificai. Quel taglio me lo procurai tagliando una qualche verdura. Io non so come si usano i coltelli da cucina o come si tagliano gli oggetti. In quel momento poi, stavo anche guardando una scenetta alla TV. Senza accorgermene tagliai dalla parte sbagliata.
Era comunque una ferita di poco conto. Ma Lei ci aveva creduto e si era arrabbiata. Uscì dalla libreria in un lampo, senza riprendere neppure la giacca, come se mi volesse far sentire in colpa. La seguii e le chiesi scusa. Lo fece anche lei.
Il Modo violento con cui si era preoccupata per me fu molto importante. Lo era sempre stato. Lei esternava la sua preoccupazione così, con un pizzico di rabbia. Mi faceva sentire protetto. Sentivo che il suo piccolo corpo potesse affrontare per me i più terribili problemi. È quella la cosa che mi manca di più.
Non è il fatto sia morta senza dirmi nulla, senza chiedermi il permesso. E' la mancanza dei suoi gesti schietti ma eleganti, che crea in me un vuoto.
Un vuoto che io avevo vigliaccamente riempito con un essere umano dalla fantasiosa storia.

Sfogliando un vocabolario, venni a sapere che il nome di Hito non era altro che un termine giapponese. Significava “essere umano”. Decisi così che dovevamo trovargli un nome adatto.
“Ti andrebbe di cambiare nome?” Chiesi avviandomi verso l'uscita. Seguendomi a ruota guardò un po' in giro pensieroso.
“Le Persone non cambiano nome” rispose lui. Con calma, però, terminò la frase con la solita formula. “Se così desideri a me va bene”.
I suoi modi di fare non erano cambiati affatto. Benché ora provasse un minimo di emozioni, per quanto caotiche e difficilmente riconoscibili, continuava a sottomettersi in pieno alla mia volontà.
“Voglio sapere se tu sei d'accordo” lo ripresi io. Sottolineai quel 'tu' con la voce. Doveva iniziare a decidere.
Lui ci pensò lasciando trasparire solo una punta di dubbio. Doveva essere scosso. “Quale nome prenderei?” domandò.
Mi portai una mano al mento lasciando che in quella tiepida mattina di dicembre il mio fiato diventasse fumo. “Ne cerchiamo uno che ti potrebbe piacere”
Non ci fu storia. Per quanto cercassimo lui non riusciva ad esprimere una preferenza e così rimandammo la decisione. Sfogliava in continuazione riviste, pensava a lungo e alla fine chiedeva sempre a me un'opinione.
Quella stessa sera, gli dissi che a capodanno sarei stato con degli amici. Era una cosa un po' egoistica, ma scelsi così. Spiegando le mie ragioni, poi, lo convinsi a rimanere a casa senza seguirmi. Accettò leggermente cupo. Più volte mi passò per la testa l'idea di rimandare tutto e rimanere assieme a lui, ma non riuscivo a metterla in atto.

Così capodanno arrivò e io mi ritrovai a festeggiare per la strada di un paesino lontano. Ridevo e scherzavo, stava accadendo di tutto e si attendeva la mezzanotte con ansia. Io e una mia amica andammo in una casetta, che era di proprietà della sua famiglia, a prendere lo spumante da stappare. Ci sarebbero stati anche i fuochi. Ero emozionatissimo. Mentre uscivo sentii un odore familiare. Non sono un cane, assolutamente, ma ho una grande percezione degli odori. Mio padre una volta mi raccontò che la mia presunta madre riusciva a percepire moltissime cose. Perfino a differenziare le persone in base al loro odore individuale. Anche se non sviluppato come il suo, avevo un buon olfatto.
Quell'odore inebriò l'aria per un poco, con una traccia sottile. Era comunque un odore che mi giungeva in profondità nel corpo, inebriandomi e portandomi a seguirlo come facevano i bambini alla musica del flauto magico. Uscendo dalla casa, con in mano una sola bottiglia, vidi poi la sua sagoma cercare tra la gente lì attorno. Non era stata una coincidenza.
“Scusa, Anna,. Vai avanti, vi raggiungerò più tardi” Dissi con naturalezza. Non lo avevo certo deciso io di dirlo, le parole uscirono e basta. Quel profumo ormai muoveva il mio corpo.
“Perché? Dove vai?”
“Devo fare una cosa importante. Non preoccuparti...” sparii tra la folla con quella bottiglia.
Quando mi vide arrivargli davanti, probabilmente ebbe paura. Il suo volto si tramutò in qualcosa di pallido e per la prima volta vidi una goccia di sudore accarezzare la sua fronte. Accennò uno scusa. Lessi tra le righe il suo dispiacere. Una persona normale non si sarebbe spaventata così. Lui, probabilmente, non riusciva ancora a controllare quei sentimenti tanto fantastici quando sconosciuti che lo coinvolgevano fino al midollo. Era tutto elevato al massimo.
Ragionandoci un poco si potrebbe non capire di cosa avesse realmente paura. Io in quell'istante pensai distintamente che avesse paura di essere lasciato di nuovo solo. Abbandonato.
“Cosa ci fai qui?”
“Mi dispiace. Non so come ma avevo freddo, e poi la casa mi diceva di seguirti. Non dovrei obbedire alla casa ma c'era qualcuno dentro di me che lo diceva... e...e...” tentava di giustificare quello che aveva dettato inconsciamente il suo cuore. Parlava e gesticolava imbarazzato come un bambino quando deve inventare la scusa migliore per un vaso rotto. Tra le cose che disse, intuii che stavolta i sentimenti erano più nitidi e forti. Tremai. Era un po' che un brivido del genere non attraversava la mia schiena, partendo dalla fine fino a farmi rimbombare la testa. Avevo paura che tutte quelle emozioni così forti e improvvise l'avrebbero distrutto.
Prendendolo sotto braccio, senza dire una parola, lo portai via dalla folla. Andammo a nasconderci dalla gente. Le luci del paesino erano tante, un luogo fuori città dove però avevamo deciso di andare. Era una specie di borgo tipico medioevale, con strade strette e su una collina. Muovendoci tra quelle vie piccole e tenebrose arrivammo vicino al verde. Credo fosse un parco abbastanza recente, lontano dal centro antico.
Era deserto.
Non c'era anima viva, nessun rumore. Sembrava una scena da film horror. Le altalene si muovevano un poco al vento. Andammo proprio lì a sederci.
Accomodato su quel nuovo gioco, con la bottiglia in mano, lo guardai sorridente.
“Sei venuto a piedi?” ne era perfettamente capace. Un corpo perfetto come il suo non sentiva stanchezza nemmeno dopo essere giunto fin qui a corsa. Mi resi conto del freddo vedendolo in maniche corte.
“Si” era silenzioso. Non so perché ma pensai così. Di solito non diceva molto, però mi sembrò che quel silenzio, quel giorno, fosse diverso dalla norma.
“Ho disobbedito ai tuoi ordini” aggiunse.
“Non importa. Hai obbedito al tuo cuore” mi sembrò tanto una frase da ragazzina. Una cosa da storia rosa dove i sentimenti sconfiggevano il male e le malvagie interferenze. Però, fu la cosa più seria che riuscii a pensare in quel momento.
“La decisione del mio cuore vale più degli ordini?”
“Vedi, Hito” iniziai a gesticolare di sicuro “A volte il cuore ti dice di fare delle cose che vanno contro le regole. Contro gli ordini o altre cosette varie. Devi decidere a quel punto cosa fare”
“E' difficile scegliere”
“Beh, funziona così. Accade moltissime volte durante la vita. Non solo riguardante questo argomento. Essere umani comporta fare scelte. Anche se può sembrare difficile, o perfino impossibile, devi decidere una delle possibili soluzioni”
“In Base a cosa?”
“In base a ciò che ti fa più piacere, contando anche il piacere degli altri. Io ad esempio preferirei restare a casa una sera, ma preferisco andare a cena con mio padre perché fa piacer a lui. Bisogna saper scegliere.” Ero confuso anch'io “...insomma non lo so. E' difficile”
Non esitò. Mentre io pensavo e ripensavo, lui partì con un'altra domanda.
“A te ha fatto piacere?”
“Ha fatto piacere a te” risposi. Non era una vera risposta. Stavo tentando di ragionare con me stesso.
“Ha fatto piacere a te?” lo domandò ancora, serio e deciso. Mi stupì.
“Insomma... si” non ne ero convinto. Mi guardava con i suoi profondi occhi e non potevo stare in silenzio.
“Non è vero”
Rimasi immobile. Paralizzato dalle sue parole. Fu la prima volta che mi contrariò. Stava diventando capace di ragionare indipendentemente. Inoltre il suo tono non lasciava vie di fuga.
Prendendo i miei tempi, elaborai qualcosa.
“Si. Mi Ha fatto piacere. Certo, hai interrotto i miei festeggiamenti, ma hai trovato la forza di agire per conto tuo. Questa volta mi hai piacevolmente sorpreso” Mi alzai ed andai vicino alla sua altalena. Con sincerità cercai i suoi occhi e fu facile creare un contatto.
“Che ne dici di andare a sederci e aspettare la mezzanotte?” domandai tirandolo per una mano.
Con fare disinvolto, andammo su una panchina tra gli alberi. Illuminati da uno smilzo lampioncino. Pensai molte cose al suo fianco. Seduto su quella panchina verniciata di verde, mi prese lo sconforto.
Pensai che nel fondo del mio cuore avevo sperato, fin dalla mia partenza, che lui fosse venuto lì con me. Mi mancava la sua presenza impassibile. Che sentimento era?
Prendendo un po' dei miei colori, mi aveva dato un po' del suo vuoto e ora non potevamo sentirci completi se non eravamo vicini. Chi era lo schiavo e chi il padrone adesso? Lui che cercava me come un alcolizzato cerca la bottiglia; perché ero la persona che riusciva a farlo sentire vivo, oppure io che vedevo in lui un rimpiazzo di mia sorella.
Era una cosa come l'amore.
La testa fu invasa da questa idea. Non un'amore normale. Era qualcosa che andava al di là dei nostri generi, al di là dei nostri corpi e delle nostre anime. Non riuscivo ad accomunare quell'amore a nessuno di quelli conosciuti. Né amanti né fratelli. Amore e basta.
Senza malizia di sorta, ero sicuro di poter urlare al mondo che lo amavo nel senso più pieno del termine. Mi sentii un po' confuso, forse stavo esagerando.
Posando la mia testa sulle sue gambe e stendendomi sulla panchina attesi la mezzanotte discutendo di varie cose. Come un ragno tessevo la mia tela attorno a lui. Mi resi da subito conto che però era una farfalla troppo grande: con le sue ali sarebbe comunque riuscita a distruggere il mio lavoro e fuggire.
Al di là dei miei stupidi ragionamenti, riuscii a cogliere il senso più profondo della cosa. Mia sorella era morta. E per quanto questa cosa mi strappasse lembi di cuore non potevo farci nulla. Anche se avessi vissuto altri cento anni non sarei più riuscito ad incontrarla. Mi resi conto allora che non potevo fare altro che proseguire lungo la mia impervia stradina chiamata futuro voltandomi solo di tanto in tanto, al necessario. Ignorare il proprio cuore è brutto, era anche incoerente con ciò che avevo detto prima, eppure in questa situazione era l'unica scelta.
E' triste doverlo dire ma continuando a piangersi addosso le cose non facevano che peggiorare.
Accomodando la posizione della mia testa, chiusi lentamente gli occhi. Lui, con la grande mano mi carezzò la testa. Sarah avrebbe fatto lo stesso. Ma Lei non era lì e non ci sarebbe più stata. Senza piangere, senza pensare alle più immonde tragedie la rividi traversare la strada salutandomi, come fece la volta prima di essere investita a morte da qualche folle.
Sentii il suo corpo sciogliersi ed unirsi ai miei pensieri. Lei non sarebbe stata contenta di vedermi in quello stato. Così, come regalo di addio, ripensai un'ultima volta alla sua voce. Sicuramente l'avrei dimenticata con il passare del tempo.
Forse piansi solo un poco, ma non ero da solo. Non più.

Gennaio e febbraio passarono leggeri senza darmi problemi. La Presenza di Hito nella casa la rendeva più luminosa. Quelle mura non era più costrette ad assorbire la mia malinconia, ora lui era sempre euforico nel provare nuove cose. Ormai stava diventando normale. Che parola brutta.
Era iniziato marzo da poco. L'inverno volgeva al termine, e io, volevo passare una giornata stancante. Ogni tanto mi prendeva un'idea così. Correvo, andavo qua e là, pur di tornare a casa stanchissimo e sudato. Per poi poter dire “Ah, è stato proprio faticoso”.
“Hito, che ne dici di andare al mare?”
Lui mi raggiunse in camera. “Al mare? Ma non è lontano?”
“Saranno una quindicina di chilometri. In un'oretta di bici ce la faremo!” Ero entusiasta.
Ultimamente poteva permettersi di interpretare ciò che sentiva. Quindi a volte diceva “mi annoio” oppure “è molto bello”. Aveva la stessa semplicità di un bambino. Quel giorno mi sorrise con la sua grande bocca. “E' una buona idea”.
Non posso vantarmi di vivere in una città super attrezzata, ma c'era una pista ciclabile che conduceva al mare passando tra i prati e la campagna. Imbracciata una bici per uno, presa una giacca e portandoci qualcosa da sgranocchiare e qualcosa per bere, partimmo. Uh! Il vento che mi passava addosso, i prati verdastri e gli alberi ai lati della strada. Ogni tanto incrociavamo una strada, facendo attenzione andavamo oltre. E' una sensazione fantastica.
Raggiunta la fine di un nuovo tratto, vedemmo una strada da attraversare per giungere al nuovo pezzo. C'era un ponte subito dopo. Proprio lì, tra il ponte e la strada, in quell'incrocio, erano posati dei fiori.
“Perché ci sono dei fiori?” domandò lui incuriosito.
“Beh, vuol dire c'è stato un incidente”
“E' una cosa brutta, accadde anche a tua sorella vero?” lo chiese con troppa naturalezza, anche se notavo la sua espressione piuttosto cupa. Non ricordai quando glielo avevo accennato, ma lo era venuto a sapere. Forse da qualche amico mio che ogni tanto incontrava.
“Si” Rividi la mia strada della vita. Senza volgere lo sguardo indietro riuscii a mantenere la mia promessa. Ero sicuro che anche voltandomi l'avrei solo vista sbraitare dicendo “Ehi! Io mi sono fermata qua, ma te prosegui!” la volevo vedere così.
Lui si avvicinò un poco, tirando la bici. “Scusa se ti ho fatto ricordare una cosa triste”
Risposi posando solamente la mia mano sulla sua alta spalla e facendo un cenno con il capo. Non era importante in quel momento.
Avevamo avuto più volte l'occasione di passare, ma eravamo impegnati a capirci che la strada non la notavamo neppure più.
In un'ora giungemmo sulla spiaggia.
Mi chiese se poteva fare il bagno. Quando risposi di no, iniziò a lamentarsi.
“Perché non posso?” domandò. Io mi ero steso sulla sabbia, con sotto un telo vecchio. Il vento fresco trapassava le mie vesti giungendo alle ossa. Guardai il mare che brontolava.
“Perché non hai il costume”
“E che importa!”
“Importa, importa”
“Se da così tanti problemi lo faccio nudo” si sistemò vicino a me, sulla sabbia tiepida. Mi ricordai che ancora non aveva ben chiaro il concetto di pudore. Anzi lo sapeva ma non provava vergogna. Anche in casa spesso sembrava dimenticarsi di queste leggi così umane.
“E su! Rimani qui con me!” feci finta di essere rammaricato e non disse più nulla. Facendo spazio lo feci entrare sul telo. Le onde brontolavano un po' e la spiaggia era deserta. Che pace, che serenità.
Con un rapido gesto mi sfilai le scarpe e le calze, ripiegai i pantaloni fino al ginocchio e corsi verso l'acqua. “Vieni! Mettiamo i piedi a mollo!” Ripeté i miei gesti e arrivò al mio fianco guardando l'orizzonte affascinato.
“Perché fai così?” mi chiese senza guardarmi. Il suo corpo in controluce, di profilo, era davvero bello.
“Per sentire com'è l'acqua a marzo!”
“D'estate questa spiaggia è molto affollata?” Stavo con lui solo da ottobre, me ne ricordai in quel momento.
“Si. Succedono sempre molte cose” Guardando il mare, con la luce contro, sentii la sua tristezza. Il Mare è triste. Le sue onde malinconiche rilasciano ricordi di qualche estate che non potrà mai tornare. Eppure, per quante cose abbia visto, per quanta nostalgia possa provare, il mare è sempre mare e continuerà a fare quello che ha sempre fatto.
Hito sembrò capire i miei pensieri guardando la mia faccia corrugata. Voltandomi lo vidi intento a fissarmi e sentii la sua mano entrare nella mia testa per capire i miei pensieri. Mi sentii caldamente violato.
“Trasmette qualcosa di infinito, ma non è classificabile né come felicità né come tristezza” Aprì la bocca e parlò. “Comunque è bello”
Avanzai un po', tirandomi su i pantaloni che stavano cadendo verso l'acqua limpida. L'acqua mi gelò i polpacci, ma era una questione di principio.
Anch'io di profilo e in controluce acquisivo qualcosa di speciale.
Sulla via del ritorno mangiammo dei biscotti portati da casa. Ci eravamo fermati su dei tavolini posti a metà pista ciclabile. In solitudine, con il sole ancora abbastanza alto. Gustammo tutti i biscotti, dal primo all'ultimo.
Stavo passando uno splendido anno.

La mia felicità spensierata terminò quando iniziarono quelle chiamate.
Una voce femminile che non riconoscevo mi chiedeva sempre a orari regolari “C'è il signor F.?”
Io rispondevo: “No, sono il figlio. Vuole che le dica che ha chiamato?” Oppure “Mi dice il suo nome?” o altre cose simili. Riattaccava sempre.
Arrivai a pensare fosse la sua amante segreta. Una sciocchezza però. Mio padre non aveva mai cercato una donna da quando la mamma era scappata. Non sembrava volerne una. Si era tuffato nel lavoro, tralasciando ogni altra cosa. Non ricordavo con precisione il suo viso. Avevo solo dieci anni quando se n'era andata. A differenza di quella di mia sorella, la voce della donna che mi ha partorito era indimenticabile. Cantava e scandiva ogni parola come una fata dei boschi. Tentai di ricordarla ancora una volta, anche se da tanto non lo facevo.
Assorto in quei pensieri il telefono suonò.
Uno, due, tre squilli. Mi alzai per rispondere.
“Vuoi che risponda io?” mi chiese Hito, ma con la testa feci di no.
Alzai la cornetta con delicatezza. “Pronto?”
“C'è il signor F.?”
Come un bambino che scopre per la prima volta il sapore delle caramelle, io rimasi abbagliato da ciò che emanava. Era proprio come la voce che mi suonava adesso in testa. Identica ai ricordi. Il suo tono così particolare era inconfondibile. Lo so, era azzardata come ipotesi. Ma da quel momento in poi diedi per scontato la sua identità.
L'atmosfera sognante che la memoria esercitò su di me, rese tutto molto drammatico. Era come se il mio cuore avesse paralizzato ogni suo ricordo per poterla riconoscere meglio.
“E' una settimana che chiama. Lo vuole capire che c'è solo nei fine settimana? Perché non chiama la domenica?” Fui piuttosto diretto, strinsi con forza il ricevitore e urlai. Lo stress di quelle chiamate fu amplificato dalla sua assenza in quegli anni. Al di là, nessuna risposta, solo un respiro. “Se continua così la denuncio” fu l'ultima cosa che dissi. Ero intenzionato a riattaccare, ma attendevo con ansia una qualche risposta. Come quando stai per buttarti da un pendio, ci fu un secondo di eternità. Un attimo interminabile in cui pensi a moltissime cose ma non riesci a concludere nulla.
“Vediamoci davanti alla stazione alle cinque” Riattaccò. Che voleva?
Attesi quell'ora con impazienza e arrivai alla stazione in anticipo. Per quanto avesse insistito, vedendomi preoccupato, lasciai a casa Hito. Pensavo molto.
Veloce mi sedetti su una panchina e attesi. Aspettai dieci, venti minuti ma non vidi nessuno. “che cretino” mi dissi. Non sapevo neppure come era fatta. Poteva essere perfino diventata un uomo e non avrei potuto saperlo. Eppure aveva un'aria nostalgica in quella sua monotona domanda.
D'un tratto una donna si sedette accanto a me. Frettolosa e con due grandi occhiali da sole. Mentre io avevo solo jeans e maglietta leggera, lei aveva un giubbotto, scarpe con tacco e gonna. Era molto elegante.
“Sei Isaac vero?” Chiese con un'aria pacata. Feci di si con la testa. “Ci avrei scommesso”
Si tolse gli occhiali. Aveva un aspetto sciupato nonostante non fosse poi così avanti con gli anni. Lunghi capelli biondi e occhi chiarissimi e sottili. Mi ricordò mia sorella in un modo molto strano. Come un'ombra sinistra la sua anima si affacciò su di me.
“Ti chiami Isabella giusto?” domandai volendo sembrare il più freddo possibile. Dovevo farla sentire in colpa. Il suo nome le lo ricordavo abbastanza chiaramente.
“Si, ma non importa. Ero venuta per tuo padre ma ormai mi accontento di te”
“Domenica non hai chiamato”
“Non sai fingere così bene...” Esclamò. Aveva una voce melodiosa.
Mi fermai a guardarla. Trasmetteva un'emozione strana che a descriverla perderebbe tutto. Mi riportava alla mente vecchi ricordi e le mie promesse sul passato venivano tutte smembrate solo da quel gelido sguardo.
“Domenica non hai chiamato” ripetei.
“Non vuoi chiedermi nulla? Dove sono stata tutti questi anni. Mi sarei immaginata un incontro come quelli dei film”
“Domenica prossima puoi riprovare”
“Non sarò più in città.” mi interruppe lei accigliata. Fu veloce nel dare quella risposta, sfumandola con un po' di amarezza.
“Hai pensato mai di tornare a vivere con il babbo?”
Lei cercò la mia mano per un attimo. Fui diffidente. “No” aspettò una mia risposta, anche solo uno sguardo o forse solo un pensiero per capire come reagii e continuò:
“Anzi, qualche volta si. Però sapevo che non avrebbe funzionato. Non c'erano le basi sentimentali. Ho deciso di restare nascosta e rifarmi una vita da zero. La sofferenza iniziale della solitudine era nulla rispetto a quello che avrei provato alla fine tornando con lui”
Non esitai ad additarla come una pessima madre con un commento serpentino. “Anche per Isaac e Sarah non c'erano le basi sentimentali?”
Rimasi in silenzio cercando di capire i suoi enigmi. Non ci riuscii nemmeno un poco. La sua presenza così evanescente sembrava dover essere portata via da una folata di vento primaverile. Non mi sarei stupito se fosse successo davvero. Fu addolorata della mia frase, me ne pentii subito. Non ero una persona così meschina.
“Tua sorella non ha mai voluto incontrarmi. Riuscii a sentirla comunque qualche volta al telefono o via lettere. Con scarsi risultati ovviamente” Non era una risposta.
In quel momento della mia vita, ormai, era alla stregua di una sconosciuta. La cosa più brutta che potessi fare era dirglielo ma evitai. Me ne accorsi perché sentivo i suoi sentimenti come in Hito avevo visto il vuoto. Era una tristezza enorme, ma che il tempo aveva logorato.
“Lei era molto arrabbiata con me. Mi impedì anche di contattare te. Era molto feroce con me, come se volesse farmi morire solo con delle parole”
Mia sorella era morta tenendomelo nascosto. No. Forse me l'avrebbe detto quella sera, o il giorno successivo. Dopotutto non ha deciso lei di morire così. Con il sottofondo scosso dalla gente che si muoveva avvicinai il mio spirito al suo gracile corpo.
“Hai una famiglia?”
“Ora si. Ho anche un figlio. Forse un giorno ti contatterò di nuovo e lo incontrerai” Giusto. Lei sapeva di me ma io non sapevo di lei. Lo trovai limitante al pari di una cicatrice ben visibile.
“Salutameli tutti”
“Loro non sanno che ti ho cercato. Non ho parlato loro molto della mia vita precedente” Mi ferì profondamente ma era meglio così. “Ops. Ora devo andare. Il treno partirà tra pochissimo” Si alzò il più velocemente possibile. Pensai che sarebbe caduta a terra per colpa dei tacchi ma mantenne un perfetto equilibrio.
“Non rimani di più?” Feci una domanda per volta, legandole però in un'unica frase. Lei di risposta mi guardò rimettendosi gli occhiali.
Iniziò ad allontanarsi. “Addio, anche se spero che in un qualche momento la vita ci faccia incontrare di nuovo. Se Fosse per caso risulterebbe magico” Chiunque fosse, mi aveva rubato qualcosa. Anche lei, come Hito, avevano preso da me qualcosa che avrebbe riempito il loro vuoto. Non la potevo però rimproverare di questo. Quella sua ultima frase lasciò un buon profumo nell'aria.
La pensavo così anch'io. Sorridenti o in lacrime, ad una festa o un funerale, sperai di rivederla con quel sorriso significativo. Era ormai alle mie spalle. Io stavo ancora seduto immobile. Seguendo il rumore dei suoi passi rimuginai un poco.
Anche se non la vidi, sono sicuro che sorrise. “Bye Bye darling” Trasalii e mi voltai. Non c'era più nessuno. Solo la traccia del suo sorriso che svaniva nell'aria di quella stazione affollata.
Andai al cimitero dove non tornavo da tanto. Era stata anche lì. Con una traccia profonda di emozioni e dei bei fiori bianchi, era riuscita a contrassegnare anche la tomba. Non mi rattristai. Il suo profumo mi lasciò la bocca amara e secca. Allontanandomi da quel luogo, fui colto da una sensazione spregevole.
Forse non sarei mai più risuscito a vederla. La sua tristezza repressa sarebbe riuscito ad esaurirla presto.

Quando ti rendi conto che avevi ragione. Quando sai che non poteva andare diversamente, ma infantilmente ci avevi sperato. Tutto diventa stranamente più pesante.
Una Piuma cadde al di là della mia finestra. Io ero svegliò sotto le mie calde coperte. Da solo.
Non l'avrei davvero più vista.

Mentre, con calma e senza rendermene conto, io cadevo sempre di più nel mio tragico vuoto interiore, il tempo insensibile andava avanti. Ogni giorno, Hito, mi proponeva qualche cosa.
La sua gioia nel vivere ogni giorno in modo frenetico, le sue emozioni così improvvise e travolgenti, erano una spiaggia sicura in cui rifugiarmi. Forte della sua presenza, alleviai la malinconia.
“Tuo padre un giorno verrà a scoprire che dormiamo assieme”
Era vero. Durante le ferie o in un fine settimana dove si svegliava presto sarebbe venuto a conoscenza di questo segreto. “Vabbè, passeremo per una coppia omosessuale”
“Non ti infastidisce?”
“E' un uomo che sa tenere un segreto se glielo chiedo. Passandola per una relazione che non vogliamo diventi pubblica lui annuirà e non farà domande”
Fece spallucce, forse era imbarazzo o un'operazione troppo difficile. Anche se sentiva qualcosa dentro, non era definibile al pari degli altri. La profondità e la sfumatura con cui io sentivo certi sentimenti non era paragonabile alla sua, così rozza e improvvisa.
Una miriade di facce così semplici che mi facevano impazzire ugualmente.
Alcuni pomeriggi mi accorgevo di come stavo trascurando gli amici di sempre. Uscirci era diventato più difficile. Ogni volta che andavamo a giro, se stavo troppo fuori, mi ritrovavo Hito a corrermi dietro. Trattenersi era un traguardo difficile. Pensai comunque che durante l'estate avrei preso più tempo per loro e glielo dissi. Mi risposero che ognuno ha i suoi tempi e che avrebbero atteso. Mi sentii orgoglioso di avere attorno gente così.
Una sera, con lui, andai a fare una passeggiata. Una cosa tranquilla, tra gli alberi del parco giochi. Con un gelato e sopra le teste il limpido cielo di un dolce aprile, alzammo le nostre anime. La distanza tra quel cielo scuro ornato di gioielli e la terra sulla quale sedevamo, non esisteva più.
Ripensando a noi due. Mi si strinse il cuore.
Forse, scoprendosi capace di pensare per conto suo un giorno sarebbe uscito per sempre dalla mai vita. Dicendo una cosa semplice, o un grazie forzato, sarebbe svanito. Possibile?
Possibile quindi che mi avrebbe tradito solamente raggiunta l'indipendenza.
Si avvicinò a me, i dubbi svanirono tranciati dal sottile vento notturno.
“Un giorno mi renderai libero?” mi ero scordato che fosse ancora il mio servitore.
“Certo. Appena sarai indipendente” Qualsiasi cosa fosse accaduta, io ero intenzionato a mantenere quella promessa.
“Tanto rimarrò vicino a te”
“Non vuoi andare, ad esempio, a cercare il tuo creatore?”
“No. Non sento nulla nei suoi confronti”
“E' una cosa brutta” Dissi abbassando lo sguardo. Lui si girò verso di me. Convinto di quello che diceva.
“Lo so” Il solo fatto che se ne rendesse conto era significativo. Mi strinsi a lui usando le sue braccia come coperta. Ero uscito leggero e avevo freddo. Un freddo pungente. “Potrei comprare una casa tutta mia”
“Affittarla è meglio. Sarà comunque difficile”
“Troverò anche un lavoro.”
“Hai delle certificazioni di studio?”
“Certamente. Il mio creatore mi ha imposto di fare regolarmente esami privati”
“Così quando sarò triste, annoiato o mi sentirò solo verrò da te” Sentii un piacevole calore.
Lui mi guardò stupito, allontanandosi un poco. Ai piedi di quello scivolo le nostre figure si staccarono un attimo. “Non verrai a stare con me?” la sua domanda mi colse improvvisamente inerme.
“Non funziona proprio così. Non posso ancora farlo. Devo essere un po' più grande” Glielo misi su questo piano. Lui annui e si riaccostò al mio piccolo corpo.
“Allora non cercherò un nuovo posto fino a che non sarai pronto. Non voglio stare da solo”
Che sia per il vento freddo, o per la semplicità con cui pronunciò quella frase, il mio corpo si gelò. Mi colpì dentro, nella parte più intima ed inviolata del mio animo.
Credo che quel giorno il mio stato di colori si ricreò, traspirando il vuoto che avevo accumulato. Hito, ormai lo aveva già gettato via tutto. Non gettai via tutto il vuoto incolore che permeava la mia pelle. Alle persone un po' di nulla, di ignoto dentro di sé, serve.
Sorrisi addormentandomi così, fu lui a portarmi a casa. A volte si cambia senza rendercene conto.
Qualche volta un 'sé stesso' muore e ne nasce un altro. Ma noi non lo capiamo. Non so, credo sia così. Non voglio intenderlo come un male, semplicemente come un cambiamento. Ma cambiare fa paura, soprattutto se avviene velocemente.

Sentimenti.
Per quanti ne proverò ancora nella mia vita, travolgenti o superficiali, rimarranno tutti nel mio cuore. Ogni piccola sensazione sarà registrata. Non voglio perdere nulla della mia vita.


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Vorrei sapere i vostri pareri su questa fic ^^
   
 
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