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Autore: mikimac    30/06/2018    3 recensioni
Potrebbe sembrare impossibile, ma due anime gemelle riescono sempre a stare insieme, perché l'Universo non permette che ciò che è stato creato per essere unito sia diviso e incompleto.
Soulmate.
Genere: Angst, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sebastian Moran, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Alla ricerca di John
I primi fiocchi di neve avevano cominciato a cadere su Londra, pigri e radi. Le luminarie brillavano e rendevano le persone allegre, perché le previsioni che avevano preannunciato un bianco Natale si stavano rivelando esatte. La gente camminava per la strada godendosi il freddo secco e sorridendo ai piccoli fiocchi di neve.
Sherlock Holmes si stava dirigendo verso Scotland Yard. Aveva salutato John, promettendogli di contattarlo appena avesse avuto qualche novità sul suo contratto prematrimoniale. Il consulente investigativo, però, non aveva alcuna intenzione di rivolgersi a un avvocato. Il dubbio che la sua anima gemella non si chiamasse John Rowling gli stava rendendo impossibile pensare a qualsiasi altra cosa. Ogni volta che riesaminava il problema, arrivava alla stessa conclusione: il John Rowling, che lui conosceva, non era l’uomo di cui aveva letto il fascicolo. L’uomo con cui aveva fatto colazione doveva essere un medico. Dal resoconto sull’incidente ferroviario, che aveva letto, risultava che fosse morto un medico. Possibile che i genitori di John Rowling non si fossero accorti dello scambio di persona? Se se ne erano accorti, perché stavano portando avanti quella commedia? Per i soldi? Non aveva senso. Avrebbero potuto essere smascherati in qualsiasi momento. Sarebbe bastato che a John fosse tornata la memoria o che qualcuno lo avesse riconosciuto, perché loro perdessero tutto.
Sherlock aveva deciso di non parlare a John della propria ipotesi, perché non voleva dargli false speranze, se si fosse rivelata sbagliata. Doveva indagare e scoprire tutto il possibile sull’incidente e sulla sua anima gemella. Ne andava del loro futuro insieme e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per non perdere l’altra metà di se stesso.


Alla ricerca di John


Il taxi si stava dirigendo verso Scotland Yard più lentamente di quanto Sherlock avrebbe voluto. Erano caduti solo pochi millimetri di neve, ma il traffico ne stava risentendo. La gente sembrava essere impegnata ad ammirare la neve che cadeva, più che a guidare, quasi fosse stata la prima nevicata da millenni! Sherlock era irritato, ma non poteva fare nulla per velocizzare il percorso. Quando arrivarono davanti a Scotland Yard, Sherlock pagò il taxista e scese velocemente dall’auto, quasi correndo verso l’edificio. Per pochi secondi il giovane Holmes aveva preso in considerazione la possibilità di rivolgersi a Mycroft, ma non voleva avere debiti con il fratello, quindi aveva optato per chiedere informazioni al cognato, con cui si sarebbe sicuramente sdebitato risolvendo uno dei casi noiosi che gli avrebbe proposto.
La sala agenti antistante l’ufficio di Gregory Lestrade era tranquilla. I poliziotti in servizio stavano redigendo rapporti, facendo ricerche o chiacchierando della partita di calcio del giorno prima. Sembrava che anche i criminali avessero deciso di prendersi qualche giorno di vacanza, in vista delle feste di Natale. Oppure stavano pianificando i colpi che avrebbero messo a segno ai danni dei turisti e dei londinesi, che avrebbero affollato piazze, strade e negozi della capitale inglese. Gli agenti rivolsero appena lo sguardo verso Sherlock. Erano abituati a vederlo comparire in ufficio e non facevano molto caso al suo passaggio.
Sherlock spalancò la porta dell’ufficio di Greg senza nemmeno bussare e si fermò davanti alla scrivania, con le mani affondate nelle tasche del suo cappotto nero e lungo: “Voglio vedere il fascicolo sull’incidente ferroviario della settimana scorsa,” pretese, senza tanti preamboli.
Greg alzò gli occhi dal monitor del computer e incrociò le braccia sul petto. Il tono di voce era più curioso che arrabbiato o seccato per l’intrusione: “Perché ti interessa quell’incidente ferroviario? Non c’è nulla di misterioso. È stato dimostrato che il pezzo, che ha causato il deragliamento, si è rotto perché era usurato.”
Sherlock fissò il cognato, incerto su che cosa rispondere. Non sapeva fino a che punto lo avrebbe aiutato nella sua ricerca se avesse capito che stava tentando di mandare a monte il matrimonio fra Sebastian Moran e John Rowling. Mycroft non sembrava contrario alla cosa, ma Greg avrebbe potuto pensare che fosse sbagliato intromettersi in un legame per cui era già stato sottoscritto un contratto legale, regolarmente depositato. Dalle poche ricerche che aveva fatto, aveva scoperto che il fatto che lui e John fossero anime gemelle non annullava automaticamente il contratto.
Greg continuava a fissare il cognato, immobile. Per nulla intenzionato a fornirgli un fascicolo, che non aveva alcun diritto di esigere di vedere, a meno che non gli avesse fornito un valido motivo per violare le regole di Scotland Yard.
Sherlock si lasciò cadere scompostamente sulla sedia, davanti alla scrivania: “Mycroft che cosa ti raccontato di John Rowling?” Domandò, in tono secco.
“Che siete anime gemelle. È un peccato che John abbia già firmato il contratto con Moran. My teme che sarà complicato annullare le nozze. Moran non è certo l’uomo più altruista del regno. Tuo fratello pensa, comunque, che la presenza della tua anima gemella non potrà che farti del bene e farà qualsiasi cosa in suo potere per aiutarti.”
“Sì, certo. Come no. Il mio caro fratello si schiererà contro un pari del regno per me,” sbuffò Sherlock, in tono sarcastico.
Greg allungò le braccia sulla scrivania, congiungendo le mani davanti a sé: “Qui lo dico e qui lo nego. Tuo fratello tiene molto a te. Esattamente come tu tieni molto a lui.”
Sherlock emise un verso di disgusto: “Sei il solito sentimentale, Gary. Ormai avresti dovuto capire che mio fratello è il mio peggior nemico… e viceversa.”
Greg scosse la testa. Era inutile dilungarsi in questo discorso con i fratelli Holmes. Ormai aveva imparato che nessuno dei due avrebbe mai ammesso quali fossero i reali sentimenti che provavano l’uno per l’altro. Con un sospiro rassegnato, rivolse la propria attenzione al computer e cercò un file, che mandò in stampa: “Questo è tutto ciò che abbiamo. Dato che si è trattato di un incidente, non abbiamo svolto indagini approfondite. Ci sono, comunque, i dati dei feriti e delle vittime.”
Sherlock si alzò, prese le stampe e uscì dall’ufficio di Greg, senza ringraziare. L’ispettore sorrise e prese in mano il proprio cellulare, appoggiato sulla scrivania, accanto alla tastiera del computer:

[15.59] Sherlock si sta veramente impegnando per unirsi al signor Rowling.

La risposta arrivò in pochi secondi:

[16.00] Vorrei solo che dall’altra parte non ci fosse Sebastian Moran. Perché Sherlock è venuto da te?

[16.01] Sta indagando sull’incidente ferroviario in cui è stato coinvolto Rowling. Ovviamente non mi ha spiegato perché.

[16.02] Anthea sta cercando informazioni. Ti farò sapere se scopre qualcosa di interessante così potrai passarlo a Sherlock.

Greg scosse la testa e sospirò:

[16.03] Perché mai dovresti far sapere a tuo fratello che lo stai aiutando?

[16.04] Perché non me lo ha chiesto. Devo andare. Ho una riunione.


Sherlock lesse il resoconto dell’incidente mentre un altro taxi lo stava portando a casa di Harriet Watson. La donna era la sorella del dottor John Watson, ex medico militare, deceduto nell’incidente a seguito delle gravissime ferite riportate: “Stesso nome. Stessa età,” constatò Sherlock. Nel file erano elencati anche i nomi dei feriti. Oltre a John Rowling c’erano un’altra trentina di persone, che si trovavano tutte sulla carrozza che era deragliata. Era stata una fortuna che l’incidente avesse interessato seriamente un unico vagone, mentre negli altri c’erano stati solo contusi.
Harriet Watson abitava in una zona periferica di Londra. Era un quartiere degradato, i cui palazzi avevano visto anni migliori e avevano tutti bisogno di una urgente ristrutturazione. Sherlock salì le scale che separavano il marciapiede dalla porta di ingresso di una palazzina di quattro piani. In origine, la facciata esterna doveva essere stata di colore verde chiaro, ma ora era solo una parete scrostata. Il portone era aperto e dava su un ingresso buio e dall’odore nauseabondo. L’ascensore era subito davanti a lui, ma era fuori servizio. Sherlock guardò le cassette della posta. Su molte non c’erano nomi. Forse gli appartamenti erano vuoti oppure gli abitanti non volevano fare sapere che loro vivessero lì. Per fortuna, su una delle cassette c’era un adesivo logoro con scritto “H. WATSON”, al 3C.
Sherlock si infilò per le scale, evitando accuratamente di toccare le pareti e il corrimano. Nelle scale c’erano tanti odori, che riportarono la mente del giovane Holmes ai giorni in cui si drogava, nascondendosi in posti come quello. Il 3C era una porta anonima. Sherlock bussò. Per qualche minuto non sentì movimenti. Bussò ancora. Passi strascicati si avvicinarono alla porta. Lo spioncino venne spostato e Sherlock capì che qualcuno lo stava squadrando. La porta si aprì quel tanto che le permetteva la catenella.
“È molto presto, per un lavoretto, ma se mi lasci il tempo di vestirmi, sarò a tua completa disposizione, tesoro,” gli sussurrò con voce rauca una donna dall’età indefinibile.
Sherlock arricciò il naso, con disgusto. Anche a quella distanza poteva sentire che la donna avesse bevuto:
“Non sono qui per un lavoretto, ma per avere informazioni.”    
“Chi sei? Che cosa vuoi?” Domandò la donna, diventando diffidente.
Sherlock intravide appena un occhio azzurro, con le borse accentuate: “Mi chiamo Sherlock Holmes, signora Watson. Vorrei parlarle di suo fratello John.”
La donna scoppiò a ridere. Era una risata secca, che non esprimeva allegria, ma rammarico e rimpianto: “Nessuno mi chiama signora Watson, tesoro. E hai fatto tanta strada per nulla. Mio fratello John ha risolto tutti i suoi problemi. È morto la settimana scorsa.”
“Ne è sicura? Ha riconosciuto il suo corpo?”
“Quello che ne rimaneva.”
“Quando è andata all’obitorio, era sobria o ubriaca?” Chiese Sherlock, in tono secco.
I lineamenti della donna si indurirono: “Non sono affari tuoi, saputello. John è morto. È andato. Pace all’anima sua. Mi ha lasciata sola, come ha sempre fatto in vita sua, il piccolo bastardo egoista. Lui era il grande dottore. Doveva salvare il mondo, ma non aveva tempo per prendersi cura di me,” ringhiò Harriet.
“Oppure si è stancato di risolvere i suoi problemi al suo posto,” sibilò Sherlock.
“Non starò qui a farmi insultare da te, damerino. Hai avuto la tua risposta. Il mio fratellino è morto. Non ho più nessuno per cui valga la pena vivere. Sarebbe stato meglio se fossi morta io. John, almeno, aiutava le persone. Io trascino la mia vita, in attesa della morte. Vattene! E non farti vedere mai più!” Urlò Harriet, sbattendo la porta.
Sherlock sapeva che non avrebbe ottenuto altro da quella donna. Rimise le mani in tasca e lasciò l’edificio, senza voltarsi indietro.


Mentre il taxi lo portava da casa di Harriet Watson all’obitorio, Sherlock era molto irritato. Il viaggio si era rivelato completamento inutile. Quella donna era un’alcolizzata, evidentemente abbandonata dalla propria anima gemella, stanca di convivere con un coniuge che era sempre ubriaco. Harriet non gli sarebbe mai stata di alcun aiuto per dimostrare che la sua anima gemella fosse John Watson, non John Rowling. Probabilmente sarebbe stato inutile andare anche all’obitorio, ma non poteva sapere da dove sarebbe arrivato un qualsiasi indizio che potesse avvalorare la sua ipotesi. Doveva battere tutte le piste.
L’obitorio era un luogo familiare, in cui si era sempre trovato a proprio agio. I morti non gli facevano paura. Non potevano ferirlo, a differenza dei vivi. Molly Hooper stava eseguendo un’autopsia e lo accolse con un sorriso timido: “Buongiorno, Sherlock. Sei in cerca di parti anatomiche per qualche esperimento?”
“No. Chi ha eseguito l’autopsia su John Watson?” Domandò, senza nemmeno salutare.
Molly lo fissò stranita per qualche secondo, tentando di ricordare di chi stesse parlando.
“John Watson. Ex medico militare. Una delle quattro vittime dell’incidente ferroviario della settimana scorsa,” spiegò Sherlock, in tono sbrigativo e nervoso.
“Ah, sì, ricordo. Povera sorella. Piangeva disperatamente. Non ha più nessuno. I genitori sono morti e…”
“E la sua anima gemella la ha lasciata perché beve, sì lo so. Era sola? Hai svolto un test del DNA? Qualcun altro ha riconosciuto il cadavere o il riconoscimento è stato fatto solo da quell’alcolizzata di Harriet Watson?” Sherlock la interruppe bruscamente.
Molly era abituata ai modi sbrigativi di Sherlock e non si offese per il suo comportamento: “C’era un uomo con lei. Era il patrigno di un caro amico di Watson, che viaggiava con lui quel giorno. Si chiamava…”
“Trent Davemport!” Sbottò Sherlock, interessato.
“Sì. Esatto. Proprio lui. La signora Watson faceva fatica a stare in piedi. Aveva gli occhi annebbiati… ecco… sembrava…”
“Ubriaca. Puoi dirlo. Non ti può sentire né offendersi. Continua,” la sollecitò Holmes, impaziente.
“Lei non sembrava sicura. Continuava a dire che non vedeva il fratello da anni. Era fuggito da casa appena diciottenne, per arruolarsi nell’esercito. Devono avere avuto un’adolescenza difficile. L’uomo le rispose che se avesse riconosciuto il corpo, l’esercito le avrebbe versato la pensione del fratello, come sua unica parente vivente.”
“E la cara Harriet Watson ha immediatamente riconosciuto il fratello,” concluse Sherlock, con un sorriso entusiasta sulle labbra.
“Beh, sì,” ammise Molly, perplessa.
“E tu non hai eseguito alcun test del DNA.”
“Non ce ne era bisogno. La vittima era stata identificata da due conoscenti. La causa della morte era lampante. Non c’era bisogno di procedere con ulteriori esami. Ho consegnato il corpo alle onoranze funebri incaricate dalla sorella. Come da prassi,” borbottò Molly, sulla difensiva.
“Lo hanno cremato, vero?”
“Sì. La sorella ha detto…”
“… che era volontà del defunto. Certo. Comodo,” tagliò corto Sherlock. Senza aggiungere altro, si girò per andare verso la porta. La sua teoria era finalmente avvalorata da una prova. Circostanziale, certo, ma pur sempre una prova.


Le ore seguenti trascorsero tediose e infruttuose. Sherlock aveva deciso di interrogare i passeggeri che viaggiavano nella stessa carrozza dei due ex militari, per capire se qualcuno potesse confermare che il sopravvissuto fosse John Watson. La neve stava ricoprendo le strade e spostarsi da una parte all’altra di Londra stava diventando sempre più lento. Alcuni dei viaggiatori vivevano fuori città ed erano tornati alle loro case. Sherlock li avrebbe contatti telefonicamente, anche se odiava telefonare. I testimoni che vivevano a Londra erano stati inutili. Avevano notato i due giovani uomini biondi, soprattutto perché sembravano gemelli, ma nulla di più. La donna, da cui stava andando, era l’ultima della sua lista. Il giorno dell'incidente viaggiava con il figlio, di ritorno da una visita alla madre. Sherlock si stava scoraggiando. Per convincere John a sottoporsi a un test del DNA doveva trovare prove convincenti, non solo una teoria fondata su un complotto. C’era una domanda, che continuava a martellargli la mente, cui non sapeva dare una risposta: Trent Davemport e sua moglie come pensavano di portare avanti la loro truffa? John poteva riacquistare la memoria in qualsiasi momento o qualcuno poteva riconoscerlo. Era questo il punto debole della sua ipotesi. Se avesse trovato una risposta soddisfacente a questa domanda, avrebbe convinto tutti della bontà della sua teoria. La casa era di periferia, ma molto più accogliente e curata di quella di Harriet Watson. Quando suonò alla porta, si presentò ad aprire una giovane donna sorridente, che lo fissò con curiosità.
“Buonasera. Mi chiamo Sherlock Holmes e sto facendo delle ricerche su una delle vittime dell’incidente ferroviario della scorsa settimana,” ripeté per l’ennesima volta.
“Prego, si accomodi – lo invitò la donna, in tono triste – Posso offrirle qualcosa? Un tea? Un caffè?”
“No, grazie. Solo poche domande. Nella sua carrozza c’erano due uomini. Uno si chiamava John Rowling e l’altro John Watson…”
“Il dottore, certo. Un giovane gentile e premuroso. Mi è tanto dispiaciuto leggere che fosse morto,” lo interruppe la donna, con un sorriso malinconico.
“Lei conosceva John Watson?” Una piccola speranza accese nella mente di Sherlock.
“Non prima del viaggio. Mio figlio Mark si è fatto male, appena prima dell’incidente. Il dottor Watson è stato così gentile da medicarlo.”
“Quindi il dottore era vicino a voi, quando c’è stato l’incidente?”
“Sì. Aveva terminato di medicare Mark e gli stavo facendo gli auguri per il suo matrimonio, quando il vagone è deragliato.”
Gli occhi di Sherlock si allargarono per la sorpresa: “Gli auguri per il suo matrimonio?”
“Il dottor Watson indossava un anello di fidanzamento, di quelli dati ai sostituti delle anime gemelle.”
“Lei ne è sicura al cento per cento? John Watson indossava un anello di fidanzamento?”
“Ne sono sicurissima. È l’ultima cosa di cui abbiamo parlato prima dell’incidente. Non lo dimenticherò mai. Il promesso sposo del dottor Watson è davvero un uomo sfortunato. Prima ha perso la propria anima gemella, poi il suo sostituto. Poveretto… chissà come starà soffrendo…”
“Oh, sì, davvero molto. Grazie per il suo prezioso. Devo andare,” Sherlock volò fuori dalla casa, in cerca di un taxi. Ora aveva una prova. Dalle notizie, che aveva raccolto su John Watson, sapeva che l’uomo non era fidanzato con nessuno. Evidentemente, per qualche arcano motivo, al momento dell’incidente John Watson indossava l’anello di John Rowling. Ora aveva un testimone dello scambio di persona e poteva parlarne con John. La felicità era veramente vicina.



Angolo dell’autrice

Si sta alzando un leggero velo sulla fumosa identità di John. Sherlock riuscirà a convivere John a fare il test del DNA? Il matrimonio sarà annullato?
Se volete farmi sapere che cosa pensate della storia, per me sarà un piacere leggere quello che scriverete.

Grazie per avere letto fino a qui. Grazie a CreepyDoll e a 1234ok per la recensione allo scorso capitolo.

A domani.

Ciao!


   
 
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