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Autore: GHENEA    01/07/2018    1 recensioni
"Pensi davvero di non aver scelta.
Sei convinta al cento per cento che quella sia l’unica possibilità.
E poi scopri che l’inevitabile era evitabile.
Questi sono i momenti più disperati; ti senti morire, perchè in fondo sapevi che le cose potevano andare diversamente, ma non mi sono mai spinta oltre, per paura di sbagliare o di cercare l’inesistente. Mi rendo finalmente conto di tutta la sofferenza che avrei potuto evitare, se solo non avessi avuto paura."
Rachel ha avuto una vita difficile, basata su scelte che forse non erano corrette, ma non sembra rendersene conto finché non incontra quel rompiscatole di Garfield che come un'uragano sconvolgerà lei e la sua traumatica vita.
Lei sarà in grado di accettarlo? la scelta finale la farà bene?
non vi dico altro e vi lasco a questa storia (se così si può definire).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un patto di sangue; così tutto era iniziato. Un giuramento nato con la vita di un uomo in cambio. Un corpo prosciugato di tutta la sua linfa vitale, sembra vuoto; non capisci cosa altro possa esserci dentro. E sempre con il sangue tutto inizia. Le peggiori guerre, le grandi sommosse, la vita stessa. Anche la mia, a quanto pare. Con il sangue di mio nonno, mia madre ha deciso di portare avanti la sua vita per proteggermi e per insegnarmi a stare al mondo; con il suo sangue io ho scelto di alzarmi e di distruggere i miei demoni. Con il mio, ho distrutto il mio macigno sulla schiena, una parte di me che non sarebbe mai più tornata e che ho seppellito in un luogo irraggiungibile.

È un sacrificio, perché se vuoi cambiare qualcosa di importante devi dare qualcosa di altrettanto vitale, e i patti di questo genere non possono essere infranti. Sono segni che restano, cicatrici sulla pelle che non se ne andranno mai. È un privilegio concesso a pochi, ma solo ai migliori. Coloro che sono pronti a saltare per qualcun altro, a dare una seconda possibilità a chi non aveva ancora capito la vita.

Io non voglio che avvengano più. Non per me, non di nuovo. Troppe persone mi hanno dato troppe occasioni e ho voglia di urlare: “perché?! perché non mi lasciate affondare per una volta?! Perchè volete a tutti i costi che viva per qualcun altro?!”

Perché nonno? Perché mamma? Perché Garfield? Cosa vi aspettate che faccia di così grande, cosa volete ottenere dando la vostra vita per la mia? Tra tutti gli individui sulla terra, io non capisco davvero perché c‘è così tanta gente disposta a proteggermi, nonostante abbia arrecato dolore a troppe persone. Mi riempono di un peso insostenibile, lasciandomi vivere con il rimorso di star consumando la vita di qualcun altro, un peso che mi costringe a prostrarmi a terra, che mi piega le ginocchia, che mi spezza la spina dorsale. Mi abbatte completamente al suolo perché la vita è un peso gigantesco e lo è ancora di più se è di qualcun altro. Chi mi ha caricato di questo peso è solo così sciocco ed egoista da credere che magari mi abbia aiutato, che sacrificandosi per me potrò condurre un’ esistenza migliore, ma non pensa invece al dolore, alla fatica, alle lacrime delle persone che lascerà qui. Sono sempre quelli che restano che pagano i debiti del morto.

ogni azione ha una conseguenza uguale o contraria a tale causa

Mi stacco il pugnale infilzato nella mia mano destra, con un gemito di dolore. Se prima intorno a me c’èra un silenzio terrificante ora il rumore è insopportabile. Sento spari, imprecazioni e voci diverse, tutte intorno a me che vagano con disordine. Sono stanchissima, le gambe vogliono cedere. Mi porto la mano buona al viso e sento tracce di sangue secco sul viso; i capelli attaccati alla fronte dal sudore. A parte il grosso e profondo taglio lungo la mano sembro intatta.

Faccio respiri profondi e mi riprendo, sforzandomi di mettere a tacere i nervi doloranti. Appena sono pronta mi guardo intorno e incontro la pozza di sangue di Garfield; i suoi capelli biondi ora assumono una sfumatura vermiglia ed è molto più pallido di come lo ricordavo. Respira a fatica e i suoi occhi sono spenti, il loro colorito vivace è ridotto ad un velo e le lacrime ricominciano a scendere. Mi avvicino a lui trascinandomi a fatica fino a raggiungerlo: il proiettile ha colpito all’altezza del pancreas e una pesante emorragia lo sta prosciugando.

Non c’è tempo da perdere: mi strappo un lembo della maglietta e gli fascio la ferita. Prima però controllo se c’è il foro di uscita che fortunatamente trovo, almeno non dovrò aprirlo per estrarlo. Premo la pezza, contro la ferita pregando che non faccia infezione, essendo l’unica cosa che posso usare e piango; piango e soffro perché se fossi stata più attenta non sarebbe successo nulla di tutto questo, se fossi stata meno impulsiva, se fossi riuscita ad allontanarlo fin da subito lui sarebbe vivo.

Premo sulla ferita, premo più che posso e tampono e pensare che questo è tutto quello che riesco a fare non mi aiuta, ma continuo.

“sei uno stupido, uno stupido deficiente che non sa fare altro che impicciarsi in affari non tuoi”

Il suo sangue mi imbratta le mani; una grande chiazza rossa ricopriva la sua maglia e il sudore gli imperlava il viso, dolorante

“non puoi insultarmi perfino quando sto per morire”

alzo lo sguardo e lo vedo cosciente e dolorante, che mi fissa. È sveglio e questo mi rende la persona più felice del mondo perché vuol dire che ce la farà, vuol dire che nonostante tutto il sangue che ha perso c’è una speranza. Una lontana e improbabile speranza che lui possa continuare a vivere. Ed è scioccante; scioccante che nonostante il dolore terribile che deve star provando lui continua a ridere, come se nulla fosse, come se, dopo tutto, le cose potrebbero andare peggio, quindi ride. Ci vuole una forza immensa a credere che con circa 2 litri di sangue fuori dal corpo ci sia ancora qualcosa per cui valga la pena ridere.

“vorrei solo ricordarti che sono lo stupido che ti ha salvato la vi-, la vita; di nuovo”

“essere stupidi vuol dire proprio questo imbecille, sacrificarsi per gli altri senza motivo. Tu hai fatto lo stupido, sei sempre stato stupido e nessuno potrà cambiarlo, ma prova a farlo un’altra volta con me e non proverò neanche a salvarti”

solo queste parole continuavo a dirmi: è uno stupido, solo uno stupido …

nonostante sappia che non lo penso minimamente e questo rende me la stupida.

“allora si, sono uno stupido, ma sono lo stupido più felice del mondo se ti ho tenuta al sicura; perché stai bene vero? Non ti hanno colpita, giusto?!”

non mi hanno colpita, perchè c’era lui davanti a me; se ora i ruoli non sono invertiti è solo colpa sua. Se ora io stia soffrendo più di quanto soffrirei con una pallottola nel petto è solo colpa sua. Non posso neanche provare a pensare di essergli grata per il suo sacrificio, perché in questo momento sto morendo con lui.

“per favore Gar-“

“no Rae ti prego lasciami parlare, potrebbe essere la mia ultima possibilità per dirtelo”

Con occhi pieni di supplica mi guarda, mentre con il volto bagnato continuo ad armeggiare con questo straccio di stoffa, cercando di fare il miglior lavoro possibile.

“tu ce la farai, mi dirai quello che devi dirmi quando starai meglio: perché tu starai meglio!”

Ero ormai presa dalla disperazione non sapevo più che fare e lui continuava a perdere davvero tanto sangue.

“Rae non voglio rischiare, ti prego guardami”

Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi azzurri ormai quasi vitrei, ma presenti. Era debole, quasi invisibile ma c’era e questo è incredibile. Lui è incredibile

“Dalla prima volta che ci siamo incontrati, io sono subito rimasto colpito da te; eri una delle ragazze più odiose e determinate che io abbia mai conosciuto; terribilmente cocciuta e incredibilmente insensibile. Piena di barriere che ti sei costruita nella vita, impenetrabili e insostenibili per te. Me ne hai fatte davvero di tutte i colori: ogni litigata, ogni odioso sguardo truce e altri vari aneddoti che ricorderai meglio di me; sono tutte cose alla quale non rinuncerei per nulla al mondo. Ogni singolo sguardo, ogni momento con te, voglio che vivi in me e che resti per sempre parte di me. Poche volte ti ho vista felice, ma quelle mi sono bastate e speravo di poterne vederne altre. Sei davvero la cosa più strana e inaspettata che mi sia mai capitata e non sai quante volte avrei voluto abbracciarti solo per sentire che eri li, altre invece avrei voluto strangolarti per la tua testardaggine, per i tuoi comportamenti indifferenti eppure sono forse le cose che mi fatto diventare matto; Più di quello che ero già prima, terribilmente fuori di testa. Si può descrive solo così una persona che perda la testa per una ragazza così ostinata. Un giorno qualcuno mi ha detto che tra te e me c’èra più di quello che vedevamo, diceva che avevamo un filo che in qualche modo rendeva le nostre differenze un’unica cosa; inizialmente non capì, rimasi piuttosto perplesso, ma sai credo di averlo trovato quel filo e non lo lascerò per nulla al mondo.”

Tra tosse e voce roca sembrava quasi incomprensibile, ma capisco ogni singola parola. Capisco dove vuole arrivare, ma non voglio che lo dice perché sarà ancora più difficile poi pensare a salvarlo. Non voglio che lo dica ora, non voglio che sia l’ultima cos che mi dirà.

Continuavo a fissarlo e osservare quella sua luce che sembra per spegnersi. Piangevo davvero tanto; tutta la mia disperazione era nello scorrere di quelle lacrime.

“tutto questo è per dirti che mi sono innamorato Rachel, di una delle persone più forti del mondo e quella ragazza così tosta ora mi sta guardando e sta piangendo, l’ultima cosa che vorrei vedere, perchè mi si stringe il cuore. Vorrei che mi facesse un bel sorriso, uno di quello che avrei voluto dargli io.”

Senza pensarci feci la prima cosa che mi venne in mente. Era più un volere represso che un gesto istintivo, ma lo feci. Mi avvicinai e scontrai le mie labbra con le sue per poi iniziare un mescolarsi di emozioni: felicità, rabbia, dolore; tanto dolore. Mi sembrava di tremare, oppure era lui; sta di fatto che appena mi staccai per riprendere fiato lui mi riprese a se e ricomincio la danza ed io mi sentì leggera e felice, per un quarto di secondo sembrava tutto perfetto e felice. Il sangue non c’era più, le voci erano svanite, il mondo era un bel posto. La morte non fa più paura e l’amore esiste davvero e lo sto vivendo io.

Poi tutto smette. Il vetro si spezza e Gar perde i sensi e uno sparo ci schiva entrambi; alzo lo sguardo e vedo Tara a terra e Trevor con diverse ferite al volto che punta il mirino su di me. Anzi su Garfield, ma io mi sporgo in avanti per proteggerlo.

Carica e preme il grilletto e tutto si ferma. Non accade nulla.

Solo il rumore delle sirene di un’ambulanza sembrano riavviare il tempo. Per il resto resto ferma a fissarlo e lui fa lo stesso con me: capelli arruffati, vestiti spiegazzati, la faccia piena di dolore e pazzia. Una follia bruciante brilla nelle sue pozze e chissà quali malati pensieri stavano invadendo la sua testa, ma di tutto questo una cosa spiccava più del resto ed era la paura.

Allora capì: non aveva più colpi, lui era stremato ed io ero pronta a lanciarmi per finirlo, per fargli provare quello che ha fatto a me. Dopo una vita lo avevo in pugno. Dopo una vita potevo essere io quella a scegliere il destino dell’altro. Potevo decidere se farlo fuori o risparmiarlo; sarebbe stato facile, basterebbe alzarsi, raggiungerlo e pugnalarlo con l’arma di mio nonno e finalmente tutti avrebbero avuto vendetta: mia madre avrebbe avuto vendetta.

Non dovrei più scappare, non dovrei preoccuparmi più di nulla, perché lui sarebbe morto.

Poi sento la mano di Gar afferrare la mia.

Era il momento di scegliere: la vendetta o la vita?

La scelta mi è parsa subito chiara


 

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Circa dall’altra parte della città, nel distretto 9 si era scatenato un putiferio.

Daniel Cartis, geniale ed incompreso addetto alle pulizie del locale aveva appena infranto circa sette leggi del codice del buon inserviente per sua spontanea iniziativa.

Nel distretto 9 non arrivavano più chiamate come quella da circa tre mesi, quindi nessuno poliziotto di turno si era minimamente occupato di alzare la cornetta dopo il terzo ed insistente squillo.

Forse era proprio per questo motivo che il tasso di criminalità continua ad alzarsi; nessuno mostra un minimo di vero interesse per il crimine. Se solo Daniel fosse riuscito a passare quel dannato test dal cardiologo, qui le cose andrebbero molto diversamente.

Insomma, il quasi quarantenne frustrato e stanco decide di alzare la cornetta, prima di svuotare il cestino di fianco alla scrivania del cretino ed inaffidabile James McQueen: ogni giorno tutti si chiedono, come caspita abbia fatto a passare tutte la dure prove per entrare nel corpo della polizia; poi si ricordano dello zio ricco e amico del presidente e perdono sempre un po' di speranza nel mondo.

Non appena Cartis alza la cornetta capisce che la sua vita sta per cambiare.

“l’apice del crimine organizzato in questo momento si trova alla Trigon Incorporation; fate presto”

Come è iniziata la telefonata si conclude.

Il tempo di spiegare ai suoi superiori l’accaduto e subito l’edificio scoppia in allarme. Se era quello che il direttore si immaginava sarebbero finalmente riusciti ad incastrare il capo e il conducente del crimine che da anni controllava Jump City. Non c’era tempo per verificare la veridicità delle informazioni, la tempestività era essenziale e nel caso sarebbero riusciti a tracciare il numero dell’informatore.

In meno di dieci minuti circa sette macchine, ciascuna con due poliziotti armati all’interno, sfrecciavano per le strade allarmando i cittadini che già seguivano le sirene, lanciando le più varie ipotesi.

Arrivati al luogo indicati Lisa Rogers (capo del distretto) si rende conto della gravità della situazione. Appena entrati nell’edificio c’era il caos più totale: uomini stremati a terra, ma vivi, la segretaria all’entrata era terrorizzata, immobile con le lacrime agli occhi e nessuno capiva per quale ragione non avessero avvertito prima il loro distretto. Lisa da ordine ad uno dei suoi uomini di chiamare il 911 e con una scorta di altri quattro agenti procede a controllare l’edificio. L’ascensore era fuori uso, ma non c’era tempo per aspettare il tecnico, quindi usarono le scale di servizio; considerando che già gli anni precedenti si sospettava che questa fosse la base della mafia locale già altri avevano ottenuto un mandato per verificare la teoria, ma non si era mai scoperto nulla. Tutto pulito, tutto in regola, non c’era una fattura fuori posto, ed era proprio questo che accresceva i sospetti, ma nessuno aveva intenzione di rimetterci la faccia.

La signorina Rogers non era mai stata presa sul serio quando insisteva sul voler ricontrollare di persona; dava la caccia a quest’uomo da quando era entrata in servizio, convinta che ci fosse qualcosa che fosse stato tralasciato. Qualcosa come i piani inferiori dell’edificio, dichiarati inagibili per manutenzione.

Fù proprio quella la strada che prese la donna, nonostante i timori dei suoi uomini.

Perlustrò da cima a fondo ogni piano e in ogni uno si presentava sempre lo stesso scenario: uomini feriti, fori di proiettili ovunque; molti parlavano di una guerra tra famiglie, ma Lisa conosceva bene il soggetto e sapeva che se Trevor avesse voluto dare inizio ad una battaglia non l’avrebbe iniziata sicuramente in casa sua.

Passata più di un’ora e mezza le ricerche continuavano con più insistenza: erano riusciti a trovare il vero ufficio del boss, ma non c’erano prove o tracce di lui da nessuna parte, solo un uomo svenuto a terra con un grosso livido sulla faccia. I medici hanno detto che non era nulla di grave e che appena si riprenderà chiameranno il loro distretto.

Per il resto nulla; a parte un gran disordine, nell’edificio non c’era nessuno. La frustrazione era tanta, ma quantomeno si aveva un inizio. Almeno ora potrà dimostrare che in effetti qualcosa sotto quell’azienda c’era e sicuramente nulla di bello; che le sue accuse non erano campate per aria e potrà iniziare ad indagare seriamente sul caso.

Si trovava di nuovo nello studio di Roth, voleva trovare qualcosa da cui iniziare, qualche prova, qualche documento fuori posto, qualche nome. Credeva di essere sola e dopo la quinta perlustrazione della libreria (principale oggetto della stanza) si lascia andare ad un sonoro sbuffo.

“trovato nulla?”

Daniel Cartis (nei panni di un’agente qualsiasi e agli occhi del diretto null’altro che quello) era davanti alla porta, ance lui con le stesse intenzioni del caporale.

“sembra tutto in ordine; non c’è neanche un nome da cui iniziare”

Si avvicina la libreria e inizia a leggere i titoli dei fascicolatori.

“Trevor Roth non è sicuramente tipo da mettere i suoi affari alla luce del sole; a lui piace giocare e sentirsi superiore e vuole dimostrarlo. È un megalomane, ma non di quelli stupidi per questo non lascerebbe mai nulla di importante nel suo ufficio, neanche in quello nascosto, ma in un qualcosa di più simile ad un passaggio segreto”

Lisa pensa a come potrebbero trovare questo nascondiglio se già avevano impiegato cinque anni a trovare l’ufficio vero, ma in effetti forse lo avevano già trovato.

“non nasconderebbe mai delle informazioni importanti dove noi le andremmo a cercare, lui pensa più in grande”

pronunciando queste parole Lisa si allontana dalla libreria ormai convinta che quella sia troppo ovvi. Si guarda intorno; l’ambiente è freddo, neutro, non spira nulla che possa indicare qualcosa della vita del proprietario; non una foto, non un quadro; solo un vaso di ceramica, grigio, con incisioni blu sulla superficie. Perché un boss mafioso, che ha la possibilità di comprarsi vasi di fattura ber più alta, decide di usare come unica decorazione un vaso talmente orribile?

Entrambi si avvicinano al vaso. Daniel lo solleva e la libreria sparisce, al suo posto un grosso varco scavato nella roccia completamente buio. Ci mettono meno di dieci minuti ad arrivare gli aiuti e ancora meno i paramedici, chiamati da Lisa, che davanti a allo spettacolo trovato infondo al tunnel capisce di aver finalmente concluso il caso.

Per il resto della settimana non si farà altro che parlare del nascondiglio nel vero ufficio di uno dei capi delle più grosse organizzazioni mafiose. I cittadini erano confusi e spaventati; come aveva potuto la polizia nascondere delle indagini tanto importanti, e come possono esserci state così tante vittime.

Solo quando il tribunale decretò la pena di Trevor Roth il clima iniziò a cambiare, anche grazie alla scoperta dei tanto agognati documenti nascosti per anni dalla “famiglia” nelle pareti finte della galleria nascosta.


 

Trevor Roth; omicida, ladro, ingannatore e ricattatore.

Pena: ergastolo nella prigione di Rikers Island


 

Quello stesso giorno Jump City perse un fantasma: il cadavere di una ragazza dai capelli color grano fu trovato senza più una goccia di sangue all’interno. Non appariva in nessun registro, non c’erano tracce del suo DNA salvate da alcuna parte, non aveva amici e i vicini della sua ipotetica abitazione dicevano che non vedevano nessuno in quella casa da anni. Era la sconosciuta sulla bocca di tutta la città e protagonista delle più folli storie. Tutti la vedevano come una brava ragazza, con una vita avventurosa, il sogno di ogni adolescente, morta per la propria città. Nessuno si era mai permesso di considerarla diversamente e nessuno di coloro che sapevano la verità avrebbe smentito quelle voce. Solo dopo qualche mese un ragazzo si presentò all’ufficio di Lisa.

“si chiamava Tara ed era un’eroina”


 

Grazie alla morte di Tara si riuscì a fare l’impossibile. Dopo che il caporale e Cartis uscirono dall’edificio un avvocato, Antony Grover, si presento a loro come l’unica possibilità di incastrare Roth e i suoi scagnozzi. Il processo durò sette mesi, nonostante fosse stato catalogato come assoluta priorità, dall’ufficio del procuratore.

La morte di un’innocente fece alzare pesanti accuse su Trevor e suoi alibi furono sventrati dalle grandi abilità dell’avvocato, cui contributo risultò indispensabile. Furono sette mesi impegnativi per tutti, ma alla fine riuscirono ad incastrarlo.

Venne dichiarato colpevole di plurice omicidio: quello di sua moglie Arella Roth e di Tara Markov e di sfruttamento minorile in quanto obbligò la figlia ancora minorenne, Rachel Roth ( la quale non venne mai trovata) ad entrare nei suoi affari e deturpando per sempre il suo equilibrio mentale che la portarono a compire gli omicidi che verranno pagati dal padre in prigione.


 

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i giorni successivi a quello che viene chiamato “il grande giorno” furono molto confusi per Garfield.

Si sveglio in ospedale dopo tre giorni di sonno pesante, e quando aprì gli occhi decise che forse sarebbe stato meglio morire. Il dolore era forte e ovunque; non riusciva a muoversi e tutti i fili che aveva attaccati addosso sembravano risucchiarlo, ma “almeno era vivo”, come disse il suo medico.

I dottori gli avevano raccontato quello che a quanto pare era successo: il mondo era convinto che lui si fosse ritrovato incastrato in un conflitto di interessi tra un potente boss di mafia e un suo complice, le cose si erano complicate e lui stava per diventare una delle vittime, ma grazie all’aiuto di qualcuno che era riuscito a bloccare temporaneamente l’emoraggia e a rianimarlo quando era andato in arresto. Gli hanno anche detto che i suoi amici gli sono stati accanto tutto il tempo e che saranno felici di rivederlo.

Appena gli raccontarono tutto capì che il piano di suo zio aveva funzionato e che Kori era riuscita ad aiutarlo. Finalmente diedero agli altri il permesso di vederlo il suo cuore perse un battito quando non vide entrare Rachel. Era riuscito a resistere, a non chiedere di lei a nessuno dei suoi infermieri di lei sperando che venisse lei, ma così non fu. A dire la verità forse avrebbe preferito non incontrare Victor e gli altri per paura di quello che avrebbero potuto dirgli, tipo che lei era morta, che il suo sacrificio era stato inutile, che non era stato in grado di proteggerla a sufficienza e che non la rivedrà mai più.

Quando i medici lo lasciarono solo con i suoi compagni non fù neanche necessario chiederlo. Kori parlò subito.

“non lo sappiamo Gar”

Gli raccontarono la vera versione dei fatti: lo avevano trovato quasi morto nella grotta e con lui c’era solo Trevor, svenuto, e il cadavere di Tara. Rachel lo aveva salvato da morte certa e prima che la polizia potesse vederla era riuscita a scappare non si sa dove. Avevano provato a parlare con Trevor per farsi dare delle spiegazioni e grazie ad Antony erano riusciti a farsi organizzare un incontro, ma tutto quello che riuscirono a carpirgli fu una stupida metafora: “mamma cervo quando sente l’odore umano sul suo cucciolo scappa e lo lascia a morire”

“pensiamo che abbia cambiato identità”

non c’era più nessuna traccia di Rachel Roth; casa sua venne distrutta da un incendio il giorno dopo la cattura del padre. Restava solo cenere. Cenere e silenzio.

Non parlò molto; anzi, se non gli facevano delle domande Garfield non parlava affatto. Pensava molto però; Tara era morta, Rachel scomparsa, Trevor in prigione e suo zio non lo lasciava un secondo, come i suoi amici. Provavano ad aiutarlo, portandogli di nascosto del cibo vero dal mondo esterno (quello della mensa era immangiabile), ma aveva ancora dei problemi nell’accettare come tutto stava cambiando; eppure era prevedibile, ma aveva preferito sperare che sarebbe andato tutto bene comunque.

Solo quando uscì dall’ospedale, due settimane dopo, iniziò a migliorare il suo umore. Rivide tutti gli amici, rispose alle mille domande di Lucian, riuscì a passare senza problemi l’anno scolastico e la preside gli tolse l’obbligo di continuare il corso di teatro, anche se aveva già deciso di riscriversi l’anno prossimo, forse sperando di ritrovare Rae.

Per tutta l’estate usò i finanziamenti di suo zio, con qui stava iniziando a legare, per cercarla senza ottenere risultati. Rachel aveva lasciato delle tracce false per tutto il paese, probabilmente proprio per evitare che lui la trovasse. Tornò a Jamp city dopo mesi di viaggio, ma non perché si fosse arreso, ma per via della malattia di Antony; peggiorava sempre di più, ma lui visse gli ultimi mesi di vita serenamente, ormai tranquillo di aver chiuso tutti i suoi debiti. Al suo funerale si presentarono poche persone oltre lui: il suo segretario, delle famiglie che aveva aiutato e Lisa Rogers, che per tutta la cerimonia non gli aveva tolto gli occhi di dosso. Alla fine scoprì che la poliziotta voleva informazioni sulla figlia scomparsa di Roth.

“la scuola mi ha detto che eravate nella stessa compagnia di teatro e potrebbe essere importante il suo contributo per scovare gli scagnozzi di suo padre”

Forse fù per la stanchezza o per la disperazione di non saperle rispondere. Gli urlò di tutto, la usò come sfogo personale praticamente; gli rovesciò addosso tutta la sua frustrazione e la fece scappare.

La rivide solo il giorno del verdetto finale, in tribunale, anche se ovviamente non era la persona a cui dava più attenzione. Per tutta l’inchiesta non staccò gli occhi da Trevor e lo stesso fece lui; in quel momento ebbe la possibilità di capire perché Rachel aveva scelto di continuare a vivere sotto il suo comando: Trevor non è un uomo che lascia scappare la gente, lui la lascia andare, ma ti fa solo credere di essere libero, in realtà tu fai solo finta di credere che quel suo sguardo vuoto non ti possa scovare ovunque. In quel momento ogni cellula del suo corpo gli urlava di saltargli addossi, di fargli patire quello che Rachel ha patito per anni, ma rimase seduto. Il sacrificio di sua figlia non sarà vano.

Gli altri avevano perso la speranza di rincontrarlo quando non videro più il suo nome nell’elenco scolastico. La preside disse loro che tutti i documenti su di lei erano scomparsi, anche quelli cartacei e che la sua iscrizione era stata ritirata da un’email non tracciabile. Nonostante questo Gar non perse mai le speranze di ritrovarla.

Il giorno del diploma andò con gli altri a festeggiare e inseguì una sconosciuta per mezza città convinto che fosse lei. Ovviamente rimase deluso. Passarono la serata a parlare dei vecchi tempi, del “grande giorno” e di Rachel.

“sono sicura che quando sarà pronta ci dirà qualcosa; dopotutto ha ancora l’ FBI alle calcagna”

Il caso della figlia scomparsa dei Roth aveva raggiunto le orecchie dell’organizzazione infatti; ora se ne occupavano lo e alcuni dicono che anche i servizi segreti sono in azione.

Kori e Richard avevano intenzione di sposarsi dopo la laurea, Karen inizierà a lavorare nell’officina del padre, mentre Victor ed io avevamo ottenuto una borsa di studio per la Yale University. Le cose cambiano, la nostra vita andava avanti e speravamo tutti anche la sua.

   
 
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