Serie TV > The 100
Segui la storia  |       
Autore: MarySF88    01/07/2018    4 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2, Una mutevole verità

 

Il comandante dei 13 clan, (in realtà probabilmente erano 12), cavalcava come una valchiria solitaria in mezzo alla desolazione. Dopo aver velocemente indossato la sua armatura ed aver preso la sua spada era corsa all'esterno della torre. Non aveva nemmeno potuto ricorrere alla comodità rappresentata dall'ascensore perché non era rimasto nessuno abbastanza in forze da azionarlo. Aveva perciò dovuto calarsi con estrema lentezza e cura lungo le corde che lo sorreggevano, per poi aprire con la forza le porte del primo piano, dal quale si era calata fino a terra. Aveva perso una quantità di tempo interminabile in questa trafila e per quel che ne sapeva centinaia di persone potevano essere morte nel frattempo.

I numerosi cadaveri all'esterno non facevano che accrescere i suoi sospetti. Alcuni sembravano addirittura appartenere a uomini e donne buttatisi giù dalla torre. In ogni caso i loro corpi erano ormai irriconoscibili.

Si muoveva tra di essi con rapidità ma cercando anche di non scoprirsi troppo nella direzione di eventuali attacchi. Non sapeva se gli Skaikru erano già arrivati a Polis, ma era abbastanza certa che in ogni caso non avrebbero apprezzato la sua presenza. Arrivata alle stalle si era accorta che erano state lasciate aperte e che i cavalli giravano liberamente nelle sue vicinanze.

“Bene, qualcuno ha avuto l'astuzia di liberarli perché non morissero a causa delle mancate cure.” aveva pensato compiacendosi dell'addestramento e della taratura dei suoi uomini.

Si era affrettata ad afferrare il primo animale alla sua portata, lo aveva bardato ed era partita verso il limitare della città. Una città fantasma, ecco cosa era diventata. Il suo popolo non era particolarmente animista e la sua cultura non la portava certo in quella direzione, ma aveva cominciato a pensare che Polis ne avesse passate decisamente troppe e che i muri fossero intrisi del dolore di tutte le disgrazie che l'avevano colpita. Stava diventando un luogo maledetto.

Attraversò cavalcando le strade deserte e giunse al limitare dell'area boschiva circostante. Si chiese come avrebbe fatto a convincere Clarke anche solo a prestarle attenzione per il tempo necessario a giustificare la sua presenza. Avrebbe veramente cercato di ucciderla? Se, come aveva detto Titus, Wanheda non era mai stata a Polis allora non aveva mai avuto occasione di sfogare la sua rabbia nei suoi confronti e lei non aveva mai avuto modo di farsi perdonare e di farle capire cosa provava per lei. Certo coglierla di sorpresa forse non era proprio la strategia migliore per farsi ben volere e per dimostrare di non avere cattive intenzioni.

Si mosse su percorsi laterali in mezzo al bosco, che ormai conosceva alla perfezione, per non incrociare la delegazione direttamente. Era certa che ci sarebbero stati anche Bellamy ed Octavia. Il primo avrebbe reso sicuramente i suoi tentativi di convinzione più difficili. Su Octavia invece forse poteva contare: era la compagna di un terrestre e per certi versi si riteneva anche lei in parte tale.

Dopo mezz'ora di viaggio scorse in lontananza i segnali della presenza di un gruppo di persone in movimento. Decise perciò di smontare da cavallo e avvicinarsi cautamente a loro. Arrivata a 600 metri di distanza si acquattò nella boscaglia e cercò di osservarli con molta attenzione. Erano una decina. In testa al gruppo procedevano a cavallo Clarke, Bellamy e Octavia, armati con fucili, pistole e probabilmente anche con coltelli o pugnali. Li seguivano 8 soldati armati anche loro con dei fucili. I cavalli erano caricati con delle sacche da cui proveniva uno strano tintinnio. Tutto abbastanza prevedibile, bastava decidere in fretta come procedere. Peccato che alla vista di Clarke il freddo impianto calcolatore da perfetta guerriera si era incantato. Negli ultimi istanti prima di morire aveva pensato che non l'avrebbe più rivista, mai. I suoi occhi avevano speso i pochi momenti che le restavano a guardarla, nel disperato tentativo di imprimere ogni dettaglio del suo viso direttamente nella sua anima, per poterselo portare con sé.

Ed eccola adesso, Clarke-Wanheda. Cavalcava vestita come una Heda di straordinaria potenza e bellezza. I lunghi capelli biondi finemente intrecciati come un tessuto dorato con riflessi color rame. L'armatura della sua gente decorata da un fine mantello blu notte con delle sottili decorazioni argentate. Addosso aveva anche qualcosa che luccicava sotto i colpi dei potenti raggi di mezzogiorno. La testa alta, lo sguardo fiero di chi va a riprendersi la sua vendetta.

“Jus drain, jus daun.” pensò Lexa con un misto di ammirazione e paura. Non paura di essere sconfitta, ma paura di essere respinta. Non riusciva a capacitarsi di come era stata in grado di conquistare il suo cuore una volta, figuriamoci due. Ma erano veramente due, se tutto ciò che ricordava non era in realtà mai accaduto?

Si ridestò da quel sogno ad occhi aperti. Doveva cercare di salvare ciò che era rimasto del suo popolo. L'amore si stava rivelando nuovamente una debolezza capace solo di intralciarla. Fatto sta che ancora non aveva idea di come fare ad avvicinarsi senza farsi vedere e il gruppo si stava allontanando.

Una voce dal fondo della sua mente si insinuò tra le pieghe della sua coscienza. Avrebbe potuto essere quella di uno dei comandanti del passato che le davano consigli da quando era diventata Heda, ma sembrava qualcosa di diverso.

“Fai il verso dell'allodola.” le disse. Non capiva a cosa sarebbe servito. Era un codice certo, un codice che utilizzava quando si addestrava tra i boschi con i suoi compagni prima del conclave, ma era certa che nessuno Skaikru fosse presente all'epoca.

Decise comunque che non c'era niente da perdere nel provare. Rimanendo ben celata nel suo nascondiglio riprodusse, fischiando, il verso del volatile. Vide subito Clarke immobilizzarsi e fermare il cavallo nel bel mezzo della strada.

“Che succede?” chiese Octavia allarmata fermandosi a sua volta.

Bellamy aveva già imbracciato il fucile ed esaminava da dietro il suo mirino l'area circostante. Possibile che quella nuova voce nella sua testa non cercasse affatto di aiutarla come facevano le altre?

“Fidati.” le sussurrò ed era come se avesse parlato a sé stessa.

“Niente. Voi proseguite, io rimarrò indietro.” sentì distintamente la voce di Clarke mentre già voltava il cavallo per tornare indietro.

Notò un moto di esitazione tra i presenti.

“Per..” iniziò Bellamy che aveva abbandonato la posizione di guardia.

“Vi ho detto di proseguire!” tuonò perentoria quella che a quanto pareva era diventata a tutti gli effetti la loro Heda.

I membri del gruppo si guardarono tra loro e poi proseguirono senza proferire parola.

Una punta di orgoglio pervase l'animo di Lexa: la sua Clarke era diventata ciò che era sempre stata destinata ad essere.

L'orgoglio fu subito sostituito da agitazione quando la vide smontare da cavallo al limitare del bosco e proseguire a piedi con decisione e con sguardo truce. Aveva una spada di ottima fattura impugnata con la sinistra ma non la teneva in posizione di difesa o di attacco, lasciava che fosse una naturale prosecuzione del suo braccio. Il suo viso era pesantemente truccato ma non alla maniera di nessuno dei clan. Si avvicinava sempre di più addentrandosi nel bosco. Che cosa le avrebbe detto una volta che fossero state faccia a faccia? Sembrava così diversa dalla Clarke che albergava nella sua testa...

“Chi sei? Fatti vedere! Come conosci il...” la Skaikru iniziò a tuonare rivolgendosi al bosco come un antico druido. Lexa, istintivamente, si fece avanti avanti interrompendola. Da questo momento sarebbe stata tutta questione di intuito e istinto.

“Tu!” l'accolse Clarke sibilando tra i denti, un'espressione di rabbia e di odio dipinta sul volto mentre faceva sibilare la spada nell'aria in direzione del suo petto.

La Heda alzò le mani in segno di resa e l'arma mutò forza e direzione appoggiandosi contro la sua parete addominale. La punta andò a far forza proprio là dove le era sembrato che il proiettile l'avesse colpita. La sua avversaria sembrava usare l'arma per tenerla il più possibile a distanza. I loro sguardi si incrociarono incagliandosi l'uno nell'altro come tante volte era successo. Lexa non poté fare a meno di dipingersi un'espressione di supplica sul viso. Non era la spada a farle male, ma quello spazio forzato tra i loro corpi proprio ora che, oltre il limite del possibile, l'aveva ritrovata.

“Titus ha detto che eri morta. Che gran parte della tua gente lo era. Che stavano morendo tutti per il morbillo e se non ci fossimo affrettati non sarebbe rimasto più un solo terrestre. Ho visto i villaggi distrutti e dati alle fiamme insieme alle pile di cadaveri, ma era solo il tuo ennesimo inganno.” Clarke premeva sempre di più la spada verso la carne ad ogni parola costringendo Lexa a indietreggiare.

“Non è un inganno, Clarke. Stanno davvero morendo tutti e...”

“Tutti tranne te.” Un ghigno cattivo accompagnò quelle parole mentre il sopracciglio destro le faceva un guizzo verso l'alto e il corpo del comandante frenava la sua ritirata contro un tronco d'albero. Come spesso le era accaduto in passato Lexa accolse quella trappola con una seria espressione di fierezza alzando lievemente il mento e intensificando il suo sguardo. Adesso poteva notare chiaramente che il colore del trucco che l'altra aveva sugli occhi era verde.

“Non è stata una mossa alla tua altezza venire fino a qui da sola, Lexa.”

“Era l'unico modo per salvare il mio popolo.”

“Il tuo popolo. È sempre in cima alla lista delle tue priorità, non è vero?”

La Heda tacque sostenendo il suo sguardo in silenzio.

“Ho imparato molto bene la tua lezione. E adesso hai un problema perché i miei sentimenti non offuscheranno il mio giudizio.”

Mentre sorrideva truce affondava la lama nel primo strato della pelle provocando nella sua vittima un tenue bruciore accompagnato dalla sensazione calda del sangue che gocciolava sul suo ventre. A fare male erano però quelle parole tormentate. Nel suo sogno era stata Clarke a convincere lei ad accettare i sentimenti, non il contrario.

“Prenditi pure la tua vendetta se vuoi, ma poi affrettati verso Polis. Gli ultimi sopravvissuti si trovano nella torre, nella sala del trono. Se due uomini azionano l'ascensore...”

Clarke rise chinando la testa all'indietro e scoprendo il collo e Lexa non poté fare a meno di notare quanto fosse sensuale.

“Affrettarmi? Verso la trappola che i tuoi uomini mi stanno tendendo? Davvero non mi crederai così sprovveduta!” esclamò.

A quel punto Lexa fece qualcosa che sorprese anche sé stessa. Afferrò saldamente la lama della spada con entrambe le mani fino a conficcarsela nella carne. Divenendone tuttavia padrona e ignorando il dolore che le provocava quel gesto, la strappò dalla presa di Clarke e la gettò con tutte le sue forze il più lontano possibile da loro. Poi, replicando un gesto che, (ricordava?), aveva compiuto in passato, si gettò in ginocchio di fronte alla Skaikru mentre le mani le grondavano sangue lungo i fianchi.

“Clarke del Popolo del cielo. Wanheda. Il mio popolo si arrende di fronte a te e al tuo popolo. E io mi arrendo a te. Fa di me ciò che vuoi. Uccidimi e prendi il mio posto o risparmiami e sarò fedele a te sola. Ma ti prego affrettati o non ci sarà più nessuna resa possibile per noi, se non quella che dovremo alla morte.”

Clarke la guardò con stupore, sgranando gli occhi ma senza scomporsi. Per un attimo una sua mano guizzò con delicatezza verso il suo viso poi si riprese, la fermò a mezz'aria e, mentre assumeva un'espressione di infinita tristezza, le disse:

“IO sono la morte. Io sono Wanheda, il comandante della morte. E TU mi hai costretta a diventarlo. Non cambia poi molto che tu ti arrenda a me o alla Dama con la Falce.”

Poi distolse lo sguardo portandolo verso l'orizzonte, pensierosa.

“Accetterò la tua resa e quella di coloro che rimangono. Regnare sugli inferi sembra essere davvero il mio destino.”

Detto ciò si voltò, raccolse la spada insanguinata e la rinfoderò senza nemmeno pulirla poi si mosse in direzione del cavallo.

“Andiamo.” le ordinò secca.

Lexa si alzò senza ribattere e la seguì riassumendo una posizione fiera. Dentro di lei covava una profonda tristezza. A questa Clarke aveva fatto molto più male che a quella dei suoi sogni o ricordi che fossero. Non riusciva a ricordare cosa fosse successo negli ultimi giorni o mesi, ma sentiva che c'era qualcosa di importante, qualcosa che le sfuggiva e che apparteneva alla dimensione di quel mondo che non trovava spazio nella sua memoria per quanto lo cercasse.

E desiderava toccarla, rassicurarla, calmarla, farla sorridere. Non c'era spazio per niente di tutto ciò in questa realtà. Per un piccolo, microscopico istante, le venne il desiderio di tornare nel sonno in cui la morte l'aveva avvolta e in cui i sogni avevano creato un destino più felice per loro. Forse, però, c'era ancora qualcosa che poteva fare, una via con cui poteva essere d'aiuto a Clarke.

 

Wanheda montò a cavallo, con la fierezza di una vera leader. Poi sembrò rendersi conto che non poteva lasciarla lì e che farla proseguire a piedi le avrebbe rallentate.

“Non sarai arrivata a piedi fin qui.” sentenziò senza guardarla.

“Ho un cavallo nascosto nel bosco.”

“Bene. Recuperalo, ti attendo più avanti con gli altri, poi partiremo al galoppo per cercare di salvare più persone possibile.”

“Come hai intenzione di spiegare la mia presenza agli altri?”

Clarke inclinò la testa di lato e finalmente la squadrò dall'alto in basso.

“Non ho bisogno di spiegare niente. Adesso mi temono, faranno quello che gli dico e basta.” disse sprezzante. Diede un colpetto nelle reni del cavallo e partì a gran velocità in direzione dei suoi compagni.

 

Quando Lexa, di malavoglia, raggiunse il gruppo, trovò tutti in sua attesa in un muto silenzio e in atteggiamento ostile, ma nessuno le puntò contro un'arma.

“Tieni.” Octavia le lanciò uno zaino appena le fu accanto mentre la studiava attentamente con lo sguardo. “Contiene alcuni medicinali che...”

“Lexa non necessita di alcuna spiegazione, Octavia. Adesso lei e il suo popolo faranno ciò che noi gli diciamo, non è vero?” intervenne Clarke altera, di nuovo senza degnarla di un'occhiata.

Un moto d'orgoglio si fece strada nella Heda destituita. La rabbia la attraversò come una scossa di calore e le tese i muscoli mentre stringeva i denti e dilatava gli occhi. Per quanto fosse la scelta più sensata da fare per il bene della sua gente, non era stata abituata a subire in silenzio certe umiliazioni.

Si costrinse a fare un timido cenno di assenso con la testa, fremendo perché si dessero una mossa affinché tutto ciò non fosse perfettamente inutile.

“Visto?” ghignò Wanheda rivolta al gruppo. Poi, senza dire una parola, spronò il cavallo e si avviò al galoppo verso la città. Bellamy e Octavia le lanciarono un'ultima occhiata ostile e partirono al seguito della loro guida. Con crescente disappunto, a Lexa non resto che fare lo stesso.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: MarySF88