Serie TV > The 100
Segui la storia  |       
Autore: MarySF88    26/06/2018    3 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Come back in time

 

Capitolo 1, Nascita

 

Spalancò gli occhi. Sentì i sensi e la coscienza scorrere come una scossa in tutto il corpo. I polmoni si espansero improvvisamente e la bocca tirò l'aria dentro di sé con la forza primordiale di tutti i muscoli del suo corpo. Seguirono molti altri respiri affannati e incerti, come se dovesse padroneggiare un meccanismo sconosciuto. Le pareva di aver già vissuto qualcosa di simile, ma non ricordava quando.

Lentamente cominciarono a riaffiorare i ricordi. Si portò istintivamente una mano allo stomaco, cercando di tamponare un dolore che non c'era ma che era fin troppo ben impresso nei suoi circuiti neuronali. Si guardò intorno incerta, cercandola. Non la vide. Non c'era nemmeno Titus, né quel Murphy.

“La morte non è la fine.” pensò. Era sicura di essere morta per mano di un arma che fino a pochi mesi prima non avrebbe mai pensato di lasciar entrare nel suo palazzo. Un colpo sparato dalla persona che era stata più di un padre per lei.

Si guardò intorno, era nella sua stanza distesa sul letto: che fosse stato tutto un sogno? Intorno a lei un sacco di candele profumavano l'aria. Notò solo una cosa fuori posto: accanto al suo letto troneggiava un grande specchio che rifletteva i raggi del sole in un modo che non le sembrava naturale ma che non avrebbe saputo descrivere. La attraeva e la atterriva allo stesso tempo. Con la sua consueta decisione e facendo leva sul suo autocontrollo distolse lo sguardo da esso e si mise a sedere sul letto.

Se era stato tutto un sogno era sicuramente stato il più vivido che avesse mai vissuto. Poteva essere un messaggio inviatole dai suoi antenati per ammonirla? In effetti, erano tutti stranamente silenziosi e anche frugando nelle pieghe della sua mente non riusciva a risvegliarli. Decise di alzarsi e andare a cercare Clarke, forse era già partita? Forse non l'aveva mai baciata? Forse non aveva mai fatto l'amore con lei? Rabbrividì al pensiero che anche tutto ciò fosse soltanto frutto della sua dimensione onirica. Avrebbe di gran lunga preferito essere morta ma aver davvero vissuto tutto ciò piuttosto che doversi rendere conto di... “Basta, Lexa! Cosa stai pensando? Cosa accadrebbe al tuo popolo se tu morissi? A Clarke stessa, al suo popolo?” eppure lei era morta, in qualche modo ne conservava la certezza, ma com'era possibile?

Fu in quel momento che incominciò a sentire i lamenti. Erano simili ai rantoli dei feriti di guerra ma più fievoli e prolungati. Riconobbe subito la direzione da cui provenivano, la sala del trono. Lasciò perdere l'idea di continuare a cercare Clarke e afferrò il lungo bastone di un candelabro nel corridoio, determinata a scoprire quanto prima cosa fosse successo.

Non trovò guardie sul suo cammino e il consueto brivido le percorse la schiena per allertarla quando vide che anche la sala del trono non era sorvegliata. I lamenti si sentivano adesso più distinti e le provocarono un forte disagio. Sentì una parte molto remota della sua coscienza attivarsi come se volesse dirle qualcosa, come se volesse dirle qualcosa a proposito di quei gemiti, ma la sensazione subito scomparve senza lasciare traccia.

Allora con determinazione spalancò le grandi porte di ingresso. Quella che le si parò davanti fu una scena a cui non era assolutamente preparata. Decine di persone erano sdraiate a terra sopra a dei giacigli improvvisati, coperti con stracci e lenzuola, in preda al tormento dell'agonia che precede la morte. Non vide sangue sui loro corpi che erano invece madidi di sudore. Non era quindi frutto di una battaglia quella visione. Il trono si stagliava ricoperto di polvere sullo sfondo di quella scena infernale, come un inutile vessillo di un tempo lontanissimo.

“Quindi sono morta davvero e questo è ciò che mi spetta per scontare tutti i miei peccati...” pensò con sconforto.

Si riprese subito e dopo aver accuratamente ispezionato con lo sguardo la stanza decise che non c'era motivo di continuare a tenere un'arma in mano. Appoggiò il bastone contro un muro e cominciò a girare in mezzo a quel lazzareto in cerca di un volto conosciuto. In realtà li conosceva tutti: membri del consiglio, guardie della torre, la guardavano con sorpresa e disperazione, qualcuno mormorava “Uccidimi...”. Non trovava il coraggio di chiedere loro cosa diavolo fosse successo e tanto meno poteva esprimere loro i suoi dubbi sulla possibilità che tutto ciò fosse reale.

Improvvisamente tra i corpi scorse quello di Indra, si affrettò ad accovacciarsi al suo fianco.

“Indra!”

“Heda” le sussurrò con gli occhi spalancati per lo stupore “Titus ha detto che eri morta.”

Lexa dilatò leggermente le pupille a quella notizia, trattenendosi come consueto dall'esternare il turbinio di emozioni e pensieri che aveva dentro.

“Dov'è Titus?” chiese pratica.

Indra alzò un bracciò tremante e indicò in un angolo, poi cominciò a tossire come se stesse per soffocare.

Lexa la osservò per qualche istante con preoccupazione poi fece per alzarsi ma la donna l'afferrò saldamente per un braccio.

“Heda, la nostra battaglia è finita. Spetta a te mettere fine alle nostre sofferenze.” le disse fissandola dritta negli occhi con lo sguardo combattivo di un tempo. Il labbro inferiore sporto in avanti che le conferiva un'espressione minacciosa.

“Non prima che io abbia parlato con Titus, Indra.” le replicò con un tono che non ammetteva discussioni e con uno strattone si divincolò dalla sua presa. Il suo cuore soffriva terribilmente per quella durezza che aveva dovuto esibire, ma era dominata da due pensieri: che tutto ciò non fosse reale e che Clarke potesse essere lì da qualche parte, buttata a morire come un sacco di immondizia in una discarica di corpi umani. Se così era doveva trovarla e subito. Eppure quella vocina in fondo alla sua coscienza, del tutto nuova per lei che pure con le voci aveva una certa dimestichezza, le diceva che era poco ma sicuro che Clarke non fosse lì in mezzo.

Titus se ne stava accasciato contro un muro privo del giaciglio e della coperta che avevano gli altri, con accanto alcune ciotole rovesciate e contenenti una serie di strani liquidi. Non gemeva e non si lamentava, borbottava con voce flebile cose incomprensibili mentre con lo sguardo fissava il vuoto al suo fianco. Gli si avvicinò con cautela e gli si inginocchiò davanti atterrita da quella visione.

“Titus...” mormorò indecisa su come continuare. Lo sguardo trasmetteva più preoccupazione di quanto non avesse voluto mostrarne. Dunque era davvero morta? E questa era stata un'astuta macchinazione del popolo del ghiaccio? E lei era tornata in vita grazie al potere della fiamma? Ma come era successo che Titus non l'avesse estratta subito dopo la sua morte? Istintivamente si toccò la nuca alla ricerca della consueta sporgenza. Non sentì niente. Si spaventò, molto più di quanto non si fosse mai spaventata in precedenza pensando a sé stessa.

“Titus!” ripeté scrollandolo visto che quello non si muoveva.

Allora l'uomo girò lo sguardo vuoto verso di lei.

“Heda...” sgranò gli occhi come se avesse visto un fantasma e probabilmente non doveva avere tutti i torti. “Tu sei morta! Sto davvero delirando dunque..”

“Non sono morta Titus, o per lo meno non lo sono più. Ricordo di essere morta per mano tua ma...”

“Per mano mia? È questa dunque la punizione che mi attende nell'aldilà? No, no, io non ti ho uccisa!” prese a lamentarsi con voce stridula mentre con gli occhi vagava nello spazio intorno a sé come se fosse cieco.

“Titus, ascoltami! Devi dirmi cosa è successo! Io non ho ricordi affidabili della mia morte e tanto meno di ciò che è successo dopo. E devo sapere!” gli ordinò prendendo il suo viso tra le mani e concentrando il suo sguardo nei suoi occhi.

Il sacerdote esitò come se stesse combattendo una battaglia contro qualcosa di terribile che gli ottenebrava la mente. Poi il suo viso si rischiarò e i suoi occhi brillarono.

“Sei davvero viva...” disse rivolto a sé stesso. “Eppure io ti ho vista in preda alla febbre, ho visto il tuo petto esalare l'ultimo esausto respiro, ho estratto io stesso la fiamma...” continuò a borbottare.

“Lo so, Titus, ma adesso devi dirmi cosa è successo qui, subito.”

“Non ricordi... Sì, forse senza la fiamma i tuoi ricordi sono rimasti in essa...”

“Titus!” lo incalzò con impazienza.

“Ci siamo ammalati tutti, uno dopo l'altro. Tu sei stata una delle prime, Heda, e una delle prime a morire...”

“Continua.” una sensazione familiare di freddo cominciò a farsi strada dentro di lei a quelle parole. Gli occhi di Clarke che la supplicavano, il dolore al petto, la tristezza e la volontà di non farla trapelare per poterle fare coraggio, la consapevolezza che non l'avrebbe rivista mai più...

“I nostri guaritori non avevano cure per questa malattia, ho provato a fare di tutto. Il popolo ha cominciato a decimarsi. Ho dovuto accettare l'offerta di medicine degli Skaikru in cambio di una resa. Stavano, stanno, venendo qui, ma è troppo tardi, la malattia procede troppo in fretta, prima del loro arrivo saremo tutti morti...” Titus era evidentemente distrutto per non essere stato capace di salvare la sua gente.

“E Clarke?” chiese istintivamente Lexa, anche se sapeva che il suo mentore non avrebbe approvato quella eccessiva preoccupazione per un'unica persona quando tutto il suo popolo stava morendo.

Anziché arrabbiarsi l'uomo la guardò con una certa sorpresa.

“Wanheda guida la delegazione che porta la cura.” disse.

“Ma sta bene?” non poté trattenersi dal chiedere.

“Tutti gli Skaikru sono immuni alla malattia, loro l'hanno chiamato “vaccino”, non sappiamo se siano stati loro a mandarla.” Titus appariva ancora più sorpreso ed era diventato molto serio mentre la scrutava attentamente.

“Clarke non l'avrebbe mai fatto.” gli disse lei chiedendosi se fosse troppo debole per affrontare un duello verbale.

L'uomo la fissò torvo. Sembrava non capire quel suo atteggiamento ed esserne molto preoccupato.

“È a capo del Popolo del cielo ed è Wanheda, non c'è niente di cui non sarebbe capace.” sentenziò infine.

Lexa si rese conto che qualcosa non andava o meglio non tornava. Provò ad indagare.

“Quanto è passato da quando se ne è andata?”

“Chi?” il sacerdote era evidentemente confuso dalle sue domande.

“Clarke!”

“Se intendi dire quando è partita con la delegazione dal loro acc...”

“No Titus, quando se ne è andata da qua?” lo incalzò colta da un'improvvisa ansia di sapere e dalla precisa sensazione che i suoi timori si stavano improvvisamente rivelando più reali che mai.

“Heda, forse non state ancora bene...” rispose per essere poi colto da un accesso di tosse che lo stava quasi soffocando.

Lexa lo sorresse disperatamente per aiutarlo a respirare ma quando si fu un po' ripreso fu impietosa.

“Titus, io devo sapere quando Clarke del Popolo del cielo è partita per andarsene da Polis!”

Lui sembrò volerle sondare l'anima con lo sguardo. “Heda, Wanheda non è MAI stata qui.”

Lexa scivolò a sedere e si accasciò contro il muro accanto all'uomo che le chiedeva preoccupato se si sentisse bene, ma lei non lo sentiva. Le lacrime scendevano silenziose e calde sulle sue guance. I rumori intorno a lei erano improvvisamente diventati ovattati e lontani, mentre nella sua mente riviveva con accanimento disperato ogni attimo della, sera prima? I baci, la pelle nuda, il calore, il piacere, la pace... Poi il dolore della perdita, della morte, dell'addio. Niente di tutto ciò era davvero successo dunque? Roan non era neppure mai riuscito a catturarla? Era stato tutto frutto dei deliri di quella misteriosa malattia? Scene su scene, emozioni, attimi, le scivolavano via dalle dita come un lenzuolo di seta, bellissimo e profumato, ma troppo prezioso per le sue mani sudicie di sangue.

Eppure... no. Non era così. In qualche modo sapeva che quelle cose erano successe. Sentiva che la spiegazione era un'altra. Ma quale? Titus era troppo debole per aiutarla e non sembrava capirci niente proprio tanto quanto lei.

“Titus, devo andare loro incontro. Subito. Devo fare in modo che arrivino qui in tempo.” disse risoluta alzandosi.

“Aspetta, Heda!” disse l'uomo afferrandole una gamba. “Non ti accoglieranno a braccia aperte. Pensano che tu sia morta, crederanno che sia stato tutto un inganno e Wanheda tenterà di ucciderti non appena ti vedrà.”

Una morsa le strinse il cuore a quelle parole. Dunque erano tornate, o rimaste? O... Erano bloccate a quel punto. In ogni caso c'era poco da fare, per il bene del suo popolo doveva farlo e per il bene del suo animo doveva rivederla.

“Allora farò in modo che non mi veda.” disse mentre si allontanava scavalcando i corpi morenti della sua gente e mentre usciva dalla sua sala del trono pensò:

“Sto arrivando, Clarke.”

 

 

Non pensava, allora, che la sua corsa avrebbe richiesto molto più tempo del previsto.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: MarySF88