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Autore: fiore di girasole    02/07/2018    8 recensioni
Loris è sempre stato un animo puro e un sognatore, ma si trova nonostante tutto a combattere. Prima classificata pari merito, assieme a "15/08/2010 Il giorno dell'addio" di Nina Ninetta, al contest "Raggio di Luna" indetto da Mistery Koopa sul forum di efp.
Genere: Guerra, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stelle cadenti 


“Noi siamo due stelle cadenti. Immelmann, diventa stella cadente assieme a me.” 

Penso spesso a questa frase, al modo scherzoso in cui me la dicesti, quando eravamo ancora sulla Orion. In quel momento mi mostrai seccato, ma eravamo assieme agli altri e dovevo fare finta di nulla. Forse soltanto Aaron sapeva di noi… oppure doveva averlo intuito, e lo stesso valeva per Norman, che mi guardò da lontano con un sorriso complice e mi fece l’occhiolino, dimostrando di aver compreso quale fosse la vera natura della nostra vicinanza. 
Andai via con una scusa mentre tu rimanesti accanto al tuo amico, sul volto quel tuo broncio da ragazzino altezzoso che sta appena imparando che non è sempre possibile vincere qualunque sfida. È giusto lottare per ottenere ciò che vogliamo, ed è giusto anche insistere per conquistare la persona che amiamo, ma non è detto che si possa ottenere tutto nel momento che ai nostri occhi appare come il più opportuno. 

Quella sera ti incontrai sul ponte della corazzata, ero solo, pensieroso, a rimirare le stelle. Avevo fatto tanto per diventare un pilota, volevo essere il migliore come mio padre, e sentirmi degno di venire soprannominato Immelmann come lui. Eppure dopo tanti sforzi e tante rinunce, ero ancora lì a tentare di comprendere che cosa fare della mia vita, cosa sperare per noi. 
Ma, anche se giovani, come possiamo avere delle speranze se il mondo in cui viviamo è perennemente in guerra e ci coinvolge continuamente nelle sue atrocità?! 
Guardavo il cielo e pensavo a tutto ciò che quelle stelle rappresentavano, e rappresentano ancora, per me. Cercavo di rammentare la gioia del primo volo, la soddisfazione di aver adempiuto alla prima missione affidatami come pilota. Pensavo al cielo, alle nuvole… a quanto quegli spazi un tempo mi apparissero incontaminati, così chiari ed immensi, misteriosi ed in gran parte inesplorati. E pensavo all'oceano, alla terraferma dal lato opposto, terra nella quale sognavo da sempre di avventurarmi alla ricerca di mio padre, che da lì non fece più ritorno. 
Amavo l’idea di fiondarmi nel cielo a grandi velocità per tentare ogni volta di battere un nuovo record – quando di resistenza, quando di velocità, quando di abilità acrobatiche. Mai, però a bordo di un aereo che non fosse il mio: quel vecchio catorcio è sempre stato il mio più grande orgoglio di meccanico e pilotarlo il mio più grande orgoglio di pilota. Per ripararlo ci avevo messo tanta dedizione che oltre a renderlo funzionante ero riuscito a vincere con esso una gara acrobatica. 
Volare tra le nuvole di giorno è così rasserenante e di notte, tra le stelle, è invece così… magico. 
Non ho mai vissuto queste emozioni assieme a te, entrambi troppo orgogliosi ed ostinati per fare da navigatore l’uno all’altro. In compenso abbiamo sempre volato uno accanto all’altro, come gregari di una squadriglia che si affiancano e si difendono a vicenda. 

Ed ora perché continuo a pilotare questo piccolo aereo? Per illudermi ancora di poter raggiungere quelle stelle e sentirmi parte di qualcosa di molto più grande di me e dello stesso pianeta? Il mondo in cui viviamo non mi basta e questa nave da guerra, sebbene sia la più grande corazzata mai costruita, inizia a starmi stretta… 
Non passa giorno che la flotta nemica non ci attacchi, ed ogni giorno vediamo i nostri soldati morire sotto il fuoco nemico. Quelle stelle in cielo sono forse le loro anime? O forse quelle dei piloti che hanno perduto la vita in quel cielo, fino a renderlo così stellato? 
Se fosse così, preferirei che di notte esistesse la più totale oscurità. 

Poi il pensiero va ai miei amici. Mi chiedo per esempio come faccia Norman a non impazzire, specialmente ora che ha conosciuto una ragazza e sogna di sposarla. Gli mancano solo due decorazioni per poter tornare a casa libero e da eroe, ma spesso leggo angoscia e smarrimento nei suoi occhi. 
Mi viene in mente una cosa a cui non avevo mai pensato forse perché, una volta saliti a bordo di una nave come questa per restarci, si corre davvero il rischio di impazzire se ci si lascia condizionare da certi pensieri: quando si è in guerra, si corre tutti lo stesso rischio, non soltanto i soldati o i piloti di caccia e dei velivoli da ricognizione come me o chi ha deciso, pur non essendo un militare, di restare per combattere, nella speranza che prima o poi la guerra finisca. Anche i bambini che giocano sulla terraferma sono costantemente in pericolo. 
Ma perché la vita dev'essere così difficile anche per chi non ha colpe?

E come fanno a non lamentarsi mai il piccolo Enea, troppo giovane per trovarsi qui, o la Signorina Nadia, incoronata imperatrice dopo la morte del padre, l'ultimo Regnante del nostro continente. Lei era già il vice-capitano della corazzata, chissà che grande peso deve sopportare dovendosi occupare di una flotta e di un impero; contro l’altro impero, la flotta nemica… e contro l’estenuante minaccia dei Terziari, come li chiamavamo. Ormai questo mondo è diviso in due fazioni e loro sono i farabutti che da questa guerra traggono i maggiori vantaggi.  

“Perché sei così triste, Immelmann? Te ne sei andato senza dirmi niente. Ho girato dappertutto per trovarti.” 
‘Forse perché non volevo essere trovato…’ ricordo che pensai, mentre sospiravo per la tua presenza. 
In quel momento mi stavi aprendo il tuo cuore – in modo contorto come al solito, ma lo stavi facendo – e io, irriconoscente, ti risposi male. Ti giuro però che non volevo ferirti. 
“Lasciami stare! E non azzardarti mai più a chiamarmi Immelmann!” 
“E sia! Oggi sei davvero suscettibile. Ma tu vuoi davvero che me ne vada?…” aggiungesti con un tono ammiccante che lasciava intendere quali piani avevi per la serata.
Per fortuna che almeno non fui tanto stupido da rispondere di sì, me ne sarei trovato pentito. Risposi abbracciandoti, se avessi iniziato a parlare in quel momento di debolezza sarei scoppiato in lacrime, e non avrei mai voluto che tu mi vedessi in preda allo sconforto. 
“Guardavi le stelle pensando a tuo padre, vero? E a questa guerra insensata.” 
“Come…?” Sei sempre riuscito a sorprendermi ogni volta che dimostravi di conoscermi, come se fossi capace di leggermi nel pensiero. “Sì e no. È che oggi il cielo mi appare più limpido del solito e speravo di vedere una stella cadente.” 
“Ecco, lo sapevo. Stai ancora pensando a ciò che ho detto prima.” 
“No, non è per questo motivo, non sentirti in colpa. Ero triste già da prima dei festeggiamenti, ogni festa riapre vecchie ferite e riacutizza vecchi dolori.” 
“È ancora presto, devi aspettare che faccia più buio per guardare meglio le stelle.” 
“Sono daltonico, riconosco meglio di altri le luci camuffate dalle nubi o dalla luce lunare, lo sai che è per questo che mi mandano in ricognizione. E poi mi piace allenarmi a riconoscere le stelle anche quando c’è ancora luce. Secondo me si riconoscono già molte costellazioni.” 
“Dunque non è tutta una scusa per restare da solo?” 
Ti guardai in modo truce, eri davvero più sensibile di come tutti ti giudicavano e mi avevi colto in fallo. Come sempre da imbarazzato, aggirai la risposta.
“Secondo te è vero che le stelle cadenti sono anime di persone che hanno appena lasciato questo mondo? Ed è vero che aiutano a realizzare un desiderio? Se così fosse, vorrei vederne una ogni notte fin quando tutti i nostri desideri non si avvereranno.” 
“Non so risponderti, Loris. Ma non costa nulla continuare a pregare per le persone che amiamo e a sperare che si realizzino i nostri sogni. Mai abbattersi, l’ho imparato da una persona speciale.” 
Con poche parole mi tirasti su di morale, ci sei sempre riuscito nonostante il tuo modo di fare all’apparenza distante e indisponente. 
Ci baciammo con dolcezza e senza fretta, lasciandoci cullare dalla calma placida della sera in quel momento di pace. Presto potevamo essere attaccati di nuovo ed era meglio approfittare di questo attimo di tranquillità. 

Avevi ragione, Giò. Noi siamo due stelle cadenti. Abbiamo voluto imparare a volare solo per vincere la remota paura di precipitare, per non trovarci mai a veder sprofondare tutto attorno a noi e per ancorarci alla speranza che i nostri sogni prima o poi si realizzeranno. 
“Promettimi che voleremo sempre insieme, e che insieme ci innalzeremo o precipiteremo quando sarà il momento.” 
Non rispondesti niente, quell'istante non aveva bisogno di parole.

... 

Il giorno dopo ti svegliasti presto per tornare nella tua cabina senza essere visto. Dopo le tante emozioni della sera precedente anch’io non riuscivo più a dormire, e mi alzai.
Volevo controllare i comandi e la carburazione dell'aereo, che in quel periodo stavo sfruttando molto, e per caso incrociai il ragazzino.
Sussultai sentendomi colto in flagrante, chissà poi perché. Penso che se parlassi di noi agli amici, capirebbero, ma non ne ho il coraggio. E adesso? Non potrei mai mentire a un adolescente, a quell'età leggono tutto in faccia alle persone, è impossibile prenderli alla sprovvista. 

“Ehi! Ma dove sei stato ieri sera?”
‘Dove?’ Pensai che a volte l’amore fa diventare vigliacchi… 
Arrossii e feci dietrofront prima che potesse guardarmi in faccia. 
“Vado di corsa… ci vediamo dopo!”
Ero già piuttosto distante quando sentii il commento:
“Che strano Loris!”
Sapessi che imbarazzo! Quella fu la prima volta in cui desiderai sprofondare.

Mi recai davvero nell’hangar, almeno così non mi sarei sentito un vile ed avrei fatto qualcosa di utile e rilassante, tuttavia non riuscivo a raccapezzarmi neanche per le piccole cose. Avevo l’impressione di perdere tempo e pur di non sentirmi un automa mi ripetei che per un pilota la prudenza non è mai troppa e che per questo facevo bene ad essere così pignolo con le riparazioni.
Mentre controllavo un bullone, la chiave mi scivolò di mano e finì per terra, nel chinarmi per raccoglierla la calpestai coi miei scarponi, allora presi e la scagliai lontano. 
“Decisamente non è giornata!” Per fortuna sono molto paziente, un altro al posto mio avrebbe quantomeno imprecato.
Passai a lucidare la carrozzeria dell'aereo, strano affezionarsi tanto a qualcosa – perché è un ricordo di mio padre o per tutto ciò che rappresenta per me? - e in breve mi sembrò di venir ripulito anch’io dai pensieri grevi. Raramente avevo provato la sensazione di sentirmi “incolore”, invisibile e grigio e, peggio di tutto, opaco dentro. Dovevo assolutamente risolvere la situazione e raccontare tutto ai miei amici perché di rinunciare a te non se ne parlava e di mentire pur di non rischiare di vedermi escluso, neppure.
Una lieve fitta al fondoschiena mi ricordò cosa c’era stato fra noi due la sera precedente. 
“Ecco un altro motivo per voler essere più sincero.” Se mi avessero appena visto stingere i denti, e se avessero capito, che cosa avrebbero pensato di me?
Avvertii due braccia circondarmi, un solletico familiare sul volto che riconobbi subito come i tuoi capelli, dorati come il Sole.
“Con chi devi essere più sincero, Immelmann?” Mi girai di scatto verso di te.
“E tu come hai fatto a trovarmi?”
“Rispondi ad una domanda con un’altra domanda: significa che hai qualcosa da nascondere, e voglio sapere tutto!”
“Ma no, ti sbagli, io… pensavo che dovremmo dirlo agli altri. Di noi… che siamo amanti.”
Restammo in silenzio per alcuni secondi, ti sentii abbracciarmi più forte, quindi l’idea di una simile rivelazione intimoriva anche te? Perché non mi parlavi mai dei tuoi timori, Giò?
“Loris… lo faresti davvero per me? Tu mi conosci bene e sono sì il tuo amante e ti amo davvero, ma gli altri mi vedono come il rampollo dei cattivissimi, un ragazzino viziato e perverso, destinato prima o poi a tradire chiunque. Davvero rischieresti la tua reputazione per me?”
“Giò, ma che razza di discorsi fai? Se così fosse o ti avrebbero già cacciato da qui o ti terrebbero rinchiuso da qualche parte. La mia preoccupazione è che possano avere da ridire perché in caso non te ne fossi accorto, siamo due uomini: due maschi!”
“E allora? Ognuno sta con chi ama. Se ne faranno una ragione, e soprattutto non ti verranno più dietro le femmine, neanche la tua amichetta del cuore. L'ho capito che sono tutte innamorate di te, chissà che ci trovano di speciale!”
‘L’avevo già detto che non era giornata…’
“Ehi, che vuol dire chissà che ci trovano di speciale!”
“Ma sì, Loris, ti stavi già preoccupanto? Io mi fido ciecamente di te. Ormai ti conosco benissimo, per questo ti ho trovato subito.”
Sorridesti, un sorriso dolce, di quelli che riservavi di tanto in tanto solo a me, e che non dimenticherò mai. 
Per fortuna ritornammo in noi, non era il caso rischiare che qualcuno ci scoprisse, in fondo stavo lavorando e tenevo molto a mostrarmi disciplinato e professionale.

“Proviamo a tingerlo di un altro colore?”, mi domandasti. “Così grezzo è troppo serioso e quando voli non ti si vede neppure.”
“Beh, sai com'è, lo scopo è quello di non farsi notare! Comunque, no. Se tingessi la carrozzeria lo renderei più bello, è vero, ma non lo sentirei più mio. Preferisco lasciarlo senza un colore preciso. E comunque è tinto.”
“Davvero? Non si direbbe affatto. Sembra un'opera incompiuta. Hai lasciato i rivetti in bella vista, hai fatto delle saldature da principiante e...”
“Ehi... è "artigianale". Sappi che dopo ho anche dato un paio di mani di vernice metallizzata. Ma del suo colore, perciò non è anonimo, è… è “mio”! Ed è così come lo voglio io.”
“D’accordo, ho capito, in fondo ci devi volare tu. Facci almeno una pin-up!” 
“No. E ora lasciami lavorare!”

...

I primi tempi cercavi sempre di starmi accanto, senza concedermi un attimo di tregua. Anche quando eri in compagnia di Aaron non potevo sfuggirti. Una volta mi arrivasti alle spalle, ero appena tornato da una missione in cui assieme ad altri avevo fatto da scorta al Capitano e mi lasciasti giusto il tempo di poggiare piede nell’hangar. Naturalmente mi saltasti addosso e ti avvinghiasti a me, come sempre! La tua testa nell’incavo del mio collo per parlarmi nell’orecchio, anche se mai a bassa voce.
“Finalmente Immelmann! Mi stavo annoiando senza di te. Ti ricordo che sei l’addetto alla mia sicurezza, il Capitano ti ha ordinato di starmi sempre accanto.”
Mi chiedo ancora adesso come avevi fatto ad ottenere che egli ti affidasse proprio a me, l’avrai convinto parlando troppo bene delle mie acrobazie, con cui a quanto pare ti ho conquistato per sempre. Anzi, sono convinto che ti limitasti a parlargli troppo.

Abbassai la testa impotente, ti amavo già tantissimo ma sei sempre stato capace di farmi spazientire come nessun altro. Tuttavia avevi ragione e non potevo oppormi…
“Perché quella faccia scura? Guarda, Immelmann, ho un regalo per te.”
Tirasti fuori dalla tasca una vecchia fotografia… c’erano mio padre, il padre di Lia e altre due persone, che non ho mai saputo chi fossero.
“Perché hai quella foto? Mi hai seguito? Hai trovato il modo di andare sulla terraferma e l’hai presa da casa mia? Hai frugato fra le mie cose??! Rispondi!”
Ero arrabbiatissimo, ero deluso. Non volevo alzare la voce, non con te, ma quella volta pensai davvero che avessi esagerato.
“Ma per chi mi hai preso! L'aveva il Capitano, pensavo solo che ti avrebbe fatto piacere.”
“E cosa c’entra con mio padre?”
“Io non lo so, chiedi a lui…” E così feci: te la strappai dalle mani e corsi subito a chiedere una spiegazione. “A… aspetta, Loris!”

Perdonami, Giò, quella volta avevo troppa fretta per pensare a te. Andai dal Capitano a chiedere informazioni sulla fotografia, sul perché l’avesse, cosa rappresentasse per lui… e quando mi capita di ripensare alle risposte che mi diede…

...

Bussai e chiesi di entrare, mi sentivo il sangue ribollire nelle vene, avevo tanta di quella voglia di sbattergli la foto sulla scrivania e domandargli tutto senza troppi giri di parole, ma nel momento in cui me lo trovai davanti, il suo modo di fare mi raffreddò i bollori.
Fece capire che potevo entrare solo con un breve assenso. Tutti abbiamo imparato a riconoscere ogni suo minimo cenno perché anche una risposta muta ed un’altra potevano avere diverso significato e quel Capitano così giovane sapeva bene come farsi temere.
Aprii la porta e lo vidi innanzi a me, chino sulla scrivania ad appuntare qualcosa sul suo diario di bordo. Era totalmente preso dai suoi pensieri, al punto che ebbi la tentazione di tornare indietro convinto che non mi avesse visto. Ormai però c’ero e dovevo farmi coraggio a parlare, sebbene la sua sagoma nera mi spaventasse a morte.

Non era soltanto il suo ruolo all’interno della corazzata a renderlo temibile, ma anche il suo sguardo sempre truce, ed il suo aspetto nero come un corvo. Quella divisa nera ed il suo mantello nero; i suoi capelli, i suoi occhi e persino lo sguardo liquido e scuro come due pozzi senza fondo; e la sempre totale mancanza di espressione su quel volto altrimenti molto bello… Mi soffermai a pensare che forse era anche "buono", cattivo o spietato no di certo: non poteva esserlo proprio lui, che non ammazzava nessuno per svago o per dimostrarsi superiore; lui che faceva solo ciò che andava fatto e ciò che era meglio per sé, per la sua flotta e per l’Impero; lui che agiva dopo aver valutato pro e contro e prendeva decisioni senza mai alcun ripensamento. 
La sua buona coscienza e la sua bontà d’animo stavano nel rispetto assoluto di tutto ciò in cui egli stesso credeva, e che voleva realizzare ad ogni costo pur senza ingiustificate barbarie. D’altronde era per questo che tutti lo rispettavano: pur incutendo tanto timore, era un uomo retto, che non si era mai servito del suo potere per ottenere secondi fini. 
Ma una vita solitaria come la sua annerirebbe il cuore e i pensieri di chiunque.

“Sì, Loris?”
“Ecco, vede Capitano, io…” 
Ero andato da lui così deciso, eppure balbettai.
“Io… volevo sapere per quale motivo Lei conservava questa fotografia.”
La posai accanto alle sue mani sulla scrivania e per un attimo vidi accendersi una scintilla nel suo sguardo… non aveva notato prima il portafotografie vuoto.
“Tienila pure.”
“Grazie, ma volevo solamente sapere perché conserva una foto di mio padre. Questa foto me l’ha data il nostro ospite, dice che era qui. Che cosa se ne fa? Cosa rappresenta? Sa per caso qualcosa in più rispetto a me?”
“Tuo padre era un grande pilota.”
“E cosa può dirmi delle persone della foto? Io non ho mai saputo chi fossero.”
Finalmente smise di scrivere, guardò un punto imprecisato davanti a sé ed esitò, come se davanti agli occhi gli si fosse dipinta un’immagine a cui non voleva pensare, e che tentare di allontanarla gli costasse veramente molta fatica. 
“È passato molto tempo da allora e domani attaccheremo la costa nemica. Vai a godere di questo giorno di tregua.”
Guardando il suo volto assente e rassegnato, mi pentii di avergli fatto quella domanda. Decisi di non chiedergli più nulla. Avrei dovuto accontentarmi della fotografia.

Ma sai perché ce l’aveva lui, Giò? Era lui uno degli altri uomini e l'altra persona il suo navigatore. Il Capitano era l’amico di mio padre che venne a dirmi della sua morte, ed ora so persino cosa avvenne e perché, anche se ancora non mi è chiaro tutto quanto.
Provò ad aggiungere qualcosa ma si trattenne, ebbi però l’impressione che dentro di sé pronunciasse il nome della persona che fu la causa della nostra rovina. 
Non volle dirmi molto di più.

Quella sera tornai da te, se era vero che il giorno dopo avremmo provato ad abbattere le difese dell'altro continente forse non l'avremmo fatta franca contro i loro cannoni. Questo pianeta è fatto male: noi abbiamo l'acqua che loro vogliono a ogni costo; loro hanno i giacimenti e per questo possono creare armi infinite ed è impensabile decidere di sfidare apertamente un nemico come quello.  
Ormai quel giorno avevo ancora numerose curiosità:
“Raccontami della tua famiglia,” ti domandai quando ci trovammo da soli e anche con te sbagliai a porre quella domanda. Ti vidi impallidire per qualche istante e il sorriso che mi rivolgesti dopo notai quanto fosse forzato. 
“Ebbene, Immelmann, ti diverti sempre a sfidarmi e a giocare pesante.”
“Non puoi chiamarmi così a letto, per favore. Sai quanto quel soprannome sia sacro per me.”
“Scusa, avevo dimenticato. Dicevo…” Ti baciai sulle labbra prima che continuassi a parlare perché già diverse volte avevo intuito che quello per te era un argomento tabù. Io però volevo sapere tutto di te. Con quel gesto di tenerezza volevo infonderti coraggio e forse in parte ci riuscii. Mi staccai dalle tue labbra per lasciarti libero di parlare e nel frattempo mi spostai più giù, a lambirti il collo, quindi lo sterno. “La società in cui sono cresciuto ha le sue regole, troppe. Una vera famiglia, come la intendi tu nel mio mondo non esiste. Ho mia sorella, purtroppo. È malvagità pura, come ben sai. Lei spera che questa guerra duri a lungo, spera che ci annientiamo a vicenda così i pochi della mia stirpe avranno tutte le materie prime di cui disporre. Nessuno merita parenti come lei. 
I genitori non li conosciamo. Dove sono cresciuto questa è la norma: i bambini sono allontanati dalle madri poco dopo essere nati, fin da subito veniamo cresciuti dalla comunità. Ci sorvegliano in tutto, attenti a coglierci in fallo, è una società molto selettiva, pensata per far progredire solo i migliori: portare avanti i più forti eliminando l’intralcio dei più deboli… anche per questo siamo così pochi. Vorrei non aver mai conosciuto questa vita.”
Il tuo sguardo divenne cupo, acuminato direi, mentre ti mordevi le labbra nel tentativo di distrarti da questi dolorosi pensieri.
“Ho… sbagliato domanda.” 
“Figurati! Ora che stiamo insieme anche come amanti, è giusto che ti racconti di più, te lo devo. Non c’è niente a farmi paura quando sto con te.”
‘Allora nonostante la tua baldanza ci sono molte cose che ti fanno paura?’
“Non guardarmi come se fossi un cucciolo, sono comunque felice: come famiglia mi bastate tu e Aaron, ed anche gli altri uomini dell’equipaggio.”
“Giò, ma io…”
“Shh, fammi proseguire e pensa a fare il tuo dovere di amante.” Ricordo che ti sorrisi. Andai per depositare un altro bacio sul tuo petto, ad altezza del cuore e mi stringesti a te. “Tu pensi che per essere felici bisogna avere una famiglia vera? Cioè… composta da madre, padre e fratelli? Per te certe cose sono tutto, io invece non so… non riesco a immaginare niente.” 
Avevo appena poggiato il mio volto sul tuo petto ma stavolta fui io a bloccarmi. Quanti ricordi di quando ero bambino! E purtroppo non più nitidi come un tempo.
“Non so rispondere neanch’io, Giò. Sebbene ricordi bene i miei genitori, la mia famiglia è sempre stata Lia. Ed ora anche per me ci siete solo tu, Aaron, lei e Enea e gli altri amici della Orion che ci vogliono bene.”

...

Lia era diventata scostante nei miei confronti, o almeno era l’impressione che ne avevo: cercava di evitarmi, trovava il modo di non guardarmi negli occhi, si faceva vedere in giro sempre di meno, ed era piuttosto taciturna con me. Anche le altre donne sembravano cambiate, o forse ero suggestionato dai discorsi di Giò… 
Non so cosa fosse successo a tutte le donne dell’equipaggio: davvero litigavano per me? Mi auguravo di no. Io volevo tanto che si chiarissero, è stressante essere causa di simili fraintendimenti e colpi di testa senza minimamente volerlo. 
Alle altre non so cosa fosse successo, invece Alexis so perché era cambiata, me l'aveva confidato: “Sono sempre stata l’allievo migliore dell’Accademia militare, ma le troppe lodi mi hanno fatto montare la testa e diventare superba. Adesso tutti mi evitano, la mia stoltezza mi ha condannata alla solitudine.” Poi aggiunse che la carriera militare non le aveva dato più di tanto, che era sulla Orion perché ormai il suo posto era quello e che restava per la presenza di Angela. Inutile dire che siano innamorate da sempre, ma a differenza di me e di te, loro hanno la fortuna di poter volare insieme ancora adesso.



“Lia, devo parlarti.” 
Abbassò lo sguardo, si finse presa dalle riparazioni all’ala sinistra, danneggiata durante l'ultimo scontro. Con la mia esperienza di meccanico, mi bastò un’occhiata per comprendere che aveva quasi terminato il lavoro, ma ignorai la cosa.
“Dimmi Loris, adesso però sono molto impegnata.”
“Perché mi eviti?”
“Non è vero, ho solo più lavoro del solito.”
“… e c’è qualcosa che pensi e non vuoi dirmi.”
“E me lo chiedi pure?? Avevamo dei progetti insieme, da una vita! Ora tu… tu vedi un cielo diverso dal mio. Io non salirò mai su un aereo per combattere, voglio salirci solo per volare in alto quanto più è possibile. Dimmi, perché sei sulla Orion?”
“Ormai credo solo… per combattere.”
Aveva ragione, eravamo cresciuti tutti e due con l’intenzione di seguire le orme dei nostri padri, diventando un pilota ed un navigatore esperti e leggendari come loro. Se avessimo volato tanto da raggiungere l'altro continente e ci fossimo dimostrati così abili da riuscire a sorvolarlo e dare degna sepoltura ai nostri padri per noi sarebbe stata la realizzazione del sogno più grande. Ci saremmo già riusciti se solo non ci fossero stati tutti quei cannoni lungo la costa!
Stare a bordo della corazzata mi aveva dato una consapevolezza diversa della vita e per me aveva costituito un cambiamento, per lei no; ed avevamo iniziato a immaginare futuri differenti.
“Senti, perché non provi a parlare con Alexis? Ho avuto modo di conoscerla meglio in questo periodo e ti assicuro che non è affatto la persona burbera che può sembrare. Vorrei tanto che diventaste amiche.”

Lei smise di lavorare, la vidi tremare ed i suoi occhi riempirsi di lacrime; lacrime che poco dopo caddero sul pavimento assieme all’attrezzo che aveva in mano.
“Scusami, Loris, ma io non riesco più a stare da sola con te.”
Compresi che era innamorata di me! Ecco qual era la grande differenza tra di noi, la causa delle nostre incomprensioni! Lei mi aveva sempre visto come il suo ragazzo; io l’avevo sempre considerata una sorella.
Ancora una volta fuggì prima che potessi dirle di me e di te, Giò.

...

I pettegolezzi dei meccanici certamente non mi aiutavano e Norman, invece di stare dalla mia parte, diede a tutti man forte! A giudicare da come mi guardavano dovevano aver parlato a lungo di me e di chissà quale ragazza, e dopo pochi giorni iniziai a non poterne più di quella situazione. 
Avrei voluto tanto andare in palestra per raccontare tutta la verità, perché sapevo che quello era il luogo di ritrovo in cui loro durante le pause si divertivano a passare il tempo quando era possibile, però non ero ancora sicuro che tu fossi pronto ad uscire allo scoperto. In alcuni momenti eri così strano…

“Ecco il rubacuori!”
“Suddai, non parlate così, non è vero!”
“Non fare il timido. E Alexis? E Lia? E l’Imperatrice? Sei andato a salutarla? Deve aver appena lasciato la nave.”
Restati interdetto alla notizia delle sue dimissioni da vice-capitano. Sono troppo ingenuo, tante cose importanti le comprendevo sempre per ultimo. Finalmente capii il motivo di quegli inutili festeggiamenti tenutisi pochi giorni prima.
Non feci in tempo a raggiungerla, ma quella sera trovai di nuovo conforto tra le tue braccia.

Giocammo a scacchi, ricordi? E tu, spazientito, mi segnalasti persino le mosse da effettuare.
“Oggi il cuore di Immelmann è occupato da altri pensieri.”
Chinai il volto ed annuii.
“Non sono riuscito a chiarirmi con nessuno. Vorrei che almeno Lia sapesse di noi. Si stava facendo grandi illusioni ed ora che ha capito che c’è qualcuno in più nella mia vita, si sente esclusa.
“Allora vai, ti aspetterò qui e intanto giocherò con Aaron.”
“D’accordo. Non tarderò.”

La cercai dappertutto, impiegai un bel pezzo per trovarla. Decisi che stavolta le avrei parlato subito.
“Che cosa c’è, Loris? Se non hai intenzione di essere sincero, per favore non tormentarmi.”
“È per questo che sono venuto, per raccontarti ogni cosa e chiarire tutto!”
E finalmente ottenni la sua attenzione. Si sedette ad uno sgabello per ascoltarmi.
“Lia… ecco io… sto con Giò.”
“Tu stai con…?”
“Con lui! Pensavi anche tu che ci fosse una ragazza?”
La vidi tentare di abbozzare un sorriso, forse è scioccata o forse delusa, pensai.
“Beh, non l’avrei detto. Ora che ci penso però, in effetti state sempre insieme.”
“Non è un problema per te?”
“Certo che no! Anzi, per quale motivo non me l’hai raccontato subito? Adesso voglio sapere ogni cosa. Racconta: da quanto state insieme? Vi siete baciati? E avete fatto l'amore?”
“Insomma, non puoi chiedermi certe cose!”
Chissà quanto dovevo essere arrossito perché lei mi guardò divertita e iniziò a ridere.
“Hai ragione, scusa, sai che sono curiosa. E certo non ti vergognerai di parlare con me di queste cose.”
Altroché invece! Ero imbarazzatissimo e mi stavo già pentendo amaramente di averle rivelato di noi, ma per fortuna mi ricordai di avere un’altra rivelazione da farle.

“Ascoltami, c’è anche un’altra cosa che devi assolutamente sapere.”
“Eh? Sempre riguardo a voi due?”
“No, lui questa volta non c’entra. Non del tutto almeno, guarda qui cosa mi ha dato.” Le passai la foto che tu avevi preso dalla cabina del Comandante. “Era del Capitano.”
Sbarrò gli occhi e le tremarono le mani.
“Ma questa è una foto dei nostri genitori, perché ce l’aveva? Lui non li conosceva. O forse sì?”
“Invece li conosceva bene, lui è uno degli altri due… È tutto a posto?”
“Non lo so.”
“Senti, è giusto che tu sappia una cosa anche riguardo all'aereo sui siamo cresciuti: era suo.”
“NON È POSSIBILE! Se appartiene a lui allora noi non abbiamo niente, assolutamente niente!”
“Lia, non fare così, quello è nostro e nessuno ce lo porterà via.”
“Certo che è nostro! Guarda qui, questo graffio sul muso l’abbiamo fatto al primo tentativo di volare e quest’altro, qui sull’ala, è di quella volta che abbiamo perso quota e siamo andati a sbattere contro la rimessa. È un oggetto, è vero, ma è troppo importante per noi. Nessuno mai ce lo porterà via.”

...

Mio padre si chiamava Edoardo, aveva capelli e occhi chiari come i miei ed un bel paio di baffi curati. Era una persona di una pazienza infinita e lo ammiravo molto. Ho sempre desiderato diventare come lui, non solo perché era in gamba o perché si trattava di mio padre, lui era veramente il pilota migliore di tutto il vecchio continente! Per questo l’Imperatore affidò a lui e al suo esperto navigatore l’incarico di consegnare il messaggio dell’armistizio. 
Il padre di Lia invece si chiamava Giulio ed era anche lui una persona splendida, si somigliavano un po', era solo più robusto. Lo ricordo sorridente e spensierato, anche se lui e Lia erano più sfortunati di noi: sua moglie era morta e si trovava da solo a crescere la bimba, che infatti è diventata il maschiaccio che conosci, con la passione per la meccanica e il volo. Giulio era il navigatore migliore del vecchio continente e così, a forza di esercitazioni, si era trasferito accanto a noi. Lia e io siamo quindi cresciuti insieme, da fratello e sorella, con mia madre che faceva da madre anche a lei. Mi fa uno strano effetto sapere che molte persone conoscono i nostri padri, anche Alexis aveva sentito parlare di loro in accademia.

Ma forse non dovrei scrivere certe cose su questo diario, ricordo bene quando mi dicesti che purtroppo non sapevi come intendere una famiglia e so quanto faccia male non averne una.
Purtroppo da quella missione non fecero più ritorno…. E dopo la loro scomparsa, la mamma si ammalò e morì sei mesi dopo. 
Da quel triste giorno Lia è diventata la mia famiglia ed io la sua. Era naturale che quando comprese che stavo con qualcuno, si mostrasse gelosa. 
Certo però che nessuno si sarebbe aspettato che potesse nascere qualcosa proprio tra me e te…

Questo aereo grazie al quale ci conoscemmo è tutto ciò che abbiamo, l’unico ricordo dei nostri padri. Da quando restammo soli la nostra amicizia e le ambizioni ci sono sempre state d’aiuto, ci hanno sempre tirato su di morale e dato la forza per andare avanti. 
Ma senza lavoro, i soldi che avevamo per vivere e per sistemare l'aereo rischiavano di terminare in fretta, non potevamo permetterci di restare in collina e così, dopo tanti sacrifici per riparare il nostro unico mezzo e imparare a volare, dovemmo scegliere di vendere una cosa o l’altra… 
Vendemmo la casa. 
Rinunciammo al bene più grande per il ricordo più caro, ostinati come sempre a proseguire nel nostro sogno di divenire i più abili e poter raggiungere il continente nemico; per andare incontro al nostro destino e magari conoscere quello dei nostri genitori… 

Giurai che se necessario ci saremmo muniti di un mitragliatore e li avremmo affondati personalmente quei maledetti cannoni! Che se ne fanno di quella difesa impenetrabile? Quasi avessero qualcosa di prezioso da proteggere! La grande distesa d'acqua sorge tra i due imperi ma occupa quasi per intero il nostro continente. Siamo così idioti da continuare a contenderela invece di condividerla!

Non ci siamo mai pentiti della scelta, in attesa di trovare un tetto sotto cui stare l'aereo ci offriva almeno un rifugio e, ciò che più contava per noi, un lavoro. 
Se soltanto fossimo riusciti ad assicurarci uno degli incarichi! Non era semplice come si possa credere: ogni giorno bisognava recarsi nel punto di partenza dei corrieri, e i più abili ottenevano gli incarichi migliori. Lì accanto sorgeva un grande lago, una delle pozze d'acqua contese dai due continenti e così iniziavamo la mattina domandandoci che bisogno ci fosse di combattersi a vicenda invece di imparare a condividere le risorse.
Tuttavia non avevamo il tempo di filosofeggiare: la vita era difficile per tutti e senza incarichi non avevamo altri lavori. Ogni volta che portavamo a termine una missione ricevevamo il compenso pattuito, e questo era tanto più alto quante più timbri erano stati apposti con lo stemma dell'Imperatore, un’aquila dall'espressione fiera mentre volava tra il mare e il cielo. Le missive erano tutte sigillate con la ceralacca e dovevano essere firmate dal destinatario. Sarebbe valso quello come garanzia del compimento dell’incarico. Numerose volte però dovevamo aspettare che venissero effettuate delle verifiche.

Il nostro lavoro di corrieri cominciò con un incarico alquanto semplice che ci fruttò ben poco, ma per noi ancora inesperti era già un gran colpo di fortuna, mentre quando tu e io ci conoscemmo era il secondo che ci veniva affidato. Quello però non ce l'eravamo guadagnato: nel bel mezzo di una competizione trovammo un pilota in fin di vita dopo che il suo aereo era stato colpito da uno dei cannoni della costa nemica. Lui aveva sorvolato la zona rossa, forse voleva fare di testa sua o risparmiare qualche manciata di chilometri. Era stato stolto ma abile a tornare indietro. Gli promisi che avrei fatto di tutto per portare a termine quell'incarico al suo posto. Era qualcosa di insolito, si trattava di salvare il piccolo Enea, che non ho ancora compreso perché sia tanto importante in questa contesa tra i due schieramenti. Avrei dovuto immaginare subito che in realtà si trattava di un incarico pericoloso, dato che quel pover’uomo fu inseguito e ucciso per quello. 

Una sera, prima dell'ultimo scontro, mi avevi chiesto perdono per la tua gente.
"Perdonami, sono stati i miei la causa di tutto: siamo stati noi a uccidere i vostri genitori. È stata mia sorella ad impedire l'armistizio, e sono sicuro che ci sia lei dietro l'inifinita disponibilità bellica del nuovo continente. Lei ama la guerra, ama decidere per gli altri, si diverte a muovere gli eventi come se la vita umana fosse una partita a scacchi, e il suo delirio di onnipotenza si è esteso sempre di più man mano che la guerra progrediva: più disfatta per i due grandi continenti significava più potere per lei."
"Tu non sei lei, Giò. E non sei nemmeno la tua gente. Sei diverso da tutti loro. Se fossi stato tu a governare, questa guerra ora sarebbe solamente un ricordo sbiadito, ciò che rimane di un brutto sogno."
Ti volli stringere a me per infonderti coraggio, sapevamo entrambi che tu non eri affatto colpevole eppure non ti avevo convinto: il tuo animo sensibile e il tuo senso dell'onore ti facevano sentire responsabile degli atti compiuti dal tuo popolo, era un fardello per cui ammiravo la tua forza d'animo anche se ciò minava il tuo animo sensibile, e avevo paura che quel senso di colpa avrebbe finito per distruggerti.
Volevo chiederti tante cose sulla tua vita, non insistevo perché era difficile aprire il tuo cuore. Avrei voluto almeno chiederti qual era il tuo ruolo e come trascorrevi le giornate quando non giocavi a scacchi. 
Ad avere avuto più tempo!
 
§


La battaglia fu qualcosa di spaventoso. Noi non avevamo mai messo in campo tante forze e i nemici non furono da meno: quella guerra doveva finire! e il Capitano aveva deciso di giocare il tutto per tutto contro quei cannoni. Alcuni di noi partirono in avanscoperta pur sapendo che la loro era una missione suicida, il loro sacrificio però ci permise di attaccarli da tutti i fronti. I nemici non erano dei grandi strateghi: erano uomini di terra, pratici e impavidi come antichi guerrieri, sono sempre stati più forti con le loro armi rudimentali,tant'è che il loro stemma rappresenta un cannone; noi siamo diversi, apparteniamo al mare e al cielo e in quella battaglia definitiva da ambo le parti ci mostrammo fieri della nostra rispettiva natura. 
Chi via mare, chi via aerea, partimmo in molti per sferrare un assalto imponente che non si sarebbero mai aspettati da parte nostra. Loro hanno sempre attaccato per respingerci, comprendendo che la migliore difesa contro di noi consisteva nell'impedirci di approdare sulla loro terraferma: se avessimo rotto le loro difese anche in un solo punto per loro poteva essere la fine. Il Capitano dimostrò di essere geniale perché concentrò l'attacco in un punto che persino per i nemici non costituiva una preoccupazione: quell'area non disponeva di risorse preziose e non rientrava in nessuna delle città più grandi, era più nascosta alla vista, pertanto era la zona meno difesa, si rivelava il punto debole della loro catena. 
Li cogliemmo di sorpresa sicuramente, ma purtroppo per noi si difesero subito. La nostra astuzia era pari alla loro forza. Ben presto il cielo si annerì per la grande quantità di munizioni esplose, noi intenti a colpire i cannoni e loro verso i nostri aerei e la nostra flotta navale. Persino la Orion riportò dei danni. I nemici stranamente non si erano muniti di una grande flotta, non sembravano interessati a rimpiazzare le navi che avevamo distrutto. La loro strategia era sempre stata simile a quella dei ragni che aspettano di sentire le prede in trappola sulla ragnatela per poi farne ciò che desiderano. 
E quando ci si scontra con un predatore, spesso si va incontro alla fine. Al termine di quella giornata era difficile valutare se ci fossero stati dei vincitori, la prima impressione era che restava ben poco da salvare, e una cosa era certa: la guerra sarebbe finita in fretta. Contrariamente a quanto avrei mai creduto, questo pensiero mi metteva più tristezza.

Quel brutto giorno ti vidi precipitare in picchiata, venire inghiottito dalle nuvole. Da allora non ho più avuto tue notizie, ma non perderò mai la speranza di rivederti e di riabbracciarti. Ogni giorno, tra le nostre amate nuvole ed ogni notte nell’immensità del cielo stellato, continuo a pregare di riaverti tra le mie braccia; continuo a sperare di incontrare almeno una stella cadente che mi permetta di raggiungerti in qualche modo. 






Questa storia ha partecipato al contest "Raggio di Luna" indetto da mistery_koopa sul forum di efp. L'ho scritta seguendo le indicazioni del pacchetto Marte che comprendeva: Guerra come genere principale; cannone come oggetto/prompt e almeno uno degli schieramenti deve risultare pesantemente sconfitto come Obbligo.
  
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