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Autore: Lidzard    03/07/2018    3 recensioni
Michifer AU
'' La gente fa caso solamente alle immagini delle cose. Nessuno fa caso alle cose stesse. '' -Kurt Vonnegut Jr.
Lucifer è un soldato, la sua famiglia è radicata nell'esercito da che ha memoria, il suo destino sembra già essere scritto e si arrende ad esso, abbandonando sogni, speranze ed ambizioni in un vecchio cassetto della mente. I colori e le luci svaniscono lentamente, finché non rivede la torre. Nella torre incontrerà un uomo, e la possibilità di un destino diverso, più luminoso, si affaccerà alle porte della sua coscienza. Riuscirà il misteriomo uomo della torre a far tornare Lucifer al suo vecchio splendore?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lucifero, Michael
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Occhi

Ero nel mio ufficio a studiare approfondimenti obbligatori.

Anni di studi diplomatici, addestramento militare, simulazioni, test di logica, una specialistica in strategia militare ed eccomi qua, nel mio ufficio provvisorio.

Se solo avessi scelto di buttarmi in giurisprudenza, un posto nelle forze dell'ordine non me l'avrebbe tolto nessuno. Prove fisiche? Bazzecole.

Ma cosa dovetti studiare secondo ciò che mio padre aveva programmato? Strategia.

Sospirai, rimbeccando me stesso mentalmente.

Almeno tu hai un lavoro.

Cercavo di concentrarmi sulla traduzione di un testo in lingua armena. Non è che conoscessi l'armeno, ma scoprii che questo era un modo decisamente originale di non pensare a Michael più del necessario, piuttosto che sbattere la testa contro la mobilia essenziale ed asettica dell'ufficio. Una mobilia provvisoria, certamente.

Dolce alle labbra, il primo caffè della giornata mi fece pensare al ragazzo che da tempo aveva colonizzato brutalmente il mio personale iperuranio, oltre che i miei Venerdì pomeriggio. A nulla servì imparare l'armeno, seriamente.

"Come hai detto che ti chiami?" Dissi, un Venerdì pomeriggio come tanti. Gli occhiali sul naso e le mani ben poggiate sui braccioli di una sedia girevole in pelle rossa.

"Lo sai già come mi chiamo." Un sorrisetto puerile e bianco diede un tocco di colore alle mie guance che non credevo potesse esser possibile.

"Come fai ad esserne così sicuro?" Chiesi, guardandolo. Lui non rispose mai.

La luce era accecante. Provai un paio di volte a togliere le lenti scure, per sfidare la vista.

Per qualche motivo dubitài più volte della cecità di Michael, e non per la sicurezza delle sue movenze, o per il modo in cui non sembrava importargli che un estraneo fosse lì con lui, solo in una torre. Piuttosto perché sembrava sempre dove voltarsi per rivolgersi a me, anche senza che facessi un suono. Oppure per il leggero sorriso che sorgeva sulle sue labbra quando lo fissavo per molti minuti. Come se sapesse.

"Mi piacerebbe non esserlo, Lucifer, come a te piacerebbe essere libero." Disse, facendomi trattenere il respiro per un secondo.

"È che sembri più a tuo agio di quanto la gente non sia, nella tua pelle." Dissi, sperando di aver reso le mie perplessità.

"Sono a mio agio adesso più di quanto non lo sia da solo con me stesso." Disse, come se fosse nulla.

Mi morsi la lingua, recuperando un battito dopo l'altro.

"Lo credi davvero, Michael?" Chiesi, seppure per me non fu facile.

"Sí e tu sei un bugiardo." Sospirò, e mi fece aggrottare la fronte.

"Michael." Dissi, come una muta domanda.

"Esatto." Disse, sorridendo. "Non te lo dimenticheresti mai, il mio nome." Mormorò con aria stranamente triste.

"Mike, perché non riesco a dimenticarlo?" E mi stupii della mia stessa domanda.

"Non ne ho idea, ma non voglio affatto che tu ci provi." Si voltò come per guardarmi, stavolta ero io a non vederlo.

Nonostante gli occhiali, tutta la luce sembrava averlo inglobato.. Oppure era lui che inglobava luce.

"Perché mi lasciasti entrare?" Perché si fidava di me?

"Perché sono il più debole." Passarono diversi secondi di silenzio, ma non riuscii a mettere insieme il senso della risposta, seppure apparentemente chiara. La parola debole risuonò nella mia memoria. Era come se avessi la risposta sulla punta del cervello, ma non riuscivo a raggiungerla. Infine fu lui stesso a pormi una domanda che pensavo non mi avrebbe mai posto.

"Di che colore sono i tuoi occhi?"

   
 
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