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Autore: mikimac    04/07/2018    5 recensioni
Potrebbe sembrare impossibile, ma due anime gemelle riescono sempre a stare insieme, perché l'Universo non permette che ciò che è stato creato per essere unito sia diviso e incompleto.
Soulmate.
Genere: Angst, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sebastian Moran, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Il matrimonio della mia anima gemella
Era il 23 dicembre. Natale era sempre più vicino e un manto bianco di neve avvolgeva Londra, ma la giornata era soleggiata e il cielo era di un azzurro terso, atipico per il mese di dicembre. I londinesi e i turisti erano felici, perché le previsioni del tempo avevano annunciato sole per tutto il periodo delle vacanze natalizie. Il sole di mezzogiorno illuminava la stanza dell’hotel in cui John si stava preparando. Quello era un giorno importante, che l’uomo avrebbe ricordato per il resto della propria vita.
Era il giorno del suo matrimonio.
John si stava guardando allo specchio. Osservava l’uomo riflesso, avvolto da un tight nero. La camicia bianca aveva ai polsi dei gemelli con delle pietre azzurre, che richiamavano il colore degli occhi di John. I gemelli erano un regalo personale di Sebastian Moran. John capiva che fosse stato un gesto cortese e amichevole, ma non riusciva a guardare i gioielli senza provare rabbia. Gli sembrava che i gemelli fossero le catene che lo avrebbero legato a Sebastian Moran per più tempo di quello che John avrebbe voluto. Gli sembrava che rappresentassero il prezzo pagato per comprare la sua libertà e separarlo dalla sua anima gemella. Non aveva più incontrato Sherlock. I preparativi per il matrimonio avevano riempito le sue giornate. Lo avrebbe chiamato appena quella giornata da incubo fosse terminata. John si guardava allo specchio e continuava a chiedersi chi fosse l’uomo riflesso. Continuava a non riconoscerlo. A considerarlo come un estraneo. A chiedersi se mai avrebbe saputo chi fosse in realtà.


Il matrimonio della mia anima gemella


Un lieve bussare alla porta distolse John dai propri pensieri. L’uomo biondo andò ad aprire la porta. Allyson era vestita con un abito lungo azzurro, semplice, ma elegante. Un cappellino dello stesso colore, messo in diagonale sui capelli biondi raccolti in un semplice chignon, completava il vestiario: “Buongiorno, John. Sono venuta a vedere se tu abbia bisogno di qualcosa.”
“Prego, accomodati,” sorrise John, facendosi da parte. Non sapeva mai come rivolgersi alla donna. Non riusciva a chiamarla “mamma”, perché per lui era una perfetta sconosciuta. D’altra parte, non voleva trattarla in modo freddo e distaccato per non procurarle un inutile dolore.
Allyson entrò e si fermò in mezzo alla stanza. Sembrava insicura su che cosa dire o come cominciare a dirlo:
“Ero venuta a vedere se tu avessi bisogno di aiuto, ma vedo che sei già pronto,” ripeté timidamente.
“Grazie per il pensiero, ma le ferite non sono più dolorose e sono riuscito a vestirmi con facilità.”
“Bene. Sono contenta,” annuì Allyson.
Tra i due calò un silenzio imbarazzato. John non sapeva che cosa altro aggiungere, mentre Allyson cercava il coraggio di porre una domanda, la cui risposta la spaventava molto.
“Posso offrirti un po’ di tea? Dovrebbe esserne rimasto dalla colazione, anche se potrebbe essere un po’ freddo,” propose John, per superare l’imbarazzo.
“Grazie. Va bene anche freddo. Senza nulla,” rispose Allyson, andandosi a sedere su una delle poltrone del salottino. Sebastian Moran aveva affittato per John una suite in uno dei migliori hotel di Londra. La suite era grande quanto un piccolo appartamento e comprendeva un salotto, una stanza da letto e un grande bagno. Ogni stanza era separata dall’altra da porte in legno pregiato.
John porse ad Allyson la tazza di tea e si sedette nel divano, di fronte a lei. La donna sorseggiò appena il tea: “So che tra noi non c’è molta intimità e non te ne faccio una colpa, John. È difficile confidarsi con una sconosciuta, anche se questa asserisce di essere tua madre…”
“Mi dispiace, io…”
“… no, caro, ti prego, non mi interrompere o non riuscirò ad arrivare fino in fondo. Come dicevo, io ti capisco, ma ho… bisogno… sì bisogno… devo sapere se Sherlock Holmes sia la tua anima gemella.”
John rimase leggermente interdetto: “Perché per te è così importante sapere se Sherlock ed io siamo anime gemelle?”
“Ti prego, rispondi solo alla domanda,” insisté Allyson.
John la vide così agitata, che decise di non porre ulteriori domande: “Sì. Sherlock ed io siamo anime gemelle. Abbiamo deciso di non divulgare la notizia per non rendere ancora più complicata una situazione già problematica. Ti sarei molto grato se tu tenessi questa confidenza per te.”
Allyson annuì e sembrò sul punto di dire qualcosa, quando qualcuno bussò in modo frenetico alla porta. John aggrottò la fronte, si alzò e andò ad aprire. Trent aveva ancora il pugno alzato a mezz’aria, pronto a batterlo ancora sulla porta, quando John la spalancò. I due uomini si fissarono guardinghi.
“Mia moglie è qui?” Domandò Trent, in tono secco.
“Sì,” rispose John, senza scontarsi dall’ingresso, impedendo a Trent l’accesso alla stanza.
“Vorrei parlare con mia moglie,” sibilò Trent, in tono irritato.
“Ero solo venuta a vedere se John avesse bisogno di aiuto per vestirsi,” intervenne prontamente Allyson, mettendosi alle spalle del giovane uomo biondo.
“Credo che John sia cresciuto abbastanza da potersi vestirsi da solo,” ribatté Trent, in tono sarcastico.
“Per favore, Trent. Oggi è il giorno in cui mio figlio si sposa. È una giornata importante. Mi sembra giusto trascorrere un po’ di tempo con lui,” Allyson stava quasi supplicando il marito, per essere lasciata sola con John.
“È un uomo adulto, Ally. Non ha bisogno che tu gli tenga la mano. Soprattutto perché si tratta di un matrimonio di facciata. Non ci sarà alcuna prima notte di nozze di cui tu ti debba preoccupare. Andiamo in chiesa a ricevere gli ospiti. È questo il nostro compito.”
Allyson sospirò, ma non osò contraddire il marito. Lasciò un lieve bacio sulla guancia di John: “Ci vediamo in chiesa, caro,” sussurrò in un orecchio del giovane uomo biondo.
John la osservò, mentre usciva velocemente a occhi bassi. Trent sembrava furioso e afferrò saldamente la moglie per un braccio, per essere sicuro che non tornasse indietro. John, perplesso, si chiese di che cosa volesse parlargli Allyson e se Trent le avesse impedito di rivelare qualcosa che avrebbe potuto compromettere il matrimonio.


Gregory Lestrade Holmes sospirò avvilito, passandosi una mano tra i capelli prematuramente ingrigiti. Aveva una strana e spiacevole sensazione di déjà-vu. Non era trascorso tanto tempo da quando aveva dovuto convincere Sherlock a partecipare al ballo alla villa di Sebastian Moran. Ora stava trovando la stessa opposizione per andare al matrimonio di John. Persino le loro disposizioni nella stanza erano le stesse. Sherlock buttato sulla propria poltrona davanti al caminetto. Greg seduto su quella di fronte. Mycroft in piedi accanto alla porta. L’unica cosa diversa, che irritava moltissimo l’ispettore, era la totale indifferenza del marito a quello che stava accadendo nella stanza. Mycroft continuava a sbirciare il proprio cellulare, come se fosse molto più importante del convincere Sherlock a vestirsi per accompagnarli al matrimonio.
“Potresti mettere via quel dannato cellulare e aiutarmi con Sherlock?” Ringhiò, irritato.
“Ti sto già aiutando, Gregory. Sai benissimo che, se io intervenissi, il mio caro fratellino si impunterebbe ancora di più. Insisti. Vedrai che troverai le parole giuste per convincerlo. Lo fai sempre.”
Greg sbuffò, scompigliandosi ulteriormente i capelli sale e pepe: “Avere a che fare con voi due, mi ha fatto perdere dieci anni di vita!”
“Senza noi due ti saresti annoiato a morte,” sogghignò Mycroft.
“Smettetela di comunicare telepaticamente! Siete irritanti e melensi,” sbottò Sherlock.
“Vai a vestirti. Non puoi mancare a questo matrimonio!” Intimò Greg.
“Dammi una sola ragione sensata perché io partecipi alle nozze della mia anima gemella con un altro. Tu saresti andato al matrimonio di Mycroft, se avesse sposato un’altra persona?”
“Sì. Perché avrei saputo che la mia presenza sarebbe stata di conforto a Mycroft. Se lui avesse sposato qualcun altro, lo avrebbe fatto solo perché costretto. Quindi gli avrei dato tutto il sostegno possibile, presentandomi alle nozze e assicurandogli che non lo ritenessi responsabile del fatto che non potessimo stare insieme,” rispose Greg, in tono deciso.
Sherlock lo studiò per qualche secondo. Le mani congiunte sotto il mento. Gli occhi azzurri fissi in quelli marroni del cognato, come se stesse cercando di leggergli nella mente.
“John sta sacrificandosi per la propria famiglia. Sta compiendo un gesto nobile, generoso e altruista, rinunciando alla propria felicità per il bene della madre e dei fratellastri. Tu devi essere orgoglioso di lui e dimostrargli tutto il tuo appoggio alla difficile decisione che è stato obbligato a prendere. Per farlo, devi venire al suo matrimonio insieme a noi,” insisté Greg, in tono accorato.
Sherlock spostò lo sguardo sul fratello. Mycroft si stava comportando in modo insolito. Il suo continuo consultare il cellulare era irritante, ma sembrava che stesse attendendo notizie di vitale importanza. Non poteva essere una questione di lavoro. Mycroft era molto più discreto, quando doveva occuparsi di un problema delicato, che riguardava la sicurezza nazionale. Mycroft voleva sicuramente che Sherlock lo notasse, ma non gli avrebbe mai spiegato il perché. Era come se il fratello maggiore stesse inviando un messaggio in codice al minore, ma a Sherlock mancasse la chiave per decifrarlo.  Il consulente investigativo riportò lo sguardo sul cognato per qualche secondo, prima di alzarsi di scatto: “Vado a vestirmi.”
Greg sorrise: “Grazie, Sherlock.”
“Lo faccio per John,” spiegò il giovane Holmes.
“Lo so. Ti ringrazio da parte sua. John apprezzerà la tua presenza.”
Con uno svolazzo del fondo della vestaglia viola che indossava, Sherlock si diresse alla propria stanza, per prepararsi alla battaglia.


La chiesa era affollata. Tutta la nobiltà inglese e la borghesia ritenuta importante era presente al matrimonio. Gli uomini erano tutti obbligatoriamente in tight nero. Le donne indossavano abiti variopinti di ogni stile, rigorosamente lunghi. Sherlock osservava quasi con orrore i cappellini femminili dalle estrose e intricate forme, appoggiati su acconciature complicate.
Sebastian Moran era ritto in piedi davanti all’altare. Le prime note del Preludio Opera 28 numero 6 in Si minore di Fryderyk Chopin zittirono il chiacchiericcio degli ospiti, che si voltarono verso il fondo della chiesa. John apparve e iniziò a percorrere la navata, zoppicando leggermente verso il proprio futuro sposo. Non aveva voluto il bastone. Non voleva apparire come un invalido e celava stoicamente il dolore provato nel camminare appoggiando il peso sulla gamba rimasta ferita nell’incidente ferroviario.
Sherlock strinse i denti, trattenendosi appena dall’andare da John per aiutarlo.
“Grazie. Sono contento che tu sia qui.”
“Non vorrei essere da nessun’altra parte. Vorrei urlare al mondo intero quanto io sia orgoglioso di te. Anche se ti picchierei, per avere deciso di sacrificarti per persone che non lo meritano.”
“Anche tu sei molto importante per me,” mormorò John, con un accenno di sorriso.
John arrivò davanti all’altare e si fermò accanto a Moran, che lo prese per una mano. Padre Julian O’Brien iniziò a celebrare la cerimonia e tutto procedeva con una calma noiosa. Padre O’Brien stava parlando dei diritti e dei doveri degli sposi, quando Sherlock domandò irritato: “Nessuno ha informato il prete che questo è un matrimonio finto e che sta solo sprecando il fiato?”
“Se anche lo hanno informato, non sarebbe opportuno che lui lo sbandierasse ai quattro venti,” ribatté John, cercando di non sorridere.
“Le solite ipocrite convenzioni sociali. Perché fingere che tutto sia perfetto, anche quando tutti sanno che non è così?”
“Bisogna sempre salvare le apparenze, Sherlock,” sospirò John, che si girò di scatto verso il prete, quando sentì qualcuno che si schiariva la voce.
“Accetti?” Chiese Padre O’Brien.
John lo fissò interdetto, rendendosi conto che il prete attendeva una risposta, ma lui non aveva sentito la domanda. John arrossì violentemente: “Sì?” Rispose titubante, evitando accuratamente di guardare verso Sebastian.
Padre O’Brien tirò un sospiro di sollievo e sorrise, rivolgendosi verso Moran: “Vuoi tu Sebastian Phillip Devon Moran prendere il qui presente John Harry Rowling come tuo legittimo sposo, giurando di amarlo, onorarlo, prenderti cura di lui fino a che morte non vi separi?”
“Sì,” ringhiò Moran, decisamente furioso per la distrazione di John. Sherlock sogghignò, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Greg.
“Mycroft è perennemente attaccato al suo cellulare. Sgrida lui!” Sbottò sottovoce.
Greg fulminò anche il marito, ma non ottenne nulla. Scosse la testa, rassegnato, e prendendo mentalmente nota del fatto che, a cerimonia terminata, avrebbe fatto una bella ramanzina a entrambi i fratelli Holmes. In quel momento, il cellulare di Mycroft vibrò. Il maggiore degli Holmes lesse rapidamente il messaggio e sul suo viso si dipinse un’espressione trionfante.
Padre O’Brien stava portando a termine la cerimonia con la formula di rito: “Se qualcuno dei presenti conosce un motivo perché questi due uomini non debbano essere uniti nel sacro vincolo del matrimonio, parli ora o taccia per sempre,” pronunciò in tono solenne. Aveva appena terminato di pronunciare la frase, quando due voci si levarono all’unisono, affermando: “Io ho qualcosa da dire!”



Angolo dell’autrice

Per la serie “Questo matrimonio non s’ha da fare!” Ho sempre desiderato fermare un matrimonio in questo punto. Questa mi è sembrata un’ottima occasione per farlo. Qualcuno pensava che avrei permesso veramente a John di sposare Sebastian Moran?
Aspetto i commenti di chi voglia lasciarmi anche solo due righe.

Grazie per avere letto fino a qui. Grazie a 1234ok, meiousetsuna e CreepyDoll per la recensione allo scorso capitolo.

A domani!

Ciao!
   
 
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