Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: A i r a    06/07/2018    1 recensioni
Uno aveva ucciso la persona più cara che aveva.
L’altro aveva bruciato il proprio futuro.
♦♦♦
Uno provava pateticamente a colmare ciò che ormai non aveva più.
L’altro cercava semplicemente un motivo per andare avanti.
♦♦♦
Uno era la personificazione di una notte d’inverno.
L’altro sembrava più una giornata di Sole con il vento.
♦♦♦
Due soggetti, la cui vita cambiò a causa di un errore, accomunati dal fatto di non sapere che a tutti, prima o poi, è concessa la possibilità di ricominciare.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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♦♦♦
6| Gli occhi non cedono

 
*** Lunedì 4 Marzo – 20:05 ***
 
Sapeva che prima o poi quel lavoro gli avrebbe logorato l’anima, e sapeva anche che avrebbe rischiato un’intossicazione da gas nocivi se non avesse preso un profumatore per ambienti il prima possibile.
Il suo ultimo passeggero, quella sera, uscì dalla macchina lasciando briciole ovunque e una bibita rovesciata sui sedili posteriori, dando un senso a quel ‘merda’ che sentì dopo la brusca frenata all’ultimo semaforo.
Sceso dalla macchina, si grattò il capo pensando a come potesse  pulire quello schifo lì dietro.
Vero, aveva finito il turno, ma certamente non poteva consegnare l’auto in quello stato. Eppure, aveva avvisato quell’odioso ciccione di non entrare col cibo ma a quanto pare se l’era nascosto anche tra i rotoli di ciccia.
«Fanculo.» Imprecò dando un calcio alla ruota posteriore e facendosi pure male.
 
Doppio fanculo.
 
Jean era una delle poche persone cui la faccia diceva tutto di lui, specialmente sul fatto che fosse una persona senza peli sulla lingua.
«Accidenti a lui e al suo hamburger di merda!»
Voleva solo andare a casa ma, finché la macchina era in quelle condizioni, non sarebbe potuto andare molto lontano.
Sapeva che nelle vicinanze vi era un distributore di benzina assieme al meccanico e pensò/sperò che almeno lì avrebbe trovato quantomeno gli attrezzi necessari per il lavaggio interno delle macchine, altrimenti si sarebbe dovuto arrangiare, cosa che voleva evitare.
Arrivato sul posto con tutti i finestrini aperti, ad accoglierlo vi fu un signore sulla cinquantina in tuta da meccanico che dopo un breve dialogo, lo condusse sotto la tettoia rossa, luogo in cui avrebbe trovato il meccanico che lo avrebbe aiutato.
Fece come gli era stato detto e non appena parcheggiò la macchina, uscì borbottando qualcosa riguardo agli straordinari.
Si guardò intorno. Nell’officina c’erano due macchine: una nera con il parabrezza rotto e una grigio tenue con le portiere distrutte; del collega neanche l’ombra. I suoi muscoli facciali erano tutti contratti in un’espressione arrabbiata, pensò che quella giornata non poteva andare peggio di così ma quando il meccanico sbucò da sotto la macchina grigia, i muscoli si rilassarono di colpo.
«Marco?»
Gli occhi color cioccolato del ragazzo dai lineamenti delicati si sgranarono, dando vita ad un’espressione felice ed incredula allo stesso tempo.
«Jean! Ci si rivede.» Era leggermente imbarazzato ma gli si poteva leggere la felicità negli occhi.
Nonostante fossero passati giorni dal loro primo incontro, Marco ricordava ancora quanto si sentì a suo agio mentre bevevano il caffè della domenica mattina.
Jean fu il primo ospite da quando si trasferì in America.
Il taxista però non voleva farsi distrarre da una semplice conoscenza appena fatta. Aveva bisogno di pulire il più velocemente possibile quella macchina. Non vedeva l’ora di stendersi sul letto.
«Ehi.» Salutò con un entusiasmo pari a quello di un bradipo in letargo. «Dovrei pulire la macchina per riportarla al capo.» Aggiunse.
«Non preoccuparti, finisco poi ti aiuto.» Affermò rimettendosi sotto l’auto. «Questione di cinque minuti.»
Cinque minuti sarebbero bastati a Jean per esaminare attentamente il luogo in cui Marco lavorava.
L’odore del ferro e dell’olio per motore invadevano l’aria; le chiavi inglesi appese al muro, le luci non troppo luminose e il caratteristico rumore degli arnesi metallici che toccavano a loro volta il metallo rendevano l’ambiente da officina una discreta officina.
Solo in un secondo momento si accorse di un vaso con delle rose bianche che stonavano con l’ambiente circostante.
 
Che diavolo ci fanno delle rose qui?
 
Marco intanto aveva finito di sistemare la macchina. «Sono qui. Dimmi tutto.» Disse andandogli incontro pulendosi le mani con uno straccio di stoffa bianco.
La mano sinistra di Jean andò a toccare la propria tempia che non accennava a smettere di pulsare dalla stanchezza. Il suo sguardo rimaneva fisso sugli interni sporchi dell’auto, convincendosi che tra meno di un’ora si sarebbe ritrovato nel suo letto caldo. Il moro, che lo guardò per qualche secondo, si avvicinò all’auto per vederne gli interni.
«Wow, che disastro.»
Tranquillamente prese tutto il necessario da una cassetta vicino al vaso di rose e, porgendo un piccolo aspirapolvere al taxista, iniziarono a pulire.
«Cliente pesante?» Chiese con un mezzo sorriso sulle labbra mentre puliva con il vapore i sedili posteriori.
Marco aveva detto le due paroline magiche che scatenarono in Jean una specie di sorriso che arrestò non appena si rese conto che le labbra si stavano allargando un po’ troppo.
«In tutti i sensi.» Rispose schiarendosi la gola e riprendendo il controllo dei muscoli facciali. Il tono calmo con cui diede la risposta fu seguito da una leggera risata proveniente dal giovane di fronte a lui.
Testa di fieno non voleva far trasparire i suoi sentimenti. Era sempre così quando voleva tenere le distanze da una persona. Specialmente con quel ragazzo. Non gli piaceva. Non si fidava.
E poi, a dirla tutta, che diavolo aveva da sorridere sempre? Chi era, Biancaneve?
Cosa ci guadagnano le persone a essere gentili? Era questo che Jean si chiedeva da quando era bambino.
Ci fu un silenzio contornato dal rumore della città. I due erano concentrati sul pulire la vettura ma ci fu un momento nel quale i loro sguardi si incrociarono. Marco distolse subito lo sguardo, Jean, al contrario di quel che si potesse pensare, continuò a studiarne il comportamento fino ad arrivare ai lineamenti.
Lo sguardo era fisso sull’oggetto da pulire eppure riusciva a intravedere la serenità in quegli occhi color nocciola. Notò la bocca increspata per via della difficoltà nel togliere quella macchia di aranciata, il respiro leggermente più veloce del suo, le lentiggini sfumarsi alla luce fioca dell’officina, le piccole increspature della fronte che si corrugava per la concentrazione… Marco si stava impegnando, anzi, a Jean sembrava che stesse dando tutto se stesso per aiutarlo.
«Perché?» Sputò fuori Jean senza accorgersene.
Marco si voltò, curioso. «Perché cosa?»
 
Bravo Jean, inventati una scusa, su.
 
«Perché… Bryan vuole andarsene senza dire niente a Eric?» Grease Anatomy era ovunque.
Anche Marco seguiva la serie, specialmente per la semplice curiosità di vedere se quei meccanici dicevano il vero o sparavano nomi e “diagnosi” a caso.
Una domanda senza senso avrebbe ricevuto quasi sicuramente una risposta senza senso, pensò Jean.
«Penso che Bryan abbia le sue ragioni. Dopotutto, Eric gli ha quasi rotto un piede con la palla da bowling.»
Il tempo si fermò.
Questa volta Grease Anatomy mieté le sue vittime legandole per bene con un sottile ma robusto filo rosso.
 
*** Ore: 23:50 ***
 
Strano.
Sì, fu decisamente strano il fatto che quella stessa sera Eren stesse lavorando senza mettere le mani su prodotti chimici o guanti di lattice. Dopo numerose telefonate, un benedetto ristorante ebbe la decenza di rispondere con un: «Ma certo tesoro, puoi cominciare stasera.»
Ora capiva il motivo di tale entusiasmo da parte della direttrice: i clienti non accennavano a diminuire e in più, da quello che gli aveva riferito la signora, mancava una cameriera per cui il lavoro da fare era un “pochino” di più. Ed era quasi mezzanotte.
«Lo sapevo, mi sarei dovuto informare di più.» Pensò, senza troppi rimpianti mentre serviva l’ennesimo cliente. In fondo quel lavoro era onesto e in più gli avrebbe garantito un piccolo gruzzolo da mettere da parte per prendere in affitto un appartamento decisamente più decente dell’ultimo.
I piedi cominciavano a pulsare e non poteva fermarsi un attimo a causa di tutti quegli schifosi addii al celibato/nubilato che si erano svolti fino a quel momento.
Il brusio generale e i diversi tintinnii delle posate sui bicchieri gli rimbombavano nella testa.
Tutto quel casino fu uno dei motivi per cui una signorina, non molto lontana da lui, fece fatica ad attirare la sua attenzione.
«Ehm, scusa!» La giovane donna alzò la mano quasi timidamente attirando, finalmente, l’attenzione del povero Eren sfinito.
Il suo turno sarebbe finito verso le due del mattino, quando il ristorante chiudeva.
Il cameriere andò dalla ragazza che teneva in braccio la propria bambina che avrà avuto circa un anno.
«Cosa posso fare per lei?» Chiese cortesemente.
La donna sembrò leggermente imbarazzata ma allo stesso tempo un po’ pallida.
«Avrei bisogno di andare in bagno. Per favore, mi può tenere la bimba per cinque minuti?»
Se c’era una cosa che non sapeva fare era accudire i bambini. Con lui qualsiasi apparente angioletto si sarebbe trasformato in una vera e propria calamità per l’umanità. Eren aveva il potere di incutere paura a qualsiasi cosa tenesse in mano perciò gli venne naturale rifiutare.
«Ecco, vede, non si offenda ma non posso. Sono molto impegnato e–»        
“Non penso che il capo me lo permetta.” Stava per dire prima che la donna gli avesse rimesso addosso.
Il mal di testa si trasformò in mal di stomaco mentre tutti si voltarono verso di loro: alcuni con faccia stupita, altri schifata, altri ancora avevano preso in mano il cellulare e fotografato la scena.
 
Ed è solo il primo giorno, bene così.
 
«Mi-mi scusi, davvero sono mor–»
Il colpo di grazia, sulle scarpe.
Con la sfortuna che aveva con i bambini e con il fatto appena accaduto, Eren pensò che probabilmente non sarebbe potuto sfuggire al destino e così, col sudore freddo e quasi immobile per lo schifo che aveva addosso, raggruppò tutta la forza di volontà e cercò di rimanere il più composto possibile.
«Vado a prenderle dell’acqua.» Disse dopo aver notato una bottiglia di vino vuota sul tavolo.
La donna dai capelli ramati era seduta da sola con la faccia di chi avrebbe voluto nascondersi sotto terra; la figlia in braccio e un biberon tra le mani.
Il cameriere andò prima di tutto a cambiarsi.
Non appena raggiunse gli spogliatoi dopo aver sfilato pietosamente davanti agli occhi di tutti, si cambiò in fretta per poter garantire un servizio decente alla povera cliente.
L’aveva notata durante il viavai tra una portata e l’altra: sembrava dovesse aspettare qualcuno, seduta in quel tavolo singolo con una candela accesa che sembrava spegnersi da un momento all’altro, ma nell'attesa aveva già fatto fuori una bottiglia di vino bianco. Da quel che ricordava, era lì da almeno due ore.
«Jaeger!» La direttrice lo stava chiamando. «Jaeger, vieni subito qui.»
A quel richiamo il ragazzo pensò al peggio. Corse subito dal capo e giunto col fiato corto dalla donna, notò subito la sua espressione, sembrava preoccupata.
«Per oggi il tuo turno finisce qui, accompagna la cliente a casa. Fallo per quella povera creatura.» Disse guardando la bambina addormentatasi tra le braccia della madre.
Il povero Eren fu spiazzato dall’ordine appena ricevuto ma dopo due o tre pensieri contrastanti, pensò che probabilmente sarebbe stato meglio così invece di continuare a servire la clientela con addosso l’odore di ciò che successe pochi minuti prima.
Cambiatosi nuovamente come una scheggia, prese il braccio della donna e lo mise attorno al suo collo, in modo da aiutarla a camminare mentre spingeva la carrozzina con la bimba addormentata.
 
Era notte fonda, non vi era quasi nessuno e i lampioni erano l’unica fonte di luce in quella strada tetra.
«Che sciocca, non so ancora il tuo nome.»
«Eren, e il tuo?» I suoi occhi rimanevano fissi sulla strada che, dopo un paio di incroci, gli sembrò leggermente famigliare.
«P-Petra…» Disse il suo nome quasi disgustata. «Grazie per accompagnarmi da lui. Davvero.»
«E’ tuo marito?» Abbastanza impertinente da parte sua ma qualche informazione gliela doveva, in fondo le stava facendo un favore.
Un sorriso si distese sulle sue labbra sottili e carnose, l’espressione serena che si dipinse sul suo volto, ad Eren pareva quella di un’anima in pace.
«Magari. Sono sicura che lui non mi avrebbe mai abbandonato.» Affermò guardando la sua bambina dormire e stringere il suo pupazzo preferito. Quella piccola giraffa era l’unico rimedio per farla dormire.
«E lei invece, come si chiama?» Chiese Eren curioso.
«Rel. Mi è rimasta solo lei.» Confessò guardandola dolcemente.
Il ragazzo continuava ad aiutarla a camminare con una mano mentre spingeva la carrozzina con l’altra. Petra non era ubriaca ma era molto debole. Gli aveva confessato che era tutto il giorno che non mangiava.
Non ne ebbe la forza; al solo pensiero di rincontrare quella persona le faceva venire il voltastomaco.
I minuti passarono e per Eren la strada si fece sempre più famigliare. Troppo famigliare.

Oh no.

«Siamo arrivati, puoi lasciarmi andare, non preoccuparti, non crollo mica.» Cercò di tranquillizzare, Petra.
Ma Eren non si fidava.
«In quell’edificio non hanno l’ascensore. Io ti porto la bambina, starò dietro di te, non preoccuparti.» Sorrise.
Un sorriso che la rese più tranquilla.
Durante gli scalini, Eren era super concentrato a controllare la bambina, non far cadere la piccola giraffa e stare attento ai movimenti di Petra che si stava dirigendo verso l’ultima rampa di scale; per cui non riuscì ad accorgersi che l'appartamento cui era diretta era proprio quello.
La giovane donna bussò alla porta e quando si aprì, la figura che le si presentò davanti aveva un paio di calzini di lana rossa ai piedi.




 Schizzo Time 
Io. Sono. Una. Brutta. Persona.
Chiedo scusa a tutti quelli che hanno messo la fic tra le seguite per non aver più aggiornato, purtroppo il mio vecchio computer ha deciso di morire dopo un mese (circa)
dall'ultima pubblicazione e per comprarne un altro, tra università e imprevisti, i soldini non erano mai abbastanza >.< chiedo venia.
Finalmente è entrato un personaggio molto importante nella storia ed Eren, finalmente, si è trovato un lavoro "pulito" (ahaha no, non faceva ridere).
Ma poi, Petra, non ce l'ha una casa? Beh, sì, però...
Scusate ancora il tremendo ritardo e alla prossima (spero)! 

Aira.
  
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