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Autore: cabin13    06/07/2018    1 recensioni
[Percy Jackson!AU]
Il figlio di Ares ha la fama di essere ribelle e scorbutico, ma è anche il migliore spadaccino del Campo. E un mio caro amico.
– Sei pronta Pidge? – mi chiede mettendosi al centro dello spiazzo e contemporaneamente facendo roteare la spada di legno che usa per gli allenamenti.
***– Lance! – strillo a questo prendendolo per le spalle magre, è più basso di me solo di pochi centimetri. Il mio migliore amico sobbalza preso alla sprovvista e poco ci manca che faccia un infarto, ma finalmente chiude la bocca e sta ad ascoltarmi. – Amico, se ti chiama in fisica ti copro io! Sperando di non farmi beccare da Altean, s’intende…
***Digrigno i denti e stringo i pugni, i muscoli mi stanno chiedendo pietà ma non sono intenzionato a mollare; se proprio devo, preferisco mille volte morire per la fatica che per mano loro. {...} questi corridoi sono tutti uguali per me, senza un mortale è impossibile districarsi in questo dedalo di vie.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garrison Hunk, Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ci stiamo dirigendo fuori città, verso nord. Il ragazzo seduto davanti a me è di poche parole, ho provato a domandargli quale sia la nostra meta e mi ha risposto solamente con un borbottio non identificato facendomi desistere dal chiedergli molte altre cose che mi vorticano nella mente.

Durante il volo incontriamo un vuoto d’aria improvviso, il cavallo alato si alza e poi si abbassa come se fossimo su una giostra per bambini solo che il movimento è mille volte più brusco e io devo premermi una mano sulla bocca per non rischiare di rimettere tutto il mio pranzo. Nemmeno il moro alle redini si aspettava una cosa del genere, infatti lo sento imprecare coloritamente: di primo acchito pare quasi che si stia inventando le parole da talmente sono incomprensibili, ma in qualche secondo mi accorgo di capirle e mi rendo conto che è la stessa lingua della canzone del signor Coran di stamattina.

Mi faccio un appunto mentale di ricordarmi per il resto della vita questo giorno come “giornata del delirio”. Forse ha ragione Lance, maggio ci ha fatto davvero impazzire. Sì è così, io e il mio migliore amico verremo ricordati come i primi due studenti ad essere andati fuori di testa per colpa della scuola. Non ha senso, ma è l’opzione più logica che il mio cervello riesce a trovare.

L’ennesimo vuoto d’aria mi causa un gemito sofferente, spero con tutto il cuore che manchi davvero poco all’arrivo.

Come se mi avessero letto nel pensiero, i cavalli alati – pegasi mi dice la stessa vocina che mi ha nominato le dracene – cominciano a scendere di quota. Abbiamo passato il quartiere del Queens e sotto di noi si estendono solamente campi e prati. In lontananza riesco a vedere delle colline verdeggianti, è lì che ci stiamo dirigendo. Man mano che ci avviciniamo, sulla più alta iniziano a delinearsi i contorni di quello che deduco essere un pino, accanto cui ci sono una statua assurda che brilla sotto il sole e un… un… un drago!

Uno strillo spaventato sfugge dalle mie labbra e sento Lance fare lo stesso: anche lui è rimasto sconvolto dalla bestia.

Prima che possiamo iniziare a protestare – perché io non ho la minima intenzione di scendere vicino a un mostro gigantesco potenzialmente in grado di arrostirmi, specialmente dopo il mio sogno di stamattina – i pegasi stanno già sorvolando l’area. Mi giungono alle orecchie le imprecazioni in spagnolo del mio migliore amico e io, d’impulso, senza pensarci troppo, mi spiaccico contro la schiena del ragazzo moro stritolandolo in un abbraccio terrorizzato.

– Non dovete agitarvi, calmatevi! – la voce di Shiro è ovattata e viene in parte portata via dal vento. – Quello è il drago Peleo e protegge i confini del Campo. Più o meno.

– Che cavolo significa “più o meno”? – strilla Lance abbandonando finalmente lo spagnolo.

– È una lunga storia. Smettila di muoverti, adesso! O ci farai perdere l’equilibrio e precipitare! – risponde il prof Altean girandosi di scatto verso di lui e fulminandolo con lo sguardo. Le sue parole riescono a zittire il logorroico cubano in meno di un secondo: è un nuovo record imbattibile, ne sono impressionato e tra me e me mi viene quasi da ridacchiare.

Superiamo la grande collina senza che il mostruoso bestione ci degni di un minimo sguardo, al che traggo un sospiro di sollievo.

Il Campo Mezzosangue si rivela essere proprio l’equivalente di un campo estivo, solo che è in mezzo al nulla più completo e non è registrato su Google Maps. Intravedo delle baracche disposte a formare un’omega, ci sono degli spiazzi affollati da ragazzi impegnati in varie attività, un laghetto, una mensa a cielo aperto, dei campi di pallavolo e una grande capanna. Qualcuno dal basso ci indica e attira l’attenzione degli atri, perché ben presto tutti i campeggiatori si ritrovano con il naso puntato per aria e gli occhi che seguono la nostra traiettoria.

Atterriamo nei pressi della capanna più grande, l’unica che non forma insieme alle altre la omega. Veniamo accolti da un drappello di adolescenti tutti vestiti con la stessa T-shirt arancione che hanno Shiro e i due che comandano i pegasi. I miei occhi si spalancano all’inverosimile e rimango stordito dal casino che mi trovo di fronte, sono spiazzato e vengo pervaso da una sensazione di disagio. Osservano me e Lance con curiosità, come se fossimo una nuova attrazione turistica. O le prossime prede da sbranare.

– Largo, largo! Spostatevi! – borbotta un vocione imperioso. Un omone molto più alto degli altri si fa strada dividendo il gruppo di ficcanaso in due ali. Ha una camminata strana, il corpo e le braccia sembrano quasi essere scoordinati rispetto al movimento che compie con le gambe. In realtà, tutto il busto in sé pare qualcosa di a sé stante rispetto agli arti inferiori.

E appena me lo ritrovo di fronte ne capisco il motivo.

Mi chiedo inutilmente che problemi abbiano questi semidei con le gambe: prima le dracene e adesso questo. Un tizio che è per metà uomo e per metà è uno stallone bianco di prim’ordine e porta una faretra su un gilet di velluto e una camicia come se niente fosse.

Le orecchie fischiano all’impazzata, la testa ronza talmente forte che non riesco nemmeno a sentire quello che Lance sussurra al mio orecchio.

Ho sognato di prendere fuoco davanti a un drago metallico, il mio migliore amico è stato investito da un non-morto e dei mostri vecchi di migliaia di anni, siamo fuggiti dalla scuola in compagnia del nostro prof di fisica a bordo di cavalli volanti, abbiamo scoperto che un altro drago, in carne e ossa stavolta, se ne sta bello tranquillo appollaiato su una collina fuori da New York City a sorvegliare un campo che nemmeno dovrebbe esistere e adesso ci troviamo faccia a faccia con un centauro.

Potrei dire che sia io che Lance la prendiamo con filosofia e ci mettiamo a ridere chiedendo dove sia la telecamera perché di sicuro tutto questo è un gigantesco scherzo di pessimo gusto, ma in realtà…

…Sveniamo. Ci scambiamo uno sguardo scioccato e poi collassiamo eroicamente a terra.

---

Essere svenuti fa schifo. Totalmente. Ho la bocca impastata e un sapore indefinibile sulla lingua, i muscoli sono stanchi e la testa fa così male che sembra mi abbiano preso a martellate. Le orecchie ancora ovattate captano in lontananza dei suoni indistinti che via via si fanno sempre più nitidi e intensi. Strizzo le palpebre ed emetto un grugnito di lamento prima di aprire gli occhi e tirarmi su di scatto, finalmente sveglio.

Poco ci manca che mi prenda una capocciata contro qualcuno che si trova seduto affianco a me e che mi sbotta contro. – Ma dico, sei scemo?!

A parlare è stata una ragazzina minuta che avrà un paio d’anni in meno di me. Ci impiego qualche secondo per mettere a fuoco il suo viso e riconoscere che è la stessa che guidava uno dei pegasi; quando l’ho vista a scuola mi sembrava più grande. È uno scricciolo, è così piccola che la maglia arancione intorno a lei pare quasi un vestito. Mi fulmina con lo sguardo, la calda tonalità color miele dei suoi occhi che stona con la cupa occhiataccia che mi sta rifilando.

Rimango a fissarla con un’espressione ebete in faccia, non mi curo neanche di rispondere all’insulto. Mi prendo qualche secondo per guardarmi in giro. Sono in una stanza abbastanza grande, con molti letti e un armadio enorme. Ci sono dei tavolini pieni di cianfrusaglie da dottore – riconosco una garza, uno stereoscopio e qualche siringa – e un paio di ragazzi che continua a fare avanti e indietro tra i tavoli e i giacigli.

Riconosco Shiro, steso in un letto poco lontano da me. È cosciente, ma vedo che ha il corpo pieno di bende e persino una fasciatura intorno alla testa; in effetti, quando è sbucato fuori dalla porta verde a scuola, il suo aspetto non era dei migliori, sembrava più morto che vivo. Al suo capezzale c’è l’altro ragazzo di questa mattina, il moretto che girava con la spada.

Tra gli altri pazienti non riconosco nessun altro. Dove cavolo è finito Hunk?

Faccio per chiederlo alla ragazzina vicino a me, ma appena torno a concentrarmi su di lei, è la prima a parlare. – Era ora che ti svegliassi – mugugna – Comunque… quando dormi, sbavi1. Non te l’ha mai detto nessuno?

Se prima parevo un ebete, adesso sembro ancora più beota. Ci impiego un bel po’ ad assimilare le parole e altrettanto per capire che non sono complimenti, ma la piccola castana mi pianta in asso prima che possa aprir bocca e risponderle a tono.

Alle mie spalle sento un risolino divertito. Mi giro di scatto per incenerire il comebola2 che non se ne è stato zitto e mi trovo a guardare gli occhi del moretto vicino a Shiro. Sta ghignando e non si sta nemmeno preoccupando troppo di nasconderlo.

– Che c’è di così divertente que te haga reír de esa manera3, zazzera? – non mi curo nemmeno di parlargli in una lingua che possa capire. Se non afferra il significato, tanto meglio: magari farà una faccia ridicola come fa Hunk di solito.

Hunk! Dove diavolo è finito?

Non aspetto nemmeno la risposta del moro, scivolo giù dal materasso e mi fiondo fuori dalla stanza scansando malamente un biondino in infradito.

La luce del sole mi ferisce gli occhi, devo schermarmi il volto con la mano per proteggermi. Rimango attonito dal merequetengue che mi ritrovo davanti, non ho idea di che direzione prendere per iniziare a cercare il mio migliore amico.  Un paio di ragazzi mi passano davanti e mi guardano incuriositi, ma poi continuano per la loro strada e non si fermano a parlarmi.

Sobbalzo dalla sorpresa quando sento qualcuno artigliarmi il braccio con poca grazia. Di nuovo mi trovo faccia a faccia con la ragazzina dell’infermeria.

–Dove cavolo stai andando? – mi domanda con uno sguardo che potrebbe incenerirmi seduta stante. – Dovevi aspettare che tornassi io!

– Devo trovare Hunk! E poi tu has volado como Matía Perez4 senza dire niente.. Che ne so io che poi torni? – protesto, deglutendo a vuoto quando incontro le sue iridi. Sembrano oro fuso.

La piccola castana inarca un sopracciglio e mi fissa torva. – Sono andata ad avvertire Chirone e il tuo amico, stavo venendo a tirarti giù dal letto. Sempre che tu ti riferisca a questo.

Mi gratto la nuca con evidente imbarazzo; sono agitato e penso a malapena a quello che dico, figuriamoci se mi preoccupo dell’idioma!

Lei fa le spallucce e, sempre con la sua mano posata sul mio braccio, mi fa strada. Finché camminiamo noto quanto sia minuta la sua figura: la sua testa non raggiunge nemmeno la mia spalla.

Svoltiamo l’angolo di una grande struttura, la stessa davanti alla quale siamo atterrati questa mattina e nella quale è inglobata anche l’infermeria dove mi sono svegliato. Trovo Hunk seduto sui gradini d’ingresso, tranquillissimo, intento a chiacchierare insieme a una corpulenta ragazza mulatta con uno sbarazzino taglio a caschetto. Ha dei fiori intrecciati tra i capelli scuri, che le danno un’aria innocente.

– Oh, eccoli! – esclama la mora indicando me e la piccoletta.

Il mio migliore amico balza in piedi come se fosse stato punto da qualcosa, strilla il mio nome e mi corre in contro, scansa la ragazzina davanti a me e mi stritola in un abbraccio in grado di frantumarmi le costole. Ci mette talmente tanta enfasi che mi ritrovo con i piedi sollevati un paio di centimetri da terra. Ricambio la stretta come riesco, le braccia che non si sollevano più di tanto per via della sua presa.  Mi spiega che siamo svenuti entrambi – non che non ci fossi arrivato –, che lui si era ripreso prima di me e che finché mi aspettava per parlare ha stretto amicizia con la mora che si chiama Shay ed è figlia di Demetra – quest’ultima parte non sono sicuro di averla capita bene, ma è decisamente l’ultima delle mie domande.

Veniamo riportati alla realtà da un tossicchiare imbarazzato alle nostre spalle. È il tizio con il corpo da cavallo e la camicia elegante. Chirone.

Shay fa un cenno di saluto ad Hunk e ci lascia da soli con l’uomo cavallo. Lui ci fa gesto di seguirlo all’interno della casa e noi non abbiamo altra scelta se non ascoltarlo, anche perché finalmente tutte le nostre domande avranno una risposta. Spero. Noto distrattamente che anche la brunetta dell’infermeria è con noi; adesso che ci penso non so nemmeno il suo nome.

Chirone ci fa sedere attorno a un tavolino piuttosto scalcinato e si piazza in piedi di fronte a noi, giusto per sembrare più imponente di quanto non lo sia già. Una delle sedie è già occupata dal signor Coran che ci saluta con un cenno allegro.

– Dunque, voi due in questo momento vi trovate al Campo Mezzosangue. Non lo trovate sulle cartine geografiche, è un campo inaccessibile a chi non è come voi e inoltre è protetto da confini insuperabili.

– Avete presente il drago sulla collina? E la statua e il pino che gli stanno vicino? – s’intromette la ragazzina. – Bene, la statua e il pino sono… ehm… magici. Tengono fuori dal campo i pericoli. Il drago fa la guardia alla statua e al pino, perché senza di quelli per noi sarebbe una lotta continua.

– Una lotta continua… contro cosa? – inarca un sopracciglio Hunk.

– Ecco, questo è il prossimo punto. – dice il centauro passandosi una mano sulla barba – Ciò che ci minaccia è vecchio di millenni. Conoscete la mitologia greca e romana, no? – quando ci vede annuire, seppur poco convinti, prosegue. – Non sono solo racconti di fantasia. Gli dei, i mostri, i semidei, tutto ciò esiste veramente.

– Le dracene che ci hanno attaccato stamattina sono solo una piccola parte dei nostri “nemici” – il prof Altean prende per la prima volta la parola. – I mostri come loro vivono per uccidere i semidei; li rintracciano per il loro odore, che li contraddistingue dalle persone normali. Normalmente un semidio, da solo, non dura molto là fuori, specialmente se non ha avuto alcun tipo di addestramento e non ha le armi necessarie.

– Coran è un satiro, anche lui è in grado di percepire l’odore dei semidei e proprio per questo il suo compito è quello di trovarli e portarli qui al Campo Mezzosangue – spiega Chirone.

– Un… un satiro? – ripeto, sconvolto. Ecco spiegato il motivo degli zoccoli caprini! Il nostro professore di fisica è un uomo-capra!

– No, no, no, aspetta un secondo, frena un attimo – interrompe il mio migliore amico – Anche quando ci hanno attaccato in mensa le dracene ho sentito questa parola, “semidei”. Che cavolo significa?

– Ma che cazz..?

– Katie… – il centauro rimprovera con lo sguardo la ragazzina che stava per imprecare coloritamente alla domanda di Hunk. La piccola castana, Katie, alza gli occhi al cielo ma si zittisce.

Chirone torna a concentrarsi su di noi. – Un semidio è il frutto dell’unione di un dio e di un mortale. Ci sono alcuni tratti che li accomunano, tipo l’iperattività o la dislessia. La prima è dovuta ai sensi più sviluppati, che sono quelli che potrebbero salvarvi la pelle in un combattimento, mentre la dislessia è causata dal vostro cervello. Nel senso, la vostra mente non è impostata per leggere l’inglese o qualche altra lingua, ma il greco antico.

Quest’ultima rivelazione mi colpisce particolarmente, a tal punto che mi giro di scatto verso il prof Altean e gli punto contro un dito. – Lei stamattina stava cantando! Stava cantando in greco antico! È per quello che all’inizio le parole mi parevano strane…

La mia constatazione sembra smuovere qualcosa in lui, perché lo vedo sistemarsi in una posizione impettita e alzare il mento con orgoglio mentre si sistema la giacca. – Esattamente, figliolo! È un antico canto della Tracia che ci tramandiamo di generazione in gen…

– Quindi… quindi… Visto che siamo entrambi dislessici… – lo interrompe Hunk prima che possa dilungarsi in uno dei suoi monologhi senza né capo né coda. Per i primi due secondi non vi do peso, ma man mano che il mio cervello elabora quello che ha detto capisco che c’è qualcosa che non va: ha detto entrambi?! Non faccio in tempo a questionare, però, perché il mio migliore amico prosegue con il suo ricapitolare tutto il discorso. – …Che capiamo il greco antico, che abbiamo attraversato questi presunti confini magici e che un paio di dracene ha provato a sbranarci… noi siamo… siamo...

– Siete due semidei. Siete figli di un dio dell’Olimpo.





1cit. Annabeth Chase ("Il ladro di fulmini")... Non ho resistito, DOVEVO metterla!

2stupido, che non capisce niente (spagnolo cubano)

3[cosa c'è] che ti fa ridere in questo modo?

4sei sparita senza lasciare traccia (modismo cubano)





Hola gente

Eccomi con il sesto capitolo!

La parte in cui Chirone spiega a Lance e Hunk tutta la storia non mi convince moltissimo, ma onestamente non sapevo come finire il capitolo e quindi boh, ho inserito questa specie di """"cliffhanger"""... anche perché sarebbe venuto fuori un capitolo lunghissimo senza nè capo nè coda se avessi inserito proprio tutte tutte le informazioni in quest'unica parte

Il prossimo capitolo è già pronto, ma non lo pubblicherò fino a quando non avrò ultimato anche il settimo (in fase di lavorazione) e iniziato l'ottavo... Spero di riuscire a scriverli in fretta perché il sesto è più movimentato e interessante e mi è piaciuto molto scriverlo!

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito i capitoli passati

Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

   
 
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