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Autore: tsukuyomi_    11/07/2018    3 recensioni
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Yoshino osservò attentamente quella foto stretta tra le sue mani: ricordava con la stessa chiarezza di allora le continue smorfie di Shikaku mentre gli cambiava la benda — forse con gesti rozzi —, mentre lo medicava e rimproverava per le sue azioni sconsiderate, finendo per sorridergli e ringraziarlo con dei lievi baci quando restavano solo loro due, da soli. E ricordava molto bene quella vecchia lei impressa su carta: quella Yoshino dai capelli scompigliati, dalla veemenza repressa e dalla grande gioia nascosta sul suo viso nel saperlo sano e salvo, vivo e al suo fianco, sino alla fine — impressa nella sua anima.
«Grazie, Shikamaru».
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikaku Nara, Yoshino Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio, Naruto Shippuuden
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Nickname su EFP e sul Forum: tsukuyomi_ / 6Misaki 
Fandom: Naruto 
Titolo: Non senti il bisogno che ho di averti accanto? 
Note: Finalmente scrivo qualcosa anche su questa adorabile coppia che avrei voluto vedere più presente all'interno dell'opera. Sono contenta di essermi inserita in questi due contest, così da poter dare vita a questa storia - una tematica sempre triste, ma tutto sommato in una versione un po' più leggera e dai rimandi felici (tolta la prima parte, lì me la sono presa troppo con Yoshino...). 
Vorrei porre due piccoli appunti sulla caratterizzazione di Yoshino: quando ci è stata mostrata era sempre nella veste della donna dal pugno di ferro, zero sentimenti, dalla rabbia facile (alla Tsunade o Temari xD) e con il solo pensiero di riproverare l'allegra famigliola e metterla giustamente in riga - con i Nara ci si deve comportare così. 
Eppure, nel mio "canon" non la vedo solo così: è una donna, da tale ha quindi anche una parte più "morbida" (stesso discorso anche per Temari. Non sono mica fatte di ferro, vi pare?), anche se evita di metterla in mostra facilmente. In questa storia, comunque, è appena rimasta vedova. Lei è in un momento fragile della propria vita, dove la mancanza del marito la sente sin dentro al midollo; il figlio è occupato a essere la spalla di Kakashi, a mettere in piedi la sua futura vita e a vivere la propria esistenza... è grande, e non può passare 24h su 24 con la madre (anche perché la vedo particolarmente a cacciarlo senza mezzi termini xD). 
Quindi, in breve, con ciò intendo che è piuttosto normale - sempre a mio avviso - che le capiti più spesso di sorridere ricordando i momenti passati con il marito o nel momento in cui racconta al figlio quel aneddoto della propria vita. 



 





non senti il bisogno
che ho di
averti accanto?

 






«Allora io vado, mamma».




La donna volse il capo verso la direzione da cui aveva sentito provenire la voce naturalmente seccata del figlio, annuendo appena – anche se vi era unicamente uno spesso muro dinanzi a lei, a dividerla con lo sguardo da lui – al percepire il chiudersi in modo pesante e con un forte rumore della porta d'entrata della loro casa. Era ormai mattina inoltrata e mai, mai, mai una volta nella sua vita – da quando ne aveva memoria, si era sentita tanto sola, abbattuta, abbandonata a se stessa e inquieta nel stare chiusa tra quelle mura colme di dolorosi – e felici e spensierati e unici, che non cambierebbe per alcuna cosa al mondo – ricordi. Si lasciò sfuggire dalle labbra tramanti e screpolate dai numerosi morsi procurati nelle ultime notti insonni una risata a tratti isterica, mentre con le dita affusolate delle mani tremanti si dannò attimo dopo attimo i lunghi capelli scuri, ormai liberi da quella sua usuale e comoda bassa coda, cercando di fare mente locale sul motivo per cui, a quell'ora del giorno, se ne stava con le mani in mano. Proprio lei, per giunta.
Da un tempo oramai infinito non osava guardare il proprio riflesso nello specchio del bagno, impaurita dal solo pensiero di leggere le informazioni, i sentimenti o i vari residui che le notti passate senza chiudere occhio le avevano lasciato sul viso, marchiandolo come con ardente ferro. Era a conoscenza – grazie alle continue e interminabili osservazioni del figlio – di essere diventata ogni giorno sempre più pallida, che le borse sotto i suoi occhi erano diventate volta dopo volta più prominenti e marcate sul volto magro, che i suoi occhi erano spesso troppo spenti e lucidi e, soprattutto, che non trovava più la forza come un tempo di lamentarsi senza tregua per il disordine che lasciava il figlio continuamente in casa.
Era cambiata, e lo sapeva bene. Era cambiata nonostante la forza che si era imposta di mantenere continuamente nelle prime settimane successive alla Grande Quarta Guerra dei ninja, nel tentativo di fare da spalla al giovane figlio; quel conflitto che le aveva celermente tolto dal suo fianco il suo migliore amico, il suo aiutante, la sua spalla, suo marito. Importava ben poco se aveva fatto di tutto per aiutare Shikamaru a superare il lutto di aver perso il proprio padre, la propria guida, l'insegnante di vita; importava poco in quanto, anche se era restia ad ammetterlo davanti a persone di sua conoscenza, lei non l'aveva affatto superato. E, soprattutto... ci sarebbe mai riuscita, con le sue uniche forze?


 
*


 
«Mamma, ti posso chiedere una cosa?» domandò Shikamaru con voce roca, dirigendosi con passo calmo verso il divano del salotto dove, una volta raggiunto, si sedette, producendo un tonfo sordo. La donna lo osservò stranita a pochi passi di distanza, asciugandosi appena le mani contro il vestito scuro. «Sì, dimmi tutto», disse, avvicinandosi lentamente al figlio, squadrandolo con materna attenzione. 
«Ho trovato una cosa interessante mentre stavo riorganizzando i vari archivi dell'Hokage,» spiegò, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni da ninja una foto stropicciata e sgualcita dal tempo, lisciandola poi con i polpastrelli dei pollici «una foto riguardo ai vostri vecchi tempi... uno scorcio sul vostro passato da shinobi». 
«Sul nostro passato?» ripeté Yoshino, sbattendo le palpebre senza cogliere il punto indicato dalle parole del figlio. «Cosa intendi, Shikamaru?»
«Il passato tuo e di papà». 
«... Il passato mio... e di Shikaku?» domandò, ancora più perplessa di qualche attimo prima, mentre si sedeva al fianco del figlio con uno strano senso di pesantezza a opprimerle il petto. 
Shikamaru la guardò con la coda degli occhi, porgendole senza pensarci due volte quella vecchia foto lievemente scolorita e sciupata dal tempo, che infrenabile era passato tanto in fretta. Lei, vedendola, la prese senza battere ciglio, ma a Shikamaru non sfuggì di certo il progressivo illuminarsi e prendere vita dei suoi occhi, da tempo così spenti. Yoshino accennò un debole sorriso, mentre accarezzava — probabilmente senza rendersene realmente conto — con visibile delicatezza e dolcezza quel viso seccato e apatico — ma al tempo stesso rasserenato — impresso a vita su quella carta. «Vuoi sapere qualcosa sulle vicende che hanno portato a questa foto, vero?» domandò, posando il palmo della mano sinistra sulla spalla del figlio che, istintivamente, annuì, prestando la più totale attenzione alla madre. 
«Tutto è iniziato un giovedì...»



Il tempo, quel giovedì di marzo inoltrato, non sembrava uno dei più benevoli: il sole, perennemente coperto dalle cupe nuvole, si mostrava pochi miseri minuti al giorno, lasciando la gente con il fiato sospeso e uno strambo peso a gravare sulle loro spalle; le nuvole l'avevano totalmente da padrona per tutto il grande territorio della Nazione del Fuoco da settimane, incupendo l'animo di ogni singola persona del villaggio della Foglia, e tuoni su tuoni su tuoni e lampi si sentivano e si vedevano provenire da lontano, divagando con sorprendente rapidità, da chilometri e chilometri di distanza.  
Il tempo presagiva tempesta. 

«Minato, hai scelto i tuoi uomini, per questa missione?» chiese lentamente il Terzo, assottigliando le palpebre nella penombra della sua postazione, venendo alle volte illuminato dai lampi che provenivano da lontano, alle sue spalle, oltre l'ampia vetrata. 
Il ninja annuì, «Sì, Hokage-sama». 
«Potrei sapere chi hai scelto per questa missione, Minato?»
«Nara Shikaku, Uzumaki Kushina e un'altra kunoichi, Yoshino». 
«Ohw...» esclamò, sorpreso «loro tre ti bastano per questa missione? Ti ricordo che è molto importante raggiungere un punto fermo con il villaggio della Sabbia». 
Il giovane ninja annuì, ancora, sicuro di sé e della propria scelta «Sono shinobi molto dotati, Hokage-sama». 
«Partirete domani, buona fortuna... e fate attenzione».

 
*
 
L'indomani _

 
Yoshino sollevò gli occhi al cielo, frustrata, portando celere le mani ai fianchi, picchiettando irritata con il piede sul prato umido. Sbuffò, attirando maggiormente l'attenzione dello shinobi stravaccato senza la misera soglia di pudore completamente a terra, incurante del dover partire, intento a osservare e perdersi nella grandezza del cielo e nella vastità delle scure nuvole colme di acqua. 
«Ti vuoi alzare, razza di scansafatiche?» latrò, assottigliando gli occhi sino a formare due minuscole fessure scure. «Che razza di shinobi sei, tu? Mancano solo dieci minuti prima dell'inizio della missione». 
«Due mi bastano per arrivare nel luogo prestabilito per l'incontro, Seccatura» commentò, storcendo le labbra. Non riusciva a credere che l'avesse trovato, anche lì, immerso nella natura com'era. Possibile che avesse un fiuto imbattibile per scovare la pigrizia? Se fosse stato così, si spiegavano molte, molte cose.
«Come mi hai chiamato? Ah, certo che la fortuna mi adora!» borbottò a denti stretti, visibilmente irritata. «Non ho voglia di arrivare in ritardo, sai? Perciò, se non vuoi essere tirato per tutto il villaggio a forza, ti consiglio vivamente di muoverti, Nar
a Shikaku!»


«E alla fine l'hai tirato davvero per tutto il villaggio, mamma?» chiese Shikamaru, sentendo un brivido percorrere rapido l'intera lunghezza della schiena, irradiandosi successivamente per ogni arto. 
«Per sua fortuna ha deciso di alzarsi e camminare di sua spontanea volontà».
«L'avresti fatto davvero?»
«Certo!» ribattè Yoshino, aumentando il tono della voce come se si sentisse risentita da quella futile domanda. «Ad ogni modo, stavo dicendo...»

«Minato?»
«Mmmh?»
«Sei... sì, sei sicuro di aver fatto una buona scelta? Sembrano cane e gatto, quei due». 
Minato ridacchi
ò, mentre osservava attento Yoshino e Shikaku avvicinarsi a loro a passo svelto, battibeccando senza sosta come una coppia ormai consolidata da anni, nel bene e, soprattutto, nel male. 
«Vedrai che impareranno a non accanirsi tanto o, almeno, a convivere senza rischiare l'omicidio, Kushina». 


«Può non sembrare, ma siamo stati in grado di sentirli molto bene».
«Quindi litigavate spesso, tu e papà?» domandò Shikamaru, pensando che, in fin dei conti, le situazioni non erano tanto cambiate nel corso degli anni.
La donna scosse il capo, divertita. 
«Battibeccavamo, che è diverso», spiegò, muovendo le mani dinanzi al corpo. «Molti scherzavano sul fatto che io e Shikaku, ai tempi, sembrassimo una coppia di sposi. Io... ero la sua seccatura personale, anche se le cose negli anni non sono cambiate. E da tale non davo la sua naturale pigrizia per buona, mettendolo sempre in riga». 
«Capisco. Quindi... questa foto è stata fatta prima della missione?»
«No, è stata fatta dopo. Minato, il Quarto Hokage, ha insistito parecchio, per farla». 
«Perché?»
«Per immortalare noi, ma specialmente lui e... per farci ricordare il suo gesto — anche se c'era anche altro, a portarcelo alla mente —, per farmi ricordare in eterno le sue parole, anche molti anni più tardi». 
«Che gesto?»
«Uno eroico».


Yoshino lanciò un'ultima occhiataccia a Shikaku, prima di prestare attenzione al proprio capitano. Sospirò, guardandosi attorno. «Quindi? La nostra meta, Capitano?» domandò Yoshino, mentre lei e i restanti tre s'incamminavano lungo il sentiero che conduceva verso l'anima della fitta boscaglia. 
«Il villaggio nel Paese del Vento, Suna». 
I tre, nell'udire la loro destinazione, annuirono, aumentando il passo. Il viaggio era lungo, molto lungo, e dovevano fare tutto piuttosto in fretta, senza lasciare alcun segno del loro passaggio a possibili nemici in agguato. 



«Suna? Perché Suna?» domandò Shikamaru, scettico e parecchio curioso al tempo stesso. Ricordava molto bene che, all'interno di quel villaggio immerso tra le dune di sabbia, vi erano shinobi strani, maneschi e spesso violenti. Ogni riferimento, è del tutto casuale, si ritrovò a pensare, trattenendosi dal ridacchiare dinanzi alla madre tanto presa a raccontare un evento del passato che la vedeva come protagonista femminile e che forse, vista la luce che brillava di vita propria nei suoi occhi, le stava anche molto a cuore. 
«Il Kazekage aveva chiesto il nostro intervento per alcuni attacchi da parte del villaggio di Iwagakure,» rispose, calma «il continuo della Terza Grande Guerra tra i villaggi nascosti sarebbe riniziata pochi anni più tardi, e le basi si stavano già costruendo. I trattati di pace, a quei tempi, avevano una durata relativamente breve, a tratti inconsistente».


«Tra meno di un giorno entreremo nel Paese del Vento» esordì Shikaku, mentre saltava da un ramo all'altro. «Cosa vuoi fare, Minato?» 
Minato si fermò, di colpo, tornando con un balzo a terra. Aspettò che i restanti componenti del team scendessero a loro volta, prima di continuare a esporre le ultime dritte e spiegazioni riguardanti la loro missione al resto dei suoi compagni. Tirò fuori dal proprio zaino una mappa, posandola a terra. «Ora ci divideremo in due gruppi. Uno proseguirà sempre dritto, entrando nella Nazione del Vento da Nord, mentre l'altro si dirigerà verso Ovest — parlò, chiaro, mentre con l'indice indicava i due percorsi da seguire—. Ogni gruppo affronterà i possibili nemici della Roccia in cui si potrebbero imbattere, chiaro?»
«Come ci divideremo, Minato?» domandò Yoshino, osservandolo attentamente con la più completa serietà a sua disposizione, posando lo sguardo sulla cartina. 
«Io e Kushina andremo a Nord, tu e Shikaku andrete a Ovest». 
Yoshino sgranò le palpebre, incredula. 
Shikaku sospirò, fortemente sconsolato, serrando la mascella. 
«Non posso andare io, con Kushina?» domandò Yoshino, guardando di sottecchi, piuttosto stufa, il ninja al suo fianco sospirare un'altra volta, come se non fosse in grado di sentirlo. «Perché ci mettete sempre insieme, se non ci sopportiamo?»
«Perché in coppia lavorate molto bene. Siete un duo perfetto». 
«Io non ci voglio stare con questo!» esclamò, indignata.
«Io starei certamente meglio senza questa arpia intorno. Non riuscite a capire quanto starei calmo?» ribatté lui, scrollando le spalle. 
Yoshino assottigliò le palpebre, serrando le braccia al di sotto del seno, mentre una vena prendeva passo dopo passo il dominio della sua tempia destra. Era arrabbiata, e si vedeva particolarmente. «Arpia a chi?»
«A te, Yoshino» commentò senza fronzoli. «Spero che quello che ti ho detto non di abbia fatto troppo male, sai? Dopotutto, è solo la verità». 



«Aspetta, aspetta, aspetta. Papà ti ha dato dell'arpia e tu, per vendetta, gli hai tirato un poderoso pugno in testa?» chiese, storcendo senza accorgersene le labbra in una smorfia di puro terrore. 
Yoshino annuì, senza badarci particolarmente. «Mi aveva chiamata "arpia", se lo meritava».
«E poi ha detto qualcosa?»
«Lui no, ma io ho detto: “Io invece spero che quello che ti ho fatto non ti abbia fatto troppo male! Anzi, no, a dire il vero lo spero”.»
Shikamaru, saggiamente, decise di non commentare per il bene della propria pelle. 
«E poi cos'altro è successo?»
Shikamaru, visibilmente curioso e desideroso di sapere qualcosa in più sui suoi genitori — non indugiava —, sulle loro missioni, sul loro modo di comportarsi quando non erano ancora sposati, quando lui non era ancora nato... voleva conoscerli in maniera più netta, profonda. 
«Nel momento esatto in cui io e Shikaku abbiamo iniziato il nostro ennesimo battibecco Minato e Kushina se ne sono andati, furbi, seguendo le direttive di lui. La situazione non andava bene né a me né a Shikaku, ma quella era e dovevamo farcela andare giù in un modo o nell'altro, volenti o nolenti, come quando si assaggia un piatto troppo amaro e per non ferire un nostro conoscente diciamo che è squisito. 
Ad ogni modo ci incamminammo per la nostra meta, non senza regalarci continue occhiatacce di fuoco o parole poco appropriate. Si stava facendo sera, così, saggiamente, decidemmo di fermarci e riposare per ripartire l'indomani. La Nazione del Vento, con annesso il villaggio della Sabbia, non era molto lontana, e il giorno dopo l'avremmo raggiunta dopo poche ore di cammino. Una cosa che risaltò particolarmente ai miei occhi era il modo continuo in cui l'habitat era mutato sotto i miei occhi: il luogo era diventato più arido, la fitta boscaglia che ci aveva accompagnati per la maggior parte del percorso aveva cominciato a diradarsi, e il solido terreno che avevo sempre visto si stava trasformando a mano a mano che continuavamo in fine rena.»
«Con il nostro continuo battibeccare senza sosta non avevamo sentito di essere braccati nell'ombra, tantomeno avevamo potuto immaginare che, nel villaggio della Sabbia, ci saremmo arrivati per guarire delle ferite...»


Le luci del tramonto avevano iniziato a tingere il cielo lindo, dove non vi era l'accenno di neanche una singola e minima nuvola — per il disappunto di Shikaku — rispetto al loro villaggio. Il sole stava calando, pronto a lasciare il campo libero alla pallida luna, alle tenebre cupe. Eppure, la tranquillità che si aspettavano di avere non sembrava voler pararsi al loro orizzonte. 
«Non mi sembra il luogo migliore dove accamparsi, Shikaku!»
«Era molto meglio il tuo bene in vista a probabili nemici, Yoshino?» commentò, lasciando ricadere lo zaino sul terreno arido, colmo del calore accumulato nel corso della giornata, facendo librare nell'aria una nuvoletta di sabbia. 
«Non c'è alcun riparo, qui, genio!»
Shikaku si zittì di colpo, guardandosi attorno, attento; c'era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato lì, intorno a loro. C'era...

Tutto era stato troppo rapido perché lei, Yoshino, kunoichi testarda e autoritaria, se ne rendesse realmente conto: aveva udito delle parole sconnesse provenire dall'alto, un tonfo a terra — causato dal suo compagno... o forse da lei? — l'impatto del tutto inatteso con il terreno e la figura di Shikaku davanti a lei, ormai in ginocchio, che si era lasciato sfuggire un ringhio dalle labbra, nonostante tutti gli sforzi messi in ballo per trattenerlo. 
Yoshino, guardando la scena che le si parava dinanzi, era rimasta senza parole, il fiato che le mancava e le palpebre sgranate per la sorpresa. Davanti a loro c'erano cinque nemici, tutti quanti prontamente immobilizzati dalla tecnica segreta dell'ombra del Clan Nara. 
Il ninja si rimise lentamente in piedi, la schiena ritta e le labbra serrate in una linea ferrea. «Voi, a questa petulante donna, non storcerete neanche un capello finché io sono qui, al suo fianco, figurarsi ucciderla!» borbottò duro, alzando lo sguardo particolarmente astioso sui nemici. «Yoshino, stai bene?» chiese con un tono meno rude rispetto a quello utilizzato con gli shinobi posti a qualche passo di distanza da loro, ansioso di ricevere una risposta da parte della kunoichi. 
Uno dei shinobi della Roccia — non senza faticare parecchio — ridacchiò appena, lasciando cadere contro la propria volontà i due kunai insanguinati a terra. 
«Sei stato veloce...» sussurrò quello più prossimo a lui — quello che l'aveva ferito, prima che la vista gli si offuscasse, prima di cadere a terra privo di vita. 



«Quindi...» esordì Shikamaru, balbettando, alquanto sorpreso dalla rivelazione appena udita. «Le cicatrici sul viso di papà...»
«Esatto. Se l'è procurate nel tentativo di proteggermi dall'attacco del nemico. In quel momento, nonostante gliene avessi dette di tutti i colori, non ha pensato alla sua vita, ma alla mia. In quel momento ha pensato ai suoi sentimenti, a tenermi in salvo, viva. Se non si fosse messo in mezzo alla traiettoria del ninja sicuramente non sarei qui a raccontarti questa storia... e non ci saresti neanche tu ad ascoltarla». 
«Cosa è successo dopo, mamma?»
«Tuo padre ha ucciso i restanti utilizzando lo strangolamento dell'ombra, e...»


«Shikaku!» urlò Yoshino, una volta ripresa l'importante capacità di comprendere cosa fosse realmente successo intorno a lei. Si alzò rapidamente da terra, andando verso Shikaku con passo sin troppo malfermo. Si accucciò a terra al suo fianco, osservando il viso del compagno con la bocca aperta, sorpresa, e le lacrime agli occhi. Era forse senso di colpa, il suo? «Il tuo viso...» balbettò.
«Le cicatrici... rendono un uomo più interessante, non trovi?»
«Sei un idiota,» balbettò, prendendo il suo viso tra le mani, attenta a non sfiorare le due ferite che attraversavano la parte destra del suo volto. «... Perché lo hai fatto, Shikaku?»
«Poi chi mi avrebbe seccato per tutta la vita, se non lo avessi fatto?»
Yoshino spalancò se possibile ancora di più le palpebre rispetto all'ultima volta, tanto era sorpresa dalle sue parole. Accennò un lieve sorriso, scuotendo il capo da parte a parte prima di ricomporsi. Estrasse dalla tasca le bende necessarie per coprire le ferite sul viso del Nara, coprendole successivamente con attenzione, evitando in tutti i modi di creare un'infezione, senza aprire bocca rimarcando in tal modo la faccenda. 
«Non... non hai nulla da dirmi?» chiese sbigottito, studiandola senza comprendere. Aveva appena fatto una mezza dichiarazione, possibile che non avesse nulla da dirgli, quella strega senza cuore? 
«Siamo in missione. Zero emozioni, ricordi?»
Shikaku sospirò, inarcandò il sopracciglio non coperto dalle bende. «Tu che dai retta alle regole, davvero?»
«... Questo non è il luogo adatto per parlarne, Shikaku».



«Perché non ne volevi parlare?»
«Ti può sembrare strano se pensi al passato, Shikamaru, ma da donna anche io sono ed ero insicura, alle volte» iniziò Yoshino, rivolgendo una lunga occhiata al figlio. «Ai tempi, molto tempo prima di quella missione, ero già invaghita di lui. Con il tempo il mio sentimento si era consolidato, crescendo, diventando sempre più forte e più maturo. Per tanti anni ho avuto il terrore di essere rifiutata da lui, complice il mio caratterino e il fatto che, ogni singola volta che ci incontravamo, finivamo in bene o in male a battibeccare, perciò, sconsolata, mi ero imposta di rinunciarci. Con questa fatidica missione, però, ho capito che forse, sotto sotto, anche lui si era inevitabilmente innamorato di me».
«Quindi questa foto è stata fatta a Konoha?»
Yoshino annuì, accennando un'ulteriore sorriso, mentre carezzava quel ricordo tanto prezioso.
«Sai, Shikamaru... nonostante lui non sia più qui con noi, Shikaku resterà sempre il mio eroe e il mio amico più prezioso.»  Disse, stringendo quella foto tra le mani, portandosela successivamente contro al petto. «Da giovane era molto sveglio, brillante e portato... ma non si impegnava — un po' come te. Certo, anche lui era umano, perciò aveva punti in cui eccelleva e altri in cui doveva migliorare, ma... Shikamaru, ricorda che l'energia di qualcuno non si misura nella forza che una persona possiede, in quella che mette in campo, in quella "bruta". La forza, quella vera, si misura in quel che si trova qui — continuò, sorridendo, mentre batteva con l'indice sul petto del figlio, all'altezza del cuore —, qui e soltanto qui». 
«Mamma, hai superat-...»
Yoshino osservò attentamente quella foto stretta tra le sue mani, che aveva allontanato dal proprio petto: ricordava con la stessa chiarezza di allora le continue smorfie di Shikaku mentre gli cambiava la benda — forse con gesti rozzi —, mentre lo medicava e rimproverava per le sue azioni sconsiderate, finendo per sorridergli e ringraziarlo con dei lievi baci quando restavano solo loro due, da soli. E ricordava molto bene quella vecchia lei impressa su carta: quella Yoshino dai capelli scompigliati, dalla veemenza repressa e dalla grande gioia nascosta sul suo viso nel saperlo sano e salvo, vivo e al suo fianco, sino alla fine — impressa nella sua anima. 

 
«Sei proprio insopportabile, Yoshino».
«Tanto so che mi ami, baka».

 
«Grazie, Shikamaru».

 
   
 
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