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Autore: Helen24    11/07/2018    2 recensioni
Chiara ha perso tutto: famiglia, amici, sogni. Per questo decide di trasferirsi in Giappone, il luogo che ha sempre amato per i suoi fantastici ciliegi. Ma la fortuna non è dalla sua parte e trovare lavoro sembra impossibile. Alla fine dell’ ennesimo colloquio andato male si ritrova all’ interno di una carneficina, nella quale un assassino sta sterminando chiunque si trovi nell’ edificio. È quasi contenta di morire, ma la lama dell’ assassino, Itachi, non la trapassa. È questo il modo in cui Itachi e Chiara si conoscono. Inizia una travagliata storia d’amore tra i due, poi per 13 anni non si vedranno, ma il loro amore non si farà abbattere neanche dal tempo. Solamente alla fine di tutto Chiara scoprirà la vera identità di Itachi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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UN AMORE OLTRE IL TEMPO

1. L'incontro



Quel giorno Chiara era andata per fare un colloquio di lavoro. Avrebbe voluto fare la modella, il suo fisico alto e snello, i capelli lunghi e biondi, gli occhi chiari erano tutti ottimi alleati, ma era stata rifiutata perché “non aveva le caratteristiche adeguate”. Che poi non avevano avuto modo di giudicarla perché in 15 minuti di colloquio era già stata scartata. Sembrava che le sue fattezze occidentali non fossero poi molto gradite. “Non importa” si era detta, ma non riusciva a trovare un lavoro da mesi e l’affitto era sempre più difficile da pagare. “Proverò ancora” ma quante volte se lo era ripetuto ormai? Troppe. Cominciava a pensare di dover abbassare le proprie mire, forse davvero non era adatta ad essere una modella, come cassiera magari l’avrebbero assunta. Era talmente presa dai suoi pensieri che non si era accorta che le persone avevano cominciato a correre e si stava dilagando il panico. Poi lo vide. Un uomo armato di katana stava compiendo una strage trafiggendo chiunque. Dopo una prima reazione di orrore e terrore non poté non notare l’eleganza dei suoi movimenti, il modo in cui i capelli si muovevano leggiadri e quanto effettivamente fosse affascinante. Solo dopo realizzò che non stava risparmiando nessuno e che prima o dopo sarebbe arrivato anche da lei. Non si fece cogliere dal panico, anzi quasi si sentì sollevata. Infondo cosa aveva da perdere? Non aveva una famiglia, non aveva un lavoro e non riusciva a trovarlo, non aveva amici e non era a casa sua. Questo perché era scappata dal suo paese d’origine, l’Italia, quando i suoi se n’erano andati. Non sopportava di rimanere lì senza loro, oltretutto non aveva neanche amici, persi per litigi e altre stupidaggini. Così l’unico posto che per lei valesse qualcosa era il Giappone e ci era andata. Come mai il Giappone? Perché era rimasta incantata dalla fioritura dei ciliegi quando vi era stata tanti anni prima. Ma poi non era andata come voleva e così in quel momento desiderò che la katana la trafiggesse. Non era rimasto più nessuno, vide l’uomo puntare verso di lei, chiuse gli occhi e attese la morte. Il dolore però non era arrivato, aveva aperto gli occhi e aveva incontrato due occhi rossi che la fissavano e una katana puntata alla gola, che non l’aveva neanche sfiorata. Dopo averla guardata a lungo l’assassino aveva riposto la sua arma.
“Tu sei troppo bella per morire.” Aveva affermato prima di andarsene e salire al secondo piano a compiere chissà quale altro scempio.
Per qualche minuto era rimasta lì, con gli occhi spalancati, ad elaborare cos’era appena successo. Attorno a sé non c’erano che cadaveri, lei l’unica sopravvissuta. Decise di andarsene, scappare via e cercare di dimenticare. Un po’ d’alcool forse avrebbe potuto aiutare, le era venuta la nausea alla vista dei morti e del sangue. Mentre correva, impaurita che l’ assassino potesse tornare, vide un locale, un posto sicuramente malfamato, non ci sarebbe mai andata in condizioni normali, ma in quel momento ne aveva bisogno. Non appena entrò fu guardata male, evidentemente non era ben accetta. Alcuni depravati avevano già posato gli occhi su di lei e si stavano avvicinando.
“Cosa ci fa una bella ragazza come te da queste parti?” le disse un vecchio con lo sguardo fisso sul suo decolté.
“Posso offrirti da bere dolcezza?” le disse poi un uomo con un terribile alito alcolico posando una mano sul suo di dietro.
“Quanto vuoi per tutta la notte baby?” parlò un altro ancora. Chiara indietreggiò, seriamente impaurita dalle persone di quel locale. Avevano cominciato ad avvicinarsi e a metterle le mani addosso. Non sarebbe più riuscita a scappare.
“La ragazza sta con me.” Aveva parlato una voce autoritaria, già sentita. Si girò per guardare a chi appartenesse. L’assassino. Un brivido di paura le scosse tutto il corpo. Perché era lì? Aveva cambiato idea ed era tornato ad ucciderla? Si avvicinò sempre più a lei fino ad arrivare a sussurrare al suo orecchio.
“Non ti ho lasciata in vita perché ti facessi violentare. Non uscirai salva da qui se non accetti il mio aiuto.”
Può sembrare assurdo ma l’assassino in quel momento sembrava la persona più affidabile di tutto il locale. Le basto scuotere la testa per annuire ed accettare il suo aiuto.
“Andiamo a sederci laggiù”
La prese per il polso e la guidò verso il tavolo più isolato che trovò.
“Senti io non so chi tu sia ma ti ho appena visto fare una strage di uomini, per cui perdonami ma non intendo stare con te un minuto di più.” Disse lei evidentemente provata dai recenti avvenimenti.
Lui invece sembrava tranquillo, a proprio agio. Si sedette sulla sedia incrociando le gambe e si accese una sigaretta.
“E come pensi di andartene da qui?”
“Troverò il modo” disse lei guardandosi attorno, ancora fortemente impaurita.
“D’accordo” rispose con pacatezza continuando a fumare.
Chiara si alzò e si diresse verso l’uscita, non fece neanche una decina di passi che venne fermata.
“Te ne vai già piccola? Perché non resti a farmi compagnia?” disse lo stesso ubriacone di prima con uno spiacevole ghigno sul volto.
Un altro si era avvicinato “Andiamo resta un po’ con noi!”
“Non mordiamo mica sai?” un altro ancora.
“No… no… io… sono qui con il mio ragazzo!” e sgusciò via tornando dal misterioso aggressore. Si sedette al suo posto e vide chiaramente il sorriso di vittoria sulle labbra dell’altro.
“Ecco a voi” il cameriere aveva appena portato due cocktail e se n’era andato.
“Ne ho ordinato uno anche per te.” Solito tono neutro.
Bastardo, sapeva che sarei tornata.
“Allora me lo vuoi dire il tuo nome?” disse sorseggiando il suo drink.
“Chiara. Mi chiamo Chiara, tu chi sei?” alla domanda lui cominciò a ridere.
“Andiamo sono un assassino, non vado a dire il mio nome in giro.”
Quell’uomo sapeva essere irritante. La ragazza cominciò a bere dalla disperazione, ma sputò subito il liquido.
“Ma che schifo! Come fai a bere questa roba?” a giudicare dal sapore doveva essere rum puro. E lui lo buttava giù come fosse acqua fresca.
“Beh non puoi venire qui e ordinare una gazzosa” rispose lui con scherno.
“Bene. Ora possiamo andarcene?”
“Oh andiamo, non vuoi goderti neanche un po’ la serata?” disse col solito ghigno divertito.
“Ti prego” la ragazza mise in campo tutta la sua disperazione e ottenne così il consenso dell’uomo.
“Vai in bagno, esci dalla finestra, io vengo a prenderti lì” fece lui serio.
“Non mi vuoi uccidere vero?”
“Non credi che in questo caso l’avrei già fatto?”
“Sai di non essere affatto d’aiuto?” disse lei per poi dirigersi verso la meta, assecondando il piano dell’ assassino.
Finì in uno dei più terribili gabinetti mai visti.
Ma perché proprio a me tutto questo? Pensò con disperazione cercando di non sentire il malsano odore che proveniva da quei bagni. Si avvicinò alla finestra e guardò di sotto. Era troppo alto, avrebbe aspettato che l’ assassino fosse arrivato. Ma dopo alcuni minuti che sembrarono anni, non se ne vedeva neanche l’ ombra.
“Ehi tu muoviti ad uscire!” era la voce di un altro ubriacone, che le face venire i brividi al solo sentirla. L’ uomo cominciò a bussare insistentemente alla porta. Pazzesco come davvero quell’ uomo che aveva visto uccidere senza pietà fosse l’unico di cui poteva fidarsi in quel momento. Guardò nuovamente in basso.
“No, non posso farcela” pensò terrorizzata.
Ma la prospettiva di rimanere in quel bagno con quell’ uomo che aspettava fuori dalla porta era davvero poco invitante. Così prese un respiro e si buttò giù. Ovviamente non essendo abituata ad azioni del genere non saltò bene e cadde sulla caviglia.
“AHIA!” faceva un gran male, sicuramente l’aveva slogata.
Ma dove diavolo era finito quell’ uomo? Lì da sola al buio e con una caviglia dolorante era una preda facilissima. E infatti sentì qualcuno avvicinarsi. Si nascose dietro il primo albero che incontrò.
“Sta tranquilla, sono io” disse lui con calma nella voce.
“Dove diavolo sei stato?” disse lei tirando finalmente un sospiro di sollievo per non essere più da sola.
“è stato più complicato del previsto.”
“Che- che vu-vuol dire?” chiese lei improvvisamente ricordando di aver di fronte un assassino.
“Calma, non ho ucciso nessuno. Riuscirai mai a fidarti di me?”
“beh…” come fidarsi di un uomo che aveva visto fare certe scelleratezze? Come fidarsi di uomo senza pietà? Eppure, eppure c’era qualcosa in lui. Qualcosa che sì, le diceva di fidarsi.
“Lasciamo perdere, andiamo adesso. Dimmi dove abiti.”
“Stai scherzando? Non lo vengo a dire a te!” ok, si c’era qualcosa che le diceva di fidarsi, ma questo non era affatto sufficiente per dargli il suo indirizzo.
“Immagino che tu voglia tornare a casa da sola allora.”
Ecco aveva sempre questa capacità di non lasciarle scelta.
“Kyoto. A Nord.”
“bene, non faremo strade principali, non posso farmi vedere in giro” e si incamminò.
“confortante” disse lei tra i denti.
“guarda che ti sento.” Disse lui scocciato.
Chiara camminava cercando di nascondere il dolore alla caviglia. L’uomo spesso la incitava ad andare più veloce, ma più di così per lei era impossibile. Poi lui ebbe la brillante idea di entrare in un bosco. Completamente buio. Lo sentì pronunciare qualcosa del tipo “sharingan” e procedere nel buio a passo sicuro.
“dammi la mano, qui ti guido io”
E così un po’ titubante aveva afferrato la sua mano percependone la grandezza. Era ruvida, ma allo stesso tempo morbida. Calda. Forte. Procedeva completamente alla cieca in quel buio percependo solo quella mano che la guidava.
“Ma come fai a vedere?” chiese lei non capacitandosi di come potesse procedere a passo così sicuro.
“Sono i miei occhi.” Era stata la sua risposta lapidaria, era evidente che non volesse approfondire l’argomento.
Ma per quanto lui fosse un ottima guida, Chiara non poté evitare di inciampare su una pietra e cadere a terra.
“AAH” era caduta di nuovo sulla caviglia e il male era fortissimo.
“Che è successo?” chiese lui allarmato.
“Niente, niente tutto a posto.” Si alzò in piedi ma il dolore era troppo e di nuovo cadde.
“Fa vedere.” Prese in mano la sua caviglia e vide che era gonfia.
“Non puoi continuare.” E senza chiederle il permesso la prese sulle spalle. Lei si era lasciata trasportare e stava bene aggrappata a quelle spalle. Inoltre poteva inspirare l’ odore dell’ uomo, che inaspettatamente era molto buono. Di nuovo ripensò a come quei lineamenti fossero soavi e non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello. Eppure quella katana che batteva ritmicamente contro la sua gamba gli ricordava costantemente chi fosse il suo salvatore.
“Puoi lasciarmi qui” disse non appena raggiunsero i confini della città. “Non credo che potrei essere tranquilla se tu sapessi dove abito…”
“D’accordo.” Era sempre molto freddo nelle risposte. La posò delicatamente a terra.
“Addio allora” lo salutò lei.
“Addio.”
Non appena Chiara mosse il primo passo però cadde a terra, incapace di camminare.
“Ti accompagno. Tanto se lo volessi potrei trovarti comunque.”
“Ti ho già detto che sai sempre essere di conforto?” disse lei ironica.
Una sorriso cristallino si scaturì sulle labbra dell’ uomo, facendo perdere un battito alla ragazza che ne rimase abbagliata. Lui la prese tra le braccia e si fece indicare la strada.
“A che piano abiti?”
“Il terzo. EHI! Dove vai? La porta è quella!” disse lei indicando il portone di casa, quando vide l’ uomo dirigersi verso un albero.
“Non entriamo dalla porta.” Si arrampicò sull’ albero portando lei sulle spalle, infine arrivò davanti alla sua finestra. La forzò ed entrò, posando la ragazza sul letto.
“Ma non potevi entrare dall’ ingresso?” chiese lei scioccata.
“Ti ho già detto che non posso farmi vedere.” Disse lui prima di incamminarsi nuovamente verso la finestra.
“Aspetta…”
“Itachi.” Disse lui. “Il mio nome è Itachi.” Non seppe perché diede a lei un informazione tanto importante e tanto riservata, ma sentì in quel momento di dovergli dire almeno il suo nome.
“Oh beh, grazie. Itachi.”
Lui la guardò sorrise e si buttò giù dalla finestra, lasciandola da sola e confusa con un forte sentimento indecifrabile di paura e fascino.
 
 
Il giorno dopo Chiara si svegliò con la caviglia ancora più gonfia e dolorante. Di certo non sarebbe andata a cercare lavoro proprio quel giorno. Soprattutto visto quello che le era successo il giorno precedente. Passò di fatto la giornata a letto, si alzò solo per andare a prendere del ghiaccio e per accendere la televisione. Continuava a ripensare a quel misterioso ragazzo. A tratti le veniva un conato di vomito quando pensava alla sua katana che trafiggeva delle persone. Poi però pensava a quel sorriso e a come si era comportato con lei. E proprio mentre pensava queste cose e ormai si era fatta sera sentì la finestra aprirsi.
“Ciao.” Si girò e riconobbe l’ assassino.
“AH!!!!” urlò spaventata. “Che – che – che ci fai tu qui????”.
Merda, merda, merda è venuto perché si è reso conto di aver fatto un errore a lasciarmi in vita. So pure il suo nome!!!!!!!!
“A-a-aspetta… I-io giuro che non dirò niente a nessuno… Non- non uccidermi… Senti, farò finta che non sia successo niente, lo posso fare… ecco, vedi non mi ricordo neanche come ti chiami… Io, io, io…” il nervosismo la sta sopraffacendo.
“Itachi” disse lui.
“No! Non me lo dire, ti giuro posso dimenticarmi tutto!!!”
“Ma la vuoi smettere di blaterare?” si irritò lui.
D’accordo. Ci aveva provato, ma a nulla era servito. Chiuse gli occhi e attese la lama.
“Ma si può sapere che stai facendo?”
Chiara aprì un occhio e notò che Itachi si era seduto accanto a lei in modo del tutto innocuo.
“Non… non sei qui per uccidermi?”
“Sono solo passato a vedere come stavi, fammi vedere la caviglia.”
Lei lo guardò sorpresa, senza capire il suo comportamento, poi scopri il piede gonfio.
“Cavolo, ma come hai fatto a ridurti così?” chiese lui serio.
“Sai non tutti siamo abituati ad arrampicarci sulle pareti e buttarci giù dal terrazzo!” affermò lei con sarcasmo.
“Ce le hai delle bende?”
“Sì beh, credo siano in bagno”
Lo vide scomparire e andare in bagno e ritornare poco dopo con arnesi che non sapeva neanche di avere. Il ragazzo le prese il piede e cominciò a fasciarlo, fece un lavoro preciso che le fece sentire la caviglia più stabile.
“Ecco, così dovrebbe andare meglio. Ce la fai a camminare?”
“No, fa troppo male.”
“E non ti sei alzata neanche per mangiare”
“Ora che mi ci fai pensare ho una certa fame.”
Di nuovo Itachi sparì, ma questa volta si diresse verso la cucina. Quando tornò aveva la faccia piuttosto contrariata.
“Nel tuo frigor c’è solo insalata.” Disse lui col solito tono neutro.
“Beh?” chiese lei non capendo.
“Non puoi mangiare solo insalata!” questa volta sembrava arrabbiato.
“Ehi io faccio la modella, non posso mangiare quello che mi va!”
Lo vide avvicinarsi alla finestra e buttarsi giù come niente fosse. E in un attimo era sparito. Un momento. Ma era davvero venuto? Aveva forse sognato? Sì, di sicuro aveva sognato un assassino che odia l’ insalata. Eppure… la fasciatura c’era. Beh, strani scherzi della mente. Probabilmente se l’ era fatta da sola e aveva immaginato questa stupida storia. Poi qualcosa la colpì sulla pancia.
“Tieni.”
“AH!!!!” urlò di nuovo. Itachi era riapparso.
“Ma devi urlare ogni volta che mi vedi???” disse lui innervosito.
“E tu devi sempre apparire dal nulla?” poi guardò il pacchetto che le aveva lanciato. “Cos’è?” chiese.
“Apri.” Sempre di molte parole lui.
Chiara trovò un bento con ravioli al vapore e altri manicaretti. In effetti aveva una gran voglia di mangiarlo. La dieta l’avrebbe fatta domani.
“Grazie!” Affermò con un sorriso, tuffandosi sul cibo.
“Perché fai tutto questo per me?” chiese lei.
“Non so. Mi sento in colpa, ti sei fatta male a causa mia.”
“E allora perché mi hai risparmiata?” chiese realmente non capendo il motivo della sua sopravvivenza.
“Te l’ ho detto. Sei troppo bella per morire.” Finse non curanza.
Seppur non fosse la risposta che si aspettava, e seppur sentisse che non poteva essere solo quello il motivo, non poté non arrossire a quel complimento.
“Bene. Io me ne vado. Tornerò tra qualche giorno per vedere come va.” E così come era arrivato sparì di nuovo, senza salutare.
Di nuovo Chiara si chiese se non fosse stata un’ allucinazione, ma aveva ancora il bento tra le mani e lei di certo non era uscita per prenderlo.
 
Si svegliò che la sua stanza era completamente illuminata, doveva aver dormito molto. Che strano sogno aveva fatto. Ma non appena si alzò dal letto e sentì un forte dolore al piede comprese che era tutto realmente successo. Era così surreale che continuava a credere non fosse vero. Uscì di casa con gran fatica e si diresse all’ ospedale. Raccontò di aver preso una storta e di essersi fatta una fasciatura a casa perché non era riuscita a raggiungere l’ ospedale prima. Le fecero i complimenti per come aveva fatto la fasciatura, le dissero che era perfetta. Pensò a Itachi. Chissà come aveva imparato. C’era molto di lui che non sapeva, e che probabilmente non avrebbe mai saputo. La ingessarono e le diedero le stampelle, ridandole appuntamento due settimane  dopo.
Fantastico, con questo gesso di sicuro mi vorranno come modella pensò ironicamente.
Faticava a camminare, era inutile cercare lavoro, non le restava che tornare a casa e dedicarsi alla sua passione, il disegno. Prese cartoncino e matita e lasciò che la sua immaginazione prendesse forma. Non poté che disegnare quello strano personaggio terribile e affascinante allo stesso tempo. Traccio i lunghi capelli avvolti in una morbida coda, le labbra sottili, lo sguardo profondo, i lineamenti eleganti, il mantello scuro e infine la katana. Tracciò con precisione ogni dettaglio, ricordando ogni singolo particolare e vi si dedicò per tutto il giorno. Infine quando fu finalmente soddisfatta della sua opera andò a letto.
 
I giorni passarono, pian piano il dolore alla caviglia si affievolì e ricominciò a camminare. Anticipò di qualche giorno la visita in ospedale, aveva un dannato bisogno di tornare a cercare lavoro, così nonostante i medici lo sconsigliassero si fece togliere il gesso.
Il giorno dopo indossò tacchi neri e un abito alla moda celeste, si truccò e andò in alcune agenzie che potevano assumerla. Le risposte furono da parte di tutti poco definitive, erano tutte “le faremo sapere”, aveva trovato solo qualche lavoretto occasionale per qualche evento. Quando giunse sera tornò a casa, stanca. Si buttò sul letto ancora vestita, non era molto contenta del risultato.
“Dove sei stata?” un’ apparizione ormai nota prese forma sul davanzale.
“Ma che ci fai qui?” chiese lei, ormai rassegnata al fatto quel uomo si presentasse in casa sua quando voleva.
“Te lo avevo detto che sarei passato. Non hai risposto alla mia domanda. Prima non c’eri.” Entrò in casa e si avvicinò a lei.
“Stavo cercando lavoro, ma a te che importa? E poi perché vieni sempre in casa mia?” si alzò dal letto. L’attenzione di Itachi si posò sui tacchi.
“Che ci fai con quelli? Non avevi male alla caviglia? E dov’è la mia fasciatura?”
“Ma cosa sono tutte queste domande? Ora non posso più fare quel che voglio?” chiese lei irritata.
Lui fece una strana espressione di disappunto, ma allo stesso tempo divertita per il modo in cui lei riusciva a tenergli testa, nonostante sapesse benissimo di cosa lui era capace.
“D’accordo, d’ accordo ma almeno in casa togliteli. Che si mangia?”
“Che si mangia??? Stai scherzando vero???”
“No, ho fame.” Si diresse verso la cucina, lei lo seguì.
“Ascolta io ti ringrazio di avermi risparmiata e di avermi accompagnata ma non puoi sbucare sempre in casa mia e autoinvitarti a mangiare.” Itachi continuò a guardare nel frigor senza fare una piega.
“Ma è mai possibile che ci sia solo insalata in questa casa?” Lei rimase scioccata, neanche l’aveva ascoltato. Se lo sarebbe ritrovato in casa sua per sempre.
Beh non sarebbe poi così male… guarda che carino! No, no ma che diavolo pensi!!!
Lei stizzita prese un pacco di pasta e glielo mise davanti agli occhi.
“Questo può andar bene a sua maestà?” lo prese in giro. Lui sorrise.
“Che è?”
“Una cosa italiana. La vuoi o no?”
“Va bene, avvisami quando è pronto” se ne andò verso la sala.
“Cosa????” 
Non solo si autoinvita e non gli va bene quel che ho da mangiare, mi fa pure cucinare!
Cominciò a preparare, senza il coraggio di mettere piede in sala.
Chissà magari è lì che mi aspetta con la sua katana. No, non diciamo stronzate, non vuoi andare di là perché lui è troppo bello.
Persa nei suoi ragionamenti non si accorse dei suoi passi che si avvicinavano.
“Cos’è questo?” Itachi le presentò davanti il disegno che lo ritraeva.
Lei spalancò gli occhi. E adesso che gli avrebbe detto?
“Ridammelo subito!” lei fece per prenderlo, ma come prevedibile, Itachi non glielo permise.
“Perché mi hai disegnato? Di un po’, non sarà che ti piaccio?” lui le fece l’ occhiolino accompagnato da un sorriso terribilmente affascinante. Lei arrossì violentemente.
“Ma che dici!!”
“Allora dimmi perché mi hai disegnato.”
“Beh non sapevo cos’ altro fare! Ridammelo!” lei provò a riprenderlo ma lui nuovamente si scansò. Sembrava un litigio tra bambini dell’ asilo.
“Sai una cosa? Tienitelo visto che ti piace tanto!” rinunciò lei infine.
“Lo farò.”  Fu strano il tono che usò. Sembrava realmente tenere a quel disegno. Non era più provocatorio, semplicemente gli importava di quel ritratto che lei gli aveva fatto.
“Dai siediti è pronto.”
Itachi divorò il piatto con una voracità che la sorpresa.
“ma quant’è che non mangi?” chiese lei ironica.
“Tre giorni.” Rispose lui serio. “È buonissima questa roba, hai detto che è italiana?”
“Sì”
“Tu vieni da lì?” chiese lui continuando a mangiare.
“Già”
“Bello”
“No, non così come credi.” Ripensò per un attimo a tutte le sofferenze e le delusioni che aveva ricevuto nella sua patria natale. Per quanto fosse un paese splendido, non ci voleva più tornare.
Itachi capì che qualche strano pensiero le stava attraversando la mente, ma non chiese niente.
“Hai da fare domani sera?” chiese lui.
Digli di sì, digli di sì, digli di sì.
“No.”
“Bene perché vieni in missione con me.” Affermò lui con noncuranza.
“Cosa? No!”
“Fatti trovare pronta alle 9 di sera e vestiti elegante.”
“No, no, hai capito male. Io non ti aiuto a fare niente e non vengo con te da nessuna parte. È già un miracolo che non ho avuto un trauma per quello spettacolo che mi hai fatto vedere. Non assisterò a un altro e soprattutto io non ti aiuterò a uccidere nessuno. Io non farò mai, mai una cosa del genere.”
“Bla, bla, bla… D’accordo non venire. Sappi che se non vieni non avrò una copertura per cui anzi che fare quello che devo di nascosto, dovrò uccidere tutti per arrivarci.”
“Non puoi chiedermi di aiutarti ad ammazzare i tuoi nemici!!”
“Non devo ammazzare nessuno. Devo disinnescare una bomba. O lo faccio, o 300 persone muoiono. A te la scelta.”
“Come a me la scelta? Ma cosa c’entro io???”
“Sei la mia partner.” Chiara fu inizialmente molto sorpresa di quell’ affermazione, ma poi si riscosse.
“No, non lo posso fare.”
“Bene, allora comincio ad affilare la mia katana. Addio!” Itachi andò verso la finestra e fece per saltare, ma fu fermato.
“Aspetta. Mi giuri che non uccideremo nessuno e che salveremo davvero delle persone?”
“Prometto”
“D’accordo… - disse lei sconsolata – a domani allora.” Un sorriso si dipinse sul volto di Itachi.
“A domani. E vestiti elegante.”
“Perché? Dove dobbiamo andare?” chiese lei, ma lui era già andato. Non le restò che mettersi a letto e ripensare a quel bellissimo e misterioso assassino che le aveva invaso la vita.

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*****

Buonasera cari! Sono ritornata! Con una nuova fiammante storia di Itachi! Spero che sarete con me fino alla fine, vi aspetterò!
Qui sopra vi ho messo l'immagine del disegno che Chiara ha fatto di Itachi, ritraendolo così come lo vedeva: armato fino ai denti, bello e con degli stranissimi occhi rossi.
Helen24
 
 
 
 
   
 
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