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Autore: Spoocky    12/07/2018    1 recensioni
Una tranquilla serata in famiglia ad Ashgrove Cottage viene interrotta dall'arrivo inaspettato di un vecchio amico bisognoso di aiuto.
La malattia che lo affligge non è che la punta dell'iceberg: un dolore più profondo lo sta consumando dentro.
Partecipa alla 26 prompt Hurt/Comfort Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/ ] Prompt 9/26 Fiamma + 10/26 Assenza
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: sarebbe che se lo volete è al Capitolo I ^.^

Buona Lettura ^.^


Jack lesse e rilesse la lettera per almeno altre due volte prima di convincersi che fosse tutto vero.
Non aveva problemi per la nave: sapeva di potersi fidare cecamente di Dundas.
Prendersi cura di Thomas Pullings, d’altro canto...

Cercando di evitare un cipiglio preoccupato, lo osservò attentamente: stando così vicino al fuoco aveva smesso di tremare ma teneva la testa abbandonata sullo schienale della sedia e le mani tenevano a malapena dritta la tazzina che aveva in grembo.
Era ancora molto pallido ma sulle guance si stava diffondendo un rossore poco rassicurante e aveva gli occhi chiusi.
La cavalcata di tre ore, per di più sotto la pioggia, dalla città ad Ashgrove doveva essere stata l’ultima goccia per lui.
Jack si schiarì la voce, facendo sobbalzare l’altro che per un pelo non si rovesciò addosso il poco caffè che era rimasto. Liberatolo del piccolo recipiente di porcellana, lo aiutò ad alzarsi tenendogli per precauzione una mano sul gomito.
L’ufficiale raggiunse la posizione eretta ma non fu in grado di mantenerla.
Si accasciò all’improvviso  e si sarebbe aperto la testa contro il tavolino da salotto se Aubrey non fosse intervenuto passandogli un braccio dietro la schiena.
Sentì chiaramente la pelle che scottava sotto la stoffa della camicia ed il panciotto leggero.
Quanto rapidamente poteva essergli salita la febbre?

“Killick! Killick, qui! Presto!”

Mugugnando qualcosa di inintelligibile, Preservato Killick si trascinò all’altro fianco di Pullings per aiutare a sorreggerlo.
Sotto lo sguardo impensierito di Sophia lo accompagnarono nella stanza degli ospiti. Faticava anche solo a mettere un piede davanti all’altro e la testa gli ciondolava sul petto.
Jack dovette tenerlo in piedi mentre il famiglio si affaccendava ad infilargli una camicia da notte che era stata del capitano ma che gli era diventata di due taglie troppo stretta. Nonostante per lui fosse sempre stata leggermente lunga calzava a pennello sul fisico longilineo dell’ufficiale.
Mai come in quel momento Aubrey fu grato per la fissa di Killick a non buttare nulla che fosse almeno lontanamente recuperabile. Per una volta il suo istinto di massaia prevenuta era servito a qualcosa.

Sophia si precipitò in biblioteca e, forse per la prima volta in vita sua, entrò senza bussare.
Stephen non era alla scrivania ma aveva lasciato tracce inconfondibili del suo passaggio: volumi aperti, fogli sparsi e un passerotto semi dissezionato in mezzo al tavolo.
Ormai abituata ad avere orrori simili sparsi per casa, la signora Aubrey non degnò il volatile squartato di un secondo sguardo ma si diresse verso l’angolo in cui sapeva avrebbe trovato il medico.
Era infatti appollaiato sulla scala a pioli con la schiena appoggiata ad uno scaffale, intento a sfogliare un volumetto sgualcito e a borbottare in una lingua che non era inglese.
Sophia dovette praticamente urlare per ottenere la sua attenzione. Quando ci riuscì, lui ripose il libro tra i suoi compagni, si sfilò gli occhiali e scese goffamente dal suo trespolo.

“Cara Sophie! Cosa posso fare per te? Jack sta bene?”
“Killick non vi ha avvisato?”
“Di cosa, mia cara?” una vena di preoccupazione s’insinuò nel tono del medico: non aveva il quadro della  situazione ma Sophie non lo avrebbe mai disturbato senza un motivo più che valido.
“Santo cielo! Beh, ora non c’è tempo per spiegare. Venite: vi racconterò tutto strada facendo.”
 

Il fuoco crepitava allegramente nel camino, diffondendo un gradevole alone aranciato nella stanza e riscaldando l’ambiente.
Dalla sua posizione al capezzale del letto, Jack avvertiva chiaramente il calore della fiamma sulla schiena e si sentiva più tranquillo pensando che anche il corpo disteso sotto le coperte ne beneficiasse.
Da che lo avevano fatto distendere, Pullings non aveva mosso un muscolo né detto una parola.
Teneva gli occhi chiusi ma era difficile capire se stesse dormendo o meno.

Un bussare leggero annunciò la presenza di Stephen e il padrone di casa si alzò per farlo entrare.
Si scambiarono un’occhiata veloce prima che il medico appoggiasse la valigetta degli strumenti sul comodino accanto al letto e si sedesse accanto al malato mentre Jack usciva senza dire una parola.

Gli prese il polso tra le dita ed estrasse l’orologio dal taschino: il battito era leggermente accelerato e la cute era sudata e più calda del normale.
Gli dispiaceva disturbare il suo paziente, sapendo quanto fosse stanco, ma non ebbe altra scelta che scuoterlo per una spalla fino a svegliarlo.
All’inizio gemette piano e impiegò parecchio ad aprire le palpebre. Si guardò intorno e sembrava non sapere dove fosse, quando incrociò lo sguardo del medico strinse gli occhi, come se non si aspettasse di trovarlo lì, cosa del tutto legittima, o come se non lo riconoscesse nonostante fosse illuminato dalla candela sul comodino.

“Buonasera, Tom. Come vi sentite?”
“Dottore? Dove sono? Cosa ci fate qui?” Sophie aveva ragione: davvero il poveretto sussurrava, anziché parlare e doveva fermarsi a prendere fiato tra una domanda e l’altra.
Ma la cosa più inquietante era la sua confusione.
Comunque Stephen accolse la sua domanda con un sorriso rassicurante: “Siete ad Ashgrove Cottage, caro ragazzo. Vi ricordate di essere arrivato qui, circa un’ora fa?”
Pullings strinse di nuovo gli occhi e parve riflettere per qualche minuto, forse anche qualcuno di troppo: “La casa del capitano? Sì... gli ho portato... una lettera, mi pare. Pioveva a dirotto. Killick mi ha strappato di dosso la giacca. C’era anche la signora Aubrey, credo... sì, c’era anche lei: mi ha accompagnato al caminetto, penso.”
“Non sembrate molto sicuro.”
“Non lo so, Dottore... è tutto così confuso.”
Un orribile presentimento iniziò a farsi strada nella mente di Stephen che però fece del suo meglio per essere il più obiettivo possibile mentre incalzava il malato di domande, prima che si addormentasse di nuovo.

Quello stato di debolezza era terribilmente preoccupante ma poteva avere infinite cause  e lui non poteva fare nulla per aiutarlo senza sapere da cosa fosse affetto: “Da quanto state male?”
Pullings sobbalzò e lo guardò stranito, come se non si aspettasse la domanda, e arrossì come un bambino colto con le dita nel vasetto della marmellata: “C- come fate a...”
“Suvvia, Thomas. Non ci si riduce così in una notte, nemmeno dopo ore sotto la pioggia battente. Da quanto va avanti?”
“Non ricordo. Una settimana circa.”
“Cosa vi sentite?”
“All’inizio ero... solo molto stanco... ma era normale... stavo lavorando molto, capite?”
“Ma è andato peggiorando.”
Il malato annuì debolmente: “Mi sento... molto debole... e mi fa molto male la testa... da giorni ormai... poi ho cominciato a sentire freddo... e mi fa male tutto... sono quasi caduto da cavallo... ho freddo...”
“Quando avete mangiato l’ultima volta?”
Di nuovo quello sguardo confuso: “Non lo so... forse... credo di aver cenato con il Capitano Dundas... ieri... o qualche giorno prima...”
“Poi più niente?”
“Credo che il capitano mi abbia offerto del caffè, prima. Ma non sono sicuro.”
“Va bene. Qualcos’altro?”
“Sì: ho un gran mal di schiena... e anche lo stomaco... mi sento le gambe e le braccia pesanti.”

Stephen si accigliò: il digiuno prolungato e l’esposizione alle intemperie spiegavano la debolezza e la febbre, possibile che fosse solo un brutto raffreddore? Ma non tossiva, non era congestionato e nemmeno starnutiva.
Doveva esserci sotto qualcos’ altro.

“Riuscite a mettervi seduto? Vorrei auscultarvi i polmoni.”
Con il suo aiuto, Pullings riuscì a tirarsi a sedere ma quando Stephen gli appoggiò l’orecchio sulla schiena non sentì alcun rumore strano: aveva il fiatone ma non respirava male, i polmoni erano completamente liberi.
Niente raffreddore, dunque.
Stephen lo aiutò a stendersi di nuovo e si stava lambiccando il cervello quando l’ufficiale disse qualcosa che lo dirottò sulla strada giusta: “Mio Dio, dottore! Sembra quasi... quello che è successo qualche anno fa.”
“Dite, Tom?”

Qualche anno prima il poveretto aveva contratto il tifo da alcuni prigionieri che la Leopard stava trasportando a Botany Bay e si era salvato solo perché erano riusciti a sbarcarlo in Brasile insieme ad altri convalescenti quasi altrettanto malridotti. In seguito Stephen aveva ricevuto una lettera dalle suore francescane alle cui cure lo aveva affidato: dicevano che la sua guarigione era stata un miracolo e che era stato male per tanto tempo da far loro temere per la sua vita nonostante le ottime cure somministrategli.
Era un’esperienza che non voleva ripetere.

“Siete sicuro?”
“Il mal di testa è lo stesso... e il dolore...”
“Vi sentite irrigidito? Soprattutto la schiena e la regione addominale?”
Il malato annuì ad entrambe le domande, fugando praticamente ogni dubbio: i sintomi corrispondevano tutti e Sophie gli aveva detto che tremava come una foglia quando era entrato.
C’era solo un’ultima cosa da verificare.

“Mi permettete di darvi un’occhiata?”
Pullings annuì debolmente e lo lasciò fare mentre abbassava le coperte ma arrossì violentemente mentre gli alzava la camicia da notte e distolse lo sguardo, nascondendo il volto nel cuscino.
“State tranquillo, Tom. Non vi farò del male.”
“Vi prego, dottore: non rasatemi di nuovo la testa.”
Stephen si concesse un sorriso: “Forse non ce ne sarà bisogno.”
Controllò scrupolosamente ogni millimetro del suo corpo, e frugò attentamente tra i suoi capelli ma non trovò la minima traccia di pidocchi. E l’eruzione cutanea era completamente assente.
Poi ispezionò i vestiti dell’ufficiale, accuratamente riposti sullo schienale di una sedia, e di nuovo non trovò nulla. Il dottor Maturin era capacissimo di vedere una formica nera in un mucchio di carbone nella penombra del crepuscolo quando non la stava cercando: se ci fosse stato quello che stava cercando lo avrebbe trovato di sicuro.
Eppure, era sicuro che si trattasse di tifo. A meno che fosse una sintomatologia ricorrente: aveva sentito parlare di casi simili alla Royal Society.

Come ultimo accertamento gli provò la febbre.
Il poveretto era talmente debole che dovette appoggiargli una mano sulla mascella per aprirgli la bocca e sorreggergli il mento per evitare che il termometro scivolasse fuori.
Quando finalmente lo estrasse segnava un orrendo 103,1[1].
Con un sospiro, il medico si alzò e ripose i suoi strumenti.
Prima di uscire rimboccò le coperte al paziente e gli mise una mano sulla spalla: “Adesso cercate di riposare, Tom. E state tranquillo: guarirete presto.”
Pullings emise un flebile gemito e si abbandonò sul cuscino.

Richiudendosi la porta alle spalle non fu sorpreso di trovarsi davanti i coniugi Aubrey che si stringevano le mani a vicenda. Impossibile capire chi stesse confortando chi.
“Per favore, Jack potresti farmi procurare dell’acqua dal pozzo nell’orto? Ha la febbre molto alta ma vorrei evitare di cavargli del sangue per abbassarla: è troppo debole.”
“Ho già mandato Killick a prenderla.”
“Come sta?”
“Non ha niente di contagioso, potete stare tranquilli. Sembra una recrudescenza dei sintomi del tifo. Si era ammalato, qualche anno fa, sicuramente te ne ricorderai, fratello.”
“Come fosse ieri. Ma come può non essere contagioso?”
“Sinceramente non te lo so dire ma ci sono molti casi documentati in cui i sintomi si ripresentano a distanza di anni pur non dando origine alla malattia vera e propria. Non ha nemmeno l’ombra di un pidocchio addosso e ormai si vedrebbero chiaramente i segni dei morsi, se li avesse. Quindi potete stare tranquilli: non c’è pericolo di contagio.”
“Pensi che ce la farà?”
“Per quanto ne sappiamo, la mortalità in questi casi è praticamente nulla. Tuttavia il suo fisico è molto debilitato. Ora come ora non mi azzardo a fare prognosi.”
“Di qualunque cosa abbiate bisogno, Stephen, potete contare sul nostro aiuto.”
“Vi ringrazio di cuore, mia cara, a nome del mio paziente. Comunque vada ha bisogno di riposo assoluto e il meglio che possiate fare è aiutarmi a garantirglielo. Domattina vi farò avere una lista di cose da prendere per i medicinali che mi servono ma per ora tenere la febbre sotto controllo è la cosa più importante.”
“Dite che sia il caso di mandare via i bambini?”
“Oh no, mia cara: sarà sufficiente impedire loro di entrare nella stanza per evitare che lo disturbino. Sarebbe anche bene che la signora Williams non gli si avvicini. Sapete bene quanto me che non è la compagnia ideale per un malato. “
Sophia sorrise e Jack alzò lo sguardo verso il soffitto: era risaputo che non andasse d’accordo con la suocera e che tra i due regnasse una fortissima, reciproca disapprovazione.
Ma il volto della signora Aubrey si rabbuiò all’improvviso: “Pensate sia il caso di mandare una lettera a sua moglie, per avvisarla?”
Anche Stephen si fece pensieroso alla domanda e sembrò soppesare attentamente diverse opzioni.
Jack invece non aveva idea di cosa stesse succedendo: “Quale sarebbe il problema?”
“Vedi, caro, la signora Pullings ha da poco perso un bambino. E’ stata male per giorni, ha addirittura rischiato di morire.”
“Non ne sapevo niente! Ma allora... Stephen è per questo che sei scomparso per giorni il mese scorso?”
Maturin annuì senza dire una parola.

Era rimasto al capezzale di quella povera donna febbricitante per giorni mentre la cameriera aiutava il marito distrutto a gestire la casa ed i figli di cinque e due anni. Tom aveva fatto tutto il possibile per aiutare ma al dottor Maturin sarebbe rimasta impressa a lungo l’immagine di lui che piangeva stringendosi al petto il corpicino della bambina nata morta. L’aveva tenuta in braccio, cullandola dolcemente, per un’ora ed era stato straziante vederlo mentre la deponeva nella minuscola bara e la seppelliva accanto ai propri nonni.
Catherine Pullings si era infine riavuta ma solo dopo aver trascorso giorni in preda ad una febbre che l’aveva quasi portata via.

In quel momento si trovava a Bath con i bambini e la sorella minore di Sophie, Cecilia, per la convalescenza.

Quella povera famiglia ne aveva passate davvero troppe in troppo poco tempo.
“Meglio di no. A meno che non sia lei a mandare una lettera, cosa della quale dubito, è senz’altro meglio lasciarla in pace: sicuramente è ancora molto provata e non le farà certo bene sapere che suo marito è gravemente malato. Sarà lui stesso a dirglielo, quando starà meglio.”
“Sembri molto fiducioso sulle sue speranze di guarigione, fratello.”
“Devo esserlo, mio caro.”
 
Note:
[1] 39, 5° Celsius.

E' possibile che i sintomi del tifo epidemico si ripresentino anche a distanza di anni e in ambiente non contaminato quando il paziente è immunodepresso. Di solito non è contagioso e la mortalità è quasi nulla.  In questo caso i sintomi sono aggravati dall'attività fisica eccessiva e dalla scarsa alimentazione.
La patologia è chiamata Malattia di Brill-Zinsser.
  
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