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Autore: E u r eka    07/07/2009    3 recensioni
A cinque anni, Naruto scoprirà cose nuove nel mondo che credeva di conoscere, vedrà che la bellezza non esiste solo nella natura, ma anche nel cuore delle persone, che non c’è solo odio e rancore, ma può esistere anche speranza per un futuro migliore e fede negli altri, ma soprattutto in se stessi, che tutto può cambiare se lo si vuole.
Prima classificata al "Tris Contest" indetto da hotaru
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stella

La fata delle spighe di grano

 

 

 

Naruto non amava particolarmente la pioggia, non provava un grande interesse per quelle piccole gocce d’acqua che cadevano dal cielo simili a lacrime, quelle stesse stille salate che tante volte scendevano sulle sue guance di bambino.
No, Naruto non  dava alcun valore alla pioggia, al lavoro assiduo ed instancabile che compiva con meticolosa ciclicità, la sua azione purificatrice e benefica.
Come poteva comprendere la necessità  e il bisogno della terra che soddisfaceva?Che senza di essa non ci sarebbe stato cibo per il villaggio, lavoro per i contadini e avrebbe causato fame e miseria?
Certo, avrebbe potuto capirlo se avesse voluto, ma era un bambino dopotutto e come tale provava la naturale repulsione per ogni forma d’acqua  e sapone, per ogni pensiero che lo distraesse dai suoi giochi e dagli scherzi.
Era un bimbetto gaio, sempre allegro e di buon umore, spensierato e vivace, entusiasta di ogni nuova esperienza, eccitato da ogni affascinante scoperta, con quel sorriso aperto ed irresistibilmente ammaliatore, gli occhi brillanti ed euforici.
Conquistava semplicemente. Era capace di catturare l’attenzione con la sola esuberante presenza, captata anche a distanza a causa della squillante e frizzante risata, eppure era tenuto a distanza, rifiutato, scacciato e denigrato da tutti.

Avrebbe potuto disprezzare il cielo plumbeo, lo scialbo e triste manto grigio che sembrava ricoprire ogni cosa, quel tempo nuvoloso e uggioso che lo costringeva a ripararsi e ad interrompere i suoi passatempi, le corse all’aria aperta, che distruggeva i suoi castelli di sabbia, ma soprattutto che lo obbligava a trascorrere i suoi pomeriggi lì, a casa.
Casa.
Naruto la odiava, detestava tutto di quel monolocale buio, umido, sporco e vuoto.
Troppo vuoto per lui.
E mentre gli altri bambini, quegli stessi che lo allontanavano come un insetto molesto, che non lo sceglievano mai come compagno di gioco, tornavano a casa bagnandosi e sporcandosi con il fango, ma ridendo felici, perché sicuri di trovarvi qualcuno, le amorevoli mani delle madri ad accoglierli e a sgridarli con dolcezza e di poter ascoltare rapiti e orgogliosi le ultime missioni dei padri, racconti straordinari, sogni di un futuro sereno e altrettanto bello, promesse e speranze per il domani; lui vi tornava strascicando i piedi, attardandosi il più possibile, sicuro di un altrettanto indiscutibile certezza.
non c’era nessuno ad attenderlo impaziente sulla soglia della porta, nessun pasto caldo appena sfornato e pronto per essere mangiato, niente e nessuno.
Non avrebbe trovato nessuno, solo vuoto e freddo, quel gelo che permeava in modo uniforme le pareti spoglie del suo appartamento rendendole ancora più lugubri.
Era un luogo disadorno e malinconico. E silenzioso.
Troppo per lui, che in quella totale assenza di rumori, sbagliata ed insolita, si sentiva oppresso, schiacciato dalla sofferenza che aveva nel suo cuore lacerato.
Durante la giornata poteva ancora con la fantasia immaginare e sognare ad occhi aperti, lasciarsi cullare da dolci e pie illusioni, fugaci ed effimere, brevi quanto un battito d’ali, ma il castello costruito tanto faticosamente crollava in uno sbuffo di cenere e nebbia appena varcata la soglia, trovandosi faccia a faccia con la dura realtà.
Non aveva nessuno che si preoccupasse di lui, che gli augurasse il buongiorno, che gli rimboccasse le coperte, che lo amasse.
Tutti i bambini che conosceva avevano una famiglia, ma lui no.
Lui era solo.

Avrebbe dovuto odiare la pioggia, perché lo obbligava a tornare nella casa che disprezzava e da cui fuggiva disperatamene ogni mattina, ma non poteva.
Naruto aspettava con ansia che le luminose e soleggiate giornate, chiare e limpide, brevemente intervallate da pioggerelline estive, cedessero il posto a veri e propri temporali.
Ed essi, come rispondendo alle mute preghiere di quel piccolo e coraggioso bambino, giungevano portando con sé le loro corti al completo.
Non erano semplici acquazzoni ciò che aspettava, ma i tuoni e i lampi.
A Naruto i lampi piacevano più di qualsiasi cosa avesse visto e conosciuto dall’alto dei suoi cinque anni e mezzo, più di ogni giocattolo e svago, più della cascata e del fiume, suoi rifugi segreti, più delle farfalle colorate che si divertiva ad inseguire ed ancora più del ramen.
Ammirava i bagliori e le saette che squarciavano il cielo illuminandolo, il loro sfolgorante splendore. 
Erano fulgidi, abbaglianti, uno spettacolo di meravigliosa e brillante bellezza, smaglianti e lucenti come il suo sorriso.
E adorava allo stesso modo i tuoni fragorosi che li seguivano, rimbombanti e assordanti nella loro potenza e risuonavano nella sua stanzetta riecheggiando con violenta intensità e furia.
Erano gridi di rabbia e di dolore come quelli che lui tratteneva in fondo al cuore quelli?Non lo sapeva.
Con il naso schiacciato contro il vetro picchiettava le dita contando i secondi che separavano un lampo dal tuono.
Una foglia..
Se avesse smesso di piovere, sarebbe potuto andare al fiume per vedere le lucciole.
Due foglie..
E  domani  invece, andare ai campi e aiutare i contadini. Tra pochi giorni cominciava la raccolta del grano e loro non lo cacciavano mai.                                                                                
Tre foglie..
Magari quella mattina la bambina con le trecce era scappata vedendolo solo perché sua madre l’aveva richiamata.
Quattro foglie..
Forse anche  la signora dal fruttivendolo lo aveva urtato per sbaglio.
Naruto continuava a contare e intanto la pioggia scendeva a scrosci, bagnando i tetti, le strade, i giardini e i prati di Konoha e anche il ramo di pero teso verso la sua finestra, con le foglie nuove appena lavate dall’acquazzone estivo.
Una in particolare era vicinissima, tanto da poterla toccare lì dal davanzale.
Sulla faccia interna, proprio su una nervatura laterale, era posata una grossa goccia tremolante in un corteo di altre goccioline appena visibili.
Aveva tutta l’aria di una regina, così tronfia e sicura di sé, nonostante la posizione precaria.
A guardarla bene, Naruto poteva scoprire in quella goccia tutto un mondo iridato di riflessi e immagini, un ché di regale e di fatato in quella dignità, come le fiabe che la sua vicina di casa leggeva sempre ai figli di sera per farli addormentare.
E mentre pensava ai cavalieri, i draghi, le sirene e i demoni che popolavano i suoi sogni, eccolo arrivare finalmente, ultimo, ma non per questo meno meraviglioso e amato.
Il lampo!
Era così bello, così scintillante e luminoso, uno strappo nel cielo.
D’altronde come poteva sapere Naruto che anche suo padre era stato uno di quei lampi a cui tanto era legato?
Si, suo padre Minato era stato un lampo, il Lampo Giallo di Konoha, con gli stessi occhi azzurro cielo e la zazzera disordinata dorata, mentre sua madre, la coraggiosa ed indomita Kushina, era  stata un fuoco vivo ed incontrollabile come il Tuono, energia pura ed indomabile, con i capelli dello stesso colore intenso della coperta che stringeva con forza intorno al suo corpicino, un bel rosso cupo che aveva qualcosa di caldo e accogliente e sostituiva alla perfezione gli abbracci e le carezze che non aveva mai ricevuto, se non in fasce.
Come poteva sapere Naruto che i suoi genitori lo avevano amato a tal punto da sacrificare la loro felicità per proteggere la sua vita?
Semplice, non poteva e intanto rimaneva lì, ignaro ed inconsapevole di avere rinchiuso nel suo corpo il demone della Volpe a nove code, di avere degli eroi come genitori, di essere un eroe.
Fermo nel silenzio gelido di quella casa troppo vuota e fredda, attendeva paziente il Lampo Giallo e il Tuono Rosso stretto nella sua coperta preferita.

***

“Il peggior peccato contro i nostri simili non è l'odio, ma l'indifferenza: questa è l'essenza della disumanità.”
George Bernard Shaw

 

C’è un’ora del giorno in cui le cose assumono una dimensione inusitata, quasi magica ed incantata.
E’ l’ora in cui il sole appena tramontato non ha ancora portato con sé tutta la sua luce, che si sofferma e trema nell’aria come un velo leggero.
Gli alberi sembrano farsi più grandi, le voci risuonavano ovunque con tonalità più chiare e sonore.
Si sentono le madri chiamare in casa i figli, che si attardano ancora a giocare nei parchi e per le strade e fingono di non udire, tutto pur di restare un altro po’ all’aria aperta mentre la sera inizia a dipingere il cielo con le sue tinte scure.
I lampioni cominciano ad accendersi come fuochi d’artificio e si illumina qua e là anche qualche finestra; alberi e case proiettano ombre lunghe e confuse.
E’ questa l’ora in cui pensieri e ricordi s’affollano più numerosi alla mente, e un sentimento di dolce tristezza pervade e vince ogni cosa. 
Ci si sente più buoni al perdono, scende nell’animo un’ondata di serenità che aiuta e consola.
Le persone, uscendo da lavoro, finite le missioni e svolte le mansioni quotidiane, si fermano qua e là a chiacchierare formando capannelli e riempiendo i bar; è ancora presto per rincasare e aspettando la cena, che sarà pronta solo più tardi, ci si scambiano opinioni sugli avvenimenti della giornata, si formulano previsioni sul tempo che farà l’indomani, si lanciano saluti, si stringono decine di mani, si chiacchiera del più e del meno, si ride e si scherza.
Il cielo è ormai completamente preda delle prime oscure avvisaglie della notte, le stelle si accendono come grandi occhi splendenti.
L’aria non è ancora del tutto nera, ma assume un colore blu scuro, carico e profondo.
Un vento leggero porta l’ultimo profumo del giorno che se ne è appena andato ed è quasi un arrivederci mormorato sottovoce, un sussurro flebile e timido.

Era sempre così. Ogni sera, ogni singola, terribile sera la gente rincasava lentamente, gli edifici si animavano di voci, cominciavano le conversazioni, proseguite tra un boccone e l’altro e la luce dei lampadari si rifletteva su posate e bicchieri, creando scintillii improvvisi che contribuivano all’allegria dell’atmosfera.
E intanto fuori si levava la luna.
E lui era .
Fuori.
Solo, come al solito.
La familiare sensazione di gelo si impossessò di lui, un freddo che non aveva nulla a che fare con il mite tempo di giugno, l’aria fresca della sera sostituitasi al caldo torrido e afoso di mezzogiorno e del primo pomeriggio. Ghiaccio che proveniva dal suo cuore e lo immobilizzava in una morsa dolorosa, senza scampo.
Era sempre così e faceva male, dannatamente male.
Con gli occhi lucidi ascoltò ancora, invidioso ed infelice, il rumore lontano delle risate provenienti dalle villette a schiera e non riuscendo più a contenersi, cominciò a correre nella direzione opposta.
Non sapeva dove stava andando, ma non gliene importava, l’unica cosa che desiderava in quel momento era fuggire, allontanarsi da qual dolore che lo uccideva lentamente, quel mostro che lo stritolava e gli toglieva il respiro. Voleva chiudere gli occhi e dimenticarsi di ogni cosa, di essere senza amici e senza famiglia, di essere un cattivo bambino.
Era solo per quello?Perché era cattivo?Per questo i suo genitori l’avevano abbandonato?
Con gli occhi ancora chiusi non si accorse del signore appena uscito dalla taverna all’angolo della strada e gli finì addosso.
Ebbe appena il tempo di alzare la testa che fu investito da una serie di rimproveri e accuse senza senso.
Senza scusarsi, come avrebbe fatto di solito, si voltò e ricominciò a correre senza fermarsi più, a rimbombargli nella testa ancora le parole dure e aspre dell’uomo contro cui si era scontrato.
“Piccolo maledetto delinquente guarda dove vai!”

 

 
Quattro figure ammantate di nero giravano intanto per l’appartamento deserto di Naruto, facendosi largo tra i vestiti sporchi buttati a casaccio sui pochi mobili presenti nelle stanze e gli avanzi di cibo sparsi sul pavimento.
Nella fioca luce della luna ad illuminarlo, l’ambiente appariva ancora più deprimente e tetro di quanto già non fosse.
“Ma davvero il bambino abita qui?”
Il più vicino alla finestra da cui erano entrati, si voltò interrogativo verso l’ombra accanto a lui, forse sperando che la risposta fosse negativa.
A replicare fu una voce femminile piuttosto seccata che stava osservando il soggiorno con lo stesso nodo alla gola degli altri.
“Per la millesima volta, sì, ne sono sicura e non chiedermelo più!”
“E’ solo che..”
“Già, come può un bambino così piccolo vivere in questo modo?”proseguì una donna, giovane come l’altra con una cadenza ed un tono più dolce, ma anche triste.
Si piegò leggermente sulle gambe e con cura raccolse una coperta rossa a terra di fianco alla sedia vicino al davanzale. Una lunga ciocca di capelli neri uscì dal cappuccio, ma lei non se ne curò.
Accarezzò delicatamente la stoffa morbida e la esaminò lentamente come a cercare qualcosa che la riconducesse al suo proprietario, che potesse farle comprendere meglio il bambino che doveva averla stretta fino a poco prima, a giudicare dal fatto che fosse ancora tiepida.
“Quanti anni hai detto che ha?”chiese di nuovo l’altro.
“Non più di sei.”
“E’ così piccolo.”soffiò la donna ancora inginocchiata.
“Ha l’età di Sasuke, Mikoto.”osservò l’ultimo dei quattro, come se ciò che aveva appena detto bastasse a giustificare lo stato di abbandono in cui verteva la casa.
Era l’unico a non aver aperto bocca da quando entrati e a differenza degli altri in quel breve lasso di tempo aveva già fatto il giro completo del monolocale scrutando ogni angolo alla ricerca di eventuali pericoli per il bambino. Aveva ispezionato e controllato ogni oggetto e se non aveva parlato, non era stato per indifferenza, ma solo per orgoglio.
No, non avrebbe mai fatto notare a nessuno cosa provava in quel momento e questo perché era un Uchiha e come tale non avrebbe mai permesso alle emozioni di prendere il sopravvento, di mostrarsi.
Eppure quanto grande era il desiderio di correre al palazzo dell’Hokage e prendersela con qualcuno, cantarne quattro a quegli idioti incompetenti.
Strinse le mani a pugno con forza fino a quando le nocche non diventarono bianche. Erano  trascorsi sei anni, ma la rabbia rimaneva sempre, una rabbia sorda e selvaggia che lo divorava e lo scuoteva.
Idiota.
Era morto.
Come aveva potuto?Come aveva osato?
Senza dire niente, senza raccontargli nulla.
E perché avrebbe dovuto?Loro non erano amici, pensò amaramente.
No, non lo erano mai stati, ma erano nemici, eterni ed antichi avversari.
E se ne era andato, scomparso in una nuvola di fumo nel mezzo della battaglia che infuriava.
Maledetto bastardo.
E ora che rimaneva?Cosa c’era a ricordare il miglior rivale che avesse mai avuto?
Solo quel bambino.
Naruto.
I capelli biondi ed i grandi ed ingenui occhi azzurri, lo stesso sorriso che lui disprezzava.
Lo detestava. Si, odiava Minato Namikaze, ma allora perché gli mancava in quel modo?
Con la coda dell’occhio vide Yoshino tirare per le orecchie Shikaku ed uscire silenziosamente a controllare i dintorni.
Pochi secondi e sentì la mano di Mikoto stringere la sua e poggiargli il viso contro il braccio.
La sua dolce e piccola moglie dal cuore tenero, capace di capire ogni suo pensiero con un semplice sguardo e di placarlo con la sola rasserenante presenza.
“Saremmo dovuti venire prima..”
Osservarono insieme e senza guardarsi il degrado della stanza, dalle macchie di umidità sui muri alla sporcizia.
“Voglio che sia felice.”
Rimase in silenzio, ascoltandone il respiro accelerato.
“Voglio che Naruto sia felice..Voglio vedere di nuovo gli occhi di Minato brillare e Kushina sorridermi ancora, voglio..”
La sentì tremare e capì che stava piangendo.
Ricambiò la stretta e voltandosi se la strinse al petto, massaggiandole la schiena scossa dai singhiozzi. Rimasero lì ad ascoltare insieme il rumore nostalgico del vento, simile ad una ninnananna.
Il vento ci parla con un linguaggio sempre mutevole: a volte la sua voce si riduce a un lieve bisbiglio, che porta con sé i trilli e i profumi della primavera, a volte invece diventa un sibilo insistente e pauroso e sovrasta il rumore della pioggia che scroscia violenta.
La voce del vento è un dolce ed insistente mormorio che porta le varie espressioni della vita, un pianto sommesso o una risata fragorosa.
E in quel momento, tra il lento sussurrare della corrente, parve loro di sentire le risate limpide di ragazzi, la risata di chi non ha paura del futuro, di chi è felice senza un motivo preciso e non si preoccupa di nulla, di chi ha nel cuore la splendida gioia di vivere e nelle orecchie la musica del sole.
Avrebbero continuato a cercarli e a trovarli, loro c’erano, erano lì, nel vento.

***

Dove era finito?
Si guardò intorno stropicciandosi gli occhi rossi e gonfi di pianto e non riconobbe il paesaggio che lo circondava. Si era diretto alla cascata, ma doveva aver sbagliato strada perché era arrivato ai campi.
La vecchia strada che aveva percorso aveva un’aria sonnolenta e pacata, tutta rappezzata e sconnessa di buche. Calpestandola aveva alzato una leggera polvere bianca e sottile che restò per breve tempo sospesa nell’aria quasi danzando, per poi posarsi nuovamente al suolo.
Ai lati due fossi, ricoperti d’erba e di sterpi incolti e rigogliosi. Subito dopo il fosso si ergeva uno steccato e aldilà di esso, si stendevano a vista d’occhio i campi coltivati di grano, alberi da frutto, erba medica. Lontana invece si intravedeva la montagna con i volti scolpiti dei quattro Hokage, sempre lì a sovrastare.
Sotto il sole cocente di giugno, a far tremare i contorni della terra e del cielo, le spighe erano maturate velocemente e le pianure e i declivi si erano ricoperti del colore giallo brillante del grano, simbolo di ricchezza e prosperità.
Presto ci sarebbe stata la mietitura e lui già immaginava i contadini, paglietta in testa, fiasco di vino sotto il braccio e falce in pugno che davano inizio alla loro opera fischiettando.
Le stoppie che volavano e i covoni ben attorcigliati che s’ammucchiavano.
Il sole a picchiare feroce e grosse gocce di sudore che calavano dalla fronte sui loro occhi, deterse con le mani callose.
Unici rumori i motivetti canticchiati per sentir meno la fatica e il ritmico alzarsi e abbassarsi della falce, instancabile nella sua danza leggera, che calava sulle spighe superstiti.
Le spighe avrebbero reclinato il capo ad una ad una, senza opporre resistenza. Un esercitò già vinto, che attendeva con pazienza la sua estrema ed ultima sconfitta e piano piano i covoni sarebbero aumentati di numero. 
Nell’immobilità e nella quiete che lo circondava, inspirò a pieni polmoni l’aria colma del profumo della terra, un sentore penetrante e sottile d’erba e di fiori.
C’era pace e una grande tranquillità in mezzo a quel mare di verde e alla luce delle stelle e si avviò al fiume camminando lentamente, senza fretta.
L’acqua era tutta un luccichio e saltava di sasso in sasso come una cascatella di gemme preziose.
Si scorgeva chiaramente il fondo, quasi completamente ricoperto di pietruzze piccole e levigate; qua e là si distingueva qualche tratto sabbioso, una breve distesa di piante acquatiche o l’improvviso abbassarsi del letto del fiume in buche profonde e popolate di pesci.
Naruto osservava incantato tutta quell’acqua in movimento, che correva veloce e senza fermarsi un solo istante, il succedersi inarrestabile e senza sosta delle onde.
In realtà non si trattava di un vero e proprio fiume, ma agli occhi del bambino quel piccolo serpentello d’acqua che avanzava timoroso e incerto, sembrava così grande.
Rimase per un po’ a guardarne il lento procedere pacato e quasi solenne, ad ascoltarne il lieve fruscio e poi si avvicinò ai canneti da cui un uccello ripeteva incessantemente il suo verso.
Lo superò agile e sotto l’argentea pioggia di luce della luna e l’incessante canto dei grilli poté osservare, in tutta la sua incantevole grazia ed eleganza luminosa, la lenta ed ammaliante danza delle lucciole, pronte anche quella sera a gareggiare con le stelle e a far festa insieme.
La luna era bassa sull’orizzonte e così larga che sembrava voler ingoiare il cielo; era circondata da un alone di foschia che, come una nuvola di polvere luminosa, ne rendeva i contorni meno netti e precisi.
D’un tratto sorse un vento inaspettato, ma leggero, carezzevole, quasi un soffio profumato; gli alberi tremarono un istante, scuotendo le loro fronde e l’erba s’inchinò in atto di riverenza.
Per un attimo cessò il canto dei grilli, ma subito dopo riprese con lena, libero da ogni timore e sospetto. La luna sembrò farsi ancora più grande e vicina: veniva voglia di allungare la mano e carezzarla.
Una profonda tranquillità pervase il cuore del bambino, mentre le stelle e le lucciole diventavano sempre più luminose, e il cielo non bastava più a contenere tanto splendore.
Quel brulicare incerto e tremolante di fiammelle accendeva nell’aria un desiderio strano, quello di volare, di librarsi in volo, a raccogliere quella manciata di stelle nel palmo delle mano.
E sorrise, con il cuore più leggero, e fu per lui come librarsi, prendendo parte a quello spettacolo incredibile, tra mille colori e riflessi.

***

Sasuke si avviò a passo svelto verso la cucina, sentendo l’inconfondibile profumo di frittelle e torta di mele che sua madre doveva aver preparato. 
Entrò, spostando le leggere tende blu scuro con il simbolo di famiglia ricamato sopra che facevano le veci della porta e si avvicinò al tavolo di mogano laccato di nero apparecchiato di tutto punto, osservando soddisfatto le pietanze già predisposte.
“Buongiorno” salutò, laconico come al solito prendendo posto, ben attento a sollevare la sedia e a non graffiare o rovinare in alcun modo il pavimento di legno.  
La testa di sua madre fece capolino dai fornelli e lo gratificò con uno dei suoi sorrisi dolci.
“Oh, buongiorno tesoro. La colazione è pronta, preferisci frittelle o torta?”
Non si era sbagliato. Scelse la torta di mele, la sua preferita e stava già pregustando la sua fetta di dolce, versandosi una generosa tazza di aranciata quando un’ulteriore domanda dellamadre lo costrinse a concentrarsi su qualcosa che non fosse necessariamente il suo piatto.
“E tu caro?”
Suo padre, seduto di fronte a lui su un’alta sedia ebano, era completamente coperto dal giornale aperto e sembrava tanto concentrato nella lettura che rispose alla consorte con un semplice grugnito.
“Va bene. Due fette di torta per i miei uomini.”e gliele servì subito, tornando poi veloce vicino al forno.
Sasuke non si stupì più del dovuto. Era abituato al carattere burbero e scontroso del padre e dopotutto se la madre riusciva a capire e a tradurre i suoi ringhi e brontolii in frasi di senso compiuto, lui non aveva alcun motivo per lamentarsi.
Era di poche parole e allora?Lui stesso odiava le persone che parlavano troppo o chiassose.
Fare colazione con suo padre che lo osservava nascosto dietro al giornale pensando di non essere visto, era finita col diventare un’abitudine, un piacevole modo per cominciare la giornata.
Assaporare in silenzio la torta di mele insieme era una delle poche cose che lo facevano sentire vicino al genitore, tanto da provare a comprenderlo.
“Buongiorno Sasuke.”
Stava sorseggiando con calma il suo succo, ma il padre glielo fece andare di traverso.
Tossì un paio di volte e lo guardò strabuzzando gli occhi.
Gli aveva parlato?!
Si girò da un lato all’altro dell’ampia sala pensando fosse uno scherzo, ma incontrò solo un altro sorriso incoraggiante di sua madre che li osservava divertita girando contemporaneamente le frittelle nella padella.
Boccheggiò un paio di volte non sapendo bene cosa dire.
Insomma suo padre non parlava mai, figurarsi a colazione appena sveglio!

Ok, si prospettava più difficile del previsto.
Però possibile che suo figlio, sangue del suo sangue, potesse essere così irrimediabilmente tonto?
D’accordo, non conversava molto con lui, ma addirittura fare quella faccia. Certo era, che non si distinguesse come perfetto oratore, come qualcun altro..
Dannazione!Quel bastardo di Namikaze pure da morto creava rogne!
Essere costretto a parlare, per di più di prima mattina..
Ci si metteva pure Mikoto poi, con quel sorrisino che non lo aiutava affatto, ma lo faceva soltanto andare in bestia.
Sbuffò spazientito e si decise a fare la domanda successiva scritta sul foglietto attaccato alla pagina del giornale che Mikoto gli aveva preparato la sera precedente.
“A scuola come và?”
Sasuke lo guardò ancora più stralunato, ma finalmente rispose facendolo piombare nel disagio.
“E’ finita il mese scorso.”
Perfetto!La sua adorabile mogliettina lo guardò ghignando e lui sentì crescere il desiderio di mettere le mani intorno al suo collo da cigno, l’aveva fatto apposta la maledetta.
Doveva rendersi ridicolo?Bene, allora l’avrebbe fatto con dignità.
L’unica cosa positiva, se in questo modo poteva essere definita, era il notare che Sasuke non si trovasse più a suo agio di lui in quella situazione e anzi, quanto sembrasse incredibilmente simile ad un pesce fuor d’acqua.
Certo, non lo rendeva pienamente soddisfatto la sua espressione lesso, però lo inorgogliva vedere che come lui fosse un tipo irrimediabilmente taciturno.
Queste erano le gratificazioni della vita!
“Gli allenamenti?”
Vide il figlio sospirare di sollievo e smetterla di fissarlo come un pazzo squilibrato.
Neanche avesse detto chissà cosa poi..
Doveva essere stato il caldo o qualcosa del genere, decise Sasuke. Insomma, la scuola?Quando mai suo padre si era abbassato a fargli domande del genere?Mai, appunto!
Almeno adesso la conversazione era tornata su binari ordinari e normali.
Entrambi però non avevano fatto i conti con la testardaggine della mater familias che lanciando uno sguardo ammonitore al marito lo richiamò con voce stucchevole.
“Tesoro perché non racconti a tuo padre cosa farete oggi tu e i tuoi compagni di corso?”
E rivolta al marito, “Sai caro, oggi Sasuke e gli altri bambini andranno al fiume.”
Sua madre aveva intenzione di assecondare quella momentanea loquacità?
Tanto suo padre si sarebbe limitato ad uno dei soliti ringhi, avrebbe continuato a leggere tranquillamente il giornale e..
“E per quale motivo?”
Sentiva la bocca secca, ma questa volta rispose con più sicurezza.
In fondo quello non poteva essere peggio di stare ad ascoltare lo sciocco cicaleccio delle bambine che lo seguivano sempre.
“Fa caldo.”spiegò semplicemente “L’acqua è fresca e bassa.”
“E non c’è pericolo per te, che non sai nuotare, di affogare, vero?”la voce di Itachi appena entrato, risultò quanto mai fastidiosa alle orecchie del fratello che si limitò a lanciargli un’occhiataccia.
Non sapeva nuotare e allora?Non è che avesse avuto molte probabilità per imparare. Cosa doveva fare?Gettarsi dalla cascata?
Il ragazzino si avvicinò alla madre e le scoccò un bacio sulla guancia.
“’giorno, mamma.”
“Buongiorno, caro. Frittelle?”
“No, grazie, sono di fretta.”
“Dove vai?”
“Ad allenarmi. Ci vediamo a pranzo..”
Prese una mela dal cesto della frutta posto al centro del tavolo, scompigliò i capelli a Sasuke, sapendo bene quanto gli desse fastidio ed uscì.
Sasuke che aveva sperato che quella specie di interrogatorio terminasse con l’interruzione del fratello, vide le sue speranze infrangersi miseramente.
La madre, spietata ed inarrestabile, gli domandò implacabile “Quanti sarete, Sasuke?”
E lui si ritrovò ancora invischiato in quello che non aveva capito cosa fosse.
Perché quell’improvviso interesse?
“Circa una decina.”
“Chi di preciso?”si costrinse ancora a chiedergli il padre.
“I soliti, credo. Shikamaru..”
“Il figlio di Shikaku Nara?”chiese ancora suo padre e Sasuke si limitò ad un cenno di assenso prima di continuare “Choji Akimichi, Kiba Inuzuka, Shino Aburame e alcune bambine.”
Fece una breve smorfia e poi continuò indifferente “Ah, di sicuro verrà anche lui..”
“Lui?Lui chi?”chiese la madre.
“E’ un bambino strano e nessuno gioca mai con lui, non so per quale motivo però.”
“Come si chiama, tesoro?”
“Non ricordo bene, mi sembra abbia a che fare con il ramen e i vortici.”
Fugaku vide la presa della donna intorno alla padella farsi meno salda e abbassò gli occhi.
Era come sospettavano.  
Avevano organizzato tutta quella farsa con lo scopo preciso di conoscere il comportamento che i bambini assumevano nei confronti di Naruto e purtroppo le sintetiche risposte di Sasuke mostravano chiaramente la situazione. Ben istruiti dai genitori, i figli non si avvicinavano a lui isolandolo e lasciandolo in disparte.
Nessuno sa essere spietato come i bambini a volte.
Fece per alzarsi avendo saputo ciò che gli premeva, ma lo sguardo di fuoco che Mikoto gli rivolse, lo immobilizzò dove era.
“E tu tesoro?”
Sasuke alzò un sopracciglio, come non capendo ciò che sua madre volesse sapere.
“Ciò che ti sto chiedendo..”
Perché la sua voce sembrava così gelida tutto a un tratto?
“E’ se anche tu ti comporti allo stesso modo.”
Vide il padre guardarla sconcertato e non seppe cosa dire.
Ma cosa c’era nell’aria quella mattina?Cioè prima suo padre che dava i numeri, poi sua madre che lo guardava trasformandosi in ghiacciolo..Davvero, forse l’acqua era stata manomessa..
“Mikoto..”la richiamò Fugaku.
La donna sospirò profondamente e poi sorrise di nuovo tranquilla, la nube sul suo volto ora scomparsa.
“Scusa tesoro, non importa..”
Sasuke, ancora in silenzio ad osservare quel tacito scambio di sguardi, decise che era il momento giusto per andare.
Si alzò e dopo averli salutati ancora stranito, uscì dalla cucina. 


“Si può sapere cosa avevi intenzione di fare?”
La moglie non gli rispose, continuando ad armeggiare con pentole e piatti, facendo più rumore del solito e sovrastando la sua voce.
“Mikoto!”sibilò rabbioso.
Solo allora lei uscì, asciugandosi le mani nel grembiule bianco immacolato che indossava, considerandolo appena, mentre contemplava il paesaggio fuori dalle vetrate e intravedeva i campi dorati di grano.
Il grano
.
“Allora?”
“Non ti sembra buffo?”gli chiese con voce incolore.
“Cosa?”
“Il fatto che noi probabilmente siamo gli unici genitori a non aver proibito a Sasuke di parlare a Naruto e che nostro figlio abbia scelto in piena libertà di non volerlo come amico.”
Di fronte al mutismo del marito, si voltò fino ad incrociarne gli occhi.
“E’ tuo figlio, uguale a te in tutto e per tutto, vero caro?”
Fece una breve risatina, scuotendo leggermente il capo e i lunghi e serici capelli scuri le piovvero sul viso regolare, coprendole gli occhi d’ossidiana.
Li spostò su una spalla con un gesto deciso e proseguì, osservando deliziata l’espressione granitica dell’uomo e la sua mascella irrigidita.
“Tutto questo non ti ricorda una situazione analoga?Qualcosa che è successo circa venti anni fa?”
Il basso ringhio di Fugaku la fece ridacchiare. Era così facile prenderlo in giro!
Si avvicinò al tavolo e si chinò sul suo viso baciandogli il naso. E intanto fuori Yoshino toglieva con calma e senza essere vista la videocamera.
Se il suo scorbutico ed intrattabile maritino pensava scherzasse quando glielo aveva detto il giorno prima, si sbagliava di grosso.
Non avrebbe mai perso l’opportunità irripetibile di registrare e tramandare ai posteri Fugaku Uchiha in evidente difficoltà, mentre portava avanti un’amabile discussione.
Qualche minuto più tardi, dopo essersi fatta ampiamente perdonare per le sue indelicate battutine, Mikoto tornò in cucina e cominciò ad incartare svelta l’ennesima scatola.
“E tutta quella roba per chi sarebbe?”
Si girò verso di lui, appoggiato su un fianco al muro, le braccia incrociate al petto e le labbra piegate nel solito ghigno.
“Per il piccolo.”
Piccolo. Poteva essere solo lui. Non avrebbe mai chiamato Sasuke in quel modo, ben sapendo quanto risuonasse offensivo alle orecchie del figlio.
“Mm, quando ci vai?”
“Dopo con Yoshino.”
“Lo sai vero che di questo passo lo farai diventare diabetico?”
Mikoto rise. “Forse hai ragione, ma non ho mai visto mangiare qualcuno tanto e poi alzarsi e uscire come nulla fosse. Ha una digestione di ferro, proprio come..”
Come Kushina.
Gli occhi le si velarono, ma lei scacciò con forza i brutti ricordi concentrandosi nuovamente sul pacco che aveva tra le mani.
“Che farete oggi?”
“Avevamo intenzione di cambiare il letto.”
Strinse le labbra in una linea sottile, ricordando la stato disastrato del materasso senza molle e macchiato.
“E magari montare il ventilatore e portare qualche quadro e tappeto per  ravvivare un po’ la stanza. Spero per la settimana prossima di riuscire a fargli arrivare la corrente, sempre che quei maledetti tecnici giù alla cascata si sbrighino!Rimandano di giorno in giorno senza far niente e io sto cominciando a perdere la pazienza.”
“Già che ci siamo allora perché non cambiare il pavimento o ridipingergli le pareti?”chiese lui ironico. La vide spalancare la bocca in una perfetta circonferenza e sgranare gli occhi.
Dannazione!Ora sì che si era messo nei guai.
Prima di essere sommerso, letteralmente, figurativamente e in tutti gli altri sensi dai progetti della moglie, fece giusto in tempo a scagliare un numero cospicuo di maledizioni contro l’odioso biondastro.
Dovunque fosse Namikaze, gli augurava con tutto il cuore di passare le pene dell’inferno, come stava facendo lui a causa sua da settimane.

***

Naruto si diresse verso casa con passo stanco. Faceva caldo, tanto caldo che sarebbe andato volentieri alla cascata o al fiume per farsi un bagno, ma sapeva di non potere.
In entrambi i posti avrebbe trovato tutti bambini o ragazzi andati per lo stesso motivo e non aveva alcun desiderio di stare da parte in un angolo a guardare gli altri divertirsi.
Era metà pomeriggio ed era insolito che rincasasse così presto, ma era annoiato e a questo punto meglio fare una doccia, no?Logica di ferro per un bambino.
Dopo un paio di giorni di fresco, intervallati da brevi acquazzoni, era infatti tornato un clima afoso, più rovente di prima, che rendeva l’atmosfera di piombo.
Il sole cocente si accaniva contro le case, che racchiudevano un poco di fresco prezioso, e splendeva implacabile nel cielo senza una nube.
Le strade erano deserte, l’aria immobile e indifferente senza l’ombra di una brezza leggera.
Nei giardini ben curati e negli ampi parchi, la luce filtrava adagio tra i rami degli alberi, a rianimare le foglie, a renderle più verdi.
Perfino gli uccelli risentivano del calore e stanchi respiravano affannosamente senza emettere il solito concerto di suoni e melodie.
Il suo appartamento era al terzo piano di una delle tante palazzine costruite al fianco delle strade principali.
Una volta, sulla parete esterna che ora appariva nuda e spoglia, si arrampicava l’edera che arrivava fino ai tetti, ma qualche mese prima i condomini al completo avevano votato per l’abbattimento della pianta ed ora l’edificio aveva, a suo avviso, un aspetto triste.
Salì le scale lentamente e aprì la porta con le chiavi nascoste sotto lo zerbino.
Superò il corridoio buio, attraversò il salotto ed andò in cucina.
Lì i mobili arancioni e il pavimento piallato in legno e tirato a cera rilucevano alla luce rosa e viola del tramonto.
Si avvicinò quatto al frigorifero e prima di aprirlo fece un respiro profondo.
Le sue speranze non furono infrante. Ad attenderlo faceva bella mostra di sé  una quantità spropositata di cibo: frittelle, riso, polpi, pesce secco e verdure sottaceto, un tegame di oden e quattro o cinque ciotole di ramen.
Sulla torta di mele più vicina troneggiava un biglietto bianco. Poche parole scritte con una grafia lineare ed elegante, femminile.
Spero che il ramen ti piaccia, la cena è nel forno e devi solo riscaldarla, il budino di riso è nel frigo. Sogni d’oro Naruto.
Un bacio M.

Non c’era niente di particolare o speciale in quel messaggio, eppure quella semplice frase gli fece battere il cuore e la strinse al petto, con gli occhi sgranati e lucidi.
Fuori, nascosta dall’ombra del pero, Mikoto osservava la scena provando un palpito d’amore e di affetto incondizionato per quel bambino, il figlio dei suoi migliori amici.
Se solo avesse potuto abbracciarlo e consolarlo, ma con quel biglietto aveva già superato i limiti che lei stessa si era imposta.
M., come mamma.

 
Naruto aveva cinque anni e mezzo, era ancora piccolo sotto alcuni versi e adulto in altri, conosceva il dolore, la solitudine e l’odio sulla propria pelle e allo stesso tempo si ritrovava completamente sprovveduto e alle prime armi con cose altrettanto semplici come l’amore, l’amicizia e le premure di una famiglia. Era un bambino, in tutto e per tutto e credeva di conoscere e di poter governare il mondo intero, ma non era stupido e si era accorto che da una settimana qualcosa era cambiato nella sua vita e in meglio.
I primi cambiamenti erano stati impercettibili, ma a poco a poco, tra il rubinetto della doccia nuovo, gli sportelli della cucina e il frigo riparati, i vestiti, i giocattoli e i pasti pronti, si era accorto di non essere più solo e che qualcuno avesse cominciato a prendersi cura di lui.
E ora svegliandosi al mattino, era diventato più semplice affrontare i problemi che prima gli parevano insormontabili come combattere l’ostilità e il rifiuto del Villaggio.
Anche la casa era diversa, più colorata e luminosa.
A volte gli sembrava quasi di essere il protagonista di una favola ed era felice perché, pur non potendola vedere né conoscere, chiunque fosse quella persona, per lui era un dolce angelo che con la sua bontà e gentilezza rendeva meno amari i suoi dolori.
E verso quella misteriosa donna, la sua benefattrice, così generosa nel donargli l’affetto e la protezione che aveva sempre cercato, dopo la diffidenza iniziale e la paura che fosse tutto un bel sogno, aveva cominciato a farsi strada un sentimento di riconoscenza e di speranza per un futuro migliore, un giorno in cui sarebbe stato acclamato e amato come un eroe.
Aveva deciso di ripagarla e così erano comparsi.
Per ogni regalo un fiore.
Sempre lo stesso e con lo stesso significato, gratitudine.
E ogni volta una campanula faceva capolino a salutarla e a rendere omaggio alla donna, per Naruto ora non più sconosciuta, ma la fata delle spighe di grano.
Grano si, perché Mikoto lasciava sempre al posto di quei delicati boccioli, spighe dorate dal gambo lungo, legate con un fiocco rosso e dalla fragranza intensa.
Il profumo dell’estate, della vita e del sole, l’incanto dello scirocco e del vortice, l’essenza dei suoi genitori, ma questo lui l’avrebbe compreso solo molti anni dopo.

 

 

 

Prima!Oddio non ci credevo quando l’ho letto! E’ bellissimo e sono felicissima ^^
Ringrazio di cuore hotaru per l’idea davvero splendida.
Il tris che avevo scelto è “Tuono di Giugno-lucciola-grano”.
L’idea che Naruto da bambino sia stato aiutato e non abbandonato a se stesso mi piaceva e ho scelto Mikoto come fata perché, anche se qui non si capisce e non entro nei particolari, ho immaginato potesse essere lei uno dei compagni di squadra di Minato e che avesse conosciuto Fugaku proprio a causa della loro rivalità e del rapporto
conflittuale affetto-odio tra i due ragazzi.
Bacioni a tutti e ancora grazie a hotaru!  

  
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