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Autore: Spoocky    12/07/2018    1 recensioni
Una tranquilla serata in famiglia ad Ashgrove Cottage viene interrotta dall'arrivo inaspettato di un vecchio amico bisognoso di aiuto.
La malattia che lo affligge non è che la punta dell'iceberg: un dolore più profondo lo sta consumando dentro.
Partecipa alla 26 prompt Hurt/Comfort Challenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/ ] Prompt 9/26 Fiamma + 10/26 Assenza
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: lo trovate comodamente al Capitolo I 

Buona Lettura ^.^

Il mattino seguente, Mrs. Williams stava percorrendo il corridoio che da camera sua portava alla scalinata ed al piano inferiore.
Stava pregustando la colazione quando si accorse di qualcosa che fino al giorno prima non c’era.
Il pettegolezzo è spesso una passione segreta, uno sfizio irresistibile per la donna in generale ma Mrs Williams ne aveva fatto una ragione di vita. Difficile che sotto il tetto di Ashgrove Cottage o negli immediati paraggi avvenisse qualcosa senza che lei ne venisse a conoscenza. E quello che mancava dalle fonti dirette lo compensava con la propria limitata e ottusa immaginazione, spacciandolo poi per vero.
La sua disumana incapacità di comprensione era compensata da una maniacale attenzione per i dettagli che a tratti sfiorava la paranoia.

Non tardò dunque ad accorgersi del fatto che la porta della stanza degli ospiti, di solito chiusa a chiave per evitare che i bambini vi si intrufolassero e facessero danni, fosse invece leggermente aperta. E non poteva essere stato il Dottore perché aveva sempre avuto una stanza a lui riservata in un’altra parte della casa.
Impossibile resistere alla tentazione di indagare su una stranezza di tale portata.
Non si fece dunque alcuno scrupolo nell’aprire del tutto la porta e ad entrare nella stanza che sospettava non essere vuota.
Non si aspettava certo una rivelazione di tale portata.
Le imposte erano aperte e la luce mattutina inondava la stanza, rendendo ben visibile la figura distesa sul letto.

Il volto era tenuto in ombra dalle tende del baldacchino, tirate quel poco che bastava per riparare dal sole i cuscini e non disturbare la persona che stava dormendo rannicchiata sul fianco.
Dalla sua visuale ai piedi del letto, Mrs. Williams vedeva chiaramente i lunghi capelli castani sparsi sui cuscini e distingueva una corporatura troppo esile per appartenere ad un uomo.
Non ci poteva essere altra spiegazione: doveva essere l’amante del capitano.

Non ci si poteva assolutamente fidare dei marinai, gente che aveva almeno una donna per ogni porto! In cuor suo non aveva mai approvato il matrimonio della figlia, ma non si sarebbe mai aspettata una tale sfrontatezza!
Quello spregevole individuo aveva addirittura portato la propria concubina sotto il tetto di casa, a pochi metri dal talamo nuziale! E con la moglie in casa, per giunta!
Un tale scandalo non poteva che suscitare la curiosità innata della donna, che si avvicinò per vedere in faccia la causa della prossima infelicità della figlia.
Più si avvicinava, tuttavia, più la convinzione che qualcosa non andasse si fortificava.
Nonostante l’incarnato pallido, i capelli lunghi e i lineamenti delicati quella non poteva essere una donna.
A meno che non avesse trovato un modo per farsi crescere la barba: perché così da vicino si vedeva bene l’ombra scura che copriva il mento e le guance di quello che doveva per forza essere un giovanotto.

A quella sorpresa ne fece immediatamente seguito un’altra quando sentì la porta richiudersi alle sue spalle e sobbalzò, ritrovandosi faccia a faccia con un accigliatissimo Dottor Maturin che brandiva una ciotola di porridge e un cucchiaino da caffè.
Stephen mantenne a malapena la calma nell’apostrofarla con voce aspra: “Buongiorno, Mrs. Williams. Vedo che è venuta a porgere i suoi saluti al nostro ospite. Il Tenente Pullings è gravemente malato e resterà con noi per qualche giorno, affidato alle mie cure.”
“M- malato avete detto?” Mrs. Williams era ipocondriaca come pochi e Maturin lo sapeva bene “Malato come?”
“Gravemente.”
“Ma cos’ha?”
“Niente che possiate contrarre, ve lo garantisco. Adesso per favore uscite di qui e lasciatelo riposare in pace.”
“Non sta morendo, vero?”
“Forse no. Adesso andate.”

Stephen non si fece scrupoli a chiudere la porta in faccia alla ciarliera comare prima di sedersi di nuovo al capezzale del suo paziente e di svegliarlo quel tanto che bastava per dargli qualche cucchiaio di porridge.
Il corpo del tenente era di una magrezza impressionante: non si poteva dire emaciato ma non era di certo uno stato salutare. Era troppo debole per mangiare da solo ma aveva un bisogno disperato di riprendere peso se voleva avere qualche speranza di sopravvivere. Una modesta quantità di porridge ogni due ore era la soluzione migliore per riabituare il suo stomaco al cibo.
Riposta la ciotola sul comodino, Stephen gli stese una mano sulla fronte.
La febbre non sembrava essere salita ma non era neppure scesa, non era un buon segno.
Ma non si era neppure presentato lo sfogo tipico del tifo, quello era un buon segno.
 

Stephen si prodigava da ore al capezzale del malato ma non stava ottenendo miglioramenti: nonostante le puntuali somministrazioni di medicinali e gli impacchi freddi la temperatura restava ostinatamente al di sopra dei 102.2°. [1]
A onor del vero si era abbassata, durante la notte ad un certo punto sembrava sparita del tutto, ma erano solo le braci di un fuoco che si era ravvivato per ritornare più forte di prima e a intervalli regolari.
Era preoccupante ma anche abbastanza normale in quello stadio della malattia, non c’era bisogno di contromisure drastiche per ora.
Trascorse la mattinata a fargli spugnature su testa, viso e collo. Ogni ora e mezza gli dava una cucchiaiata di porridge e gli strofinava la gola per aiutarlo a deglutire. Aveva anche iniziato a massaggiargli le gambe con olio di rosmarino per prevenire il gonfiore e favorire la circolazione.

Verso le due del pomeriggio, Sophia entrò per dargli il cambio.
Tradizionalista come pochi, sia in mare che a terra Jack Aubrey pranzava categoricamente a quell’ora, di solito in compagnia di Stephen e della moglie. Quel giorno lei aveva fatto un’eccezione e aveva mangiato insieme ai bambini, alla madre e all’istitutrice, per permettere al medico di mangiare qualcosa.
Non ci sarebbe stato bisogno di spiegarle nulla: aveva avuto la sua razione di febbri e malanni con i bambini ed era ormai un’infermiera esperta. Bastò dirle di fargli mangiare qualcosa di lì a mezz’ora.

Si era appena seduta accanto al letto, quando il malato emise un gemito pietoso che le trafisse il cuore.
Il poveretto ansimava e si agitava, stringendo le coperte tra le dita pallide, ma sembrò provare sollievo quando lei gli passò la spugna bagnata sul viso.
Il giovane tenente aveva sempre fatto tenerezza a Sophia con la sua quasi commovente devozione verso suo marito. Lo conosceva da poco prima della promozione a ufficiale: un ragazzo semplice, timido fino all’inverosimile ma capace nel suo mestiere e sempre rispettosissimo verso di lei e la sua famiglia. Si era affezionata molto a sua moglie, tanto da assisterla – nonostante avesse lei stessa partorito da poco - nei giorni immediatamente successivi la nascita del loro primo figlio che avevano insistito a chiamare John, come Aubrey.
Vederlo così, debole e sofferente, la faceva star male quasi come se avesse davanti uno dei suoi bambini. La febbre era talmente alta che la sua pelle irradiava calore. Lo percepiva distintamente ogni volta che gli passava la spugna sulla fronte, quando il suo respiro caldo e irregolare le sferzava le braccia: era come se una fiamma inestinguibile lo stesse consumando dall’interno. E c’era ben poco che potessero fare, se non alleviare in qualche modo il vuoto e la solitudine che il dolore comportava.

Dopo un discreto trascorrere di tempo, Sophia riuscì finalmente a svegliare Pullings e ad offrirgli il porridge.
Lui accettò di buon grado l’offerta di cibo ma sembrava molto confuso nel trovarsela accanto. Gli occhi erano lucidi per la malattia e la voce era sottile quanto la sera prima ma era lucido abbastanza da riconoscerla: “Signora Aubrey? C- cosa ci fate qui?”
Sophia gli sorrise dolcemente e cercò di rassicurarlo mentre impregnava di nuovo la spugna: “State tranquillo, signor Pullings: il dottore tornerà presto. Nel frattempo mi occuperò io di voi.”
“Grazie.” Tom si lasciò sprofondare nel cuscino con un sospiro “Come sta Katie? La mia signora, sapete?”
Lei si bloccò completamente, la domanda l’aveva colta di sorpresa e non sapeva come rispondere. Stephen l’aveva avvisata che sarebbe potuto succedere: la febbre era troppo alta perché fosse del tutto presente.
Però lui non sembrava essersi reso conto della sua incertezza e continuò a parlare, come se niente fosse: “Abbiamo avuto una bambina, io e Katie. La nostra piccola! E’ tanto bella. Ha delle manine così piccine!” le mostrò la misura approssimativa separando l’indice ed il pollice “E dei piedini minuscoli. E’ perfetta: non ho mai visto una bambina tanto bella. L’ho presa in braccio e... lei non c’è più, vero?”
“No, caro. Mi dispiace moltissimo.” Sophia non aveva il pianto facile, per niente. Adesso però gli occhi le bruciavano e la vista le si era appannata.
Non passò molto prima che le lacrime iniziassero a cadere, dagli occhi di entrambi.
“Mi manca tanto. Avrei voluto... era tanto bella... le volevo bene... era la mia bambina... la mia piccola... la mia piccola...”
Il resto, se mai ce ne fosse stato uno, si perse in un sussurro incomprensibile mentre il poveretto crollava, falciato dalla debolezza e dalla malattia, e la federa si bagnava di sudore e lacrime silenziose. 


Note:
 
[1] 39°C . E’ normale nel tifo epidemico che la febbre si mantenga tanto alta.
[2] 39,5°C
  
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