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Autore: Piperilla    12/07/2018    1 recensioni
Le storie sono belle, ma la vita vera è un'altra cosa: si nasconde agli angoli delle strade, negli appartamenti anonimi, nelle periferie, e quando va in pezzi, ti dilania come le schegge di una granata.
Questo Vera lo sa bene: piena di ferite e di demoni con cui convivere, ha smesso di illudersi. La vita è crudele, meschina, e senza giustizia.
Anche Vittorio lo sa, ma non se ne cura: dopo vent'anni passati seguendo passione e vocazione, tutto quello che ha realizzato gli si sta sgretolando tra le mani. La vita è dura, irriconoscente, e ha un pessimo senso dell'umorismo.
La vita spesso fa schifo: è questo che pensa Vera mentre si domanda se le cose andranno mai meglio.
La vita a volte è proprio una stronza: è questo che si dice Vittorio mentre si chiede se valga la pena di ricostruire quelle macerie.
La risposta che entrambi si danno è no: ormai pieni solo di rabbia e amarezza, l'unica cosa che riescono a fare è usarle come spinta per alzarsi al mattino. Se lo tengono stretto, tutto quel veleno che gli scorre nelle vene.
Almeno finché qualcuno non glielo tirerà fuori a forza e gli ricorderà che esiste anche altro oltre la rabbia.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il giorno seguente Vera non riusciva ancora a credere di aver davvero baciato Vittorio Valenti, quarant'anni, carabiniere e provocatore extraordinaire: più ripensava a come si era evoluta la loro conoscenza, più la cosa le sembrava tanto improbabile da poter accadere solo in un romanzo di fantascienza, e arrivata all'ora di pranzo era quasi del tutto convinta che quel bacio, in realtà, non fosse stato altro che un sogno bizzarro.
   La presenza di Vittorio fuori dalle porte della facoltà fece sfumare quella convinzione come nebbia al sole.
   «Che ci fai qui?» gli chiese Vera, sorpresa di vederlo.
   L'uomo le rivolse un sorrisetto per nulla rassicurante e si mise le mani in tasca.
   «Ho pensato che potrebbe essere interessante pomiciarti davanti al tuo capo» annunciò.
   Il volto di Vera divenne scarlatto. «VALENTI!»
   Vittorio alzò le mani in segno di resa. «Stavo scherzando, Gamba Bionica: non c'è bisogno di farsi sentire da tutto l'isolato».
   La ragazza si coprì il viso con le mani. «Cristo, Valenti, sarai la mia morte!»
   «Credevo avessimo appurato che sono colui che ti renderà la vita un inferno» replicò divertito Vittorio.
   Vera abbassò lentamente le braccia e gli rivolse uno sguardo minaccioso.
   «Valenti, te lo chiederò solo un'altra volta» sibilò, irritata dallo sfacciato buonumore di lui. «Che diamine ci fai qui?»
   Vittorio si strinse nelle spalle. «Attacco alle quattro e ho deciso che voglio passare un po' di tempo con te». La prese sottobraccio. «Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti».
   Incredula, la ragazza si lasciò trascinare giù per la scalinata e lungo Viale Ippocrate, fino a una delle tante pizzerie e paninoteche frequentate dagli studenti; comprato qualcosa da mangiare – e persa l'ennesima battaglia contro Vittorio, che non aveva nessuna intenzione di lasciarle pagare la sua parte – Vera andò a sedere su una delle panchine all'esterno, al sole.
   «Lo sai, Valenti, che nella tua galanteria sei un filino prepotente?» disse Vera non appena il carabiniere la raggiunse.
   «Lo dici solo perché non ci sei abituata». Vittorio si lasciò cadere accanto a lei sulla panchina e le cinse la vita con un braccio. «Allora, ancora nessun ripensamento su quello che è successo ieri?»
   «Stranamente, no» rispose Vera. «Anche se, con ogni probabilità, dipende solo dal fatto che il mio cervello non ha ancora realizzato che sia successo davvero».
   L'uomo le diede un pizzicotto sul fianco. «Perché devi sempre cercare di buttarmi giù di morale?»
   «Perché è divertente la faccia che fai quando ci riesco?» ribatté lei.
   Vittorio diede un morso al panino e contemporaneamente pizzicò di nuovo Vera. «Sei perfida» dichiarò, la voce soffocata dal cibo.
   Vera scelse di non rispondere; invece seguì il suo esempio, scartò il panino e iniziò a mangiarlo. Entrambi rimasero in silenzio per un po', intenti a masticare un boccone dopo l'altro; quando ebbero divorato anche l'ultima briciola, la ragazza aprì la lattina di Coca-Cola che avevano comprato insieme ai panini e bevve un bel sorso.
   «Da' qua». Vittorio cercò di sfilarle la lattina dalle mani, ma lo sguardo strano che Vera gli riservò lo fece immobilizzare. «Che c'è?»
   «Vuoi attaccarti alla lattina da cui ho appena bevuto?» chiese lei, come se non avesse mai sentito una cosa simile.
   Vittorio la guardò beffardo.
   «Di che dovrei avere paura? Della tua saliva?». Le rivolse un'occhiata eloquente. «Ce ne siamo scambiata parecchia, ieri: abbiamo superato quella fase, Gamba Bionica».
   «Non smetterai mai di fare allusioni al fatto che ci siamo baciati, non è così?» mugugnò Vera, lasciando la presa sulla lattina e guardando da un'altra parte.
   Il carabiniere bevve fino all'ultimo sorso di Coca-Cola e lanciò la lattina vuota nel cestino poco distante. «Perché dovrei? Sono felice che sia successo e non ho intenzione di ignorare la cosa». Strinse la presa sul fianco di lei. «Credevo avessi detto che non hai ripensamenti».
   Vera alzò gli occhi al cielo. «Non ce li ho, ma il modo in cui continui a ribadire che ci siamo baciati mi mette un po' in imbarazzo» bofonchiò.
   Vittorio le scoccò un bacio sullo zigomo. «Brontolona».
   «Mi dispiace» disse la donna, lo sguardo fisso di fronte a sé.
   Improvvisamente serio, Vittorio la scrutò guardingo. «Stavo scherzando, Vera».
   «Ma non rende meno vero ciò che hai detto». Vera sospirò. «Ero molto più di questo, sai» aggiunse. «Prima dell'incidente ero molto più di questo».
   Vittorio scivolò più vicino a lei, fino a premere il proprio fianco e la gamba contro quelli di Vera. «Sei abbastanza così come sei» mormorò.
   Vera scosse la testa. «No, non è vero. Per te, che non mi hai conosciuta prima di quel giorno, forse lo è, ma per me non può esserlo. Non riesco a riconoscermi nella persona che sono diventata: mi sento come se fossi sempre sul punto di frantumarmi in mille pezzi e non... non ero mai stata così fragile».
   L'uomo appoggiò la guancia sulla testa di Vera. «È che sei cambiata in modo radicale letteralmente dalla sera alla mattina» commentò. «Non è stato graduale, non hai avuto il tempo di abituarti all'idea – un giorno ti sei svegliata e quasi tutto era differente. Anche se ti ho conosciuta parecchio tempo dopo l'incidente, sono sicuro che non sei niente di meno di ciò che eri prima: sei solo diversa».
   La ragazza passò un braccio intorno alle spalle di Vittorio. «Forse non sono niente di meno, ma ci sono tanti nuovi aspetti di me che non mi piacciono». Prese un breve respiro. «Continuo a vergognarmi di quello che è successo la settimana scorsa» disse. «Anche se Gianpaolo mi ha fatto capire che probabilmente non volevo davvero suicidarmi, non posso fare a meno di considerarlo comunque un passo indietro, un cedimento. Ci avevo lavorato tanto e credevo che non avrei più pensato di farla finita, e invece...». La sua voce sfumò e si spense.
   «Ma lui pensa davvero che non volevi suicidarti sul serio?» chiese piano Vittorio.
   Vera annuì. «Ti avevo sentito, sai» rivelò. «Quella sera, mentre ero in piedi sul parapetto, ti ho sentito chiamarmi. Se avessi voluto farlo, avrei avuto il tempo di buttarmi prima che tu arrivassi e mi trascinassi via, ma non... non ci sono riuscita. Una parte di me continuava a ripetermi che facendo solo un passetto in avanti sarebbe finito tutto – i pensieri, gli incubi, i ricordi, il dolore – ma un'altra parte mi tratteneva, mi buttava in faccia tutte le persone e le cose buone che ancora sono presenti nella mia vita, e non sono riuscita a fare quell'unico passetto in avanti». Sospirò ancora. «La prima volta non è stato così, la prima volta non c'era niente a trattenermi, nessuna voce nella mia testa che mi dicesse che stavo commettendo un errore, che c'era un'alternativa, che non era tutto nero come lo vedevano i miei occhi».
   Vittorio le accarezzò i capelli con la mano libera.
   «Sì... l'avevi detto, quella mattina a casa tua, che la prima volta sei sopravvissuta solo per caso» disse, esitante.
   «Perché è così». Vera tacque per qualche istante. «Lo so che Giulia ti ha raccontato com'è successo – che dopo il battesimo di Ludovica, una volta che i miei genitori erano andati a dormire, mi sono chiusa in camera e ho mandato giù tutto quello che sono riuscita a trovare nell'armadio delle medicine. Quello che non ti ha detto è che non mi sono salvata perché ho avuto dei ripensamenti e ho chiesto aiuto: non ero pentita, per niente. Anzi: ero assolutamente convinta di aver fatto la cosa giusta ed ero decisa ad aspettare di morire senza muovermi, senza far capire a nessuno cosa stesse succedendo. Ero seduta sul mio letto e aspettavo: nient'altro».
   «Allora... allora come...». Vittorio deglutì, incapace di formulare quella domanda.
   Ma Vera non aveva bisogno che Vittorio aggiungesse nulla.
   «Mia madre» disse semplicemente. «Aveva mangiato la panna della torta, quella che si usa per le decorazioni, e lei quella panna lì non è mai riuscita a digerirla: le ha fatto venire l'acidità di stomaco e non riusciva a dormire, quindi si è alzata ed è andata all'armadio delle medicine per prendere qualcosa che gliela facesse passare, ma l'ha trovato vuoto. L'ha trovato vuoto e... e lei sa sempre a menadito cosa c'è lì dentro, fino all'ultima compressa, quindi è venuta da me per sapere che fine avessero fatto le medicine e ha trovato tutte le... le confezioni vuote intorno a me, sul letto. Ha urlato...». La sua voce tremò. «Non l'ho mai sentita urlare così» sussurrò. «Ma io ero già stordita da tutte quelle pasticche e lei ha capito, ha capito cos'avevo fatto: mi ha buttata per terra, e mi ha ficcato due dita in gola per farmi vomitare la roba che avevo preso, mentre urlava a papà di chiamare l'ambulanza». Si passò una mano sul volto nonostante fosse asciutto. «L'ho odiata – Dio, l'ho odiata per settimane per essere venuta in camera mia proprio in quel momento, per avermi fatta vomitare, per avermi tenuta su questa Terra prendendomi per i capelli». Tirò su col naso. «Certi giorni ho creduto che non l'avrei mai perdonata».
   «Stai dicendo che me la sono cavata a buon mercato?» scherzò Vittorio.
   Vera gli rifilò uno schiaffo sulla parte posteriore della testa.
   «Sto dicendo che stavolta, pur essendo arrivata così vicina a suicidarmi, non volevo farlo davvero. Non ce l’ho mai avuta con te per essere venuto a cercarmi e avermi tirata via da lì, mentre ho odiato mia madre per avermi impedito di buttare via quella stessa vita che mi ha donato con tanti sacrifici». Arricciò la bocca, l’espressione sardonica. «Già solo questo dà l’idea di quanto, in realtà, le due situazioni siano diverse. O almeno, Gianpaolo ha detto così».
   «E tu non sei d’accordo?» indagò l’uomo.
   «Da che ho iniziato le sedute con lui, Gianpaolo è sempre riuscito prima di me a trovare il bandolo di certe matasse di sentimenti che a volte mi si aggrovigliano dentro» replicò Vera. «Non sono ancora riuscita a capire se fa parte del suo lavoro o se sono io che rifiuto di vedere quello che ho sotto il naso».
   «Forse, qualche volta, fai solo fatica a capire cosa provi e perché, ma capita a tutti». Vittorio rise. «A me succede fin troppo spesso!»
   «Perché tu sei un uragano» lo stuzzicò la ragazza.
   «Vero» convenne lui. «Però alla fine ne vengo sempre a capo… e anche tu, mi pare. Anche perché non credo che tu corra dal tuo psicologo ogni volta che qualcosa non va, no?»
   Vera sbuffò. «Se solo ci provassi, mi ammazzerebbe». S’interruppe, pensosa. «E poi, per le piccole cose quotidiane, c’è Giulia». Sorrise. «Certi giorni non so come farei, se non ci fosse lei ad ascoltarmi».
   «Per me sta diventando lo stesso con Claudio». Appena pronunciate quelle parole, Vittorio si rabbuiò. «Dovrò chiedergli scusa, più tardi: ieri l’ho trattato malissimo, e lui stava solo cercando di aiutarmi» aggiunse, sinceramente pentito.
   Vera lo guardò di sottecchi, un sopracciglio inarcato. «Che hai combinato? Hai provato a fare a pugni con qualcuno mentre eri di turno?». Il carabiniere distolse lo sguardo e Vera sgranò gli occhi, voltandosi completamente verso di lui. «Dio santo, Vittorio!»
   «Ero ancora arrabbiato con te!» si difese Vittorio. «Il mio autocontrollo non era al massimo».
   «E ti sembra una buona scusa?». La ragazza si schiaffò una mano sulla fronte, incredula. «Sei incorreggibile».
   «Ma ti piaccio così» dichiarò Vittorio, deciso a distogliere l’attenzione di Vera da quella notizia ed evitare così quella che aveva tutta l’aria di stare per diventare una ramanzina coi fiocchi.
   «E ancora non capisco come sia possibile» rispose lapidaria Vera.
   «Magari perché con me stai bene?» la stuzzicò l’uomo.
   Di colpo l’espressione di Vera divenne chiusa, cauta; la donna tornò a guardare l’andirivieni delle automobili, in silenzio, senza però allontanarsi da Vittorio.
   «Parlami, Vera» la esortò lui in tono pacato. «Non smettere».
   La ragazza prese un respiro profondo ed espirò poco alla volta, persa nei propri pensieri.
   «Certe sere – la maggior parte, a essere onesti – mi metto a letto e, pur avendo trascorso una giornata piena e tranquilla, non riesco a stare bene: sento che mi manca qualcosa qui dentro» spiegò premendosi il palmo della mano sul petto, in corrispondenza del cuore. «Allora cerco di fare qualcosa di più – dedicare maggiore attenzione al mio lavoro, ai ragazzi che alleno; trascorrere più tempo con Giulia e Tiziano, giocare di più con Ludovica, parlare di più con i miei genitori… cerco con tutte le mie forze di sentirmi di nuovo intera, e certi giorni quasi mi aggrappo alle persone che amo, alle cose che mi fanno sentire utile. Mi ci aggrappo con una disperazione che mi fa sentire ancora più danneggiata, ma continuo a farlo comunque; lo faccio pur sapendo che in fondo l’approccio è sbagliato e non risolverà il mio problema, perché nonostante tutto mi dà un po’ di sollievo e, anche se è debole e temporaneo, è meglio di niente».
   «Eppure ci metti passione» disse piano Vittorio. «Quando parli di quello che ti piace – che sia il lavoro da traduttrice o quello in palestra, i libri, i film, i tuoi animali o la tua famiglia – si vede quanta cura e quanto amore dedichi a queste cose».
   «Sono i motivi per cui resisto ai momenti bui, alla fatica che certe mattine mi costa alzarmi dal letto, alla depressione» rispose Vera in tono piatto. «Tutti insieme sono la mia ragione di vita, e quando mi concentro su una o più di queste cose, vedo quanta bellezza ci sia ancora intorno a me».
   Vittorio la guardò a lungo prima di parlare.
   «E riesci a essere felice?»
   «Sono felice quando la mia figlioccia mi sorride e viene dritta da me, quando continua a seguirmi anche se la rimprovero per insegnarle cosa è giusto e cosa è sbagliato. Sono stata felice quando, dopo mesi, ho visto i miei genitori tranquilli e rilassati, senza una sola preoccupazione al mondo. Ecco quando».
   «E ti basta?»
   «È molto più di quanto abbiano tanti altri: sarei ingrata, se non mi accontentassi».
   Vittorio rimase in silenzio per un minuto, guardandosi i piedi; poi rialzò lo sguardo.
   «Forse tu hai ragione, ma sai una cosa? A me non basta. Ho ceduto e rinunciato troppe volte, a troppe cose, per troppo tempo. Adesso sono stanco. Voglio essere spudoratamente felice... e dovresti volerlo essere anche tu».
   «Lo voglio» ammise Vera a mezza voce. «È che non so se sono più in grado di esserlo».
   Il carabiniere le depose un bacio sulla tempia e la strinse più forte.
   «Ne sei in grado. Sei perfetta e sei intera: dentro di te i pezzi ci sono ancora tutti, basta solo finire di rimetterli insieme – e ci riusciremo, fosse l’ultima cosa che faccio» disse risoluto.
   Vera sorrise suo malgrado; chiuse gli occhi e lo baciò sulla mandibola.
   «Sei più cocciuto di quanto credessi… e anche più paziente» mormorò. «Ma sei sicuro che valga la pena di spendere tanto tempo ed energie solo per rimettermi insieme?»
   «Quanto sono sicuro di essere nato per fare il carabiniere» rispose Vittorio.

******

Più tardi, quello stesso pomeriggio, Vittorio tornò al comando ben deciso a chiedere scusa a Claudio per il modo in cui si era comportato il giorno precedente.
   Purtroppo per lui, si rese conto quasi subito che sarebbe stata un'ardua impresa.
   Claudio raggiunse i colleghi del proprio turno nello spogliatoio, li salutò e iniziò a cambiarsi, avendo cura di schivare Vittorio come se fosse contagioso. Non lo degnò neanche di uno sguardo distratto, cosa che al quarantenne non sfuggì: a quanto pareva, Claudio Pastore era determinato a fingere che il suo collega più stretto non esistesse nemmeno.
   Vittorio decise di lasciarlo cullare in un senso di falsa sicurezza: non fece alcun tentativo di parlare con Claudio e continuò a prepararsi mentre scambiava due chiacchiere con altri agenti. Più tardi, seguì il trentaquattrenne nell'autocivetta e si piazzò sul sedile del passeggero in religioso silenzio; per tutta la prima ora del turno, i due si ignorarono a vicenda.
   All'inizio della seconda ora, Claudio era appena più rilassato; e non appena Vittorio vide la tensione abbandonare le spalle dell'amico, partì all'attacco.
   «Allora, lo dico io o lo dici tu?» sparò a bruciapelo.
   «Non ho niente da dirti» rispose Claudio, rigido, serrando la presa sul volante.
   Vittorio sospirò con fare teatrale. «Allora lo dico io: sono uno stupido coglione».
   «Lieto di sapere che sei capace di autocritica» ribatté acido l'altro.
   «Solo i giorni festivi e ogni primo martedì del mese». Vittorio azzardò un'occhiata a Claudio: a giudicare dall'espressione arrabbiata che aveva sul volto, il suo tentativo di alleggerire l'atmosfera non aveva funzionato. «Clà, avanti, puoi smetterla di fare l'offeso almeno il tempo necessario ad ascoltarmi davvero?»
   Claudio non rispose; continuò a guidare fino a trovare un parcheggio libero, dove fermò la macchina e si girò a guardare Vittorio con occhi tempestosi.
   «Non puoi fare il pazzo e il giorno dopo comportarti come se non fosse successo nulla» disse, fosco.
   «Lo so» rispose calmo Vittorio.
   «Non puoi trattare male le persone che ti stanno vicino e pretendere che non se l'abbiano a male» aggiunse Claudio.
   «Lo so» ripeté il quarantenne.
   «E smettila di darmi ragione!» sbottò l'altro.
   «Ti sto dando ragione perché ce l'hai» replicò tranquillo Vittorio. «Ieri mi sono comportato come un pazzo e un deficiente; e mi dispiace di averlo fatto non tanto per me, quanto perché in questo modo ti ho reso difficile fare il tuo lavoro, ti ho messo in una brutta posizione, e per finire non ho neanche apprezzato il fatto che tu abbia passato otto ore a impedirmi di buttare nel cesso quel che resta della mia carriera». Si grattò la nuca. «Volevo solo chiederti scusa e ringraziarti per avermi tenuto a bada... e assicurarti che non ricapiterà».
   La furia che riempiva Claudio si sgonfiò col progredire del discorso di Vittorio; quando il secondo tacque, sul volto del primo non c'era più traccia di rabbia.
   «Non mi piace per niente il Vittorio che ho visto ieri» disse infine, agitando l'indice contro l'amico con fare ammonitore.
   «Cercherò di tenerlo sotto chiave il più possibile» gli assicurò Vittorio.
   «Sarà meglio» bofonchiò Claudio mentre rimetteva in moto la macchina. «Perché non è per niente simpatico».
   Vittorio non riuscì a trattenere un sorrisetto. «Preferisci quello che ti prende a calci?»
   «Sì, lo preferisco; il che è tutto dire» replicò asciutto Claudio. Lanciò un'occhiata di traverso all'altro. «Quando finiamo il turno mi aspetto una birra e che tu mi dica che cavolo ti è preso, ieri».
   «Signorsì» sbuffò Vittorio.
   Il resto del turno trascorse tranquillo; una volta rientrati in caserma e smessa la divisa, i due amici raggiunsero il solito pub e sedettero al bancone per una birra e una mezz'ora di chiacchiere.
   «Sei sicuro che a Michela non darà fastidio, vederti rientrare ancora più tardi del previsto?» chiese Vittorio.
   «Inutile che ci provi: non me ne vado finché non mi dai una spiegazione per quello che è successo ieri» disse all'istante Claudio. «E adesso parla».
   L'altro sbuffò. «Vuoi la versione lunga o quella corta?»
   «Quella corta».
   «Ero incazzato come una biscia».
   Claudio si lasciò sfuggire uno strano suono, una via di mezzo tra una risata, uno sbuffo e un grugnito. «Va be', questa è davvero troppo corta» replicò. «Prova con la lunga».
   Vittorio si rassegnò al fatto che l'amico non avrebbe mollato la presa e gli raccontò gli eventi degli ultimi giorni, avendo cura di omettere alcuni dei fatti più delicati che riguardavano Vera. Quando finalmente tacque, Claudio lo guardò incredulo per alcuni istanti prima di reagire nell'ultimo modo che Vittorio si sarebbe aspettato.
   La risata che proruppe dalla bocca di Claudio era alta, tonante, e fece voltare nella loro direzione i pochi avventori che ancora indugiavano nel locale; passò un minuto, poi due, ma la risata dell'uomo, invece di placarsi, divenne ancora più impetuosa, quasi sguaiata, sotto lo sguardo stralunato di Vittorio. Fu solo quando rimase completamente senza fiato che Claudio riuscì a smettere.
   «Se qualcuno mi avesse detto» ansimò il trentaquattrenne, tra un respiro spezzato e l'altro, «che mi avresti fatto divertire così tanto, sarei andato su a Milano anni fa a chiedere che ti trasferissero qui!».
   Vittorio si accigliò. «Che cosa c'è tanto da ridere!»
   Claudio agitò una mano nella sua direzione mentre ricominciava a sghignazzare, stavolta più quietamente. «Hai quarant'anni e ti comporti come un ragazzino di quindici alla prima cotta» esalò. «Vuoi ancora chiedermi che ci trovo da ridere in quello che ti è successo nell'ultima settimana?»
   L'altro grugnì e sospirò, gettando indietro la testa. «Sono stato sposato per vent'anni» gli ricordò. «Non sono più abituato a stare accanto a una persona di cui non conosco le reazioni. Mi mette in difficoltà».
   «Si vede!» sbuffò Claudio, tentando con scarso successo di soffocare l'ennesima risata. Batté un pugno sul bancone. «E comunque te l'avevo detto – te l'avevo detto! Secoli fa! – che quella ragazza ti piaceva e tu hai sempre negato!»
   Vittorio borbottò tra sé quelle che sembravano imprecazioni.
   «Ero sposato: non riuscivo neanche a prendere in considerazione una simile eventualità» bofonchiò infine. Colse lo sguardo tutt'altro che convinto di Claudio e sbuffò. «Serve a qualcosa dire che non me lo sarei mai immaginato?»
   «Serve a qualcosa dire che avevi ficcato la testa sotto la sabbia?» replicò prontamente l'altro.
   I due si scambiarono un'occhiata, torva quella di Vittorio, esilarata quella di Claudio.
   «Va be', hai vinto: ho fatto lo struzzo» ammise il quarantenne. «Soddisfatto?»
   Claudio ci rifletté su. «Molto» decretò. Trangugiò l'ultimo rimasuglio della propria birra e diede una pacca sulla schiena dell'amico. «Adesso che hai smesso di fare lo struzzo, ogni tanto potremmo anche organizzare un'uscita a quattro» disse con un sorrisetto eloquente.
   Vittorio si nascose il volto tra le mani, terrorizzato dall'idea quanto Claudio ne era divertito.
   
 
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