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Autore: swimmila    13/07/2018    7 recensioni
Quanto spreco di vite e di Storia per una rivoluzione che il cuore attua da sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un diavolo uscito dall’inferno

Col frustino convulso, ad implorare il cavallo.
Le urla della principessa, a sgretolarmi la calma.
Lo spettacolo di André, a straziarmi il cuore.
 
Quel diavolo uscito dall’inferno, imbizzarrito di ipocrisia e derisione sussurrati, rischia da un momento all’altro di disarcionare Sua Altezza Reale la principessa Maria Antonietta nella sua folle corsa. E se pure le esili braccia di Sua Altezza dovessero resistere attorno al collo nerboruto dell’animale c’è un baratro, poco più in là, ad attendere il terrore cieco di cavallo e cavaliere.
 
Di frustino concitata, l’intesa fra me e César.
 
Quella furia spiritata uscita dalla geenna, innervosita di scherno e affettazione bisbigliati, si sta trascinando dietro André, sorpreso dal suo scatto stizzoso con le redini ancora in mano. Nel tentativo di zavorrarlo col proprio peso si sta facendo massacrare in questa maledetta corsa verso il nulla: sassi, arbusti, pietre, spine: sul suo corpo il martirio della mia anima. Disperato, il mio ordine di mollare le briglie. Disobbedienti, le sue mani ostinate di redini.
Se non sarà questa dannata bestia ad ucciderti, André, giuro che lo farò io!
 
Di frustino convinto, il galoppo di César. Le redini spezzate a salvarti la vita. Il mio salto, ad evitarti di un soffio. Il purosangue reale, di frustate affiancato.
Si aggrappa con la disperazione del condannato, Sua Altezza Reale, a quel cavallo rabbioso di chiacchiericcio e maldestrezza. Gli occhi sbarrati nel terrore.
La mia mano, libera di verga.
Con il garbo dell’urgenza le chiedo di togliere le braccia dal collo del cavallo. Si ostina nel terrore. E’ il solo modo per salvarsi, insisto.
Le sorrido, incoraggiante come una bugia. Preziosa come il tempo che non c’è.
Mi crede.
Il mio slancio a coincidere con le sue braccia allentate di presa. Il mio corpo, ad attutire il suo impatto sul terreno.
 
Mi trascino pesante di presentimento e spavento svenuto. Nelle ossa e nella testa le propaggini di scosse ancora vibranti di caduta. La principessa Maria Antonietta sembra dormire fra le mie braccia, il volto pallido e teso riverso all’indietro oltre il mio braccio che la contiene, finalmente quieta dopo un’emozione diventata incubo.
In lontananza il nugolo di cortigiani, sciamati dal dileggio all’apprensione. Sul terreno, tracce di sangue e strisce di erba solcata. André. Con sollievo, a non vederti per terra. Con la testa, a meledire la tua coggiutaggine. Nello spirito, stormi neri di presagio.
Il desiderio della principessa Maria Antonietta di andare a cavallo, sciupato in capriccio. Così l’ottusità blasonata di corte si è rimbalzata, da un’ala all’altra della reggia, quella novità venuta ad allentare i gangli mortali della sua noia. Quegli uomini e quelle donne che, raschiati di vita, come mummie proseguono nell’apparenza la sterilità del loro vivere, non hanno trovato migliore definizione al vuoto sconfinato che tortura l’animo di una fanciulla avida d’amore e d’ostilità ricambiata.
Cosa ne sanno questi nobili depravati. Di adolescenza involata. Di sogni riscritti. Di amore sottratto.
Cosa ne sanno queste menti corrotte. Di pensiero puro. Di desiderio candido. Di sentimento limpido.
Cosa ne sanno questi spiriti debosciati. Di solitudine abissale. D’amicizia il bisogno. Di legami interrotti.
Cosa ne sanno queste anime morte. Di nostalgia esiziale. Di ricordi letali. Di lacrime amare.
 
La solerzia prezzolata dei medici di corte circonda il capezzale della principessa Maria Antonietta. Madame Noailles, presente come da cerimoniale, in agitazione secondo etichetta.
Attendo notizie nell’anticamera degli appartamenti della Delfina, oppressa di sentore e cupezza. Il conte Girodel viene ad informarmi della furia del Re.
Della testa di André da tagliare.
I miei passi, a volare su marmo e pensieri. Dolore. Ad esplodere in testa. Crescente nella spalla. Stracco nelle ossa.
In lontananza, la porta sbarrata della Sala del Consiglio. Il mio splancare irriguardoso dei battenti. La sorpresa oltraggiata dei presenti.
Ti stanno portando via, le mani dietro la schiena come un criminale. Sei più stordito che spaventato. Sono più morta che viva.
Ossequiosa, la mia fretta del cospetto di Sua Maestà.  Il Benamato, sordo di magnanimità.
Mi rivolgo a questi nobili codardi, testimoni arresi di paura e servilismo. Mi appello alla liturgia della giustizia,  officiata di processi e tribunali. Mi vanto di padrone e attendente, la testa dell’uno in cambio di quella dell’altro.
La vischiosità del potere in difetto di ragioni, in abuso di ostentazione.
Nel silenzio imbavagliato, un avanzare audace alle mie spalle. Il conte di Fersen, in ginocchio al mio fianco. Declina, deferente, coraggio e generalità. Aggiunge, quasi ansioso, la sua testa alla mia.
Il mio fiato, tronco di meraviglia. Il mio silenzio, agghiacciato di gratitudine.
 
Dal fondo della sala, dietro l’imponenza di Sua Maestà, irrompe la principessa Maria Antonietta, impetuosa di vento. La sua freschezza in vigoroso recupero.
Si getta ai piedi del Re. Ne raccoglie lo strascico impellicciato, vi affonda la sua istintiva generosità.
“André, e anche voi Oscar, conte di Fersen, non abbiate timore, il re sa essere molto magnanimo”. Pacata, la fiducia propalata nella sua voce. I suoi enormi occhi azzurri, colmi di incantevole trepidazione, incrociano per un lungo istante i miei. Il nostro sguardo è il dialogo di due anime.
Cosa ne sanno questi aristocratici degenerati. Di una colpa di nessuno in cerca di onere innocente.
Cosa ne sanno questi signori decaduti. Di un’amicizia stretta nella comprensione del dolore.
Cosa ne sanno queste vite dissolute. Di verginità sacrificata alla Ragione di Stato.
 
Serpeggiante, il silenzio che attraversa la sala.
Traballante, la corriva risolutezza di Sua Maestà.
Lancinante, il dolore nel mio corpo.
Dilaniante, la mia angoscia per André.
 
Il profilo aggrondato di Sua Maestà si dilata in un frontale ancora sgualcito da residui di regale puntiglio.
La sua capitolazione prolusa da un grugnito d’orgoglio.
“Mmmm. Se questo può far felice la principessa Maria Antonietta, nessuno sarà punito per quanto è successo”.
Il viso di Sua Altezza si accende di splendore rincuorato. Le ugole dei cortigiani ritrovano lo spunto del bisbiglio.
La mia schiena, rorida nella divisa. Il mio sguardo a cercare il conte di Fersen. Il suo sorriso è saldo di pericolo scampato. Il mio ringraziamento muto di inutili parole.
D’improvviso, qualcosa dietro di me a sgranargli gli occhi. A soffocare berci di paura. Nella mia testa, un lampo nero di presentimento.
Dietro di me. Un corpo crollato di vita sfinita. Una pozza allargata di sangue fiaccato.
André, privo di sensi e muto di grida.
 
“E’ necessaria una visita accurata. Via le donne.”
Il dottore di famiglia fa un cenno a Marie. Lei, piangente dietro gli occhiali, alza su di me uno sguardo sconfitto di donna e di dolore. Il suo André, il suo unico, adorato nipote ridotto in fin di vita da un cavallo uscito dall’inferno della solitudine.
Le restituisco un’occhiata di flaccido incoraggiamento. André. Il solo posto dove vivere spavalda la mia vita. La sola anima in cui proseguire la mia.
Il conte di Fersen ci ha accompagnati a palazzo Jarjayes con la sua carrozza. Non ha voluto saperne di andare via prima di sentire il parere del medico. Che attende in silenzio che io e Marie lasciamo la stanza.
Lo stupore, nella voce del conte svedese a trattenere i miei primi passi verso la porta.
“Oscar, voi non rimanete?”
“Che cosa state dicendo, conte di Fersen? Dovrei permettere che la mia bambina guardi un uomo nudo?!”
Indignato, il pudore di Marie.
Stupefatto, lo sgomento che ridisegna istantaneo i tratti di quel bellissimo viso.
Balbetta di stupore, il conte. Incespico di dolore, un passo dopo l’altro. La spalla a dolermi insopportabilmente. L’incubo di questa giornata a farsi peso schiacciante.
Marie sparisce in fondo al lungo corridoio, verso le scale che prendono la strada della cucina. La osservo camminare impettita di coraggio e intrisa di tormento. Se fossimo sole la abbraccerei e le direi il bene che le voglio. Ma il conte di Fersen, ad inibire il mio slancio. La mia stanchezza, a farmi arrendere di schianto.
Rimaniamo da soli, Hans ed io. Attraversiamo in silenzio il vestibolo che dà sulla grande vetrata di accesso. Usciamo nella mia urgenza di aria fresca. Lui, ancora incastrato nella scoperta afona del mio essere donna.
Ritroviamo rapidi ognuno le proprie parole.
“Perdonatemi…Madamigella Oscar. Io.. io non sapevo che foste una donna”. Rotolano incerte, ma di unico afflato, quelle parole leggere di sollievo smodato.
Aveva sentito inconfessabili turbamenti, il conte di Fersen, quando lo sguardo tagliente del capitano delle Guardie di Sua Maestà sembrava volergli penetrare l’anima. Aveva dovuto stordirsi di compagnia muliebre e piaceri ortodossi per allontanare la paura terrificante di una sua sessualità priva di preferenze. Ora, invece, avrebbe voluto urlare la sua gioia di uomo ingannato. Oscar, Oscar era una donna! E, accidenti, una bellissima donna. Il suo istinto maschile non si era lasciato raggirare. Il suo sollievo, ora, sopraffatto di emozione.
Un luccichìo, negli occhi di Fersen.
“Sono stata educata per prendere un giorno il posto di mio padre, il Generale Jarjayes”. Lapidario, il mio sfinimento.
“Capisco.” Attonito, il suo bisogno di tempo.
Per qualche istante i nostri pensieri vorticano silenziosi e distanti, ognuno redarguito dalla propria mente.
“Oscar, sono un vostro grande ammiratore”.
Un’emozione, a regalarmi una tregua.
“Non conosco altre persone capaci di sfidare le ire di Sua Maestà per difendere il proprio attendente”.
Un pugno, a frantumare fastidio. Quella parola, astratta di persona.
“Voi, conte di Fersen, avreste fatto la stessa cosa col vostro.”
Improvvisa, la mia fretta di rientrare.
 
Accompagno gentilmente il conte svedese fuori dal mio cuore e dai miei pensieri, dove nottetempo l’ho sorpreso più volte introdursi guardingo. Lo affido senza indugio alla solida amicizia di una stima reciproca.
Corro finalmente ad avere tue notizie.
   
 
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