Betato by Digghi
La vera amicizia è una pianta che cresce lentamente
e deve passare attraverso i traumi delle avversità
perché la si possa chiamare tale.
George Washington
1.
La
sveglia iniziò
a suonare incessantemente riempiendo il silenzio della stanza e
risvegliandomi
dal mio stato di torpore.
Strano… questo non mi sembra il solito
suono.
Comprendendo
di essere ancora
stordita per il sonno ed
incapace di pensare coerentemente, mi protesi verso
quell’aggeggio infernale
che aveva osato disturbarmi. Purtroppo qualcosa di stano
intralciò il percorso
del mio braccio, seguito da un
“Ahi”
Spaventata
strabuzzai gli occhi alzandomi di scatto e quello che vidi non mi
provocò
quello che si può definire un buon risveglio.
Tutt’altro.
“Cazzo!”
urlai in
preda al panico, portandomi le mani alla bocca.
“Uhm …
Delia per carità non urlare … la tua
voce assordante di prima mattina non è il massimo per le mie
povere orecchie”
biascicò rigirandosi nel letto.
Mi
portai le mani
alla tempie iniziando a massaggiarle, in attesa che anche Rafael si
rendesse
conto del piccolo e non insignificante dettaglio.
Cosa ci facevo io nel suo letto alle sei di
mattina?
Non
ci volle poi
molto, la sveglia continuava a trillare insistentemente, ridestandolo
dal suo
stato catatonico. Lo vidi aprire gli occhi assonnati e scrutare la
stanza fino
a giungere sulla mia figura, con un’espressione non poco
sconvolta.
“P…
perché diamine
sei nel mio letto?” balbettò “ per
giunta coperta solo da un lenzuol …” si
bloccò e iniziò a tastarsi notando di essere
altrettanto nudo.
Inarcai
un
sopracciglio rivolgendogli un’occhiata esasperata, ma la mia
calma durò ben
poco.
“Razza
di .. grrr
… hai capito finalmente perché stavo
urlando?” imprecai alterandomi.
Deglutì
rumorosamente “Secondo te abbiamo …”
domandò timoroso, non riuscendo a
concludere la frase a causa del pressante imbarazzo.
Annuii “non vedo altre
spiegazioni” borbottai,
accompagnando le mie parole con un gesto teatrale.
“Ma
come?”
Corrugai
la fronte
rivolgendogli un’occhiataccia scettica.
Non poteva averlo davvero chiesto.
“Vuoi
un disegnino
per caso?” mi trattenni dal tentare di strangolarlo.
Ogniqualvolta Rafael si
agitava iniziava a porre domande senza senso e a balbettare. Non era
proprio il
massimo in una situazione tanto delicata.
“Dobbiamo
aver
bevuto parecchio” constatò passandosi una mano sul
volto.
“Tu
dici? Io lo
sapevo che non dovevo bere … ma tu Dai
Delia che sarà mai? Ci facciamo qualche birretta oppure
Dai piccola prendi questo liquore
dall’aspetto orribile e dall’odore nauseabondo e
ubriacati finendo a letto con
il tuo migliore amico” sibilai furente
Sospirò
sommessamente. Ormai dopo cinque anni di collage aveva compreso che
tentare di
farmi ragionare durante una sfuriata era pressoché
impossibile. Quindi si
limitava ad assecondarmi ed ad asserire con il capo sino al termine del
mio
sfogo.
Tuttavia
ciò non
faceva che aumentare la mia irritazione.
“E
smettila di far
si si con la testa senza rispondere! Dannazione! Tira fuori un
po’ di carattere!”
sbraitai alzandomi dal letto e coprendomi con il plaid che giaceva a
terra,
probabilmente per i movimenti notturni.
“Senti
Delia”
disse dolcemente “Credo che agitarsi in questo modo sia
inutile, ora come ora
non credo ci sia rimedio, quel che fatto è fatto e
..” lo vidi interrompersi e
deglutire rumorosamente. Non compresi immediatamente il motivo, ma
seguendo il
suo sguardo notai di avere gran parte del seno in bella mostra, a causa
della
foga doveva essersi scoperto.
Arrossì
fino alla
punta dei capelli e dopo essermi avvolta nell’infida coperta
che avevo tra le
mani, lasciai la stanza di corsa. Non era usuale per me imbarazzarmi,
tutt’altro, ero praticamente stata a letto con il trenta
percento dei ragazzi
del collage in quegli anni, trovando in questo un ottimo diversivo allo
studio
pressante.
C’è chi gioca a scacchi, chi
prende lezioni
di danza e chi come me si dedica ad un’attività
altrettanto interessante, il
sesso.
Ma
questa volta
era diverso, non era un ragazzo qualsiasi quello con cui ero stata, ma
Rafael,
il mio Rafael. Ci eravamo conosciuti il primo anno, entrambe matricole
del
corso di architettura, seguivamo insieme le lezioni e pian piano
avevamo fatto
amicizia. Non avevo mai creduto all’amicizia tra uomo e
donna, ma da quando lo
avevo incontrato quella mia convinzione era miseramente crollata.
Rafael era
speciale, un ragazzo dolcissimo ma allo stesso tempo caparbio, uno dei
pochi in
grado di tenermi testa nei miei momenti di follia – impresa
alquanto ardua. Mia
madre non faceva che riprendermi per il mio carattere , sottolineando
quanto
sapessi essere insopportabile, eccessivamente irascibile e permalosa.
Un mix
orribile, ma a quanto pareva, con i ragazzi il fatto di essere carina
compensava il mio caratteraccio.
Sgattaiolando
per
i corridoi, senza curarmi di recuperare i miei vestiti, corsi verso la
mia
stanza. Pessima idea, a quell’ora la struttura era gremita di
gente e mi
giunsero non poche occhiatacce scandalizzate. Dal canto mio non mi
sarei certo
mostrata imbarazzata dinanzi a quel branco di zoticoni e forte del
pensiero che
tra meno di quarantotto ore avrei lasciato questo posto, continuai a
camminare
tranquilla e a testa alta.
Da
lontano riuscii
a vedere la porta della mia camera, che mai come in quel momento mi
parve
allettante e inconsciamente accelerai il passo per poter finalmente
trovare
riparo da quella situazione sgradevole.
Se il buon giorno si vede dal mattino
allora è meglio che mi barrichi in bagno e non mi azzardi ad
uscirne fino al
nuovo giorno.
Arrivata
dinanzi
alla porta mi accorsi di essere sprovvista di chiave, che naturalmente
doveva
essere rimasta nei jeans o nella borsa. Presi un bel respiro per
placarmi e sperai
vivamente ci fosse la mia compagna di stanza, Jenny. Bussai
delicatamente alla
porta, ma non ci fu risposta ed iniziai seriamente a preoccuparmi.
Presa dallo
sconforto continuai a bussare, intensificando i colpi di volta in
volta, e poco
mi ci volle prima di iniziare ad urlare, sotto lo sguardo sbigottito
dei
passanti e le occhiatacce truci delle ragazze delle stanze vicine,
probabilmente svegliate da mio fracasso.
Dopo
cinque
minuti, nei quali avevo mentalmente imprecato nelle più
svariate lingue, Jenny
con un’espressione assonnata aprì la porta,
venendo prontamente fulminata dalla
sottoscritta.
“Del
…” le parole
le morirono in gola notando il mio abbigliamento poco consono e si fece
immediatamente da parte per farmi entrare.
“Ma
che diamine
hai combinato? Che cazzo ci facevi mezza nuda nel corridoio”
urlò passandosi le
mani tra i cappelli, che in quel momento sembravano
un’immensa balla di fieno.
Un
sorriso
increspò le mie labbra, facendomi guadagnare
un’occhiataccia non poco turbata
dalla mia amica.
“Era
una scommessa
o una delle tue solite cavolate?” sbottò indignata
Scossi
il capo “Ma
che, magari!” esitai il tempo di accomodarmi sulla
poltroncina bianca
all’ingresso “Ho fatto un casino”
biascicai calando il capo
“Chi
ti sei
scopata stavolta?” borbottò
sconfitta.
Ormai aveva ben compreso le mie distrazioni e seppur non le
condividesse, si
era arresa all’evidenza. In questo eravamo molto diverse,
infatti lei era la
tipica ragazza con “la testa sulle spalle”,
costantemente dedita allo studio
che le dava più che ottimi risultati, fidanzata con il suo
ragazzo del liceo da
ormai una quantità di anni per me inconcepibile e
… tremendamente buona. Certo,
fino a quando non la si faceva incavolare, a quel punto diveniva una
belva, in
grado addirittura di soppiantarmi nella classifica delle più
stronze del
collage. In cui mi ero facilmente guadagnata la settima posizione e ne
andavo
più che fiera.
“Allora?”
sbottò
la mia amica in attesa di una risposta, ridestandomi dalle mie
elucubrazioni
Presi
un bel
sospiro, dipingendo sul mio volto un’espressione eloquente
“Rafael”