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Autore: tatagma_    15/07/2018    1 recensioni
[MPREG] Dopo sei settimane dall’ultima folle festa tenutasi a casa di Namjoon, una serie di nausee mattutine e strani cambi d’umore prendono pieno possesso del corpo di Park Jimin. Non ci vorrà molto prima che, attraverso una pigra ricerca dei sintomi sul web ed il ricordo di quella notte trascorsa fra i sedili posteriori di un Pickup, il giovane studente scoprirà di aspettare un bambino. [Jikook]
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Mpreg
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2. Baby Bump
 

Con un forte senso di nausea che smanioso vacillava per il suo stomaco e le paffute dita intrecciate fra quelle avvolgenti di Taehyung, Jimin osservava ormai irrequieto le pareti bianche e dall’odore sterile della stanza attorno a sé.

Lo studio del dottor Kim si presentava ai suoi occhi di modeste dimensioni: le grandi finestre, da cui leggeri trafilavano i raggi del sole, offrivano generose la visione dello scorrere del fiume Han; certificati di abilitazione e probabilmente diplomi di ogni corso esistente al mondo erano invece rilegati in eleganti cornici d’argento ed appese in fila ordinata al muro, mentre un enorme scrivania in mogano, con sopra poggiate cartelle cliniche e fogli sparpagliati, era posta imponente al centro della stanza. La stessa di fronte cui Jimin era seduto ed aspettava, impaziente e con le gambe scosse dai tremori, che il dottor Kim Seokjin facesse finalmente il suo ingresso in studio.

“Sei nervoso ?” sussurrò Taehyung al suo fianco strofinando il pollice sul dorso della sua mano.

Jimin annuì, la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento incapaci di reggere il minimo contatto visivo con il suo migliore amico. “Ho paura” mormorò a fior di labbra.

Taehyung piegò il capo sul suo, stampandogli un dolce bacio sulla tempia “Andrà tutto bene Chim, non è la fine del mondo. Il dottor Kim è uno in gamba, vedrai, ci aiuterà a trovare una soluzione” provò a rassicurarlo. “Hai riflettuto sul fatto di dirlo ai tuoi genitori ?”

Il biondo negò, “Non posso dar loro questa delusione Tae, non accetteranno mai che io aspetti un bambino da qualcuno che non è neanche il mio ragazzo”.

“Jungkook è il tuo ex ragazzo, non uno qualsiasi”

“Fa lo stesso” Jimin si morse il labbro dalla frustrazione. Sarebbe stato così facile illudersi che quel nome e quella parola composta di sole due lettere non avessero su di lui più il minimo effetto, nessuna farfalla svolazzante nel suo addome, nessun battito impazzito nel suo petto. Quanto facevano male al cuore invece, pari ad una ferita brutalmente riaperta, Jimin ancora non riusciva a capacitarsene. “Dopo quel che è successo alla festa non ci siamo più rivolti la parola, a scuola non mi degna neanche più di uno sguardo”.

“Quell’idiota non potrà ignorarti per sempre, soprattutto nella condizione in cui sei adesso”

“Magari lo farà” Jimin si imbronciò “In fin dei conti me lo merito

Taehyung gli accarezzò i capelli sulla nuca con un simil sorriso smorzato a metà bocca. “Forza, vieni qui” disse aprendo le grandi braccia, pronte ad accogliere il peso del suo corpo minuto. Azzerando la voce della sua coscienza, Jimin ci si gettò senza titubare un attimo di più, in quella stretta familiare e rassicurante che era da sempre ormai il suo unico porto sicuro. Il biondo poggiò così la testa sulla spalla del minore e lasciò scorrere lacrime sfuggenti sulle sue guance arrossate, tirando su col naso e ispirando a pieno il dolce odore della sua acqua di colonia.

“Sono una persona orribile, vero ?” mormorò nel suo orecchio “Se penso … se penso di … ”

Abortire ?” tagliò corto Taehyung “No, è soltanto la vita Jiminie”.

I due ragazzi sobbalzarono presto dalle proprie sedie quando avvertirono la porta dell’angusto ufficio aprirsi alle loro spalle. Un uomo in camice impeccabilmente bianco e senza accenno di pieghe, dai capelli corvini e dal sorriso dolce e gentile che subito riuscì a scaldare il cuore di Jimin, fece il suo ingresso stringendo tra le curiose mani quella che aveva l’aria di essere una cartella clinica, contenenti forse i documenti che poco prima il biondo aveva consegnato alla sua segretaria.

Il dottore scrutò uno dei tanti fogli all’interno di quest’ultima e si sedette sulla poltrona di cuoio posta dietro la grande scrivania, poggiando i gomiti su di essa in modo confidenziale quasi a far intendere che nessun tipo di barriera intercorreva tra loro.

“Ciao Jimin”, parlò Seokjin abbozzando un sorriso e cercando, in tutta la sua professionalità, di non far sentire in qualche modo i due piccoli adolescenti a disagio.

“Buongiorno dottor Kim” annuì nervoso.

“Come stai ?” domandò lui a sua volta, gli occhi neri come la pece fissi sul suo viso lo scrutavano con apprensione ma anche con un leggero lampo di preoccupazione. “C’è qualche sintomo che vuoi condividere con me oggi ?”

“Uhm ecco io – “Jimin scrollò le spalle, lo sguardo nervoso e nuovamente vitreo che andò subito alla ricerca di quello rassicurante di Taehyung.

Taehyung ricambiò al volo il tentativo di intesa,  “Lui è –“ titubò leccandosi le labbra dall’imbarazzo “Ha scoperto che –“ mimò poi una conca con le mani proprio lì sulla sua pancia “ – ha capito nò ?”

Il dottore annuì, “Ho afferrato” disse metabolizzando le informazioni date da Taehyung e sfoggiando così una leggera risata, “Hai le nausee, Jimin ?” chiese poi, sfilando una penna dal taschino del camice e iniziando così a scarabocchiare qualcosa su di un foglio.

“Da una settimane circa” rispose. “E in più le vertigini”

“Sei stanco ? Dolori alle articolazioni ?”

“Sì, alle gambe”

“L’ultimo rapporto sessuale ?”

Jimin arrossì, “Due … due mesi fa”

“Hai fatto un test ?”

Il biondo annuì, “Positivo”.

Il dottor Kim smise di annotare e chiuse così con uno scatto la punta della penna. “D’accordo, siediti lì, facciamo un’ecografia” esclamò con dolcezza, alzandosi dalla sedia ed indicando a Jimin di seguirlo in un angolo dello studio, verso il lettino sul quale si sarebbe dovuto accomodare. 

Con un groppo in gola che quasi gli opprimeva le vie aeree, Jimin fece quanto da lui indicato. Si stese sul lettino e tirò su la maglia scoprendo l’addome poco delineato, Taehyung era seduto accanto a lui, la mano ancora stretta tra le sue dita.  “Questo sarà un po’ freddo” disse il dottore spremendo del gel sulla sua pancia e stendendolo con una sonda lì su tutta la sua superficie. Jimin rabbrividì al contatto, a tratti quasi sorrise per il solletico che lo strumento gli stava provocando.

Il medico iniziò a muovere la sonda con una leggera pressione, a destra e a sinistra, pigiando di tanto in tanto la tastiera del computer. Jimin restò ammaliato, con lo sguardo fisso sul monitor, non riuscendo a distinguere un accidenti di niente in mezzo a quel tripudio di striature bianche e nere che si muovevano in sincrono ai movimenti della sonda. Seokjin restò per qualche attimo con lo sguardo fisso sul monitor, le labbra piene distese in una linea e la mascella ben serrata, segnale di chi era in quel momento completamente preso dal proprio lavoro.

“Va … va tutto bene ?” balbettò Jimin dopo un po’.

Il dottore annuì sorridendo, “Più che bene” disse girando il monitor verso di lui ed indicando con il dito un punto preciso lì sullo schermo. “Eccolo qui” esclamò con voce dolce e vellutata che quasi aiutò Jimin a contenere la voglia di urlare e di correre al di fuori dalla stanza “Questa piccola protuberanza è il tuo bambino”.

Seokjin non smise di far pressione sulla sua pancia, voltando la testa dopo poco per vedere la bocca spalancata e gli ampi occhi di Taehyung fissi sullo schermo e sulla piccola forma accartocciata. “O mio dio, Jiminie guardalo … è un fagiolino” sussurrò appena.

“Prendendo in considerazione le dimensioni, sei di circa sette settimane” continuò il dottore mentre spostava il trasduttore un po’ più di lato per cambiare l’angolazione dell’immagine mostrata. “E sembra che tutto proceda bene, nessun segno di sviluppo negativo finora”.

Jimin fissò lo schermo con le labbra dipartite, incapace di proferire parola e di distogliere al tempo stesso lo sguardo da quella piccola macchia grigia. Non riusciva più a muoversi, nessun controllo sui suoi muscoli, non riusciva a fare altro che divorare quella figura con gli occhi che in quel momento brillavano come la più bella delle costellazioni. L’immagine sfocata proiettata sul monitor aveva forme poco delineate ma un centro scuro, e proprio in quell’oscurità, nella sua stessa pancia, c’era lui, vivo, il suo piccolo bambino.

“Dottore io –“ proferì il biondo con voce stridula in un momento di riacquistata lucidità, mordendosi le labbra e trattenendo le lacrime pronte allo scrosciare. Il dottor Kim lo guardò con un dolce sorriso nel tentativo di aiutarlo a rilassarsi e riprendere la calma, percependo in pieno il nervosismo emanato dal ragazzo. “ – Non posso tenerlo”

Jimin sentì male nell’istante in cui i suoi stessi pensieri presero voce. Nonostante non volesse diventare genitore di quel che sarebbe stato uno splendido bambino, così di punto in bianco, e soprattutto in tenera età, il biondo non poté fare a meno di sentirsi un minimo emozionato nel vedere la piccola figura impressa sul monitor e realizzare così a mente ferma che un esserino delle dimensioni di un fagiolo – come aveva detto Taehyung – era proprio lì dentro di lui, frutto del suo stesso corpo. Era una sensazione che mai avrebbe pensato di vivere così presto, ma allo stesso tempo, il giovane ragazzo sapeva che non sarebbe stato in grado di prendersi cura di lui in maniera appropriata, di dargli l’amore e l’affetto che solo un vero genitore avrebbe invece potuto fare.

“E’ okay, Jimin” disse Seokjin spegnendo lo schermo e fornendogli dei tovaglioli affinché potesse pulirsi del gel appiccicoso. “Puoi decidere di abortire fino alla quattordicesima settimana, se la consideri un’opzione valida, siamo ancora in tempo”.

Jimin esalò un respiro di sollievo, non trascurando affatto però il senso di colpa che dall’interno invece lo stava lentamente logorando. Aveva diritto di scegliere, come qualsiasi alto essere umano, e Jimin sapeva che l’aborto sarebbe stata per lui la cosa migliore da fare in quel momento. Era ancora una matricola del liceo, e avrebbe voluto senz’altro frequentare l’università una volta diplomato, continuare a studiare per assicurarsi un futuro roseo, ed un bambino sarebbe stato per lui soltanto un freno su una marcia di slancio. Un bambino richiedeva attenzioni, una famiglia ed una stabilità economica che Jimin a suo malgrado non possedeva affatto.

“Hai solo bisogno di un consenso legale e firmare alcuni documenti di routine, dopodiché ti stilerò un colloquio con uno psicologo affinché tu sia totalmente certo della tua scelta e procedere poi con l’operazione”

“Un legale ?” pigolò Jimin stringendosi nelle spalle.

“Sei minorenne vero ?” chiese il dottore. “Avrai bisogno di un consenso informato di responsabilità medica” disse dopo che il biondo annuì.

“I suoi genitori non possono saperlo. Lo uccideranno…” intervenì Taehyung, bianco in viso.

“Mi dispiace ragazzi, ma non posso ignorare la legge. Avete diritto a ricevere informazioni in maniera autonoma ma devono subentrare i vostri legali dal momento che è di un’operazione chirurgica di cui parliamo”.

“O mio dio …” espirò Jimin debolmente, con lacrime che piene ed incontrollate caddero di nuovo giù dai suoi occhi. Il biondo si ritrovò nel giro di pochi attimi stretto fra le braccia paterne del dottor Kim, le mani che presero a sfregargli la schiena donandogli conforto ed aiutandolo in qualche modo a trasmettere pace e calmare il suo piccolo ma fin troppo evidente attacco di panico.

“E’ tutto okay Jimin, vedrai che i tuoi genitori capiranno”

“No, non lo faranno!” gridò, apparendo probabilmente patetico dinanzi ai suoi occhi. “Lei non capisce dottore non accetteranno mai, non mi daranno mai il consenso per …” spiegò bruscamente nascondendo il viso nel suo collo e piangendo ancor di più quando questo prese ad accarezzargli i capelli.

Non c’era via d’uscita. Nessuna soluzione che potesse aiutarlo a gettarsi quell'assurda storia alle spalle. Jimin era rovinato, decisamente nei guai fino al collo.
 
 


 
 



 
 
Jeon Jungkook aveva una vita perfetta. Una bella casa, situata in uno dei quartiere residenziale più belli di tutta Seoul, dei genitori amorevoli che supportavano a pieno i suoi progetti futuri, ed una buona media di voti a scuola, non eccellente, ma abbastanza alta da fargli meritare ogni volta un sorriso ed una pacca sulla spalle carica di orgoglio da parte di suo padre.

Jungkook era il ragazzo più popolare di tutto l’istituto. Bello da far invidia, con i capelli corvini gettati da un lato a scoprire la fronte, i lobi forati ed un fisico non piazzato ma senz’altro scolpito nelle sue forme. Amante della musica e del canto, una passione tenuta segreta quasi come la più preziosa delle amanti, e decisamente fin troppo portato per gli sport da contatto. Non era un caso che – da qualche anno – deteneva gelosamente, e in maniera anche abbastanza fiera, il ruolo di quarterback della squadra di football del liceo, il quale – con sua grande sorpresa – l’aveva portato per la sua immensa bravura dimostrata partita dopo partita, ad ottenere un ingaggio da uno scout ed una borsa di studio dritta per gli States.

La sua fama a scuola era grande, così grande che non c’era persona, uomo o donna che sia, che, tra un cambio dell’ora e l’altro, non gettava un occhio alla sua sinuosa figura quando quest’ultimo sfilava per gli angusti corridoi della scuola al fianco di Yoongi e Namjoon, i suoi più fedeli migliori amici. Jungkook credeva di avere una vita perfetta, mondana come qualsiasi altro adolescente della sua età, fatta di feste, fiumi di alcol e notti di ordinaria follia. Questo fino a quando il suo cuore non si risvegliò dal longevo letargo e non prese a battere incessante verso un’unica direzione, fino a quando un uragano col nome di Park Jimin non invase e stravolse completamente, da capo a piede, la sua vita.
 
“Stai scherzando, vero ?” domandò Jungkook, con un sorriso nervoso tirato ad uno degli angoli della bocca “Mi stai prendendo in giro” continuava a ripetere ormai da una manciata di minuti, ammutolendosi soltanto quando vide Jimin dinanzi a sé sospirare profondamente e scuotere la testa in segno di resa.

“Ho fatto il test più volte” rispose il biondo corrucciato “E un’ecografia di controllo, l’ho visto con i miei occhi”.

Jungkook si passò una mano fra i capelli scuri, aprendo e chiudendo le labbra incredulo “Non può essere, stai mentendo” mormorò restio facendo un passo indietro.

“Credi sul serio che potrei inventarmi una cosa del genere ?” chiese con espressione accigliata, evidentemente offeso da quello che Jungkook stava di lui insinuando.

“Come faccio a sapere che sia davvero mio ?”, lo accusò lui senza ombra di franchezza sul suo viso.

“Ecco, quella sera alla festa …” cominciò Jimin agitato, abbassando la testa così che Jungkook non potesse vedere le sue guance cambiar colore dall’imbarazzo. “Noi abbiamo … insomma, lo sai”.

“Questo non vuol dire che sia io il padre” chiarì Jungkook cercando invano di distogliere gli occhi dal suo dolce viso e fermare la mente che ormai accelerata non faceva altro che pensare a quanto Jimin potesse apparire carino in quel momento, così timido ed impacciato, avvolto in una delle sue amate felpa oversize lunga fino alle ginocchia, in netta contrapposizione invece con quanto quella notte era stato selvaggio e fuori di se, mentre gemeva sfrenatamente sopra di lui a ritmo delle sue spinte incalzanti.

Niente tra loro sarebbe dovuto più succedere. Non dopo che Jungkook aveva trascorso un anno negli States con la speranza giorno dopo giorno di ricevere, dopo la rottura, un misera telefonata da parte sua, non dopo essersi lasciato tutto alle spalle ed aver faticato così tanto per dimenticarlo. Jungkook si era categoricamente promesso, una volta tornato in Corea, di star lontano da Park Jimin, colui che gli aveva totalmente rubato e ridotto il cuore in brandelli, ma quella dannata festa – organizzata per il suo ritorno – a casa di Namjoon aveva rovinato tutto, il lavoro di un anno ma in primis ogni suo buon proposito di restare calmo e lucido.

Jungkook quella sera tracannò grandi quantità di vodka dritti giù per la sua gola, forse perché inconsciamente sperava che quella, l’unica sua arma lì a disposizione, gli avrebbe dato il coraggio necessario per affrontare il palesarsi della figura inaspettata di Jimin. I due, Jungkook ricordò, erano finiti col guardarsi di sottecchi per tutto il tempo, litigare quando Jimin lo aveva trascinato verso la sua macchina con il tentativo di risanare le loro stesse ferite, e fare sesso, abbandonarsi l’uno all’altro, poiché l’attrazione – se non l’amore – che scorreva tra loro era ancora più vivo che mai.

“Sono di sette settimane, le date coincidono” mormorò Jimin, riportando la mente di Jungkook al presente. Il ragazzo rise nervosamente alla notizia, facendo scivolare le mani sudate lì sui fianchi stretti.

“Non significa un bel niente”, vomitò con un misto di rabbia e rancore.

Jimin sospirò esausto, “Non ho fatto sesso con nessuno al di fuori di te, Jungkook” ammise con imbarazzo, mordendosi le labbra ed evitando di stabilire con lui un contatto visivo.

“Non ti credo” borbottò il moro, lasciando cadere lo zaino sulla gradinata del campo da football e sollevando entrambe le mani su per il viso. “Questo è solo un fottuto scherzo”

“Vorrei che lo fosse …” rispose Jimin sottovoce.

Entrambi rimasero in silenzio per minuti che parvero avere invece la stessa intensità di ore. Jungkook seduto sugli spalti con la testa sepolta tra le ginocchia dalla frustrazione e Jimin qualche scalino più in basso che lo osservava di tanto in tanto, assorbendo come una spugna tutta la sua rabbia ed i suoi nervi a fior di pelle.

“L’aborto ?” propose poi il moro, ponendo la questione a Jimin come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.

“Certo che ci ho pensato, ma ho bisogno del consenso dei miei genitori, o di un legale che mi tuteli”

“E allora chiediglielo!” urlò Jungkook con tono esasperato, rammaricandosi immediatamente dopo aver visto Jimin davanti a sé sussultare e stringersi nella felpa.

“Non posso farlo” rispose il biondo con piccola voce, “Non mi daranno mai il loro consenso per abortire”

Jungkook imprecò qualcosa di incomprensibile sottovoce ed alzò disperato gli occhi al cielo in cerca di una soluzione o un’idea alternativa alla precedente proposta che potesse metter fine non solo a quell’enorme guaio in cui entrambi si erano cacciati, ma a qualsiasi altro episodio obbligasse Jungkook ad avere un rapporto con lo stesso Jimin.

Ma in fondo niente era semplice, vero Jeon ?

“Cosa facciamo ?” chiese Jimin quando vide che dall’altro lato le risposte tardavano ad arrivare.

Noi ?  Oh no principessa non c’è nessun noi in tutta questa storia” sghignazzò Jungkook afferrando lo zaino da terra ed indossandolo su di una sola spalla.

“Non ti sto chiedendo di formare una famiglia felice Jungkook! Soltanto di aiutarmi con la gravidanza così che al termine possiamo poi dare il bambino in adozione”.

“Non mi prenderò cura di lui, Jimin, non esiste

Il biondo sgranò gli occhi e la bocca non appena quelle parole furono pronunciate, "Sei proprio uno stronzo, lo sai ? Questa è anche un tuo problema!” sbottò “Ma dopotutto non vedo perché sorprendermi, scappare è quel che più ti riesce, tutto quello che sai fare !”

Nero, fu tutto che Jungkook vide davanti a se al riecheggiare di quella frase. “Non provare a rigirare la questione Jimin, mi hai capito ?!” urlò puntandogli un dito contro “Non sono io quello che abbandona le persone da un giorno all’altro con uno straccio di messaggio lasciato in segreteria, nemmeno io quello che si fa scopare alla prima occasione sapendo di poter rimanere dopo in queste condizioni !”

“Almeno io quando scopo qualcuno ad utilizzare un profilattico ci penso!”

Quella fu la tanto ed attesa goccia che fece traboccare il loro vaso fin troppo colmo e fragile. Jungkook inspirò a fatica, con un groppo fermo sul cuore e gli occhi accecati dalla rabbia fissi in quelli supplicanti di Jimin, nocciola con delle sfumature ambrate, quegli stessi occhi carichi di genuinità  e purezza cui Jungkook amava osservare ed affogarci, coloro che erano stati capaci di divorargli l’anima, rubargli il cuore, ma al tempo stesso distruggergliela senza il minimo rimorso.

Nel silenzio che – breve e devastante – incalzò imponente tra loro, Jimin si morse la lingua pentito per quanto detto, ma soprattutto colpevole di aver toccato un nervo scoperto ed essersi spinto al di là del suo stesso lastrico. “Jungkook …” mormorò cercando di afferrargli la mano. “Mi dispiace io –”

“Vaffanculo Jimin” sbraitò lui spingendolo via ed allontanandosi così dal campo da gioco sotto il suo sguardo ferito ed affranto “Vaffanculo!”

Una volta rimasto solo, nel loro piccolo posto segreto, su quella gradinata isolata, che tanto fu spettatrice di litigi, baci rubati e dolci promesse sussurrate, Jimin pianse senza più alcun freno. Lacrime di sconforto e di puro disprezzo verso se stesso, caddero dagli angoli degli occhi all’infrangersi come pioggia lì sul terriccio polveroso. Non c’era nessuna giustificazione a cui appigliarsi, Jungkook aveva ragione ad essere furioso con lui, a dargli del codardo, per averlo lasciato solo in un periodo per lui trionfale con la speranza invece – da parte di Jimin – di alleggerire il suo carico e far soltanto il suo bene; un ipocrita per esser corso invece da lui sapendo per certo che tutto quello che avrebbe trovato dall’altro lato sarebbe stata una porta blindata chiusa a doppia mandata.

Jimin si portò le mani sull’addome, singhiozzando a più non posso, abbracciandosi e stringendosi quasi come a creare una fortezza, a proteggere dalle insidie del resto mondo quel piccolo bozzolo che ingenuo cresceva in lui. Non c’era crimine da scaricare o odio da donare, quel bambino, il suo bambino, non aveva nessuna colpa se non quella di essere capitato in un momento in cui il disprezzo era da padrone, e l’amore – tra loro – sembrava ormai essere sfumato via, disidratato come l’ultima delle oasi in un caldo deserto.

Improvviso come un lampo a ciel sereno, un’ancora in un mare in tempesta, il cellulare di Jimin prese a squillare ripetuto ed inquieto nella tasca posteriore dei suoi jeans. Il biondo si asciugò gli occhi, dalla visione ormai opaca, con la manica della felpa ed afferrò l’apparecchio portandoselo all’orecchio senza neanche guardare il nome impresso luminoso sul display.

“Minnie ?” parlò la voce calda e rassicurante di Taehyung.

Jimin tirò su col naso, incapace di nascondere e tenere velato il dolore che in quel momento greve e pesante elargiva sul suo cuore crepato, “Tae … Jungkook …” sussurrò con voce scossa dai singhiozzi “Ho … peggiorato … ho rovinato tutto”.

“O mio dio” mormorò di tutta risposta Taehyung dall’altro capo del cellulare, in tono inaspettatamente affannato quasi come se, alla sua voce incrine, avesse mollato tutto e cominciato a correre di tutta fretta “Stiamo arrivando Jiminie, non muoverti” disse infine prima di staccare bruscamente la chiamata.

Jimin fissò lo schermo del cellulare, la foto impressa su di esso e, con nuove lacrime formatesi e il respiro smorzato per il troppo pianto, solo, attese.


 

N.a: C'è ben poco da dire, tranne che sono pessima perchè ci metto una vita ad aggiornare *sigh*
Bentornati qui miei cari <3 
   
 
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