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Autore: Jeo 95    16/07/2018    3 recensioni
(All27-Family centic)
Disperati. Distrutti. Pronti a tutto pur di riavere ciò che hanno perduto, ciò che gli è stato tolto ingiustamente, e che non sono disposti a lasciarsi alle spalle.
A costo di perdere sè stessi, faranno tutto ciò che è in loro potere per salvare la vita di colui senza il quale non possono vivere.
Perchè un Cielo senza Elementi può vivere ugualmente.
Ma gli Elementi senza un Cielo non possono far altro che perire.
***
(Titolo provvisorio)
Genere: Angst, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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N.d.A.- Chaossu! Ecco il secondo capitolo di Revertemur, più lungo di quanto avevo inizialmente progettato... forse un po' troppo lungo, vedrò di non tirarla troppo per le lunghe la prossima volta u.u
Allora, che dire del capitolo in sè? Devo dire che è stato... intenso. Sia da scrivere, che da revisionare, che da progettare nel suo insieme, spero non sia venuto un pasticcio!
Invito sempre a farmi notare errori, imprecisazioni e altro che potrebbero far storcere il naso!
Ah piccolo appunto: so bene che noi italiani non usiamo suffissi come "-san" o "-sama" o "-kun", ma che posso dire? Aiutano a rendere meglio il gradi di rispetto e confidenza che le persone provano l'una per l'altra, e poi sono una fag del Giappone per certe abitudini, quindi... spero non me ne vogliate!
Buona lettura a tutti e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


p.s.

«.» -dialoghi
"." -pensieri
corsivo -I discorsi dei Guardiani che solo Hayato può sentire.

 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*




Rilassandosi sotto il getto dell'acqua calda, Hayato si sentì rinascere.

Era piacevole crogiolarsi sotto la doccia, in pace, lasciando che lo stress ed i problemi della giornata venissero trascinati via dall'acqua, giù lungo tutto il suo corpo, inghiottiti nello scarico dal quale -e questa Hayato lo sperava davvero- non sarebbero più riemersi. Non troppo presto, almeno.

Erano successe tante cose -troppe in troppo poco tempo- e benché la maggior parte dei suoi ricordi avesse ripreso il proprio posto, c'erano ancora alcuni buchi oscuri che non riusciva a colmare -cazzo, detestava non sapere le cose, specie se in ballo c'era l'incolumità stessa della persona a cui era più legato.

E gli idioti nella sua testa non erano di alcuna utilità.

Chi hai chiamato idiota, testa di polpo?!

«Voi tutti, testa a prato!» ringhiò.

Quando mai aveva accettato quel compromesso? Avrebbe fatto meglio ad arrangiarsi, senza caricarsi di inutili pesi che, a suo dire, l'avrebbero soltanto rallentato -e senza condannarsi a sentire l'irritante presenza di Lambo e di Ryohei costantemente a contatto col cervello.

La buona notizia era che ora -acquisita la consapevolezza ed i ricordi della vita nell'altro mondo- non soffriva più ogni volta che uno degli inquilini indesiderati cercava di comunicare con lui.

Kfufufufu, peccato. Era divertente vederti contorcere come un verme.

Ci ripensò. Avere quel tipo a stretto contatto con la sua mente era certamente il male peggiore di tutta quella situazione.

Attento a non compiere movimenti troppo bruschi -cazzo, sembrava che il suo corpo fosse rimasto piantato nel cemento per almeno dieci anni, tanto era indolenzito e debilitato- finì di lavarsi, beandosi di quella magnifica sensazione per qualche altro minuto.

Chiuse la manopola dell'acqua ed uscì dalla doccia, avvolgendosi la vita in un morbido asciugamano e prendendone un secondo, in cui raccolse la chioma argentea che, in quegli ultimi giorni si era fatta più folta e lunga. Prendendo una ciocca tra le dita, rigirandola e studiandone i riflessi sotto i neon, si disse che forse era arrivato il momento di dargli una spuntata.

Rientrando nella stanza che Luce gli aveva messo a disposizione -senza manette a circondargli i polsi stavolta- Hayato cercava di sentirsi parte di quel nuovo mondo, quantomeno provando a celare il profondo disagio che gli stringeva lo stomaco nell'essere lì in quel momento, in una stanza che non riconosceva come sua. In un tempo in cui non avrebbe dovuto esistere.

«Puoi fermarti da noi quanto vuoi, Hayato-kun.» erano state le parole gentili di Luce, a cui aveva potuto rispondere con un tenue sorriso ed un cenno del capo.

Le era davvero grato -tutti loro lo erano infondo- ma non riusciva a sentirsi parte della grande famiglia in cui la donna l'aveva amorevolmente accolto. La costante sensazione di sentirsi fuori posto, sbagliato, era sempre lì, infida, pronta ad insinuargli il dubbio di non essere altro che un peso per Luce e tutti i Giglio Nero. Forse era davvero così in fondo.

Prese una camicia rossa dall'ampio armadio che gli era stato messo a disposizione, optando per un classico completo nero, come quelli che era solito indossare nel suo tempo, quando poteva stare accanto al suo Boss senza preoccupazioni, felice di vivere con la sua Famiglia, l'unica che avesse mai avuto.

Con i pantaloni issati, lasciò la camicia rossa adagiata sulla sedia della scrivania, concedendosi un attimo di riposo e sedendosi sull'ampio letto a baldacchino -troppo vistoso a suo dire, ma non voleva mancare di rispetto ai Giglio Nero e alla loro gentilezza- e lì lo sguardo balzò immediatamente sulle scritte rosse delle sveglia, poggiata sul tavolino accanto.

Riguardò la data due, tre volte, come ad essere sicuro di non avere letto male, che Mukuro, dalla sua comoda posizione, non lo stesse ingannando con qualche tipo di visione: sfortunatamente, quel bastardo stavolta non aveva alcuna colpa.

Due anni. Erano arrivati due -fottutissimi- anni in anticipo, in un epoca in cui il Decimo non aveva ancora emesso il primo vagito nel mondo. Nana-san non doveva essere nemmeno incinta ancora.

Almeno sappiamo di essere in tempo!

Lo stupido ottimismo di Yamamoto era capace di farlo incazzare anche ora -dopo tutto il tempo che avevano passato insieme, Hayato si tratteneva dal pestarlo a morte solo per non rattristare il Boss- ma si ritrovò a condividere, almeno in parte, la visione positiva di Takeshi.

«Vero, dobbiamo soltanto capire cosa fare mentre aspettiamo.»

«In questo forse posso aiutarvi io.»

L'ingresso di Luce fu inaspettato, ma Hayato non si scompose, alzandosi dalla sua posizione e salutando il Boss Giglio Nero con un inchino, scusandosi per l'abbigliamento indecoroso con cui le si stava presentando. Luce lo rassicurò, per nulla infastidita dalla visione del suo giovane ospite privo della camicia, come se fosse ormai un'abitudine per lei assistere a quella medesima scena infinite volte. E forse -vivendo con così tanti uomini sotto la propria ala- non era poi lontano dalla realtà.

Ciò che la disturbò veramente fu altro.

Luce si fermò a pochi passi da lui, studiando con lo sguardo l'imponente figura di Gokudera Hayato, alto almeno tre spanne più di lei, dal fisico allenato e le spalle larghe, un esempio di forza e bellezza che avrebbero fatto gola ad artisti di grande fama.

Una bellezza marmorea ma vissuta nonostante la giovane età, da imprimere nella pietra e tramandare negli anni a venire. Un'opportunità che nemmeno Michelangelo Buonarrotti si sarebbe lasciato scappare.

Eppure, pur mantenendo la sua bellezza, ciò che tolse il sorriso a Luce fu il trovare su quel corpo così giovane, così tante cicatrici da non riuscire nemmeno a contarle tutte: solchi profondi che scavavano la pelle in profondità, sparsi su ogni parte del corpo del ragazzo, con l'unica eccezione del viso. Il volto era rimasto immacolato, bello, fiero e nel pieno della propria giovinezza perduta.

Senza timore, senza chiedere il permesso e lasciandosi guidare dal proprio istinto, Luce alzò una mano fino a quando non riuscì a sfiorare con le dita quelle cicatrici così terribili quanto ipnotiche.

Gokudera la lasciò fare, studiando il tocco gentile con cui Luce gli sfiorava ora l'addome, ora il petto, poi su fino al braccio, ogni volta su una ferita diversa, su una ferita non solo sua.

«Mio Dio...»

«È stato il prezzo da pagare. Per diventare uno dovevamo condividere ogni cosa, ferite comprese.»

Per diversi istanti rimasero in silenzio, Luce che studiava tocco per tocco le cicatrici, e Hayato che semplicemente la guardava, cercando di capire cosa pensasse -cosa provasse nel vedere il suo corpo sfregiato.

Alla fine fu lui a rompere quel cupo silenzio, cercando di sdrammatizzare, strappando Luce dalle visioni che le ferite le stavano mostrando.

«Non è così grave, poteva andare molto peggio. Potevo perdere un occhio ed ereditare permanentemente quello del pazzoide con la testa ad ananas. Per fortuna non è successo.»

Kfufufufu vuoi forse morire, Gokudera Hayato? Sappi che da qui ho un ottimo accesso alla tua mente.

Ignorando la minaccia di Mukuro -al diavolo, se sperava di spaventarlo con così poco non lo conosceva per niente- si costrinse a sorridere. Non serviva metterla in ansia su qualcosa di inutile come quelle ferite vecchie ormai di diversi anni, che non avevano alcun significato se non quello di provare l'effettiva unione dei Guardiani della Decima Generazione Vongola.

«Sul serio, Luce-sama, non angustiatevi per noi, non ce n'è davvero bisogno.»

Luce annuì meccanica, senza alzare lo sguardo dalle cicatrici, lasciando che le visioni continuassero a susseguirsi una dietro l'altra, avida di conoscere la storia dietro ognuna di esse.

Spade. Bombe. Fili. Coltelli. Fulmini. Fuoco. Proiettili. Fiamme. Numerose, varie, una più dolorosa dell'altra -solo guardando poteva percepire il dolore che ognuna di essere aveva procurato- e ognuna appartenente ad un viso diverso.

Solo in alcune aveva visto il bel viso di Gokudera -adirato, sofferente, impotente- mentre altri volti a lei ignoti si erano mostrati ai suoi occhi, nel momento esatto in cui lo sfregio era stato inflitto.

«Deve essere stata dura per te, per voi. Lui deve essere una persona eccezionale per meritarsi la vostra lealtà.» Luce gli sorrise, incrociando le braccia dietro la schiena e sporgendosi in avanti, nascondendo dietro la sua solita spontaneità il tremito che le correva lungo le braccia.

Ciò che quei ragazzi avevano passato, ciò che lei era riuscita a vedere in quel momento, era un futuro che non poteva accettare. Troppo dolore, troppa sofferenza e violenza ingiustificata. Come poteva lasciare Aria -la sua amata ed unica figlia, la luce che ancora la legava a quel loro mondo- in balia di un futuro come quello? Non poteva, semplicemente si rifiutava di lasciare che la sua bambina vivesse la sua vita nel dolore e nella disperazione.

Hayato lasciò che un tenue sorriso gli increspasse le labbra sottili -il ricordo della calda luce del Cielo che lo avvolgeva ancora impressa nel corpo e nell'anima- guardando Luce senza vederla davvero, perso nei suoi stessi ricordi.

«Si, lo era.»

E lo sarà di nuovo. Una promessa, a sé stesso e agli altri, che avrebbe mantenuto a qualunque costo.

E faremo in modo che nulla si metta sul nostro e sul suo cammino.

Hayato ghignò. Per una volta, la stupida mucca aveva detto qualcosa di sensato.

Tornò a concentrarsi sulla donna -Gokudera non le disse mai di aver visto la sua mano tremare, né della lacrima che le era sfuggita lungo la guancia mentre studiava il suo corpo sfregiato- chiedendole con cortesia se le servisse qualcosa, data la sua presenza nella stanza.

Luce parve riprendersi, ricordando come un fulmine a ciel sereno il motivo per cui, quella mattina, era corsa nella stanza del suo giovane ospite con aria allegra.«Ah sì! Io volevo...»

Un capogiro, gli occhi stanchi e pesanti all'improvviso, la consapevolezza di non riuscire a reggere più neppure il proprio peso, ed il mondo iniziò a vorticare pericolosamente attorno a lei. Luce sentì la forza venirle meno, le gambe molli all'improvviso, e se Hayato non fosse stato lì al suo fianco, probabilmente sarebbe caduta al suolo.

«Luce-sama!»

Mentre le fastidiose voci dei suoi compagni gli rimbombavano nei timpani -le Fiamme agitate che spingevano per liberarsi, in apprensione e panico- Gokudera si preoccupò di prendere tra le braccia la fragile donna che si era accasciata ai suoi piedi, adagiandola sul proprio letto e concedendole qualche attimo di riposo. Il respiro si era improvvisamente fatto più rapido, affannato, ed era talmente pallida da sembrare quasi un fantasma. Nonostante tutto però trovò le forze per sorridergli e rassicurarlo.

«Non avrei... voluto... mi vedessi... così.... Che i-imbarazzo...» e Hayato si dovette ricredere.

Luce non era affatto fragile -no, una donna fragile non avrebbe mai potuto sorridere a quel modo, non in quella situazione- al contrario era una delle donne più forti che avesse mai incontrato.

Kfufufufu, pare che la maledizione sia progredita più di quanto non avessimo previsto.

Hayato annuì.

«Si, credo anche io che sia a causa della maledizione.» mormorò tra se e se, toccando la fronte della donna e soffocando un'imprecazione. Era gelida come il ghiaccio.«Luce-sama... Luce-sama, da quando sei sotto l'influenza della maledizione?»

Si diede dell'idiota da solo. Come aveva potuto non accorgersene prima? Eppure era ovvio che la maledizione esistesse da tanto -troppo- tempo. Perchè Luce-sama era già un Arcobaleno -lei stessa lo aveva confermato il giorno in cui si erano parlati per la prima volta, ormai quasi una settimana prima- eppure era già tornata alla sua forma adulta.

Mantieni la calma, testa di polpo! Dobbiamo estremamente aiutarla!

Luce lo guardava, e con un sospiro confessò che erano ormai diversi anni -quasi venti se la memoria non la ingannava- che il ciclo della maledizione aveva avuto il suo inizio.

Hayato imprecò. “Fanculo, se solo fossi stato più attento!”

«A-Aria... l-lei... lei sa già tutto. P-presto... presto i miei poteri... passeranno a lei...» tirò fiato, abbastanza da riuscire a guardare Hayato negli occhi per qualche istante, sorridendogli mortificata. Erano davvero belli, gli occhi azzurri di Luce, determinati come lo erano stati quelli di Yuni quella volta, quando avvolta dall'abbraccio di Gamma era stata pronta a sacrificare la propria vita per salvare le vite di tutti loro.

«A-Avrei voluto... solo più tempo... p-per stare con lei... e-e vederla crescere...» forse l'unico rimpianto che Luce non avrebbe mai potuto lasciarsi alle spalle.

H-Hayato-san, dobbiamo salvarla!

Chrome gli suonò disperata, ma Gokudera non si mosse. Strinse i pugni contro il letto, mordendosi a sangue il labbro inferiore, impotente, incerto su ciò che era giusto fare in quel momento.

Loro erano lì per cambiare il futuro -tutto ciò a cui avevano rinunciato, che avevano abbandonato nell'altro mondo, l'avevano fatto per garantire al loro Cielo la felicità che meritava- ma allo stesso tempo sapevano che modificare troppo la storia che loro conoscevano avrebbe potuto portare a cambiamenti ben oltre le loro previsioni.

Era giusto lasciare che il tempo facesse il suo corso, che gli eventi si ripetessero in successione come era stato, anche se questo significava lasciare che alcune vite venissero sacrificate.

Un ringhiò basso, la frustrazione che mutava in determinazione.

“Fanculo! Il Decimo non l'avrebbe permesso!” fu il suo unico pensiero. Il Boss avrebbe sacrificato la propria vita pur di concedere a qualcun altro di vivere anche solo pochi minuti in più, ed Hayato non sarebbe rimasto immobile a guardare mentre qualcuno moriva davanti ai suoi occhi. Non avrebbe più potuto fronteggiare il Decimo, se avesse lasciato che la maledizione degli Arcobaleno continuasse a causare vittime quando poteva fermarla.

Luce meritava di crescere la propria figlia, meritava di conoscere la straordinaria nipote che avrebbe avuto in futuro.

Alle variazioni temporali -e a qualunque altro fottuto problema ad essi legato- ci avrebbe pensato dopo.

Erbivoro, fallo.

Hayato ghignò. «Tze, non ho certo bisogno che venga a dirmelo tu!»

E dentro di sé sentì che ognuno di loro provava lo stesso, le Fiamme si agitavano nel suo petto, bruciando di impazienza, in risposta al desiderio che animava gli spiriti dei Guardiani. Era il volere del Decimo, e fino alla fine l'avrebbero rispettato.

Luce guardò gli occhi verdi di Hayato -così chiari, bellissimi- e vide di nuovo quella speranza che l'aveva spinta a salvarlo, una luce abbagliante alla fine di un lungo tunnel avvolto nel buio.

«Luce-sama, sai quanto tempo ti resta? Ti prego, è importante!»

A fatica, privata delle energie necessarie anche solo per parlare, Luce sentiva la stanchezza renderle il corpo pesante, incapace di compiere qualsiasi movimento. Una calda Fiamma del Sole la irradiò, inondandola di abbastanza energia da far si che il respiro tornasse regolare. Doveva anche aver ripreso un po' di colorito, ma non ne era sicura.

Vide Hayato accanto a lei, sorriderle, mentre da uno dei numerosi anelli che portava sempre con sé, Fiamme del Sole la riportavano alla vita. Per un attimo, un secondo, Luce credette di aver visto gli occhi del giovane cambiare colore, ma forse era stata solo una sua impressione. Eppure -si ritrovò a pensare, beandosi delle Fiamme che le venivano generosamente offerte- quella tinta argentata che le parve di aver intravisto era davvero nitida, per essere una semplice illusione.

«Due settimane. Forse meno.»

«Non è molto tempo, ma dobbiamo estremamente provarci.» Hayato -era davvero lui?- le sorrise donandole qualcosa che da molto tempo non aveva più: una speranza.

«Possiamo farlo, noi possiamo spezzare la maledizione, Luce-sama!»


 

***


 

Due settimane non erano molte, ma l'influenza che Luce aveva nella mafia fu abbastanza da permettergli di raccogliere abbastanza persone con potenti Fiamme dell'Ultimo Desiderio necessarie a spezzare una volta per tutte la maledizione.

In quella dimensione, in un fortuito scherzo del destino, sembrava che l'esistenza delle Fiamme attive fosse di dominio pubblico -sempre limitata però in campo mafioso mondiale- in largo anticipo rispetto a quanto non fosse stato nel loro mondo. Più si era abili nel controllare le proprie Fiamme, più fama e rispetto si guadagnava tra i membri della mala. Anche la purezza delle Fiamme ed il tipo erano importanti quanto le abilità.

Nervosamente, cercando di allacciarsi la cravatta più alla svelta possibile, Hayato si chiese come fosse riuscito il Decimo a sopportare tanta pressione, la prima volta che aveva dovuto parlare davanti a così tante persone potenti riunite tutte in un solo punto.

Tsuna è una persona davvero speciale.

«Tze, non ho certo bisogno che me lo dica tu, idiota del baseball!»

Era ovvio che il Decimo fosse speciale -Hayato lo sapeva dal loro primo incontro, quando gli aveva salvato la vita dalla sua stessa stupidità- non doveva certo ricordarglielo quell'idiota.

Kfufufufu pare che il nostro caro Guardiano della Tempesta non regga la pressione.

«Chiudi il becco, testa ad ananas! Vorrei davvero vederti al mio posto!»

Ripensandoci, lasciare solo Rokudo Mukuro in presenza della maggior parte dei Boss delle più potenti famiglie mafiose in circolazione non era affatto una buona idea, e si ritrovò a ringraziare il destino che fosse lui l'unico a poter contenere le Fiamme e le volontà degli altri Guardiani.

Si legò i capelli, indossando la giacca e osservando la maschera che Luce gli aveva messo a disposizione per l'occasione, sotto sua specifica richiesta. Non poteva causare problemi al sé stesso di quel mondo -benché non fosse ancora nato voleva prevenire ogni possibile associazione con colui che sarebbe stato un giorno Gokudera Hayato- e Luce si era trovata a concordare con il suo pensiero.

Una volta finita la cerimonia, sfuggito alle sicure domande che gli Arcobaleno e le altre famiglie avrebbero probabilmente avuto per lui, avrebbe fatto in modo di essere irriconoscibile a chiunque.

«Nervoso?» Luce fece capolino nella stanza, sola, ancora pallida per gli sforzi delle ultime settimane, ma più speranzosa di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni.

«Un po'. Mi chiedevo come avesse fatto il Boss a reggere la pressione, l'altra volta. Ogni giorno mi rendo conto di quanto fosse straordinario.»

Luce sorrise, sfilando con delicatezza la maschera dalle dita di Hayato e piazzandogliela sopra il naso, assicurandosi che fosse ben salda sul suo viso, abbastanza grande da coprirgli gli occhi e nascondere a tutti la sua identità.

«Questo ti aiuterà a camuffare la voce, è un po' rozzo, ma in quest'epoca è tutto ciò che posso offrirti.»

Sorridendo, Hayato prese tra le dita il piccolo dispositivo che il Boss dei Giglio Nero gli aveva fornito, piazzandola con precisione tra i molari in fondo alla bocca, masticando con delicatezza un paio di volte per assicurarsi che non scivolasse all'improvviso.

«Il vostro aiuto è stato fondamentale, Luce-sama. Non potremo mai ringraziarvi abbastanza.»

Dandogli un leggero colpetto sulla fronte -amorevole, delicato, come quello di una madre- Luce lo guardò con gratitudine, come se fosse lei ad avere un debito impossibile da saldare nei loro confronti.

«Sono io che non so come ripagarvi, Hayato-kun. Tu... voi mi state dando la possibilità di crescere mia figlia, di vivere questa vita che credevo di dover abbandonare.»

Restarono a fissarsi per alcuni istanti. Gokudera credeva di dovere la vita a Luce, che senza di lei non sarebbe vissuto abbastanza da vedere ancora il Boss, e allo stesso modo Luce credeva di dovere tutto ad Hayato -a tutti i Guardiani che custodiva gelosamente nella propria anima- che le stava dando una speranza in cui non credeva più dal giorno in cui era stata maledetta.

C'era rispetto e gratitudine tra loro, un rapporto semplice ma complesso al tempo stesso, costruito oltre lo spazio ed il tempo, nascosto a tutti coloro che non avrebbero mai potuto capire davvero.

Offrendole il braccio, Hayato si propose di accompagnarla fino alla sala in cui gli ospiti attendevano con ansia il loro arrivo. Luce lo accettò volentieri, schierandosi accanto al giovane a cui avrebbe offerto supporto per sfuggire alle domande dei curiosi e dei diffidenti.

«Hai già deciso come ti presenterai agli altri?»

In un modo o nell'altro -in uno spazio/tempo che non sarebbe mai stato davvero suo- il nome Gokudera non avrebbe più accompagnato la sua immagine, lasciandosi alle spalle sia i ricordi felici che quelli tristi, sia i rimpianti del passato che le gratificazioni del futuro.

Tuttavia non poteva permettersi di assumere le identità degli altri Guardiani, per più o meno lo stesso motivo. Tutti avevano un altro io che aspettava l'occasione giusta di legarsi al Cielo, e non potevano lasciare che entrassero in contatto con la mafia prima di quanto non fosse necessario.

«Ne abbiamo discusso, e com'era ovvio dovremmo abbandonare i nostri cognomi, nessuno escluso.» era stato difficile, ma necessario.«Tuttavia manterremo i nostri nomi. Escludendo la cerimonia di oggi, sono nomi piuttosto comuni in Giappone, non dovrebbero crearci troppi problemi.»

Luce ammirava la forza con cui stavano affrontando il loro destino. Erano giovani -stando alle parole di Hayato il più piccolo doveva avere sedici anni o poco meno- e nonostante questo non si erano lasciati intimorire da nulla, sfidando le stesse leggi dell'universo pur di ricongiungersi e proteggere il loro Cielo. Chiunque fosse degno di tale lealtà -pensò Luce mentre sorrideva alla determinazione di Hayato- doveva essere una persona davvero straordinaria. Le sarebbe piaciuto conoscerla, un giorno.

«A tal proposito, come dovrei presentarti ai nostri ospiti?»

Ci avevano pensato, tutti quanti insieme, e visto che sarebbe stato Hayato a controllare l'intera operazione, l'unico nome in codice a cui avrebbe risposto sarebbe stato solo uno.

«Arashi.»

Kfufufufu, manchiamo di fantasia eh?

«Di sicuro meglio di qualsiasi vostro suggerimento, testa ad ananas!» ringhiò, strappando a Luce un sorriso divertito.

Davanti alla porta che li separava dal salone in cui gli ospiti attendevano trepidanti, Hayato sentì i muscoli irrigidirsi sotto la pelle, incapace all'improvviso di muovere un solo passo. Sentiva gli occhi del Boss Giglio Nero puntati addosso, preoccupati, ansiosi, ed un nodo alla gola gli impediva di respirare con tranquillità.

Respira, Gokudera. Vedrai che andrà tutto bene.

Takeshi era sempre stato il più calmo tra loro. Era l'unico in grado di riportare la tranquillità là dove tempesta e sole portavano la loro caotica energia, dove il fulmine devastava con la sua irruenza, dove la nuvola oscurava con la sua forza, e dove la nebbia portava il caos dietro il suo spesso muro di fumo. Un pioggia gentile che lavava via ogni problema.

Infondendo le sue Fiamme nei suoi stessi muscoli, lasciando che queste fluissero in ogni parte del suo corpo, sciogliendo la tensione e rilassando i nervi, Hayto ritrovò la calma necessaria ad affrontare la situazione.

«Sono pronto.»

Non ringraziò Takeshi -si sarebbe tagliato la lingua piuttosto- ma non ci fu bisogno di farlo. Si conoscevano da tanto tempo -poteva contare sulla punta delle dita le volte in cui era stato felice di quella loro lunga amicizia- e anche senza parole che esprimessero i loro sentimenti, Yamamoto aveva già percepito la gratitudine della tempesta. E poi era letteralmente a stretto contatto con la sua sfera emotiva, doveva farselo bastare.

***


 

La magione Giglio Nero era in fermento quel giorno, ospitando nel suo ampio salone e nel curatissimo giardino sul retro alcune delle più importanti figure appratenti al mondo della mafia.

Tra le tante facce conosciute, Hayato riuscì ad individuare alla prima occhiata Sawada Iemitsu -più giovane di quanto lo ricordava, non troppo lontano dalla sua età- che affiancava il Nono Boss dei Vongola, Timoteo di Vongola, sorridendo e conversando con qualche altro Boss minore di cui Gokudera non ricordava il nome.

Poco distante quello che immaginò essere il padre di Cavallo Pazzo, l'attuale Nono Boss della Famiglia Cavallone, vestito di tutto punto in un completo color crema a righe verticali. Nonostante l'età avanzata, Hayato non potè fare a meno di notare la spaventosa somiglianza del padre con il figlio.

Se l'erbivoro oserà farsi vivo, lo morderò a morte.

«No che non lo farai, dannato Hibari. Sta buono o ti faccio esplodere.» per quanto poco tollerasse la presenza di Bronco -ogni volta che la stupida faccia di Cavallone gli tornava alla mente avrebbe voluto farlo saltare in aria per sempre- non voleva rischiare di attirare troppo l'attenzione.

E lasciare alla nuvola la possibilità di ammazzare l'erede dei Cavallone era ben oltre che semplice “attirare l'attenzione”: era una vera e propria dichiarazione di guerra.

I cognomi, Gokudera. Dobbiamo smetterla di chiamarci con quelli.

«Guarda che l'hai appena fatto anche tu, maniaco del baseball.» la fastidiosa risata di Takeshi lo fece grugnire.

Tornando a scorgere tra la folla, Hayato individuò un altro paio di visi noti e conosciuti, tra i quali quello di un uomo alto e possente, con una grossa spada dietro la schiena e -ma di questo si accorse solo ad una seconda occhiata- privo di una mano. Solo riconoscendo la divisa che indossava, Hayato capì trattassi di Tyr, l'Imperatore della Spada prima di Squalo e attuale capo della Squadra Assassina dei Varia.

Era terrificante guardare la lunga cicatrice che gli deturpava il viso, in un perfetto taglio obliquo che attraversava tutta la lunghezza del volto. Le Fiamme indaco di Chrome dentro di lui tremarono appena, mentre la scemucca scoppiò a piangere per quanto quel tizio lo impressionasse, agitando le Fiamme del Fulmine in un miscuglio di paura e terrore. Uno sfrigolio verde brillò sull'anello che teneva nella mano destra, ma fu in grado di sopprimerlo all'istante.

«Stupida mucca... vedi di contenerti.»

«Tutto bene, Ha... Arashi?» si corresse Luce al suo fianco, mentre avanzavano lungo il corridoio superiore, ancora nascosti agli sguardi degli ospiti, diretti alla tromba delle scale che li avrebbe portati al centro esatto della sala.

Con un'occhiata furtiva, Hayato scorse gli altri sei Arcobaleno, accerchiati dagli uomini di Luce in modo che non venissero disturbati, e si perse un secondo di troppo sulla figura famigliare di Reborn.

Sorrise.

«Mai stato meglio.»

Le Fiamme del Sole si agitarono in risposta alla sua emozione.

Yosh! È tutto estremamente elettrizzante!

Uno degli uomini di Luce -Pietro, se non ricordava male- annunciò l'arrivo del proprio Boss alla sala, che piombò in un silenzio glaciale, opprimente. Tutti gli sguardi si fissarono su di loro, e nessuno fiatò.

Studiavano Luce, avvolta nel suo classico abito bianco -il vestito che ogni Boss Giglio Nero aveva avuto fin dalla prima generazione- e sul misterioso figuro che la teneva saldamente sotto braccio, il volto celato da una maschera nera, nascondendo alla vista degli ospiti non solo i tratti del viso, ma anche gli occhi del giovane uomo.

Quando scese anche l'ultimo scalino, gli Arcobaleno si radunarono attorno al loro Boss, scrutando il ragazzo al suo fianco con sospetto e diffidenza. L'esperienza aveva insegnato loro che fidarsi di qualcuno che indossava una maschera non era mai una buona idea.

Con un cenno del capo Luce li tranquillizzò, rivolgendo poi la sua attenzione agli ospiti che avevano risposto al suo appello, accogliendoli nella sua dimora con un caldo sorriso, senza però mai staccarsi dalla forte presa di Arashi.

«Ringrazio tutti voi per essere qui oggi.» cominciò, rivolgendo poi le proprie attenzioni agli Arcobaleno. Si soffermò appena su Reborn, scambiando con lui uno sguardo più intenso, carico di significati nascosti che solo loro sapevano.«Vi starete tutti chiedendo il motivo della mia improvvisa chiamata, ebbene è giunto il momento delle spiegazioni.»

Fece qualche passo al centro della sala, Arashi sempre al suo fianco, pronto a sostenerla nel caso in cui le forze le fossero venute meno.

«Come sapete, una terribile maledizione cade sulla testa dei sette Arcobaleno, i cosiddetti bambini più forti del mondo, di cui io stessa faccio parte.»

Ci fu un brusio generale, di chi sapeva e di chi invece era rimasto sconvolto nell'apprendere che il Boss Giglio Nero -una donna all'apparenza adulta e per certi versi comune- facesse parte del gruppo di bambini maledetti. Gli stessi Arcobaleno trovarono assurdo che il loro capo si fosse esposto ad un tale rischio rivelando la sua natura.

Per un attimo, Luce credette di aver fatto un errore. I bisbigli diventarono parole, e le parole diventarono urla. Presto, la confusione invase il salone, e la sua voce -debole, troppo debole, ormai era al limite- non riusciva a sovrastare il caos che lei stessa aveva generato.

«Silenzio!» l'urlo di Arashi, furioso, terrificante, avvolto in un'aura omicida talmente intensa da far rabbrividire perfino gli Arcobaleno, risuonò nella sala come un eco. C'era la tempesta più impervia nella sua aura, e di nuovo calò il silenzio.

Luce gli fu grata, carezzandogli la mano affinché richiamasse le sue Fiamme -sfuggite sotto forma di aura omicida che era stata capace di incutere timore nei Boss mafiosi più famosi del loro tempo- e cercando almeno in parte di sciogliere la tensione che si era venuta a creare. Non voleva incutere timore nei suoi ospiti, non quando non le sembrava necessario.

«So che molti di voi avranno molte domande, saranno confusi dalle mie parole, ma vi prego di ascoltare fino in fondo ciò che ho da dire.» si voltò verso il giovane al suo fianco, poggiandogli una mano sul petto e riprendendo fiato -no, non ancora, mancava poco, doveva resistere.«Lui è Arashi, un mio fidato sottoposto, una persona in cui ripongo la mia più totale fiducia. È grazie a lui che siamo qui oggi, per la sensazionale scoperta che è riuscito a compiere.»

Arashi fece un passo avanti, sostenendo Luce per le spalle e accertandosi che stesse bene, che le forze la sostenessero ancora, e solo quando fu sicuro delle sue condizioni si rivolse alla folla.

A Reborn non piaceva come quei due stavano vicini, non gli piaceva vedere il contatto fisico che c'era tra loro, la fiducia incondizionata che Luce aveva in quel ragazzo di cui perfino lui -non riusciva davvero a crederci- non conosceva l'esistenza. Ma non disse nulla e rimase in ascolto, fiducioso che qualsiasi fosse il motivo per cui il Boss degli Arcobaleno avesse taciuto la verità sul misterioso sconosciuto, avesse sicuramente un valido motivo alla base.

«Ho trovato il modo per spezzare la maledizione degli Arcobaleno.»

E di nuovo, fu il caos.

Arashi odiava davvero essere interrotto. Mentalmente ringraziò Luce per avergli impedito di presentarsi armato a quell'incontro, poiché se avesse avuto alcuni dei suoi candelotti di dinamite a portata di mano l'intera magione sarebbe diventata una bomba ad orologeria.

C'erano sempre gli anelli però, da quelli non si separava mai.

Posso sempre prestarti il mio potere, è particolarmente efficace sugli stolti.

Pensò alla proposta di Mukuro, lo fece sul serio, invece si limitò ad urlare, alzare la voce come soltanto Ryohei sapeva fare.

E alla fine riuscì ad avere l'attenzione di tutti quanti.

«Sembra che la festa sia qui.»

L'ingresso dei Vindice fu altrettanto caotico. Alla vista di Bermuda ed i suoi uomini, molti persero la calma, dominati dal panico di avere i carcerieri più spietati del mondo malavitoso proprio davanti agli occhi, ma Arashi non si fece intimidire.

Li aveva già battuti una volta, e anche se l'altra volta era stato il Decimo a farlo, era piuttosto fiducioso di poter uscire vincitore da un eventuale scontro con i Vindice.

Tze, ti sopravvaluti un po' troppo, erbivoro.

Come se lui non pensasse lo stesso.

Si fecero largo lungo la sala fino a che Arashi non se li trovò ad un palmo dal naso, e rimase fermo a studiarli con diffidenza, portando Luce dietro di sé come a volerla nascondere dalla stessa presenza di Bermuda e Jager.

«Sono qui ragazzo, come promesso.» gli rivolse il bimbo, senza muoversi dalla sua posizione sulla spalla del suo braccio destro.

Arashi annuì.«Ne sono lieto. Non ti pentirai di avermi dato ascolto, Bermuda.»

Un soffio stizzito lasciò le labbra del capo Vindice.«Sarà meglio per te, ragazzo. Altrimenti la mia prigione sarà l'ultima cosa che vedrai per il resto della tua vita.»

«Un motivo in più perché il mio piano funzioni allora, non ho intenzione di passare l'eternità a fissare il brutto muso di voi Vindice.»

Se fosse stato solo, probabilmente Jager l'avrebbe picchiato, ma sembrava che la spontaneità con cui si permetteva di parlare divertisse il più piccolo dei carcerieri.

Arashi non poteva vederlo in viso, ma era certo che Bermuda stesse ghignando.«Bene. Dove è il buffet quindi? Sto morendo di fame.»

L'ingresso di Kawahira invece fu più difficile da controllare. L'odio di Bermuda e degli Arcobaleno per quell'uomo era fresco e pulsante, fu dura costringerli ad ascoltare il suo piano piuttosto che saltare alla gola di Checker Face, ma in qualche modo ci riuscì. Forse -e soltanto forse- aveva richiamato le Fiamme della Pioggia per acquietare gli animi. E forse -ma sempre e solo parlando per ipotesi- sotto la maschera, gli occhi si erano tinti di marrone.

Sentì lo sguardo di Kawahira addosso tutto il tempo in cui illustrava come con l'aiuto di Talbot e le Fiamme della Notte dei Vindice potevano contenere il potere dei ciucci senza sacrificare le vite dei correnti Arcobaleno, e senza la necessità di crearne di nuovi, ma finse di non accorgersene. Lo incuteva quel tipo, passato o presente che fosse.

«Dopo questo rilascerai la maledizione sui sette qui presenti e Lal Mirch, chiudendo definitivamente il ciclo di sacrifici umani senza però intaccare l'equilibrio del mondo.»

Alle orecchie di tutti sembrava un piano ragionevole e ben studiato, che necessitava soltanto di Fiamme potenti per essere messo in atto -questo spiegava quindi il radunare tante figure importanti del mondo della mala. Tuttavia, Kawahira sembrava più interessato al ragazzo in sé che non a quello che aveva da dire.

«Hai una strana aura, ragazzo. Come se dentro di te ci fosse di più... sei, no, sette Fiamme brucianti e attive.» per un attimo, Arashi tremolò.

Checker Face sorrise, strizzando un occhi nella sua direzione ed accettando il compromesso che gli era stato spiegato.

La cerimonia fu più lunga di quanto non ricordassero -non ricordavano di aver usato così tanta energia la prima volta, ma forse dipendeva dalla potenza delle Fiamme donatrici- ma ringraziando gli Dei e la buona stella degli Arcobaleno, tutto sembrò andare per il verso giusto.

Finalmente la maledizione era sciolta ed il ciclo degli Arcobaleno interrotto. Tutto era bene, quel che finiva bene.

«Fermi tutti! Se la maledizione è spezzata, spiegatemi perché sono ancora un lattante!» protestò Skull, levandosi il casco seccato e battendo un piede a terra con forza.«E perché invece Lal è tornata come prima?!»

Di tutti i maledetti, esclusa Luce, Lal Mirch era l'unica ad aver riacquistato sembianze adulte.

Kawahira si sventolò il viso con il ventaglio che teneva sempre nella manica, sghignazzando fastidiosamente.«La maledizione è spezzata, Skull-kun, di questo puoi starne certo.»

Arashi affiancò Luce per assicurarsi che stesse bene, supportando allo stesso tempo le parole di Checker Face.

«Non preoccupatevi, dovreste ricominciare a crescere a breve. Tempo qualche anno e sarete tornati alle vostre età originali. Lal Mirch è tornata subito alla sua età originale poiché non era un Arcobaleno completo, mentre per quanto riguarda voi, Luce-sama... Luce-sama!»

Luce era crollata a terra sulle ginocchia, improvvisamente fattesi deboli e molli, incapaci di sostenere ancora a lungo il suo stesso peso. Piangeva, le mani a coppa le coprivano la bocca, mentre il suo piccolo Cosmo -dove fosse stato fino a quel momento, Arashi non lo sapeva- le corse incontro, sistemandosi sul grembo della padrona e guardandola preoccupato.

«Io... Io posso v-vivere... posso stare con la mia Aria... io... io sono viva.» non ci credeva, non ci riusciva.

Arashi sorrise, stringendole una spalla e rassicurandola che non doveva più preoccuparsi, che ora poteva sorridere al fianco di sua figlia senza più paura. Poteva essere una madre che rideva al fianco della sua bambina.

Preda di forti tremiti, singhiozzando, Luce prese tra le mani quelle grandi e forti di Arashi, fissandolo in viso, oltre la maschera che agli altri poteva nascondere tutto, ma attraverso la quale Luce poteva scorgere gli occhi verdi che le avevano ridato speranza.

«Grazie... grazie... grazie!»

Arashi non ebbe il coraggio di interromperla. Semplicemente le sorrise, mentre le Fiamme scoppiettavano vivaci sotto la sua pelle, entusiaste, contente. I suoi compagni erano in fermento.

«Sei un tipo interessante, Arashi-kun.» Kawahira gli si avvicinò poco prima di andarsene, continuando a nascondere parte del viso dietro il suo ventaglio.«Sette Fiamme in un solo corpo, non riesco davvero a spiegarmelo.»

Arashi non risposte, stringendo le mani di Luce e seguendo con lo sguardo i movimenti di Checker Face, cauto e pronto a reagire a qualunque attacco questi stesse premeditando.

Infine, Kawahira sorrise, chiudendo il ventaglio e puntandolo direttamente verso di lui.«Hai la mia attenzione, voglio vedere quali meraviglie porterai a questo mondo! Ci rivedremo di sicuro, a presto Arashi-kun.» ed in una nuvola di fumo svanì.

Sospirando, Arashi pregò che il loro prossimo incontro non fosse poi così presto.


 

***


 

Ci volle tutta l'autorità di Luce e la forza dei suoi uomini per allontanare le famiglie mafiose dalla villa dei Giglio Nero, tutte ansiose di conoscere l'uomo che aveva sconfitto la maledizione degli Arcobaleno.

Gli stessi bambini avevano cercato di approcciarlo, ma valendosi di tutte le forze che le erano rimaste, Luce aveva respinto con forza ogni loro tentativo di entrare in contatto con il suo -o quello che tutti credevano che fosse- subordinato, allontanandolo dalla sala l'istante stesso in cui le gambe erano state in grado di sostenerla.

Hayato lanciava occhiate furtive alla donna dietro di lui, che sembrava divertirsi un sacco a tagliargli i capelli con un paio di pratiche forbici. Ad ogni ciocco caduta, anche un pezzo dell'anima di Hayato si adagiava al pavimento assieme ad essi.

Forza Hayato-san, è per una buona causa.

Mentre le allegre Fiamme degli altri bastardi brillavano di gioia, probabilmente godendosi l'apparente agonia che un taglio di capelli significava per Hayato, Chrome era l'unica che sembrava capire come si sentisse.

E lo sapeva, sapeva che era indispensabile cancellare ogni traccia di Arashi fintanto che ancora lo cercavano, tuttavia non era meno difficile separarsi da una parte di lui che lo accompagnava sin dalla scuola media. Al Decimo piacevano i suoi capelli -glielo aveva confidato una volta, e da allora se ne era sempre preso cura con dedizione- e non avrebbe mai voluto separarsene.

Cosmo lo fissava da sopra un mobile, la bocca piena di ghiande.

«Ecco, il taglio è finito. Sei proprio sicuro di volerli biondi, Hayato? Non vorresti un colore un po' più originale? Magari rossi, ti starebbero bene!»

Provò ad immaginarsi con i capelli rossi, dello stesso intenso colore delle sue Fiamme di Tempesta, il suo elemento principale.

Saresti la copia sputata di G.

Il viso del primo Guardiano della Tempesta fece capolino nella sua mente non appena Lambo lo ebbe nominato, e scartò quel colore all'istante. Non voleva assomigliare a quello stronzo neanche per sbaglio.

«Mi rifiuto categoricamente!»

Luce rise, consapevole che Hayato stava di nuovo parlando con i Guardiani nella sua mente, e che qualcuno doveva avergli ricordato qualcosa, o non si spiegava quel categorico rifiuto verso il colore rosso.

«E biondi siano.»

Sentire le mani di Luce tra i capelli era strano -fino a quel momento aveva permesso solo al Decimo anche solo di tagliarglieli- ma piacevole. Era rilassante, sentire il pennello con la tinta fresca posarsi sulla cute, mentre le dita della donna massaggiavano per far si che il colore aderisse pienamente ai capelli.

Un ultimo risciacquo sotto l'acqua, gli ultimi ritocchi con la forbice ed infine l'asciugatura: una volta fatto tutto Hayato ammirò il nuovo sé con orrore, attraverso l'immagine allo specchio.

Kfufufu, sembri proprio Bronco.

Un suono stizzito gli uscì dalle labbra, mentre con amarezza constatava che Mukuro aveva proprio ragione.

«Dio, sembro davvero Cavallone nel periodo in cui stavamo affrontando la battaglia dei rappresentanti.»

Ci avrebbe impiegato anni a riconoscere la propria immagine allo specchio -no, probabilmente non si sarebbe mai abituato davvero a quei capelli- però, ammise con amarezza, poteva funzionare. Nessuno avrebbe mai visto in lui Gokudera Hayato, quello che sarebbe diventato il braccio destro del futuro Decimo Vongola.

La tua faccia mi irrita, ho voglia di morderti a morte.

«Tze, come se potessi farlo, lì dove sei.»

Luce lo guardò, chiedendosi quale fosse il problema. A suo avviso -e non solo perché riteneva di aver fatto un lavoro eccelso- in quella nuova veste bionda stava davvero bene. Aveva suggerito anche di usare delle lenti a contatto colorate, ma Hayato aveva detto che andava bene ugualmente, in caso di necessità avrebbe pensato lui stesso a nascondere lo sguardo a chi poteva intuire qualcosa.

«Qualche problema, Hayato-kun?»

«Nessuno in particolare, Luce-sama, siete stata molto gentile ad aiutarmi in... questo.»

Luce gli sorrise, minimizzando quello che secondo lei non era un gesto per il quale essere grati.«Figurati, non ho fatto nulla.»

Restarono in silenzio a fissarsi, mentre le labbra di Luce si curvavano verso il basso, e la dolce e gentile madre dei Giglio Nero assumeva l'atteggiamento consono alla carica che ricopriva: un vero e proprio Boss della mala.

«Cosa intendi fare dunque, Hayato-kun?»

Lei sapeva che la persona cara al giovane e hai compagni che avevano trovato dimora in lui non era ancora nata -avevano parlato tanto nei giorni scorsi, e nelle settimane che Hayato aveva passato sotto il tetto dei Giglio Nero le erano state sufficienti per capire che tipo di persona fosse- e voleva sapere come intendessero procedere. Aveva una proposta, una proposta che sperava vivamente avrebbero accettato.

Amaramente, Hayato realizzò che non avevano pensato ad un vero piano d'azione da quando erano arrivati, occupati in altre mansioni che -almeno in principio- sembravano avere la precedenza.

La prima settimana l'aveva spesa a rimettere in sesto il suo corpo sfinito e la mente confusa, con l'aiuto del potere di Luce e delle fastidiose presenze direttamente in contatto con la parte più profonda di lui. Poi era stata la volta della cerimonia, che aveva necessitato più attenzioni di quanto non ricordassero, specie nel contattare i Vindice e Checker Face.

A due giorni dalla cerimonia, Hayato non sapeva ancora come comportarsi, e le altre sei scomode presenze nella sua testa non erano certo d'aiuto -come sempre, osò aggiungere.

Maa maa, qualcosa ci inventeremo.

«Non tutto si può improvvisare, idiota.» si concentrò su Luce, serio.«Non abbiamo una meta precisa, pensavamo di viaggiare, provare a migliorare la vita di alcune... conoscenze. Potrebbe essere anche un buon modo per conoscere questo mondo e le sue differenze.»

Sembrava un buon piano -il meglio a cui erano riusciti a pensare in quei pochi giorni di tranquillità- e offriva loro molteplici possibilità di azione su più fronti.

Luce, per qualche motivo, sembrò sollevata nel sentire la sua risoista.«Ricordi il giorno in cui sono venuta da te? Quando hai scoperto che non mi restava più molto da vivere, ero venuta da te per farti una proposta. Ebbene, ti andrebbe di ascoltarmi ora?»

Hayato semplicemente annuì, in attesa.

Prendendo un grosso respiro, inondando i polmoni d'aria per paura di restare senza fiato all'improvviso, il Boss Giglio Nero infine parlò.

«Che ne dite di entrare nella Famiglia Giglio Nero? Ti voglio come mio Guardiano, Hayato.»

Imbambolato, soppesando le parole che gli erano appena state rivolte, Hayato non risposte, troppo sorpreso -sconvolto era la parola esatta- per poter anche solo pensare ad una frase di senso compiuto con cui replicare alla donna di fronte a lui.

«Ascolta, io so bene che per voi esiste un solo Boss e una solo famiglia.» si affrettò ad aggiungere.«Dopo tutto quello che ho visto in queste settimane, non potrei neanche mai pensare di poter prendere il posto di quello che avete perso.»

Allungando una mano per sfiorargli una guancia, la donna costrinse i loro occhi ad incontrarsi, guardando dritto in volto non solo Hayato, ma anche tutti coloro che si nascondevano dietro quegli occhi verdi.

«Però Hayato, in questo mondo non potrete legarvi al vostro Boss, non quando ci sono gli altri voi pronti a stare al suo fianco. Ciò non toglie che anche voi abbiate bisogno di un Cielo, e noi siamo compatibili, sono certa che anche tu l'hai percepito.» si inumidì le labbra, nervosa.«So di non essere ciò che vi aspettavate di trovare, ma se mi accettaste come Cielo ne sarei estremamente felice.»

L'idea di avere un Cielo che non fosse il loro li spaventava -Luce poteva leggere dentro quei ragazzi come un libro di cui conosceva a memoria ogni pagina- ma vedeva anche la sofferenza ed il dolore della solitudine che lentamente li divorava dall'interno, e che senza un appoggio li avrebbe distrutti nel momento in cui il loro Boss non si sarebbe potuto legare a loro.

Avevano bisogno di essere accolti sotto un nuovo Cielo, e se poteva aiutarli con così poco, dopo tutto quello che avevano fatto per lei, allora era pronta a diventare qualunque cosa pur di sostenerli. Non sarebbe stato comunque abbastanza a ripagare il debito che aveva nei loro confronti.

Hayato esitò. Non parlava solo con lui, si stava rivolgendo a tutti loro, come se sapesse ciò che nascondevano, del bisogno di appartenenza a qualcosa che avevano perso per sempre.

L'armonizzazione tra Fiamme era una cosa potente, un legame inscindibile che legava il Cielo ed i suoi Elementi per un tempo infinito. Nel momento in cui veniva a mancare, strappato da qualsiasi causa che fosse naturale o meno, l'unico modo in cui si poteva sopravvivere al dolore era creare un nuovo legame.

Un Cielo a cui venivano a mancare i suoi Elementi periva nel suo stesso vuoto. Gli Elementi che avevano perso il loro Cielo continuavano ad esistere, privi però della completezza che solo l'armonia poteva conferirgli.

Non avevano mai pensato a quell'eventualità. Sotto molti punti di vista, era una soluzione conveniente per entrambe le parti.

Loro avrebbero riacquistato un Cielo e la stabilità degli Elementi, mentre Luce avrebbe potuto sfruttare le loro Fiamme per accelerare il processo di guarigione.

Di nuovo legati ad un Cielo. Suona bene.

Tze, non importa chi o cosa, un giorno morderò il Cielo a morte.

Kfufufu che evoluzione interessante, sono curioso di vedere come andrà avanti.

Yosh! Di nuovo in forza all'estremo!

Di nuovo completi saremo di maggior aiuto a Bossu.

Maa maa procedi pure Gok... Hayato.

«Tze, certo che siete davvero rumorosi voi.» sogghignò.

Inginocchiandosi, prendendo la mano della donna e imprimendo un casto bacio sul palmo, Hayato lasciò che le sue Fiamme della Tempesta si materializzassero lungo il suo braccio, scivolando impetuose verso la mano di Luce, in cerca del contatto con le Fiamme arancioni della donna.

E Luce gliele fornì.

L'arancione ed il rosso si mischiarono in una danza aggraziata e dolce, accettandosi reciprocamente, un segno di compatibilità che non credeva avrebbe mai trovato in nessun altro all'infuori del Decimo. Era piacevole, nonostante tutto.

«Giuro di servirvi e proteggervi da qui fino alla fine dei miei giorni, sarò il tifone che spira impetuoso, il fulcro dell'offensiva. La Tempesta implacabile che spazzerà via ogni nemico del Boss senza pietà. Sono ai vostri ordini, Luce-sama.»

E le Fiamme dentro di lui si agitarono furiose.

   
 
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