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Autore: La_Sakura    17/07/2018    4 recensioni
Diciassette anni e una città nuova: una sfida per crescere e maturare, ma soprattutto per fare chiarezza con i propri sentimenti. Queste le premesse all'arrivo di Sakura nella ville Lumière. Ma il detto "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" si rivelerà corretto? D'altronde il suo cuore è già impegnato... oppure la confusione nella sua testa aumenterà, fino a farle dubitare persino dei suoi sentimenti?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luis Napoleon, Nuovo personaggio, Pierre Le Blanc
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sakura no sora - my personal universe'
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Sono ancora stanchissima perché ieri sera ho fatto tardi al telefono con mamma e Daichi, e adesso ne pago le conseguenze.
«Allora? – mi chiede Jacques non appena metto piede in classe – Il pacco è arrivato? È piaciuto?»
Annuisco sedendomi e appoggiando la fronte sul banco.
«Giusto in tempo, Daichi l’ha scartato con diffidenza, però poi si è ricreduto. Ho fatto tardi stanotte al telefono con mamma per raccontarle del negozietto e dei quadri di Misaki–san.»
«Che ti ha detto?»
«Yves, è mia madre, che vuoi che abbia detto? – mi risollevo e sospiro, stiracchiandomi – Mi ha consolato…»
Il mio compagno di classe mi dà un’amichevole pacca sulla spalla e mi sorride, come se mi capisse, così mi rendo conto che da quando sono qui non abbiamo mai parlato di ragazze.
«E tu?»
«Io che?»
«Tu, a questione di cuore, come sei messo?»
Lui scoppia a ridere divertito, come se gli avessi raccontato una barzelletta fantastica.
«Non sono il classico ragazzo a cui le ragazze corrono dietro. Ma ho già dato il primo bacio, se è questo che vuoi sapere…»
Uh, ora che mi sovviene… c’è una bella differenza tra i nostri baci e quelli “alla francese”: me ne rendo conto e avvampo immediatamente.
«Che c’è?» mi chiede Jacques, accorgendosi della cosa.
«Nulla.» minimizzo, fingendo di cercare qualcosa nella tracolla.
«Ti imbarazza parlare di baci?»
«Affatto!» nego, ma non sono molto credibile.
«Dai, Chérise, che c’è?»
Mi risollevo e lo guardo negli occhi. Davvero non lo sa?
«Per cultura… o per altro, non te lo so dire… ecco… noi, in Giappone… i baci…»
Mi stanno osservando entrambi incuriositi, mi sento avvampare: come lo dico? Opto per la via più diretta, d’altronde siamo tra giovani…
«In Giappone… non si bacia con la lingua…»
«CHE COSA?!» esclamano all’unisono. No, non lo sapevano.
«Leroux! Chevalier? Ma vi pare il modo?»
La professoressa di francese, Madame Ranieri, ci fissa col suo sguardo glaciale.
«Ci scusi, Madame… – rispondo io – Non si ripeterà.»
«Voglio ben sperare, Mademoiselle Ozora. Non vorrei separarla dai suoi amici. A quanto pare sono gli unici che si sono degnati di darle un’accoglienza come si deve.»
Abbasso lo sguardo e annuisco, mi vergogno, anche se la stoccata della prof non era totalmente diretta a me.
«Ozora. – mi chiama di nuovo – Dopodomani ci farai una bella presentazione di te, in francese. Ci parlerai della tua vita, della tua famiglia, delle tue tradizioni, insomma, ci parlerai di te.»
Alzo lo sguardo verso la prof e sgrano gli occhi: non può aver detto sul serio!
«Do… dopodomani? Ma… ma…»
«Sono sicura che il tempo è sufficiente. Coraggio, riprendiamo la lezione.»
Ma che… una presentazione su di me! Cosa dovrei dire! Sono nel panico, e sicuramente non seguo più una parola di ciò che viene detto in classe.
 
Florence entra in camera e mi vede così, con la testa appoggiata alla mano sinistra, e la matita a mezz’aria, ferma su quel foglio bianco che non si vuole riempire. Avrò scritto e cancellato un milione di volte. L’unica cosa fissa sono i kanji del mio nome.
«Perché non parti da quello?»
La osservo, non capendo dove voglia arrivare.
«Dal tuo nome. – si siede sul letto e mi osserva sorridendo – Ha un significato ben preciso, o sbaglio? Anche i kanji che lo compongono, dico bene?»
Annuisco e torno a osservare il foglio. Da qualche parte dovrò pure iniziare.
La matita inizia a scorrere sul foglio, appoggio il gomito sinistro sul dizionario di francese e mi tuffo dentro me, in quel viaggio introspettivo, ma non troppo, che sto per compiere. Flo mi accarezza la testa e esce dalla stanza, lasciandomi sola.
 
Seduta al mio banco, batto nervosamente il piede per terra per scaricare la tensione. Yves, accanto a me, mi appoggia una mano sul ginocchio.
«Andrà benone, vedrai.»
Annuisco poco convinta mentre mi mordicchio il labbro inferiore, e con le mani accartoccio il foglio che ho scritto per la presentazione.
Madame Ranieri entra senza degnarci di uno sguardo, appoggia la sua cartella sulla cattedra, quindi si siede. Estrae gli occhiali e li inforca, quindi apre il suo registro e inizia a firmarlo. Sento i battiti del cuore che accelerano vorticosamente e stringo le mani di Yves e Jacques, ai miei lati come sempre, a supportarmi, a farmi da supereroi.
«Mademoiselle Ozora?» alza lo sguardo glaciale su di me e mi fissa. Io deglutisco a fatica e annuisco. Mi alzo e mi dirigo verso la cattedra coi miei fogli in mano.
«Giusto per rassicurarla. – mi dice, togliendosi gli occhiali – Le darò un voto per questa presentazione. Farà media.»
Sorrido nervosamente e abbasso lo sguardo sui fogli: ho un battito che neanche avessi giocato contro la Toho… inspiro profondamente chiudendo gli occhi, quindi li riapro e fisso i miei compagni di classe. Non posso sbagliare, devo solo parlare di me.
Mi volto verso la lavagna e col pennarello nero scrivo in grande il kanji del mio nome: sento alle mie spalle gridolini meravigliati per la velocità con cui l’ho scritto.
«Questa sono io. Sakura. Il significato sono i boccioli di ciliegio, che è il fiore nazionale giapponese, non ufficialmente. Quello ufficiale è il crisantemo. – inspiro – Il mio cognome è Ozora – lo scrivo – Può essere tradotto con Grande Cielo. Quindi io sarei un “bocciolo di ciliegia del grande cielo”. – ridacchio – Mio fratello maggiore, invece, si chiama Tsubasa. – scrivo anche il suo kanji, col sorriso sulle labbra – Ali. Quindi lui è “ali del grande cielo”. Gli è andata decisamente meglio. – sento dei ragazzi che ridacchiano, e la tensione un po’ si alleggerisce – Ho 17 anni, vengo da Nankatsu, prefettura di Shizuoka, ma sono nata a Tokyo. Ho un fratellino più piccolo, ha appena compiuto tre anni, si chiama Daichi. – scrivo anche il suo kanji, già che ci sono – “Grande terra”. Mi trovo qui in Francia per frequentare il penultimo anno di scuola, rientrerò a casa solamente a maggio, ad anno iniziato. In Giappone l’anno scolastico inizia ad Aprile e finisce a Marzo, è un po’ diverso da qui. – prendo un bel respiro e ne approfitto per buttare l’occhio sul mio foglio degli appunti – Sono manager del club di calcio del mio istituto, significa che nelle attività pomeridiane mi reco al campo da calcio e seguo gli allenamenti della squadra, poi mi occupo di lavare le divise, sistemare i palloni, distribuisco acqua e asciugamani ai ragazzi dopo gli allenamenti; può sembrarvi strano, ma in Giappone questo tipo di attività è molto comune. Tra le altre attività extrascolastiche che seguo ci sono il corso di francese e economia domestica… anche se devo ammetterlo, sono davvero negata con la cucina occidentale. La famiglia presso cui abito mi sta insegnando tante ricette nuove, trovo divertente e interessante mettermi alla prova con qualcosa di così diverso dalla mia cultura. – inspiro ed espiro, punto lo sguardo su Yves e Jacques che mi fanno dei piccoli cenni di incoraggiamento – La cultura giapponese si differenzia per molte cose, non è facile entrare nei meccanismi della cultura occidentale quando si ha una base così severa come la nostra. Ad esempio, spesso quando mi viene presentato qualcuno, mi viene automatico fare un piccolo inchino, una riverenza, in segno di rispetto: la stessa cosa che stavo per fare a voi quando sono arrivata. – qualcuno annuisce, segno che avevano notato la mia défaillance – Poi noi a scuola abbiamo la divisa, e quando arriviamo dobbiamo toglierci le scarpe, così come in casa. Qui invece ogni mattina devo aprire l’armadio e scegliere i vestiti. – noto sola ora che i miei compagni mi stanno seguendo con attenzione, questo mi dà fiducia e, sorridendo, porto a termine la mia presentazione, cercando di farli sorridere delle nostre differenze culturali e non.
Continuo parlando loro di come funziona la scuola in Giappone, di quanto siano duri gli esami e soprattutto di quanto sia davvero rigida e ferrea la disciplina che ci viene imposta.
Quando termino, la prof si volta verso la classe e chiede se qualcuno ha qualche domanda da pormi. Timidamente, Luc Ménard alza la mano e mi chiede se ho nostalgia di casa. La sua domanda mi spiazza talmente che rimango ammutolita qualche secondo, tanto che la prof mi chiede se ho capito la domanda. Annuisco e cerco di dare una risposta vaga, quasi scontata, ma mi si incrina la voce perché paradossalmente e inevitabilmente a parlare di nostalgia mi viene in mente Misaki. Jacques se ne accorge e, da buffone quale è, interviene senza il consenso della professoressa.
«Anche là ci sarà sicuramente qualcuno che ha nostalgia di te, e che si starà mangiando le mani per averti fatto fuggire via così!»
Si attira l’attenzione di tutta la classe e la prof lo fulmina con lo sguardo, mentre io gli sorrido con gratitudine, e ringrazio ancora il giorno in cui mi hanno fatto sedere tra lui e Yves.
La professoressa si ritiene soddisfatta e mi manda al posto, ovviamente senza dirmi che voto mi ha dato ma comunque sostenendo che “me la sono cavata bene”. Sospiro felice e torno a sedermi, con i miei supereroi che si congratulano con me.
 
Come promesso, i ragazzi mi portano a mangiare “la crêpes migliore di tutta Parigi” per il pomeriggio del mio compleanno. Passiamo il pomeriggio a ridere e scherzare, ce la mettono davvero tutta per farmi divertire, tant’è che quando torno a casa ho quasi mal di pancia dallo sforzo.
«Ah Sakura, ben tornata. C’è un messaggio per te?»
«Per me?» chiedo, dubbiosa.
«Sì, per te. – Florence si avvicina mentre mi tolgo la giacca e le scarpe, e mi porge un foglietto – Ha chiamato un ragazzo e mi ha lasciato il numero di telefono. – Mi guarda con l’aria di chi la sa lunga – Benché parlasse molto bene, ti posso assicurare che non era francese.»
Sussulto, arrossisco, e mi cedono le gambe: non può essere. Abbasso lo sguardo sul foglietto e riconosco un numero del Giappone. Torno a fissare la mia maman.
«Non posso farlo… non sono pronta…»
«Oh, sì, invece. Si aspetta una tua telefonata, gli ho assicurato che l’avresti richiamato. Non puoi farmi fare una così pessima figura.»
Si allontana e mi lascia lì da sola, con la mia ansia. Volto lo sguardo al cordless, che mi sembra infuocato, e mi siedo sulla mia poltroncina. Mi rigiro il foglietto tra le mani, devo davvero chiamarlo?
Inspiro profondamente e prendo il cordless, quindi seguo la classica procedura per le chiamate internazionali.
«Moshi moshi
«Taro-chan, ciao... sono Sakura-chan.»
«Ciao… - mormora, sembra imbarazzato quanto me – Ho provato a cercarti, oggi, e la signora mi ha detto che non eri in casa.»
«Sì, ero con dei compagni di classe… hanno insistito per festeggiare.»
«Ti sei divertita?»
«Sì… abbiamo mangiato una crêpes… niente di che…»
«Mmh, che buone le crêpes!» esclama, sinceramente. Sorrido e ripenso al suo volto, è così nitido che riesco a immaginarlo come se fosse davanti a me.
«Come va?» gli chiedo, per non far languire la conversazione.
«È un anno davvero… impegnativo… ma ce la farò. Come sempre.» lo sento sorridere nella cornetta.
«Come sempre.» annuisco. Il suo ottimismo è uno dei motivi per cui lo amo così tanto.
«Allora… buon compleanno…»
«Grazie…» gli occhi mi si riempiono di lacrime. Perché non riesco a parlare? È come se fossi bloccata, come se le mie emozioni fossero imprigionate e io non riuscissi a farle uscire.
«Io… adesso devo andare… ho da finire i compiti e… qui è tardi…»
«Lo so, scusa l’orario.»
«No, hai fatto bene, è stato… bello sentirti, Sacchan…»
«Mi manchi…» gli confido onestamente, sperando di sbloccare la situazione. Lo sento sospirare, un lungo silenzio segue la mia frase. Ti prego, dì qualcosa… qualunque cosa…
«Buonanotte, Sacchan…»
Click.
Fisso la cornetta mentre le lacrime scivolano copiose lungo le mie guance. Con “qualunque cosa” non intendevo certo quello. Che ne sarà di noi, una volta rientrata a Nankatsu, se non riusciamo nemmeno a esprimere i nostri sentimenti? O forse i suoi sentimenti sono questi. Forse Kumi si sbaglia, forse, forse, forse… Mi asciugo velocemente le lacrime e mi nascondo in camera, per chiudermi nel mio rifugio sicuro.

Ed ecco Taro che si fa vivo con la nostra amica, anche se - ahimé - la telefonata non è di certo delle migliori... inutile analizzare, sviscerare, ecc ecc: parliamo di due adolescenti, certi sospesi, certi non detti, influenzano il rapporto e rischiano di mandarlo a ramengo. 
Ma siamo a dicembre, quindi praticamente a metà del percorso di Sacchan.
Una postilla, doverosa: per la prof di Francese ho preso spunto dalla mia insegnate del biennio. Spietata, glaciale, parecchio stronza XD ma se non avessi avuto lei, ora non saprei così bene il francese... quindi credo che anche a lei farà bene rapportarsi con una professoressa così *ride*
Grazie come sempre per il vostro affetto, vi lovvo davvero tanto 
Sakura

PS: c'è un medico in sala per OnlyHope?  
   
 
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