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Pansy era
nell’ufficio della McGranitt da almeno mezz’ora.
La preside le aveva detto di entrare e di aspettare lì, ma
lei pensò che se ne
fosse dimenticata. Guardò ancora l’orologio: fra
non molto sarebbe stata ora di
cena. E poi un meraviglioso sabato
sera.
Da sola.
Stava guardando fuori dalla finestra, annoiata,
quando improvvisamente, dal camino uscì qualcuno.
Ron
arrivò a Hogwarts come al solito in ritardo, ma
quando uscì dal camino della McGranitt non vide la preside,
pronta a sgridarlo,
ma si trovò faccia a faccia con la sua Serpeverde preferita.
Doppia fortuna.
“Ciao” le disse sorpreso. Si guardò
intorno, per
verificare di non aver sbagliato camino, e poi riportò
l’attenzione su di lei,
che lo guardava con gli occhi sbarrati.
Pansy vide il
rosso uscire dal camino con quel
sorriso strambo e si sorprese un po’. Di cosa, poi? Sapeva
che l’unica via di
accesso con l’esterno (a parte le proprie gambe) era proprio
il camino della
preside.
“Ciao. Tiri Vispi?” chiese.
Lui annuì. “Già. È molto
più comodo tornare senza
puffole” disse alzando le mani e sorridendo. Doveva essere
contento. Sorrise
all’idea senza accorgersene.
“Gran bella partita, oggi” si
complimentò, non
sapendo cosa dire.
“Sei venuta a vederci?” le chiese lui.
Oh. Non si ricordava di averla vista? Ci rimase
malissimo. Poi lui rise: la stava prendendo in giro! Si
ritrovò a sorridere
ancora.
“Mi ricordo di averti salutato, non fare quella
faccia” esclamò, ammicando.
Lei si voltò verso la finestra, un po’ arrabbiata,
ma non del tutto.
“Vieni
a Hogsmeade con me sabato prossimo?” Ron
parlò tutto di un fiato per paura di non riuscirci.
Pansy si rivoltò verso di lui, con la bocca aperta.
“Ma non dovevi andarci con qualcun altro?” gli
chiese, con la fronte corrugata.
“Harry se ne farà una ragione. Ma se non vuoi
venire
da sola con me, chiediamo a lui e a Ginny di venire con noi”
continuò lui. Di’ di
sì. Di’ di sì. Lei
aggrottò la
fronte. Brutto segno.
“Dovevi uscire con Potter?”
Il rosso fece
una smorfia strana, si avvicinò e si
sedette sull’altra sedia che c’era da quel lato
della scrivania.
“E con chi sarei dovuto uscire?” Lei
alzò le spalle.
Si sentirono dei passi in lontananza fuori dalla
porta. Si girarono tutti e due verso l’uscio.
“Ne parliamo stasera?” le chiese lui, velocemente.
Lei scosse la testa.
“Stasera ho lo stesso problema di ieri” gli rispose.
“Che era?”
I passi erano sempre più vicini.
Pansy si
avvicinò a lui e gli parlò direttamente
all’orecchio.
Quando tornò ad appoggiare la schiena alla sedia vide le sue
orecchie diventare
sempre più rosse. Lui si alzò e lei si
preparò a vederlo andare via prima che
arrivasse la McGranitt.
“Ci vediamo alle nove in sala grande?” le chiese
invece, ancora vicino alle sedia.
La porta si aprì e la preside entrò.
“Mi scusi
signorina Parkinson, degli studenti mi hanno fermato per…
Oh, signor Weasley,
vedo con piacere che è tornato in tempo per la cena, stavolta” disse e
rimarcò l’ultima parola con tono allusivo.
Ron si
voltò verso la preside e riuscì a risponderle
qualcosa. Poi si girò verso la Serpeverde, in attesa di una
risposta, ma lei lo
guardava in maniera strana, senza dire niente.
“Buonasera, signor Weasley”, lo congedò
la
McGranitt.
Lui salutò e prima di uscire la guardò ancora:
Pansy
annuì e poi si girò verso la strega.
Uscì sorridendo.
***
L’infermiera
aveva dato a Harry una pomata (che
Ginny immaginò fosse la Pomata Cancellalividi del Tiri
Vispi) e gli disse che
avrebbe dovuto spalmarla sulla parte lesa. Ginny lo guardò
ridendo mentre si
toglieva i pantaloni.
“Non si ride delle disgrazie altrui!” Harry
sorrise,
mentre la sgridava.
“Sei buffo” disse lei, guardandolo contorcersi.
“Veramente mi fa male” ammisse il moro. Lei si
avvicinò e lo aiutò a sedersi e a sfilarsi
l’indumento. Quando vide il livido,
che gli occupava tutta la coscia, spalancò gli occhi.
“Merlino! È bello grosso”
esclamò. Lui ridacchiò
divertito per il doppio senso e lei lo zittì con
un’occhiata. Lo fece stendere
su uno dei letti e gli spalmò la pomata sul livido violaceo,
sedendosi di
fianco a lui.
“Giovedì vado a fare un altro allenamento con le
Holyhead Harpies” annunciò.
Harry trattenne
il respiro quando lei passò le dita
sulla parte del livido più scura.
“Di già? Devi essere piaciuta molto alla
Jones!”
Lei sorrise senza dire niente. Passò ancora la mano
sul livido, un pochino più leggera e senza spalmare la
crema. Sembrava una
carezza, ma Harry trattenne il respiro ancora.
“Vorresti… ti piacerebbe… venire con
me?” gli
chiese.
Il ragazzo si tirò su, appoggiandosi a un gomito.
“Venire a vedere il tuo allenamento?” Ginny
annuì.
“Certo!”
Poi ci pensò su. “Ma non so se la
McGranitt…”
“Mi ha detto lei di scegliere qualcuno da portare
con me” spiegò.
“Allora sì. Starò attento ai bolidi per
te” disse,
ammiccò e si ridistese sul letto.
“Non
mi distrarrai, vero?” Ginny non era ancora del
tutto convinta.
“Assolutamente no. Ma potrei fare il tifo e lanciare
scritte verdi tipo quelle che c’erano oggi per Ron in
tribuna” disse,
prendendola in giro.
Ginny si agitò e premette, apposta, la mano sul
livido. Vide la faccia di Harry contorcersi dal dolore e ridere allo
stesso
tempo. “Ok, ok, lo sai che non lo farò!”
“Mi fai sempre arrabbiare” si lamentò
lei, sbuffando
divertita.
“È per non farti annoiare” ammise Harry.
“Ci riesci bene” disse lei.
Gli occhi di Harry erano ancora divertiti, ma quando
lui divenne serio, l’unica cosa che pensò di fare
Ginny fu di mettergli le
braccia al collo e baciarlo.
Purtroppo, vide arrivare la Chips e si alzò dal
letto. L’infermiera controllò la gamba di Harry e
gli disse che entro un’ora
sarebbe andato via tutto e lo avrebbe fatto uscire. La rossa lo vide
annuire e
gli sorrise.
“Signorina Wealsey, lei può andare, è
quasi ora di
cena” la liquidò l’infermiera.
“Ci vediamo dopo, Harry?” Lui le fece un cenno con
la testa e lei si avviò verso l’uscita.
***
Ron era in
sala grande, appoggiato al muro del corridoio che portava ai
sotterranei. Non
erano tanti i ragazzi in giro.
Guardò
l’orologio. Le nove e dieci: pensò che la
Serpeverde gli desse buca. Sbuffò,
appoggiò la pianta del piede al muro e lanciò
un’occhiata verso i sotterranei:
niente.
Poi,
improvvisamente sentì uno scalpiccio sempre più
rumoroso e sempre più vicino.
Si tirò su e guardò il corridoio. Quando Pansy
girò l’angolo correndo, sorrise.
Per fortuna aveva i Jeans e le scarpe da ginnastica.
Quando Pansy
si accorse del rosso, rallentò l’andatura, ma non
lo fece apposta. Lui era lì,
che l’aspettava. Sempre; lui c’era sempre. Sorrise.
“Scusa, Camille
ha avuto una crisi isterica… Ho dovuto calmarla e sembra che
non ci sia niente
che tranquillizzi un’adolescente incinta”
spiegò, brevemente e lui annuì.
Guardò la sala
grande, fra non molto sarebbe iniziato il coprifuoco e si sarebbe
svuotata del
tutto.
“Andiamo.”
Ron le prese
la mano e si avviò verso la porta per imboccare le scale.
“Ok. Dove andiamo?”
Lui sorrise e
si voltò verso di lei. “Forse dovevi chiederlo
prima di dire ‘Ok’”
disse.
Sorrise anche
lei. “Non c’è bisogno” rispose
lei.
Ron si fermò.
“Perché non c’è
bisogno?”
“Perché
stasera mi fido di te” gli sussurrò. Il suo
sorriso si allargò, ma lui rimase
fermo a osservarla. “Forse, però, dovremmo andare,
o saremo ancora qui, domani”.
Il rosso si
riprese e tornò a camminare. “Quindi non me lo
dici dove andiamo?” richiese
dopo un po’.
“Andiamo sulla
torre di Astronomia” rispose Ron.
La torre di
Astronomia? Che aveva in mente? Ma Pansy non se ne curò.
“Va bene.”
Salirono
insieme le scale del castello e passarono pianerottoli e ancora
gradini,
tantissimi gradini. Quando oltrepassarono la porta che dava sulla scala
a
chiocciola e dove, finalmente, rimasero soli lui si girò e
la spinse
delicatamente contro il muro; le portò una mano sul viso e
la baciò.
Teneramente.
Pansy
socchiuse le labbra e rispose al suo bacio, lasciando che lui
l’accarezzasse.
“Scusa. Non ce
l’ho fatta ad aspettare di arrivare su” ammise lui,
con le orecchie rosse.
Pansy
brillava. Le sue parole erano come il miele, scivolavano dense
lasciando una
traccia dolce e lei non aveva mai amato così tanto le cose
dolci.
Non era
riuscito ad aspettare. Non ce l’aveva fatta. Merlino.
Chissà cosa pensava, adesso,
di lui.
Si staccò
malvolentieri da lei e riprese a salire i gradini. Quando aprirono la
porta che
dava sui bastioni, al piano più alto, il freddo li
investì. Doppio Merlino. Non
aveva pensato che li facesse più freddo che giù.
Si voltò verso di lei, per
vedere se il freddo la infastidiva, ma Pansy aveva già
tirato fuori la
bacchetta.
Quando
uscirono dalla porta, il gelo di gennaio che aveva ghiacciato i merli
della
balaustra, annebbiò per un attimo le loro menti. Poi Pansy,
con la bacchetta in
mano, fece comparire una spessa coperta sul pavimento vicino al muro e
gli fece
cenno di sedersi.
Quando si
sedette, Ron scoprì che la coperta emanava calore. Lei gli
si sedette vicino e
un’altra coperta comparve a coprirli. Posò la
bacchetta nello spazio fra loro e
si appoggiò contro di lui.
“Le stelle
stasera sono bellissime” disse il ragazzo.
Nonostante il
freddo, infatti, il cielo era limpido, il giorno dopo sarebbe stata
serata di
luna nuova e non c’erano altre luci oltre alle stelle. Lui le
circondò le spalle
con un braccio.
“A mio papà
piacevano le stelle” confidò lei.
“Per questo
hai le stelle tatuate? La costellazione del cane, con Sirio?”
Non ne avevano
mai parlato, così lui non aveva mai potuto dirle che sapeva
quale fosse, né le
aveva mai detto quanto trovasse eccitante vedere le stelle brillare
sulla sua
schiena quando stavano insieme.
Lei annuì, si
agitò e si mosse sotto la coperta. “Se ti faccio
vedere una cosa, prometti che
non ridi?”
Lui si voltò
appena verso di lei e annuì. Poi si rese conto che forse lei
non lo vedeva e
disse: “Certo”.
Pansy tirò
fuori una mano dalla coperta e la sua bacchetta si illuminò.
Ron vide che,
oltre alla bacchetta aveva in mano un pezzo di pergamena. Lo prese
quando
glielo porse e scoprì che era una foto. Quando la prese, lei
puntò la bacchetta
in maniera che si vedesse meglio: un uomo sulla trentina, o forse meno,
aveva
in braccio una bambina piccola, scura di capelli di circa un anno; si
voltò
verso di loro e salutò con la mano libera. La piccola
rideva, e appoggiava le
manine sulla faccia dell’uomo per farlo girare verso di lei.
Lui lo fece e le
diede un bacio sulla guancia.
Ron guardò
ancora la foto, sorridendo. La girò e lesse la grafia
elegante che diceva:
“Pansy, la mia principessa delle stelle”
Poi gliela allungò,
lei la mise in tasca, e spense la bacchetta. “È
l’unica foto che ho. L’ho
trovata per caso. Mamma aveva buttato tutto” disse, un
po’ triste.
“Oh. E come
mai?”
Lei alzò le
spalle. “Non lo so. Non ho mai capito veramente mia madre.
Faccio ancora fatica
adesso”. Lui si trattenne dal chiederle qualunque cosa.
“Camille avrebbe
bisogno di lei, adesso” mormorò, più a
se stessa che a lui.
Sospirò e
appoggiò la guancia sulla sua spalla. Ron non sapeva bene
cosa dire. Ma lei non
aveva bisogno di un interlocutore, infatti continuò:
“Oggi si è provata dei
vestiti che non le entravano più e ha avuto una mezza crisi.
Ha iniziato a
piangere. Non riuscivo più a calmarla. Ha scoperto che le
divise scolastiche
non si possono modificare con la magia…”
“No?” chiese,
stupito, lui.
“Non lo
sapevi? Beh, forse tua sorella non è il tipo che abbia mai
provato ad
accorciare la gonna della sua divisa” disse divertita.
Ron non lo
sapeva. Ma sapeva che… “Le tue gonne sono
più corte di quelle delle altre
ragazze”.
Come, come,
come?
Ma cosa diceva?
“Come?” gli
chiese Pansy.
“Le tue gonne
sono più corte. Io l’ho notato.”
“Oh. Io… ho le
divise vecchie e…” Pansy si zittì per
non dire che non aveva potuto acquistare
divise nuove quell’anno.
Ron non le
avrebbe mai detto di averlo notato quando era iniziata la scuola e non
di
recente.
Rimasero zitti
per un po’, lui contento del fatto che non potesse vedere il
suo imbarazzo e Pansy
fantasticando sul fatto che lui avesse notato una cosa
così… così… così
stupida. E carina. La guardava? Sorrise ancora.
Ora aveva
dovuto prestare le sue divise vecchie alla sorella. Sospirò.
“Questa gravidanza
fa diventare matta me”.
“Mio fratello
Bill dice la stessa cosa” disse lui e la strinse un
po’. Lei sorrise.
“Dovrebbe
essere il padre del bambino a subirsi tutto questo, non io”
disse, pensando al
ragazzo con la cicatrice nella cucina dei Weasley. Poi si rese conto di
ciò che
aveva detto. Merlino. “Per Salazar, che cosa orribile ho
detto!”
Ron
cercò la
sua pelle sotto il maglione e l’accarezzò con la
punta delle dita. “Penso sia
normale. Non devi preoccuparti. E poi è vero, non dovrebbe
essere compito tuo…”
Cercò di ricordarsi cosa aveva detto sua madre a Bill
quando, stanco, si era
lamentato. “Vedrai che quando nascerà ti sarai
dimenticata di tutto questo”.
Pansy si
tirò
su in ginocchio e si voltò verso di lui. Veramente aveva
detto una cosa così?
Veramente lo pensava? Illuminò la bacchetta e lo
guardò. “Sei serio?” Ron
sentì
le orecchie infiammarsi e lei, che ormai conosceva il suo imbarazzo
corrugò la
fronte.
“Mamma l’ha
detto a Bill quando ci è venuto a trovare. Pensavo fosse...
tipo… una frase di
circostanza…”
Lei rise. “Sei
impagabile, te l’hanno mai detto?” Si
avvicinò a lui in ginocchio e gli fece
girare il viso verso di lei; gli appoggiò le labbra sulle
sue, in un piccolo
bacio. Un piccolo bacio dolce e leggero. Poi però
ritornò seduta e si ricoprì
con la coperta.
Ron aveva
ancora le orecchie in fiamme. Non era bravo a parlare. Diceva spesso
cose
sbagliate al momento sbagliato. Ma lei aveva riso e l’aveva
baciato.
“E la storia
di Nott?” Pansy si irrigidì e lui pensò
di aver detto, di nuovo, la cosa
sbagliata.
“Camille dice
che non è lui il padre del bambino” disse.
Aveva un tono
che Ron conosceva già, infatti chiese:
“Ma…?”
“Ma io non le
credo. Sono un’orribile persona che dice cose
orribili.”
“Perché sei
orribile?” le chiese. A lui non sembrava proprio.
“Perché dovrei
credere a mia sorella.”
“Allora sono
una persona orribile anch’io. Ho smesso di credere a mia
sorella tempo fa”. Soprattutto da
quando mi racconta delle
stupidate su fidanzati fasulli.
“Tu non sei
orribile. Hai salvato il mondo magico.”
Il rosso
lasciò cadere l’argomento. Come gli facevano
notare, erano stati l’intelligenza
di Hermione e il coraggio di Harry a salvare il mondo magico. Lui in
fin dei
conti che aveva fatto? Gli Horcrux avrebbe potuto distruggerli chiunque
con
l’arma giusta. Non è che avesse fatto poi
granché.
Così chiese
ancora “Ma Nott cosa pensa?”
Pansy si
immobilizzò. Cosa pensava Nott riguardo a cosa?
“Cosa pensa di cosa?” gli
chiese.
“Pensa che sia
suo?” Ah. Si rilassò senza accorgersene
“Non ho
intenzione di dire niente a lui. Per quel che ne so, non
c’entra niente” rispose.
Guardò in alto. Le stelle erano favolose, ma così
lontane. “Nott non mi piace. È
una persona cattiva…” Guardò
l’orologio ed esclamò: “È
mezzanotte! Dobbiamo
andare, la ronda dei prefetti sarà già
finita!”
E fece per
alzarsi. Ron invece voleva stare ancora lì. Stava bene. E
voleva sapere di più
sulla cattiveria di Nott. Ma si alzò anche lui.
“Sì, andiamo”.
In fondo alla
scala a chiocciola, tirò fuori il mantello
dell’invisibilità. Aveva chiesto a Harry
di prestarglielo e lui non aveva avuto problemi. Coprì lei e
se stesso e
l’accompagnò ai sotterranei.
Pansy
continuava a dirgli che non c’era bisogno, che sarebbe andata
da sola, che non
era il caso che lui andasse fino ai sotterranei per poi tornare alla
torre dei
Grifondoro. Ma lui non volle sentir ragioni.
L’accompagnò e
aspettò che lei entrasse nei sotterranei, e poi,
tornò nella torre. Proprio un
bravo ragazzo. Sorrise mentre si avviava verso i dormitori.
***
Ginny era
seduta in sala comune da un tempo memorabile, secondo lei.
Guardò di nuovo
Hermione, in poltrona vicino al camino che leggeva un libro della
biblioteca. Si
avvicinò e si sedette sul tavolino davanti a lei.
“Ciao” esordì.
La riccia alzò gli occhi dalla pagina e, sorpresa, rispose
al suo saluto.
“Cos’è successo, Hermione?” La
ragazza la guardò, ancora più sorpresa, e poi si
guardò intorno.
Quando riportò
gli occhi sulla rossa chiese: “Che vuoi dire?”
“Ti guardavo
da un po’ e sembra che tu non stia girando le pagine di quel
libro che fingi di
leggere. Ma non ti ho visto controllare nessuno, qui in sala comune,
quindi
immagino che tu abbia la testa altrove.”
Hermione
chiuse di scatto il libro. “Non è successo
niente” rispose, troppo velocemente
per essere vero.
Ginny si
inclinò all’indietro e appoggiò le mani
sul tavolino, dietro di lei. “O forse
non lo vuoi raccontare a me. Vuoi che vada a chiamare Harry? O
Ron?”
Hermione
capì che
Ginny era ancora arrabbiata per la storia di Ron.
“Non potevo dirtelo,
non era un mio segreto e
non era un pettegolezzo. Come me n’ero accorta io, avresti
potuto accorgertene
anche tu.”
Gli occhi
della rossa si assottigliarono. “E perché non me
l’hai detto prima?”
“Ti ho detto
perché. Non era…” Ginny si
ritirò su e si riavvicinò alla poltrona con il
busto.
“Perché non mi
hai detto questa frase prima? Tipo quando siamo tornati a scuola? O la
settimana dopo o la scorsa o tre giorni fa o ieri? Perché
non mi hai più
parlato?” La voce della ragazza si incrinò.
“Oh, piccola,
pensavo che tu ce l’avessi con me. Pensavo non volessi
parlarmi tu.”
La strega più
giovane spalancò gli occhi ma non disse niente e
allungò una mano verso di lei;
il suo smalto divenne rosa, un bel rosa carico. Hermione sorrise.
“Pensavo che
fossi arrabbiata”
“Lo ero”, guardò
sorridendo la sua mano e continuò “ma tu rimani
comunque la mia miglior amica.
So di aver esagerato in pizzeria; mi dispiace. So di essere troppo
impulsiva.
Mi dispiace anche di questo. So di sbagliare troppo spesso. Volevo solo
che tu
venissi da me e…”
La riccia si
alzò dalla poltrona e l’abbacciò. Non
si preoccupò neanche del libro che cadde
sul tappeto. Ginny la circondò con le braccia e strinse
forte.
“Dispiace
anche a me. Ti giuro che non volevamo escluderti” le disse.
“Ok.”
Rimasero
abbracciate un pochino e quando si staccarono Hermione raccolse il
libro che le
era caduto. “Allora, che è successo? Posso andare
a chiamare veramente Harry o
Ron, se hai bisogno”.
“No. Non devi
chiamare nessuno. Perché mi chiedi se è successo
qualcosa?”
Ginny sorrise
meravigliata. “Perché ormai ti conosco?”
La riccia
sorrise tristemente. “Non è successo niente di
importante…”
La rossa rise.
“Vedi che è successo qualcosa? Allora
cos’è? Ti avranno mica dato un brutto
voto?”
Hermione
spalancò senza volere gli occhi. “NO!”
Poi si rese conto che Ginny lo aveva
detto apposta e abbassò gli occhi sorridendo. “Non
cambi mai”.
“Ma ti faccio
ridere” le dissse la rossa.
“Sì. È vero.”
Ginny si alzò
e si andò a sedere sul bracciolo della poltrona,
accarezzandole la testa. “Vuoi
dirmi cos’è successo da impedirti di leggere un
interessantissimo libro su…”, si
sporse per vedere il titolo del libro e Hermione rise leggermente,
“... oh, ve,
il Quidditch!”
Cosa?
“Cosa?” Hermione
cambiò espressione e si allungò per recuperare il
libro sul tavolino e lo girò.
Possibile che si fosse sbagliata e avesse preso un libro sul Quidditch
senza
accorgersene? Praticamente non l’aveva neanche guardato,
quando si era messa in
poltrona.
Guardò il
titolo: ‘Traduzione Avanzata delle Rune”, no, non
si era sbagliata, era uno dei
suoi. Era giusto. Guardò Ginny che rideva sguaiatamente.
Sbuffò ma rise anche
lei.
Quando la
rossa finì, la guardò e le disse: “Se
ne vuoi parlare, sono qui, ok?” Hermione
scosse la testa.
“No.
Altrimenti diventerà reale” rispose, smettendo di
ridere.
“Cosa?”
La riccia
sospirò. “Quello che ho visto”.
“E cosa hai
visto?”
“Ho visto
Draco al ministero, oggi.”
Santo Godric.
Il furetto faceva danni?
“E quindi?”
Hermione sospirò. Due volte.
“Non mi sono
fatta vedere.”
“Non sa che
c’eri anche tu?” La riccia scosse la testa.
Ma una
relazione normale, quei due, no?
“Non gli hai
detto che andavi al ministero?” Hermione divenne rossa sulle
guance.
“No. Non l’ho
detto a nessuno” rispose.
Ginny aspettò.
E aspettò ancora. Poi sospirò anche lei.
“Ok. Così diventa molto lungo. Se non
mi vuoi dire cosa ci sei andata a fare e perché non
l’hai detto a nessuno, va
bene, ma Malfoy perché c’è
andato?”
“Non lo so” ammise.
Adesso la
rossa sbuffò. “E perché non glielo hai
chiesto?”
“Te l’ho
detto. Non mi sono fatta vedere” precisò.
“E dopo? Non
l’hai visto qui a scuola?” Hermione
iniziò a giocare con la copertina del libro.
“Sì, ma lui
non me ne ha parlato. E io non volevo dirgli che l’avevo
visto.”
“Quindi, oggi siete
andati tutti e due al ministero della magia, senza dirvelo, ma tu
l’hai
sgamato. Giusto?”
La riccia la
guardò un attimo e poi annuì.
“Sì, più o meno”.
“Avete dei
grossi problemi” disse la rossa. Hermione rise
dell’espressione di Ginny, ma
lei continuò. “Guarda che dovreste parlarvi. Digli
che c’eri anche tu e che
l’hai visto. O digli solo che ci sei andata e vedi cosa ti
dice lui”.
Hemione scosse
la testa. Non sapeva cosa pensare. Draco le stava nascondendo qualcosa?
E cosa?
E perché? Era qualcosa che le nascondeva fin da quando si
erano messi insieme o
solo adesso? Perché era andato al ministero da solo?
Di qualsiasi
cosa avesse bisogno, sicuramente lei avrebbe potuto aiutarlo nella
pratica. Una
piccola fitta al centro della fronte le fece capire che la sua mente
stava
andando nella direzione sbagliata, quando Ginny improvvisamente
gridò.
“Il
C.R.E.P.A.!
Sei andata al ministero per il C.R.E.P.A.! È
giusto?” gridò.
La riccia
spostò il suo sguardo su Ginny, sorridendo.
“Già” ammise.
“Oh. E perché
non ne volevi parlare con nessuno?”
“Perché è una
cosa mia e ancora non l’ho studiata fino in fondo. Preferisco
non parlarne con
nessuno, visto il poco entusiasmo manifestato” ammise
Hermione, un po’ seccata.
“E non vuoi
che lo sappia neanche Malfoy? Se avessi il suo
appoggio…”
“No. Come
dicevo: è una cosa mia.”
La rossa
guardò Hermione e vide la sua espressione risoluta e non
andò avanti
nell’argomento. “Però non so come
aiutarti per l’altra questione…”
“La Parkinson
non ti ha detto niente?” le chiese la riccia.
Ginny sapeva
bene quanto le costava quella domanda, così decise di
parlare francamente: “Beh,
è molto difficile che Pansy racconti qualcosa di
sé, figurati qualcosa di
qualcun altro. Di Malfoy, poi. Durante le vacanze hanno avuto una
piccola
discussione su Nott e se ho capito bene, lei lo sta evitando per non
dargli
spiegazioni”.
“Oh. Non lo
sapevo” ammise Hermione.
“Già. Ho
faticato anch’io a mettere insieme tutto.”
La riccia
tornò a guardare il libro con sguardo pensieroso e Ginny
l’aveva vista chiudere
gli occhi come quando aveva le crisi.
“Facciamo
così. Se mi prometti che non ci pensi, vedrò se
riesco a scoprire qualcosa,
ok?” le propose Ginny e lei annuì, ma la rossa non
era ancora convinta. “Vai a
cercare Ron e…”
“Dici che a
lui la Parkinson ha detto qualcosa?” l’interruppe
lei, non troppo convinta.
“…fate una
partita a scacchi che ti distrae” continuò Ginny e
la guardò male. “Ti ho detto
di non pensarci. E non chiedergli niente. Non so neanche se quei due
parlano,
oltre a rotolarsi sotto le lenzuola!”
Hermione rise.
“Ok, va bene”.
***
Camille quella
mattina non sarebbe andata a lezione. Aveva il permesso della McGranitt
di
saltare le lezioni. Sarebbe andata al San Mungo con Pansy; per
controllare il
bambino.
Quel piccolo
maghetto o streghetta le aveva dato un sacco di fastidi, aveva avuto
tantissime
nausee, ma adesso non ne aveva più e mangiava con
più gusto. E non si sentiva
più stanca come all’inizio, ma la pancia iniziava
a gonfiarsi e i jeans non le
stavano più. Aveva scoperto che le divise le scolastiche non
si potevano
modificare con la magia, così ora stava usando le vecchie
divise di sua
sorella, anche se le aveva detto che sarebbero andate presto a farne
fare
altre.
C’erano
momenti in cui lo sconforto la faceva deprimere e immaginare le cose
peggiori.
Avrebbe tanto voluto chiedere consiglio a maman, ma lei era ad Azkaban.
Non aveva ben
capito il perché fosse lì. Sapeva solo che da
quando era successo la sua vita
aveva preso quella brutta piega. Forse aveva sbagliato a dire che
voleva tenere
il bambino, forse sarebbe stato meglio decidere
diversamente… ma ormai non si
poteva più fare niente.
Guardò il
vasetto con le tre pastiglie di vitamine che doveva prendere; una per
sera a
partire dal terzo giorno dalla luna nuova. E quando era la luna nuova?
Doveva
ricordarsi di chiederlo alla professoressa o a sua sorella.
“Lunedì era
luna nuova” disse Pansy a colazione, quando la sorella glielo
chiese. Camille
annuì, contando i giorni. Quella sera doveva iniziare.
“Perché vuoi
saperlo?” Lei scosse la testa, per non parlare al tavolo
della colazione e
salutò Astoria che entrava in quel momento in sala grande.
Aveva chiesto se
poteva venire anche Astoria con loro, visto che era l’unica a
cui avesse
raccontato del suo stato, ma la McGranitt non aveva dato
l’approvazione perché
la giovane Greengrass era ancora minorenne.
Pansy
entrò al
San Mungo nel reparto che le aveva indicato la strega alla reception,
con un
po’ di timore. Notò che anche Camille era un
po’ intimorita, così cercò di
sembrare, se non proprio sicura, almeno convinta di quello che stavano
facendo.
Il medimago
che le accolse era gentilissimo e anche molto giovane. Pansy lo
guardò un po’
stranita. Non era troppo giovane? Aveva studiato abbastanza?
“Hai visto
com’è carino?” le sussurrò
Camille. Lei si girò con l’intenzione di
sgridarla.
Ma era una cosa da pensare? Nel suo stato? Ma poi, quando la
guardò vide una
ragazzina di quindici anni, che le uniche cose di cui avrebbe dovuto
preoccuparsi dovevano essere i trucchi, i vestiti e come far sparire i
brufoli
prima di un appuntamento, così stette zitta e le sorrise.
Le prese la
mano ed entrarono nell’ambulatorio.
Il medimago le
fece tantissimi esami, e ci mise una gran quantità di tempo,
ma sembravano
tutti importanti, così Camille non si lamentò.
Quando la fece sdraiare sul
lettino, avvicinò una macchina che sembrava una macchina
fotografica, solo
molto più grande, dicendo che quel tipo di esame era nuovo
ed era molto
interessante perché si poteva vedere il bambino. La giovane
strega guardò la
sorella con un gran sorriso e lei annuì. Lui
parlò con Pansy dicendo qualcosa
sul fatto che quello non era compreso nella visita e avrebbe avuto un
conto a
parte. Sua sorella disse che non era un problema e, anche se la vide
alzare le
sopracciglia quando lui disse il prezzo, acconsentì.
Il medimago le
appoggiò la macchina sulla pancia e schiacciò due
bottoni. Una grossa
fotografia uscì da quell’affare e gliela
mostrò. L’immagine non era chiara come
una fotografia, ma il bambino si vedeva bene, un piccolo esserino che
si
muoveva, spingendo i piedini e agitando le manine.
Le vennero le
lacrime agli occhi. Il suo bambino? Quello era il suo bambino? Ma che
piccolo,
dolce, tenero…. vide che anche Pansy aveva le lacrime agli
occhi, mentre le
sorrideva.
Forse sarebbe
andato tutto bene.
Quando
uscirono dal San Mungo, era ora di pranzo. “Ho
fame” disse, infatti, Camille.
Pansy annuì e
le fece una proposta: “Potremmo andare a mangiare qualcosa,
fare shopping e
passare il pomeriggio insieme, che dici?”
Camille sorrise.
“Sì! Vestiti che mi vanno!”
La strega più
grande sorrise ancora e annuì. “Te lo avevo
promesso, no?”
“Grazie!”
esclamò e l’abbracciò.
Pansy era
contenta. Sarebbe stato un bel pomeriggio.
“Ma
guarda! Si
muove un sacco!” disse sua sorella.
Stavano ancora
guardando la fotografia che il medimago aveva dato loro, mentre
aspettavano che
arrivasse il pranzo, sedute in un locale.
“Oh, penso si
stia muovendo anche adesso!” esclamò Camille,
appoggiandosi una mano sul
ventre. “Non sono sicura che tu riesca a sentirlo, ma
prova”.
Le prese una
mano e l’avvicinò all’altra mano, per
essere sicura che fosse il posto giusto.
Pansy
sentì
qualcosa di impercettibile, o forse se l’era immaginato? Ma
la sensazione che
le aveva lasciato addosso era stupenda. Glielo disse. Ancora
meravigliata,
pensò: un bambino. O una bambina.
“Potremmo
iniziare a parlare di nomi, che dici?”
Camille
sorrise. “Tu cosa pensi che sia? Un maschio o una
femmina?”
“Non so. Cosa
ti piacerebbe?” le chiese Pansy.
“Oh, non
saprei. Devo ancora abituarmi all’idea”. Camille si
passò ancora la mano sul
ventre.
Pansy guardò
ancora la foto: quell’esserino era così tenero.
“Sai che sembra che abbia il
mento come Julien, tuo papà? Guarda”.
Si avvicinò alla
sorella e le mostrò un
particolare della foto.
Camille
alzò
lo sguardo su di lei: era il momento giusto, forse.
“Mi dispiace”
sussurrò.
Pansy la
guardò, ancora sorridendo e le chiese: “Per
cosa?”
“Per tutto.
Per questo. So che non poteva esserci momento peggiore” disse
ancora,
indicandosi la pancia.
“Non devi
preoccuparti, hai capito? Sistemeremo tutto”
Le prese la
mano e la strinse forte. Camille stava per piangere, così
non disse niente e annuì.
“Anche a me
dispiace. Di essere stata così… fredda con te.
Avrei potuto parlarti un po’ di
più. Non ho molte scusanti, ma è stato difficile,
trovarsi così di punto in
bianco, senza la mamma e Julien” ammise anche sua sorella.
Camille annuì
ancora. Ma perché non erano rimaste tutte e due in Francia
con i suoi nonni? Ma
non lo chiese.
Però disse
un’altra cosa: “Ti ho mentito”.
Pansy, che
stava facendo cenno alla ragazza che portava il pranzo, le
lanciò un’occhiata
materna.
“Anch’io. Un
sacco di volte. Quando ti ho detto che ti odiavo, o quando dicevo che
non ti
volevo qui. Ho mentito, sempre. Mi dispiace tantissimo. Mi sento male
ancora,
quando ci penso.”
Camille le
sorrise e l’abbacciò. “Anch’io
ti voglio bene, anche se non te l’ho mai detto”.
Le ragazze si
staccarono e arrivò il pranzo. Era una delle prime volte in
cui Pansy sentiva
di avere fame, dopo tanto tempo. Aveva mangiato qualche boccone, quando
Camille
parlò ancora, mentre mangiava.
“Ti ho
mentito, dicevo, perché non avevo un ragazzo. Io…
l’ho fatto solo una volta. E
l’ho fatto con Nott” disse, tutto d’un
fiato la strega più giovane.
Pansy fece
cadere la forchetta; il padre del bambino era Nott. Immaginarlo e basta
era un
conto. Questa certezza, invece, era devastante.
Sentì
un’ondata di nausea.
Camille non
era sicura di aver fatto bene a dirglielo. Sua sorella aveva una faccia
strana.
Molto strana. Si sarebbe arrabbiata? Ora che stava andando tutto bene
fra loro?
Poi Pansy si
alzò e mormorò: “Vado un attimo in
bagno, torno subito”. La vide precipitarsi
in bagno e si preoccupò. Cos’era successo? Si
alzò quando la vide accelerare il
passo e la seguì.
Quando entrò
in bagno la sentì dare di stomaco oltre la porta. Una strega
che si stava
lavando le mani lanciò una brutta occhiata alla porta
chiusa, scosse la testa e
lanciò a Camille uno sguardo compiaciuto.
Camille si
arrabbiò. Chi era quella stronza che si permetteva una cosa
del genere? Così
inarcò la schiena e spinse in fuori la pancia per fare
notare l’arrotondamento
del ventre e guardò la strega con un’occhiata di
sfida.
Questa dovette
capire perché si affrettò a uscire.
Quando Pansy
uscì dal cubicolo del gabinetto, trovò Camille
che guardava l’entrata del
bagno. Poi la sorella si girò e la guardò
preoccupata.
“Non sei
incinta anche tu, vero?” le chiese.
Pansy sorrise.
“No, tesoro. Non preoccuparti. Dev’essere stato
quello che ho mangiato”.
Si lavò le
mani, si sciacquò la bocca e uscirono dal bagno. Quando si
risedettero al
tavolo, Pansy spostò il piatto e ordinò una tazza
di tè.
Le tremavano
le mani e non voleva che Camille se ne accorgesse, così le
tenne sotto il
tavolo, mentre lei mangiava.
“A lui lo hai
detto?”
Camille si
fermò con la forchetta a mezz’aria.
“Volevo farlo,
ma quando sono arrivata da lui, ho sentito che stava avendo una
discussione con
un’altra ragazza e quando lui le ha detto che erano fatti
suoi perché lui non
ne voleva sapere niente, ho pensato di non dirglielo. Che non sarebbe
stato…
gentile…”
Sua sorella
annuì. L’avrebbe obbligata a dirglielo? Lei
avrebbe preferito non doverlo
vedere più.
“Hai fatto
bene” disse. Camille sospirò soddisfatta. Bene.
“L’avete fatto solo una volta,
quindi?”
“Sì te l’ho
detto prima. Una cosa allucinante, io penso di aver bevuto troppo, mi
sentivo…
Sola e ho fatto una cazzata…”
“Mi dispiace”,
Pansy si avvicinò e le strinse un braccio “se io
ti fossi stata più vicina…”
Camille scosse
la testa. “Ho fatto io una stupidaggine, non è
stata colpa tua”. Lei la guardò
con uno sguardo tenero.
“Ma… almeno,
eri consenziente? Lui non ti ha… mmm…”
La giovane
strega scosse la testa e spalancò gli occhi. “Non
mi ha violentato. È stato
distrasoso, ma non così. Io volevo. Anche se dopo avrei
voluto aver detto di
no. Dovevo ascoltarti quella volta che mi avevi detto di non farlo con
il primo
che passava”.
Camille guardò
la sorella, perché le faceva questa domanda? Era strano.
“E non ti ha offerto
da bere prima, vero?” chiese Pansy. Lei scosse ancora la
testa, confusa.
Pansy
riuscì a
fermare il tremore delle mani e a bere un po’ di te.
Dovevo dirti
chiaro e tondo di star lontano da Nott. Si maledisse
per non averlo fatto quando era il momento. La cameriera
portò un piattino di biscotti per accompagnare il suo
tè. La Serpeverde la
ringraziò.
Ne prese uno e
gli diede un morso; erano molto più buoni quelli che aveva
fatto la signora
Weasley.
Una lacrima le
scese lungo la guancia. L’asciugò velocemente. Non
si sarebbe fatta mettere KO.
Da nessuno. Così mangiò un altro biscotto,
sorrise e si voltò verso la sorella.
“Allora, adesso andiamo a comprare un po’ di
vestiti e poi ti porto in un posto
favoloso” disse.
Camille annuì.
“Dove andiamo?”
“Ti fidi di
me?” La strega più giovane annuì
ancora, un po’ confusa. “Bene. Ti
piacerà
vedrai”.
Dopo un
pomeriggio di shopping si sarebbero meritate un bel massaggio. Alla
babbana.