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Autore: ONLYKORINE    18/07/2018    1 recensioni
È finita la guerra. La scuola viene ricostruita e Ginny, Harry, Hermione e Ron tornano a Hogwarts per i M.A.G.O. Ma non va tutto come ci si aspetta. Hemione e Ron non sembrano fatti per stare insieme. E Harry e Ginny? Ce la faranno a iniziare (e mantenere) la loro storia?
Hinny e un po' di Dramione...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ritorno a Hogwarts e one shot'
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Medicazioni e visite

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Pansy era nell’ufficio della McGranitt da almeno mezz’ora. La preside le aveva detto di entrare e di aspettare lì, ma lei pensò che se ne fosse dimenticata. Guardò ancora l’orologio: fra non molto sarebbe stata ora di cena. E poi un meraviglioso sabato sera. Da sola.
Stava guardando fuori dalla finestra, annoiata, quando improvvisamente, dal camino uscì qualcuno.

 

Ron arrivò a Hogwarts come al solito in ritardo, ma quando uscì dal camino della McGranitt non vide la preside, pronta a sgridarlo, ma si trovò faccia a faccia con la sua Serpeverde preferita. Doppia fortuna.
“Ciao” le disse sorpreso. Si guardò intorno, per verificare di non aver sbagliato camino, e poi riportò l’attenzione su di lei, che lo guardava con gli occhi sbarrati.

 

Pansy vide il rosso uscire dal camino con quel sorriso strambo e si sorprese un po’. Di cosa, poi? Sapeva che l’unica via di accesso con l’esterno (a parte le proprie gambe) era proprio il camino della preside.
“Ciao. Tiri Vispi?” chiese.
Lui annuì. “Già. È molto più comodo tornare senza puffole” disse alzando le mani e sorridendo. Doveva essere contento. Sorrise all’idea senza accorgersene.
“Gran bella partita, oggi” si complimentò, non sapendo cosa dire.
“Sei venuta a vederci?” le chiese lui.
Oh. Non si ricordava di averla vista? Ci rimase malissimo. Poi lui rise: la stava prendendo in giro! Si ritrovò a sorridere ancora.
“Mi ricordo di averti salutato, non fare quella faccia” esclamò, ammicando.
Lei si voltò verso la finestra, un po’ arrabbiata, ma non del tutto.

 

“Vieni a Hogsmeade con me sabato prossimo?” Ron parlò tutto di un fiato per paura di non riuscirci.
Pansy si rivoltò verso di lui, con la bocca aperta. “Ma non dovevi andarci con qualcun altro?” gli chiese, con la fronte corrugata.
“Harry se ne farà una ragione. Ma se non vuoi venire da sola con me, chiediamo a lui e a Ginny di venire con noi” continuò lui. Di’ di sì. Di’ di sì. Lei aggrottò la fronte. Brutto segno.
“Dovevi uscire con Potter?”

 

Il rosso fece una smorfia strana, si avvicinò e si sedette sull’altra sedia che c’era da quel lato della scrivania.
“E con chi sarei dovuto uscire?” Lei alzò le spalle.
Si sentirono dei passi in lontananza fuori dalla porta. Si girarono tutti e due verso l’uscio.
“Ne parliamo stasera?” le chiese lui, velocemente. Lei scosse la testa.
“Stasera ho lo stesso problema di ieri” gli rispose.
“Che era?”
I passi erano sempre più vicini.

Pansy si avvicinò a lui e gli parlò direttamente all’orecchio. Quando tornò ad appoggiare la schiena alla sedia vide le sue orecchie diventare sempre più rosse. Lui si alzò e lei si preparò a vederlo andare via prima che arrivasse la McGranitt.
“Ci vediamo alle nove in sala grande?” le chiese invece, ancora vicino alle sedia.
La porta si aprì e la preside entrò. “Mi scusi signorina Parkinson, degli studenti mi hanno fermato per… Oh, signor Weasley, vedo con piacere che è tornato in tempo per la cena, stavolta” disse e rimarcò l’ultima parola con tono allusivo.

 

Ron si voltò verso la preside e riuscì a risponderle qualcosa. Poi si girò verso la Serpeverde, in attesa di una risposta, ma lei lo guardava in maniera strana, senza dire niente.
“Buonasera, signor Weasley”, lo congedò la McGranitt.
Lui salutò e prima di uscire la guardò ancora: Pansy annuì e poi si girò verso la strega.
Uscì sorridendo.

 

***

 

L’infermiera aveva dato a Harry una pomata (che Ginny immaginò fosse la Pomata Cancellalividi del Tiri Vispi) e gli disse che avrebbe dovuto spalmarla sulla parte lesa. Ginny lo guardò ridendo mentre si toglieva i pantaloni.
“Non si ride delle disgrazie altrui!” Harry sorrise, mentre la sgridava.
“Sei buffo” disse lei, guardandolo contorcersi.
“Veramente mi fa male” ammisse il moro. Lei si avvicinò e lo aiutò a sedersi e a sfilarsi l’indumento. Quando vide il livido, che gli occupava tutta la coscia, spalancò gli occhi.
“Merlino! È bello grosso” esclamò. Lui ridacchiò divertito per il doppio senso e lei lo zittì con un’occhiata. Lo fece stendere su uno dei letti e gli spalmò la pomata sul livido violaceo, sedendosi di fianco a lui.
“Giovedì vado a fare un altro allenamento con le Holyhead Harpies” annunciò.

 

Harry trattenne il respiro quando lei passò le dita sulla parte del livido più scura.
“Di già? Devi essere piaciuta molto alla Jones!”
Lei sorrise senza dire niente. Passò ancora la mano sul livido, un pochino più leggera e senza spalmare la crema. Sembrava una carezza, ma Harry trattenne il respiro ancora.
“Vorresti… ti piacerebbe… venire con me?” gli chiese.
Il ragazzo si tirò su, appoggiandosi a un gomito.
“Venire a vedere il tuo allenamento?” Ginny annuì. “Certo!”
Poi ci pensò su. “Ma non so se la McGranitt…”
“Mi ha detto lei di scegliere qualcuno da portare con me” spiegò.
“Allora sì. Starò attento ai bolidi per te” disse, ammiccò e si ridistese sul letto.

 

“Non mi distrarrai, vero?” Ginny non era ancora del tutto convinta.
“Assolutamente no. Ma potrei fare il tifo e lanciare scritte verdi tipo quelle che c’erano oggi per Ron in tribuna” disse, prendendola in giro.
Ginny si agitò e premette, apposta, la mano sul livido. Vide la faccia di Harry contorcersi dal dolore e ridere allo stesso tempo. “Ok, ok, lo sai che non lo farò!”
“Mi fai sempre arrabbiare” si lamentò lei, sbuffando divertita.
“È per non farti annoiare” ammise Harry.
“Ci riesci bene” disse lei.
Gli occhi di Harry erano ancora divertiti, ma quando lui divenne serio, l’unica cosa che pensò di fare Ginny fu di mettergli le braccia al collo e baciarlo.
Purtroppo, vide arrivare la Chips e si alzò dal letto. L’infermiera controllò la gamba di Harry e gli disse che entro un’ora sarebbe andato via tutto e lo avrebbe fatto uscire. La rossa lo vide annuire e gli sorrise.
“Signorina Wealsey, lei può andare, è quasi ora di cena” la liquidò l’infermiera.
“Ci vediamo dopo, Harry?” Lui le fece un cenno con la testa e lei si avviò verso l’uscita.

 

***

 

Ron era in sala grande, appoggiato al muro del corridoio che portava ai sotterranei. Non erano tanti i ragazzi in giro.
Guardò l’orologio. Le nove e dieci: pensò che la Serpeverde gli desse buca. Sbuffò, appoggiò la pianta del piede al muro e lanciò un’occhiata verso i sotterranei: niente.
Poi, improvvisamente sentì uno scalpiccio sempre più rumoroso e sempre più vicino. Si tirò su e guardò il corridoio. Quando Pansy girò l’angolo correndo, sorrise. Per fortuna aveva i Jeans e le scarpe da ginnastica.

 

Quando Pansy si accorse del rosso, rallentò l’andatura, ma non lo fece apposta. Lui era lì, che l’aspettava. Sempre; lui c’era sempre. Sorrise.
“Scusa, Camille ha avuto una crisi isterica… Ho dovuto calmarla e sembra che non ci sia niente che tranquillizzi un’adolescente incinta” spiegò, brevemente e lui annuì.
Guardò la sala grande, fra non molto sarebbe iniziato il coprifuoco e si sarebbe svuotata del tutto.

 

“Andiamo.”
Ron le prese la mano e si avviò verso la porta per imboccare le scale. “Ok. Dove andiamo?”
Lui sorrise e si voltò verso di lei. “Forse dovevi chiederlo prima di dire ‘Ok’” disse.
Sorrise anche lei. “Non c’è bisogno” rispose lei.
Ron si fermò. “Perché non c’è bisogno?”
“Perché stasera mi fido di te” gli sussurrò. Il suo sorriso si allargò, ma lui rimase fermo a osservarla. “Forse, però, dovremmo andare, o saremo ancora qui, domani”.
Il rosso si riprese e tornò a camminare. “Quindi non me lo dici dove andiamo?” richiese dopo un po’.
“Andiamo sulla torre di Astronomia” rispose Ron.

 

La torre di Astronomia? Che aveva in mente? Ma Pansy non se ne curò.
“Va bene.”
Salirono insieme le scale del castello e passarono pianerottoli e ancora gradini, tantissimi gradini. Quando oltrepassarono la porta che dava sulla scala a chiocciola e dove, finalmente, rimasero soli lui si girò e la spinse delicatamente contro il muro; le portò una mano sul viso e la baciò. Teneramente.
Pansy socchiuse le labbra e rispose al suo bacio, lasciando che lui l’accarezzasse.
“Scusa. Non ce l’ho fatta ad aspettare di arrivare su” ammise lui, con le orecchie rosse.
Pansy brillava. Le sue parole erano come il miele, scivolavano dense lasciando una traccia dolce e lei non aveva mai amato così tanto le cose dolci.

 

Non era riuscito ad aspettare. Non ce l’aveva fatta. Merlino. Chissà cosa pensava, adesso, di lui.
Si staccò malvolentieri da lei e riprese a salire i gradini. Quando aprirono la porta che dava sui bastioni, al piano più alto, il freddo li investì. Doppio Merlino. Non aveva pensato che li facesse più freddo che giù. Si voltò verso di lei, per vedere se il freddo la infastidiva, ma Pansy aveva già tirato fuori la bacchetta.
Quando uscirono dalla porta, il gelo di gennaio che aveva ghiacciato i merli della balaustra, annebbiò per un attimo le loro menti. Poi Pansy, con la bacchetta in mano, fece comparire una spessa coperta sul pavimento vicino al muro e gli fece cenno di sedersi.
Quando si sedette, Ron scoprì che la coperta emanava calore. Lei gli si sedette vicino e un’altra coperta comparve a coprirli. Posò la bacchetta nello spazio fra loro e si appoggiò contro di lui.
“Le stelle stasera sono bellissime” disse il ragazzo.
Nonostante il freddo, infatti, il cielo era limpido, il giorno dopo sarebbe stata serata di luna nuova e non c’erano altre luci oltre alle stelle. Lui le circondò le spalle con un braccio.
“A mio papà piacevano le stelle” confidò lei.
“Per questo hai le stelle tatuate? La costellazione del cane, con Sirio?”
Non ne avevano mai parlato, così lui non aveva mai potuto dirle che sapeva quale fosse, né le aveva mai detto quanto trovasse eccitante vedere le stelle brillare sulla sua schiena quando stavano insieme.
Lei annuì, si agitò e si mosse sotto la coperta. “Se ti faccio vedere una cosa, prometti che non ridi?”
Lui si voltò appena verso di lei e annuì. Poi si rese conto che forse lei non lo vedeva e disse: “Certo”.
Pansy tirò fuori una mano dalla coperta e la sua bacchetta si illuminò. Ron vide che, oltre alla bacchetta aveva in mano un pezzo di pergamena. Lo prese quando glielo porse e scoprì che era una foto. Quando la prese, lei puntò la bacchetta in maniera che si vedesse meglio: un uomo sulla trentina, o forse meno, aveva in braccio una bambina piccola, scura di capelli di circa un anno; si voltò verso di loro e salutò con la mano libera. La piccola rideva, e appoggiava le manine sulla faccia dell’uomo per farlo girare verso di lei. Lui lo fece e le diede un bacio sulla guancia.
Ron guardò ancora la foto, sorridendo. La girò e lesse la grafia elegante che diceva: “Pansy, la mia principessa delle stelle”
Poi gliela allungò, lei la mise in tasca, e spense la bacchetta. “È l’unica foto che ho. L’ho trovata per caso. Mamma aveva buttato tutto” disse, un po’ triste.
“Oh. E come mai?”
Lei alzò le spalle. “Non lo so. Non ho mai capito veramente mia madre. Faccio ancora fatica adesso”. Lui si trattenne dal chiederle qualunque cosa. “Camille avrebbe bisogno di lei, adesso” mormorò, più a se stessa che a lui.
Sospirò e appoggiò la guancia sulla sua spalla. Ron non sapeva bene cosa dire. Ma lei non aveva bisogno di un interlocutore, infatti continuò: “Oggi si è provata dei vestiti che non le entravano più e ha avuto una mezza crisi. Ha iniziato a piangere. Non riuscivo più a calmarla. Ha scoperto che le divise scolastiche non si possono modificare con la magia…”
“No?” chiese, stupito, lui.
“Non lo sapevi? Beh, forse tua sorella non è il tipo che abbia mai provato ad accorciare la gonna della sua divisa” disse divertita.
Ron non lo sapeva. Ma sapeva che… “Le tue gonne sono più corte di quelle delle altre ragazze”.

 

Come, come, come? Ma cosa diceva?
“Come?” gli chiese Pansy.
“Le tue gonne sono più corte. Io l’ho notato.”
“Oh. Io… ho le divise vecchie e…” Pansy si zittì per non dire che non aveva potuto acquistare divise nuove quell’anno.

 

Ron non le avrebbe mai detto di averlo notato quando era iniziata la scuola e non di recente.
Rimasero zitti per un po’, lui contento del fatto che non potesse vedere il suo imbarazzo e Pansy fantasticando sul fatto che lui avesse notato una cosa così… così… così stupida. E carina. La guardava? Sorrise ancora.

 

Ora aveva dovuto prestare le sue divise vecchie alla sorella. Sospirò. “Questa gravidanza fa diventare matta me”.  
“Mio fratello Bill dice la stessa cosa” disse lui e la strinse un po’. Lei sorrise.
“Dovrebbe essere il padre del bambino a subirsi tutto questo, non io” disse, pensando al ragazzo con la cicatrice nella cucina dei Weasley. Poi si rese conto di ciò che aveva detto. Merlino. “Per Salazar, che cosa orribile ho detto!”

 

Ron cercò la sua pelle sotto il maglione e l’accarezzò con la punta delle dita. “Penso sia normale. Non devi preoccuparti. E poi è vero, non dovrebbe essere compito tuo…” Cercò di ricordarsi cosa aveva detto sua madre a Bill quando, stanco, si era lamentato. “Vedrai che quando nascerà ti sarai dimenticata di tutto questo”.

 

Pansy si tirò su in ginocchio e si voltò verso di lui. Veramente aveva detto una cosa così? Veramente lo pensava? Illuminò la bacchetta e lo guardò. “Sei serio?” Ron sentì le orecchie infiammarsi e lei, che ormai conosceva il suo imbarazzo corrugò la fronte.
“Mamma l’ha detto a Bill quando ci è venuto a trovare. Pensavo fosse... tipo… una frase di circostanza…”
Lei rise. “Sei impagabile, te l’hanno mai detto?” Si avvicinò a lui in ginocchio e gli fece girare il viso verso di lei; gli appoggiò le labbra sulle sue, in un piccolo bacio. Un piccolo bacio dolce e leggero. Poi però ritornò seduta e si ricoprì con la coperta.

 

Ron aveva ancora le orecchie in fiamme. Non era bravo a parlare. Diceva spesso cose sbagliate al momento sbagliato. Ma lei aveva riso e l’aveva baciato.
“E la storia di Nott?” Pansy si irrigidì e lui pensò di aver detto, di nuovo, la cosa sbagliata.
“Camille dice che non è lui il padre del bambino” disse.
Aveva un tono che Ron conosceva già, infatti chiese: “Ma…?”
“Ma io non le credo. Sono un’orribile persona che dice cose orribili.”
“Perché sei orribile?” le chiese. A lui non sembrava proprio.
“Perché dovrei credere a mia sorella.”
“Allora sono una persona orribile anch’io. Ho smesso di credere a mia sorella tempo fa”. Soprattutto da quando mi racconta delle stupidate su fidanzati fasulli.
“Tu non sei orribile. Hai salvato il mondo magico.”
Il rosso lasciò cadere l’argomento. Come gli facevano notare, erano stati l’intelligenza di Hermione e il coraggio di Harry a salvare il mondo magico. Lui in fin dei conti che aveva fatto? Gli Horcrux avrebbe potuto distruggerli chiunque con l’arma giusta. Non è che avesse fatto poi granché.
Così chiese ancora “Ma Nott cosa pensa?”

 

Pansy si immobilizzò. Cosa pensava Nott riguardo a cosa? “Cosa pensa di cosa?” gli chiese.
“Pensa che sia suo?” Ah. Si rilassò senza accorgersene
“Non ho intenzione di dire niente a lui. Per quel che ne so, non c’entra niente” rispose. Guardò in alto. Le stelle erano favolose, ma così lontane. “Nott non mi piace. È una persona cattiva…” Guardò l’orologio ed esclamò: “È mezzanotte! Dobbiamo andare, la ronda dei prefetti sarà già finita!”

 

E fece per alzarsi. Ron invece voleva stare ancora lì. Stava bene. E voleva sapere di più sulla cattiveria di Nott. Ma si alzò anche lui. “Sì, andiamo”.
In fondo alla scala a chiocciola, tirò fuori il mantello dell’invisibilità. Aveva chiesto a Harry di prestarglielo e lui non aveva avuto problemi. Coprì lei e se stesso e l’accompagnò ai sotterranei.

 

Pansy continuava a dirgli che non c’era bisogno, che sarebbe andata da sola, che non era il caso che lui andasse fino ai sotterranei per poi tornare alla torre dei Grifondoro. Ma lui non volle sentir ragioni.
L’accompagnò e aspettò che lei entrasse nei sotterranei, e poi, tornò nella torre. Proprio un bravo ragazzo. Sorrise mentre si avviava verso i dormitori.

 

***

 

Ginny era seduta in sala comune da un tempo memorabile, secondo lei. Guardò di nuovo Hermione, in poltrona vicino al camino che leggeva un libro della biblioteca. Si avvicinò e si sedette sul tavolino davanti a lei.
“Ciao” esordì. La riccia alzò gli occhi dalla pagina e, sorpresa, rispose al suo saluto. “Cos’è successo, Hermione?” La ragazza la guardò, ancora più sorpresa, e poi si guardò intorno.
Quando riportò gli occhi sulla rossa chiese: “Che vuoi dire?”
“Ti guardavo da un po’ e sembra che tu non stia girando le pagine di quel libro che fingi di leggere. Ma non ti ho visto controllare nessuno, qui in sala comune, quindi immagino che tu abbia la testa altrove.”
Hermione chiuse di scatto il libro. “Non è successo niente” rispose, troppo velocemente per essere vero.
Ginny si inclinò all’indietro e appoggiò le mani sul tavolino, dietro di lei. “O forse non lo vuoi raccontare a me. Vuoi che vada a chiamare Harry? O Ron?”

 

Hermione capì che Ginny era ancora arrabbiata per la storia di Ron.
“Non potevo dirtelo, non era un mio segreto e non era un pettegolezzo. Come me n’ero accorta io, avresti potuto accorgertene anche tu.”
Gli occhi della rossa si assottigliarono. “E perché non me l’hai detto prima?”
“Ti ho detto perché. Non era…” Ginny si ritirò su e si riavvicinò alla poltrona con il busto.
“Perché non mi hai detto questa frase prima? Tipo quando siamo tornati a scuola? O la settimana dopo o la scorsa o tre giorni fa o ieri? Perché non mi hai più parlato?” La voce della ragazza si incrinò.
“Oh, piccola, pensavo che tu ce l’avessi con me. Pensavo non volessi parlarmi tu.”
La strega più giovane spalancò gli occhi ma non disse niente e allungò una mano verso di lei; il suo smalto divenne rosa, un bel rosa carico. Hermione sorrise. “Pensavo che fossi arrabbiata”
“Lo ero”, guardò sorridendo la sua mano e continuò “ma tu rimani comunque la mia miglior amica. So di aver esagerato in pizzeria; mi dispiace. So di essere troppo impulsiva. Mi dispiace anche di questo. So di sbagliare troppo spesso. Volevo solo che tu venissi da me e…”
La riccia si alzò dalla poltrona e l’abbacciò. Non si preoccupò neanche del libro che cadde sul tappeto. Ginny la circondò con le braccia e strinse forte.
“Dispiace anche a me. Ti giuro che non volevamo escluderti” le disse.
“Ok.”
Rimasero abbracciate un pochino e quando si staccarono Hermione raccolse il libro che le era caduto. “Allora, che è successo? Posso andare a chiamare veramente Harry o Ron, se hai bisogno”.
“No. Non devi chiamare nessuno. Perché mi chiedi se è successo qualcosa?”
Ginny sorrise meravigliata. “Perché ormai ti conosco?”
La riccia sorrise tristemente. “Non è successo niente di importante…”
La rossa rise. “Vedi che è successo qualcosa? Allora cos’è? Ti avranno mica dato un brutto voto?”
Hermione spalancò senza volere gli occhi. “NO!” Poi si rese conto che Ginny lo aveva detto apposta e abbassò gli occhi sorridendo. “Non cambi mai”.
“Ma ti faccio ridere” le dissse la rossa.
“Sì. È vero.”
Ginny si alzò e si andò a sedere sul bracciolo della poltrona, accarezzandole la testa. “Vuoi dirmi cos’è successo da impedirti di leggere un interessantissimo libro su…”, si sporse per vedere il titolo del libro e Hermione rise leggermente, “... oh, ve, il Quidditch!”

 

Cosa?
“Cosa?” Hermione cambiò espressione e si allungò per recuperare il libro sul tavolino e lo girò. Possibile che si fosse sbagliata e avesse preso un libro sul Quidditch senza accorgersene? Praticamente non l’aveva neanche guardato, quando si era messa in poltrona.
Guardò il titolo: ‘Traduzione Avanzata delle Rune”, no, non si era sbagliata, era uno dei suoi. Era giusto. Guardò Ginny che rideva sguaiatamente. Sbuffò ma rise anche lei.
Quando la rossa finì, la guardò e le disse: “Se ne vuoi parlare, sono qui, ok?” Hermione scosse la testa.
“No. Altrimenti diventerà reale” rispose, smettendo di ridere.
“Cosa?”
La riccia sospirò. “Quello che ho visto”.
“E cosa hai visto?”
“Ho visto Draco al ministero, oggi.”

 

Santo Godric. Il furetto faceva danni?
“E quindi?” Hermione sospirò. Due volte.
“Non mi sono fatta vedere.”
“Non sa che c’eri anche tu?” La riccia scosse la testa.
Ma una relazione normale, quei due, no?
“Non gli hai detto che andavi al ministero?” Hermione divenne rossa sulle guance.
“No. Non l’ho detto a nessuno” rispose.
Ginny aspettò. E aspettò ancora. Poi sospirò anche lei. “Ok. Così diventa molto lungo. Se non mi vuoi dire cosa ci sei andata a fare e perché non l’hai detto a nessuno, va bene, ma Malfoy perché c’è andato?”
“Non lo so” ammise.
Adesso la rossa sbuffò. “E perché non glielo hai chiesto?”
“Te l’ho detto. Non mi sono fatta vedere” precisò.
“E dopo? Non l’hai visto qui a scuola?” Hermione iniziò a giocare con la copertina del libro.
“Sì, ma lui non me ne ha parlato. E io non volevo dirgli che l’avevo visto.”
“Quindi, oggi siete andati tutti e due al ministero della magia, senza dirvelo, ma tu l’hai sgamato. Giusto?”
La riccia la guardò un attimo e poi annuì. “Sì, più o meno”.
“Avete dei grossi problemi” disse la rossa. Hermione rise dell’espressione di Ginny, ma lei continuò. “Guarda che dovreste parlarvi. Digli che c’eri anche tu e che l’hai visto. O digli solo che ci sei andata e vedi cosa ti dice lui”.

 

Hemione scosse la testa. Non sapeva cosa pensare. Draco le stava nascondendo qualcosa? E cosa? E perché? Era qualcosa che le nascondeva fin da quando si erano messi insieme o solo adesso? Perché era andato al ministero da solo?
Di qualsiasi cosa avesse bisogno, sicuramente lei avrebbe potuto aiutarlo nella pratica. Una piccola fitta al centro della fronte le fece capire che la sua mente stava andando nella direzione sbagliata, quando Ginny improvvisamente gridò.

 

“Il C.R.E.P.A.! Sei andata al ministero per il C.R.E.P.A.! È giusto?” gridò.
La riccia spostò il suo sguardo su Ginny, sorridendo.
“Già” ammise.
“Oh. E perché non ne volevi parlare con nessuno?”
“Perché è una cosa mia e ancora non l’ho studiata fino in fondo. Preferisco non parlarne con nessuno, visto il poco entusiasmo manifestato” ammise Hermione, un po’ seccata.
“E non vuoi che lo sappia neanche Malfoy? Se avessi il suo appoggio…”
“No. Come dicevo: è una cosa mia.”
La rossa guardò Hermione e vide la sua espressione risoluta e non andò avanti nell’argomento. “Però non so come aiutarti per l’altra questione…”
“La Parkinson non ti ha detto niente?” le chiese la riccia.
Ginny sapeva bene quanto le costava quella domanda, così decise di parlare francamente: “Beh, è molto difficile che Pansy racconti qualcosa di sé, figurati qualcosa di qualcun altro. Di Malfoy, poi. Durante le vacanze hanno avuto una piccola discussione su Nott e se ho capito bene, lei lo sta evitando per non dargli spiegazioni”.
“Oh. Non lo sapevo” ammise Hermione.
“Già. Ho faticato anch’io a mettere insieme tutto.”
La riccia tornò a guardare il libro con sguardo pensieroso e Ginny l’aveva vista chiudere gli occhi come quando aveva le crisi.
“Facciamo così. Se mi prometti che non ci pensi, vedrò se riesco a scoprire qualcosa, ok?” le propose Ginny e lei annuì, ma la rossa non era ancora convinta. “Vai a cercare Ron e…”
“Dici che a lui la Parkinson ha detto qualcosa?” l’interruppe lei, non troppo convinta.
“…fate una partita a scacchi che ti distrae” continuò Ginny e la guardò male. “Ti ho detto di non pensarci. E non chiedergli niente. Non so neanche se quei due parlano, oltre a rotolarsi sotto le lenzuola!”
Hermione rise. “Ok, va bene”.

 

***

 

Camille quella mattina non sarebbe andata a lezione. Aveva il permesso della McGranitt di saltare le lezioni. Sarebbe andata al San Mungo con Pansy; per controllare il bambino.
Quel piccolo maghetto o streghetta le aveva dato un sacco di fastidi, aveva avuto tantissime nausee, ma adesso non ne aveva più e mangiava con più gusto. E non si sentiva più stanca come all’inizio, ma la pancia iniziava a gonfiarsi e i jeans non le stavano più. Aveva scoperto che le divise le scolastiche non si potevano modificare con la magia, così ora stava usando le vecchie divise di sua sorella, anche se le aveva detto che sarebbero andate presto a farne fare altre.
C’erano momenti in cui lo sconforto la faceva deprimere e immaginare le cose peggiori. Avrebbe tanto voluto chiedere consiglio a maman, ma lei era ad Azkaban.
Non aveva ben capito il perché fosse lì. Sapeva solo che da quando era successo la sua vita aveva preso quella brutta piega. Forse aveva sbagliato a dire che voleva tenere il bambino, forse sarebbe stato meglio decidere diversamente… ma ormai non si poteva più fare niente.
Guardò il vasetto con le tre pastiglie di vitamine che doveva prendere; una per sera a partire dal terzo giorno dalla luna nuova. E quando era la luna nuova? Doveva ricordarsi di chiederlo alla professoressa o a sua sorella.
“Lunedì era luna nuova” disse Pansy a colazione, quando la sorella glielo chiese. Camille annuì, contando i giorni. Quella sera doveva iniziare.
“Perché vuoi saperlo?” Lei scosse la testa, per non parlare al tavolo della colazione e salutò Astoria che entrava in quel momento in sala grande. Aveva chiesto se poteva venire anche Astoria con loro, visto che era l’unica a cui avesse raccontato del suo stato, ma la McGranitt non aveva dato l’approvazione perché la giovane Greengrass era ancora minorenne.

 

Pansy entrò al San Mungo nel reparto che le aveva indicato la strega alla reception, con un po’ di timore. Notò che anche Camille era un po’ intimorita, così cercò di sembrare, se non proprio sicura, almeno convinta di quello che stavano facendo.
Il medimago che le accolse era gentilissimo e anche molto giovane. Pansy lo guardò un po’ stranita. Non era troppo giovane? Aveva studiato abbastanza?
“Hai visto com’è carino?” le sussurrò Camille. Lei si girò con l’intenzione di sgridarla. Ma era una cosa da pensare? Nel suo stato? Ma poi, quando la guardò vide una ragazzina di quindici anni, che le uniche cose di cui avrebbe dovuto preoccuparsi dovevano essere i trucchi, i vestiti e come far sparire i brufoli prima di un appuntamento, così stette zitta e le sorrise.
Le prese la mano ed entrarono nell’ambulatorio.

 

Il medimago le fece tantissimi esami, e ci mise una gran quantità di tempo, ma sembravano tutti importanti, così Camille non si lamentò. Quando la fece sdraiare sul lettino, avvicinò una macchina che sembrava una macchina fotografica, solo molto più grande, dicendo che quel tipo di esame era nuovo ed era molto interessante perché si poteva vedere il bambino. La giovane strega guardò la sorella con un gran sorriso e lei annuì. Lui parlò con Pansy dicendo qualcosa sul fatto che quello non era compreso nella visita e avrebbe avuto un conto a parte. Sua sorella disse che non era un problema e, anche se la vide alzare le sopracciglia quando lui disse il prezzo, acconsentì.
Il medimago le appoggiò la macchina sulla pancia e schiacciò due bottoni. Una grossa fotografia uscì da quell’affare e gliela mostrò. L’immagine non era chiara come una fotografia, ma il bambino si vedeva bene, un piccolo esserino che si muoveva, spingendo i piedini e agitando le manine.
Le vennero le lacrime agli occhi. Il suo bambino? Quello era il suo bambino? Ma che piccolo, dolce, tenero…. vide che anche Pansy aveva le lacrime agli occhi, mentre le sorrideva.
Forse sarebbe andato tutto bene.

 

Quando uscirono dal San Mungo, era ora di pranzo. “Ho fame” disse, infatti, Camille.
Pansy annuì e le fece una proposta: “Potremmo andare a mangiare qualcosa, fare shopping e passare il pomeriggio insieme, che dici?”
Camille sorrise. “Sì! Vestiti che mi vanno!”
La strega più grande sorrise ancora e annuì. “Te lo avevo promesso, no?”
“Grazie!” esclamò e l’abbracciò.
Pansy era contenta. Sarebbe stato un bel pomeriggio.

 

“Ma guarda! Si muove un sacco!” disse sua sorella.
Stavano ancora guardando la fotografia che il medimago aveva dato loro, mentre aspettavano che arrivasse il pranzo, sedute in un locale.
“Oh, penso si stia muovendo anche adesso!” esclamò Camille, appoggiandosi una mano sul ventre. “Non sono sicura che tu riesca a sentirlo, ma prova”.
Le prese una mano e l’avvicinò all’altra mano, per essere sicura che fosse il posto giusto.

 

Pansy sentì qualcosa di impercettibile, o forse se l’era immaginato? Ma la sensazione che le aveva lasciato addosso era stupenda. Glielo disse. Ancora meravigliata, pensò: un bambino. O una bambina.
“Potremmo iniziare a parlare di nomi, che dici?”
Camille sorrise. “Tu cosa pensi che sia? Un maschio o una femmina?”
“Non so. Cosa ti piacerebbe?” le chiese Pansy.
“Oh, non saprei. Devo ancora abituarmi all’idea”. Camille si passò ancora la mano sul ventre.
Pansy guardò ancora la foto: quell’esserino era così tenero. “Sai che sembra che abbia il mento come Julien, tuo papà? Guarda”.
Si avvicinò alla sorella e le mostrò un particolare della foto.

 

Camille alzò lo sguardo su di lei: era il momento giusto, forse.
“Mi dispiace” sussurrò.
Pansy la guardò, ancora sorridendo e le chiese: “Per cosa?”
“Per tutto. Per questo. So che non poteva esserci momento peggiore” disse ancora, indicandosi la pancia.
“Non devi preoccuparti, hai capito? Sistemeremo tutto”
Le prese la mano e la strinse forte. Camille stava per piangere, così non disse niente e annuì.
“Anche a me dispiace. Di essere stata così… fredda con te. Avrei potuto parlarti un po’ di più. Non ho molte scusanti, ma è stato difficile, trovarsi così di punto in bianco, senza la mamma e Julien” ammise anche sua sorella.
Camille annuì ancora. Ma perché non erano rimaste tutte e due in Francia con i suoi nonni? Ma non lo chiese.
Però disse un’altra cosa: “Ti ho mentito”.

 

Pansy, che stava facendo cenno alla ragazza che portava il pranzo, le lanciò un’occhiata materna.
“Anch’io. Un sacco di volte. Quando ti ho detto che ti odiavo, o quando dicevo che non ti volevo qui. Ho mentito, sempre. Mi dispiace tantissimo. Mi sento male ancora, quando ci penso.”
Camille le sorrise e l’abbacciò. “Anch’io ti voglio bene, anche se non te l’ho mai detto”.
Le ragazze si staccarono e arrivò il pranzo. Era una delle prime volte in cui Pansy sentiva di avere fame, dopo tanto tempo. Aveva mangiato qualche boccone, quando Camille parlò ancora, mentre mangiava.
“Ti ho mentito, dicevo, perché non avevo un ragazzo. Io… l’ho fatto solo una volta. E l’ho fatto con Nott” disse, tutto d’un fiato la strega più giovane.
Pansy fece cadere la forchetta; il padre del bambino era Nott. Immaginarlo e basta era un conto. Questa certezza, invece, era devastante.
Sentì un’ondata di nausea.

 

Camille non era sicura di aver fatto bene a dirglielo. Sua sorella aveva una faccia strana. Molto strana. Si sarebbe arrabbiata? Ora che stava andando tutto bene fra loro?
Poi Pansy si alzò e mormorò: “Vado un attimo in bagno, torno subito”. La vide precipitarsi in bagno e si preoccupò. Cos’era successo? Si alzò quando la vide accelerare il passo e la seguì.
Quando entrò in bagno la sentì dare di stomaco oltre la porta. Una strega che si stava lavando le mani lanciò una brutta occhiata alla porta chiusa, scosse la testa e lanciò a Camille uno sguardo compiaciuto.
Camille si arrabbiò. Chi era quella stronza che si permetteva una cosa del genere? Così inarcò la schiena e spinse in fuori la pancia per fare notare l’arrotondamento del ventre e guardò la strega con un’occhiata di sfida.
Questa dovette capire perché si affrettò a uscire.

 

Quando Pansy uscì dal cubicolo del gabinetto, trovò Camille che guardava l’entrata del bagno. Poi la sorella si girò e la guardò preoccupata.
“Non sei incinta anche tu, vero?” le chiese.
Pansy sorrise. “No, tesoro. Non preoccuparti. Dev’essere stato quello che ho mangiato”.
Si lavò le mani, si sciacquò la bocca e uscirono dal bagno. Quando si risedettero al tavolo, Pansy spostò il piatto e ordinò una tazza di tè.
Le tremavano le mani e non voleva che Camille se ne accorgesse, così le tenne sotto il tavolo, mentre lei mangiava.
“A lui lo hai detto?”

 

Camille si fermò con la forchetta a mezz’aria.
“Volevo farlo, ma quando sono arrivata da lui, ho sentito che stava avendo una discussione con un’altra ragazza e quando lui le ha detto che erano fatti suoi perché lui non ne voleva sapere niente, ho pensato di non dirglielo. Che non sarebbe stato… gentile…”
Sua sorella annuì. L’avrebbe obbligata a dirglielo? Lei avrebbe preferito non doverlo vedere più.
“Hai fatto bene” disse. Camille sospirò soddisfatta. Bene. “L’avete fatto solo una volta, quindi?”
“Sì te l’ho detto prima. Una cosa allucinante, io penso di aver bevuto troppo, mi sentivo… Sola e ho fatto una cazzata…”
“Mi dispiace”, Pansy si avvicinò e le strinse un braccio “se io ti fossi stata più vicina…”
Camille scosse la testa. “Ho fatto io una stupidaggine, non è stata colpa tua”. Lei la guardò con uno sguardo tenero.
“Ma… almeno, eri consenziente? Lui non ti ha… mmm…”
La giovane strega scosse la testa e spalancò gli occhi. “Non mi ha violentato. È stato distrasoso, ma non così. Io volevo. Anche se dopo avrei voluto aver detto di no. Dovevo ascoltarti quella volta che mi avevi detto di non farlo con il primo che passava”.
Camille guardò la sorella, perché le faceva questa domanda? Era strano.
“E non ti ha offerto da bere prima, vero?” chiese Pansy. Lei scosse ancora la testa, confusa.

 

Pansy riuscì a fermare il tremore delle mani e a bere un po’ di te.
Dovevo dirti chiaro e tondo di star lontano da Nott. Si maledisse per non averlo fatto quando era il momento. La cameriera portò un piattino di biscotti per accompagnare il suo tè. La Serpeverde la ringraziò.
Ne prese uno e gli diede un morso; erano molto più buoni quelli che aveva fatto la signora Weasley.
Una lacrima le scese lungo la guancia. L’asciugò velocemente. Non si sarebbe fatta mettere KO. Da nessuno. Così mangiò un altro biscotto, sorrise e si voltò verso la sorella. “Allora, adesso andiamo a comprare un po’ di vestiti e poi ti porto in un posto favoloso” disse.
Camille annuì. “Dove andiamo?”
“Ti fidi di me?” La strega più giovane annuì ancora, un po’ confusa. “Bene. Ti piacerà vedrai”.
Dopo un pomeriggio di shopping si sarebbero meritate un bel massaggio. Alla babbana.

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*** Eccomi con il nuovo capitolo!!! Grazie a chi legge, a chi ha messo la storia fra le seguite e preferite, a chi lascia una recensione, a tutti!! Buona lettura 😉
   
 
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