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Autore: Anya_tara    19/07/2018    2 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Angolino di Anya: so che vi avevo promesso una storia leggera, ma nel capitolo precedente ci sono ricascata coi drammi esistenziali e quindi, spero in questo di aver rimediato, e non lasciarmi prendere la mano con le menate psicologiche. Purtroppo mi viene difficile pensare a Leo senza dargli un po’ d’ombra … e meno male, che sotto il solleone, sennò, pure lui penso stramazzerebbe.
Okay, basta deliri. Passiamo alle cose serie. ( Ma non troppo XD).
                   
Nulla riesce a farmi sentire in forma, pimpante come una lunga doccia calda, un paio di giri di crema per il corpo al sandalo – regalo di mio fratello per il mio ultimo compleanno, spedito via corriere direttamente dall’Australia- , una rasatura minuziosa e sì, questo me ne vergogno un po’ a confessarlo, un impacco – parola sentita infinite volte a mia mamma, costretta a lottare con una selva di capelli ricci e folti- con del balsamo a quel cacchio di argan che ora va tanto di moda. Certo mi pare un po’ strano che un prodotto da discount mantenga i miracoli che promette sull’etichetta posteriore, però pare che funzioni. I miei ricci di solito indomabili hanno assunto l’aria ordinata di boccoli, ricadendo intorno alla mia faccia come capelli d’angelo.
Ho come il brutto presentimento che questa cura mi costerà cara. O meglio, che renda un filino più credibile la mia recita.
Forse, e dico forse. D’altronde, anche il kamasutra raccomanda un’attenzione estrema al proprio corpo, prima che a quello dell’amante. E’ un segno di rispetto, anche se qui non c’è nessuna amante, solo … gli amici di Alejandro.
Diamine, però. Sono nervoso come dovessi incontrare chissà chi. Il Presidente, forse. O il Patriarca. O che cazzo, tutt’e due.
E inoltre, la crema al sandalo è stata un ottimo lenitivo. Ho trascorso praticamente tutto il pomeriggio davanti ai fornelli, come non facevo da secoli. Erano anni che non cucinavo, da quando mio fratello si è trasferito non ce n’è più stata occasione eccetto un paio di Natali, gli ultimi in cui è venuto a Kalliniki, in cui abbiamo preparato il dolce al momento di portarlo in tavola.
Mi manca. Sarà l’odore di Grecia che invade la casa, sarà che ho tirato fuori il suo regalo, ma ora che sono qui, a più di tremila chilometri da casa mia, e chissà quanti da lui,  mi viene la voglia folle di chiamarlo e dirgli di raggiungermi.
Ma non lo faccio, chiaramente. Uno, perché se lo facessi, gli prenderebbe un colpo e penserebbe che sto morendo, che ho la mafia russa alle calcagna, che ho deciso che la laurea è uno spreco di tempo e ho programmato di farmi chiamare Veronica e trasferirmi in Brasile.
E due, perché se mi voltasse il cervello del tutto, e davvero prendessi quel telefono e digitassi quel messaggio, questo vorrebbe dire che si troverebbe davanti … lui.
Potrebbe anche piacergli. Anzi, per come conosco Andrèas gli piacerebbe senza dubbio. Gli basterebbe parlarci due minuti, e già sarebbero amici. Mio fratello è bravissimo a conquistare la gente, persino i più restii con una semplice occhiata, un sorriso.
Adesso come adesso, mi tornerebbe comodo possedere un po’ del suo fascino. Almeno sarei certo di fare buona impressione su …
<< Ehi, Leo, sono arrivati >>, mi avvisa Ale, con due piccoli colpi al battente. inspiro a fondo fissandomi i piedi ancora scalzi, avvolti solo dai calzini neri. Nero su nero, si fondono quasi con la piastrella.
Infilo le scarpe nere, lucide, il maglione panna. A momenti sembro un complemento di arredamento del bagno. Che carino.
Storco le labbra, ma è tardi per cambiarmi. Così prendo fiato ed esco.
Dicono che i primi sette secondi siano quelli fatidici, in cui si decide se una persona ci va a genio o meno. La prima impressione, quella che non si può più modificare.
Ora o mai più. << Ehi … >>. Un paio di occhioni celesti, circondati da ciglia chilometriche mi trafiggono lasciandomi raggelato. Di ricambio, uno sguardo blu notte mi squadra beffardo, ma non ostile.
<< Così, questo è il nuovo inquilino … ciao, io sono Magnus, ma chiamami pure Aphrodite >>. Mi porge la manina candida, dalle lunghe unghie dipinte di rosa porcellana. E’ bello come una ragazza, delicato, con la carnagione di una bambola, e i lunghi capelli biondi e ondulati anche, di una bambola.
<< Lui è Angelo >>, fa, accennando al tipo al suo fianco, tutto l’opposto, invece. Scuro e dai tratti inequivocabilmente mediterranei, la barba incolta sul mento e le guance. Anche la mano è ruvida, ma la stretta è amichevole.
<< Ehm … piacere. Io sono Alexandròs. Ma … potete chiamarmi Leo >>. 
Gli occhioni celesti continuano a squadrarmi minuziosamente. Mi rendo conto solo adesso che mi aspettavo dei tipi taciturni, discreti come Ale.
E mi rendo conto che ho sbagliato in pieno. << Però. Ora capisco come mai ci hai messo tanto a permetterci di venire a vederlo … volevi tenertelo tutto per te, monellaccio! >>.
Mi schiarisco appena la voce, quando sento quella pacata di Alejandro. << Non cominciare, Magnus. Se lo metti in imbarazzo, la serata finisce prima di iniziare >>.
<< E’ così permaloso? >>.
<< No. Ma ti conosco >>.
<< E io conosco te, perché se così non fosse, penserei che sei geloso >>.
<< Certo. Come no >>.
<< Be’, allora, che si mangia? Sto morendo di fame … e visto che ho portato il dolce, penso di meritarmi la cena, no? >>, interviene Angelo, fregandosi le mani nodose, abbronzate.
<< Ah, il dolce … il solito, dolce >>, fa Magnus, levando gli occhi al soffitto. Angelo gli scocca un’occhiataccia.
<< Cos’hai contro i cannoli? >>.
Le manine pallide del biondo si alzano in segno di resa. << Mi spiace, Ale mi ha messo la museruola. Se faccio il cattivo bambino, mi butta fuori sul pianerottolo >>.
<< Vedo che hai capito >>, fa Alejandro, agitando la caraffa del vino perché prenda aria. << Comunque stasera non ho preparato io. Il nostro ospite … ha deciso di portarci un assaggio della sua terra. Ora vediamo se è un abile cuoco … o un abile truffatore >>. I suoi occhi neri hanno un guizzo, nel posarsi su di me. << Spero che nessuno di voi abbia impegni, dopo >>.
<< Perché? >>.
<< Leo è greco. Tzatziki, hai presente? >>.
<< Nooo! Sai che detesto l’aglio! >>. Magnus mette su un broncio da diva del cinema, e Angelo ghigna.
<< Problemi, Dite? >>. Sembra tutt’altro che gay, questo qui. Perciò mi rassicura un attimo vedergli scoccare una sonora pacca al dérrière dell’amico, lasciando poi la mano. Se lo è lui che sembra un buzzurro, posso sembrarlo anch’io, specialmente stasera che sono tutto tirato come un fighetto.
<< Fanculo >>, lo demolisce Magnus. E siccome Angelo sta per replicare qualcosa che mi fa tanto venire in mente Milo, chissà perché, mi rivesto della scintillante armatura e dirotto la risposta che immagino non farebbe tanto piacere al mio coinquilino.
<< Ma voi due … state insieme? >>, sputo fuori prima di rendermene conto.
<< No >>, è la secca risposta di Magnus, che stacca il palmo dell’italiano dalla chiappa. << Ci abbiamo provato parecchie volte … ma è sempre finita a schifiu. In merda, per farla breve >>.
<< Ah >>.
<< Quindi ci limitiamo ad un lavoretto ogni tanto, senza troppe complicazioni, quando il convento non passa di meglio >>.
<< E questo spiega il fatto che finga di odiare i cannoli. Vedermeli mangiare gli fa tenere il portone di quel convento sprangato molto più spesso di quanto non vorrebbe >>.
<< Idiota >>. Magnus si avvicina, scruta sospettoso la ciotola colma d’insalata greca nella mia versione personalizzata. Pomodori, peperoni, mais, olive kalamata, riccia, radicchio e carote grattugiate. Ho girato tre negozi, per procurarmi tutto quello che serviva. Solo per scoprire, quando ormai ero carico come un facchino e cominciavo a chiedermi come diavolo sarei riuscito a far entrare tutta quella roba in metro, che appena duecento metri più avanti c’era un piccolo alimentari di specialità greche.
Vedi a non voler usare Google Maps. Maledetto orgoglio.
Quando oggi a pranzo ho chiesto ad Ale a che ora sarebbero venuti i suoi amici, mi ha guardato in un modo … indefinibile. Gli occhi dietro le lenti si sono fissati nei miei appena per un istante, eppure sono riuscito a cogliere qualcosa di differente, una sorta di baluginio sorpreso, come se non se l’aspettasse.
In quel momento ho realizzato che non sapevo neppure se voleva che fossi presente. E mi sono sentito il coglione di turno, che s’invita forzatamente.
E per dirla proprio tutta, non si era neppure parlato di cena. Forse venivano a studiare, e io ero il classico casinaro pronto a rompere le uova nel paniere a tre serissimi giovani tutti presi dai loro libri.
A quel punto ho provato a scusarmi, che forse ero stato troppo precipitoso.
Al che il luccichio si è fatto più visibile. << Scusa >>, ha detto a sua volta. << Mi spiace. Immagino … di aver dato per scontato … che … be’, fossi dei nostri. Ma se hai altri impegni … >>.
<< No, no. In realtà … avevo in mente di cucinare io, se per te e loro non è un problema. Ti piace il greco? >>.
Ha tirato indietro gli occhiali sul naso. << Ad essere sincero non saprei. Non ho avuto molte occasioni di provarlo, a parte qualche assaggio di volata >>. Mi è parso che ci fosse un lieve accento ironico nelle sue parole, che mi ha messo vagamente a disagio; e ho ringraziato che avesse smesso di guardarmi, in quel momento. << Se dobbiamo optare per una full immersion … >>.
<< Ti dico subito che la mia specialità è la carne. L’agnello, soprattutto >>.
<< Uhm uhm >>. Un piccolo sorriso è spuntato sulle sue labbra. Non ho idea del cosa l’abbia scatenato, ma mi sono sentito curiosamente fiero di averglielo strappato. << Okay. Mi fido di te >>.
Qui, lo confesso, quell’accenno di fierezza è diventato qualcosa di più profondo. Una semplice frase fatta è riuscita a scuotermi, dentro, neanche avesse deciso di affidarmi qualcosa di molto più prezioso che una cena.
Sono tornato a guardare nel piatto, rincorrendo un maccherone al formaggio di quelli pronti, da microonde e via. E mi sono sentito uno scemo: avrei dovuto pensarci prima ad offrirmi di cucinare qualcosa di diverso dai soliti cibi precotti, almeno quando mangiamo insieme. Capita molto di rado, è vero, ma stranamente non ci ho pensato.
Immagino deve aver dato per scontato anche il fatto che non sapessi tenere in mano una padella. Per questo ho provato quell’assurda sensazione, nel sentirgli dire che si fida di me.
E ho saputo subito che non avrei dovuto deluderlo, a costo di rifarmi l’abbronzatura davanti ai fornelli.
Cosa che infatti, così è stata. << Ma davvero c’è l’aglio, nello tzatziki? Perché sembra tutto delizioso. Mi spiacerebbe doverci rinunciare >>, fa Magnus, osservando l’armata di ciotole e piatti sul tavolo.
<< Ma lo sai che tanto a me non dà fastidio … >>, gli mormora Angelo, mettendo le mani dietro la testa.
L’amico lo fulmina con un’occhiataccia. << Zitto, tu >>.
<< Be’, in realtà no. Neanche a me piace >>, dico, cercando di mantenere una certa impassibilità.
Purtroppo però mi conosco, e so che non durerà a lungo.
Devo ammetterlo, mi piacciono. Sono più … spontanei, più simili a me che non ad Ale. E nonostante so di non dover dimenticare di star sostenere una parte, mi sento completamente a mio agio.
<< Ohhhh >>. Magnus stira un sorrisetto, le sue labbra luccicano di un rosa delicato, naturale. << Chissà come mai, tutto ad un tratto non vedo l’ora di arrivare al dolce … scusa, Ale, scusa! >>.
<< Continuo a non capire. Che hanno di tanto particolare, questi … cannoni? >>, domando, con fare innocente.
<< Cannoli! >>, mi corregge Angelo, quasi inviperito.
Magnus alza le spalle sottili, sotto la giacca dalle mostrine dorate. << Non farci caso. Lui crede che siano patrimonio dell’umanità, e chiunque li conosca anche fuori dalla Sicilia >>.
<< Ma SONO un patrimonio dell’umanità! >>, fa Angelo sconsolato, una faccia da maschera tragica. << Davvero non hai mai visto un cannolo? >>.
<< E no, mi sa >>.
<< Ale, posso o mi metti fuori? >>.
Lui fa un cenno di “via libera” con la mano, mentre termina di affettare il pane. E Angelo apre il frigo, mette fuori un vassoio incartato. Ne svolge un angolo, mostrandomi questi famigerati … cannoli. << Be’, effettivamente >>. Penso di essere diventato porpora. Alla faccia del gay credibile.
<< Aspetta di assaggiarli. Li prendo in una pasticceria siciliana, il proprietario è di Catania, come me. Certo, non reggono il paragone con quelli di nonna Agata, ma sono comunque una delizia >>. Li rimette in frigo, e devo confessare che mi sento molto sollevato. Nemmeno fossero un’arma di distruzione di massa.
Grazie al cielo è pronto, e ci mettiamo  a tavola. Cominciamo a mangiare, e mi sento ugualmente sollevato nel sentire che non ho perso il mio tocco magico per la cucina.
E’ tutto spaventosamente buono, anche se la carne andrebbe grigliata sul fuoco e non passata in forno, ma il sapore è comunque ottimo. E non lo dico per vanagloria.
<< Sei bravo, sai? Ma il tuo talento è limitato ai fornelli, o … sei bravo anche in altro? >>, domanda Magnus, servendosi un altro souvlakia. Malgrado l’aspetto da fotomodello mangia a quattro palmenti, e sono contento di aver preparato per un esercito.
<< Be’, questo non spetta a me, dirlo. Diciamo che me la cavo in parecchie cose >>, ammetto sinceramente, prima di mandar giù un sorso di vino. Non sono riuscito a trovare il mio preferito, il rosso delle Cicladi; così ho dovuto ripiegare su uno Zinfandel, che mi è costato un occhio della testa ma ne è valsa la pena. Ha un gusto speziato e setoso che non fa rimpiangere troppo l’aroma di fichi secchi e mandorle a cui sono abituato.
Dite fa un’espressione drammatica, congiungendo le manine. << Ale, posso chiedergli il numero di telefono? Per favore … >>.
<< Non sono il suo guardiano, puoi domandarlo a lui direttamente >>, fa Alejandro serio. << Ma se ci tieni alla salute mentale, Leo, ti suggerirei di rifiutare. Dite è un digitatore compulsivo. T’intasa le chat e i profili di foto, video e messaggi senza senso, col risultato che devi togliere la suoneria per non diventare pazzo con le notifiche >>.
<< Ma no! Sei un bruto >>.
<< Tranquillo, te lo do ugualmente. Ma ti avverto che sono piuttosto confusionario, quindi non la prendere a male se mi scordo di risponderti >>.
<< Fossi in te ci penserei bene. Rischi di ritrovarti foto artistiche di lui mezzo nudo a manetta >>, fa Angelo, con un ghigno ferino. << Aveva iniziato anche con me, prima che gli facessi passare la fantasia … inviandogliene delle mie >>.
<< Artistiche? >>.
<< Sì, immagino possano anche definirsi così … >>. L’espressione sulla sua faccia è tutto dire. Credo di essere arrossito di nuovo, e meno male che sulla mia carnagione si nota poco.
Ma non su quella di Magnus, che gli piazza prontamente un ceffone dietro la nuca. << Cafone >>.
<< Ma come? E’ un complimento >>.
<< No. E tu sei un cafone >>.
Ridacchio anch’io, ma subito smetto nel vedere l’espressione di Ale. Non li riprende, dacché non si rivolgono esplicitamente al sottoscritto; ma sembra alquanto infastidito dalle libertà che si stanno concedendo.
E questo conferma la mia impressione. Riservato fino all’irritazione, anche se non riesco a capire se sia per me, o lo è sempre, con loro.
In tal caso sarebbe ben strano che siano ancora amici. A meno che non li tenga al guinzaglio costantemente.
Forse non era l’immagine più consona che potessi evocare, e mi sforzo di non strangolarmi con il nuovo sorso di vino. Accidenti, non mi è mai pesato tanto bere in vita mia. Ho il terrore di passare il segno e combinare qualche casino.
E non me lo perdonerei mai. << Certo, se anche Leo volesse farmi … qualche complimento simile … non mi arrabbierei così tanto >>, fa Magnus, tornando a sorridere malizioso.
<< Dite? >>.
<< Oh, ma dai! Non si può neanche scherzare? Come sei diventato bigotto, Ale! >>.
<< Spiacente deluderti, Magnus, ma … diciamo che non sono quel genere di uomo. Se c’è qualcosa da mostrare, preferisco farlo … a quattr’occhi >>. Ecco, lo sapevo che qualche cazzata alla fine dovevo dirla per forza.
Magnus mi scocca un’occhiata a metà tra languido e sconcertato, mentre Angelo mi fissa stralunato e per qualche istante sento di aver esagerato. Anche se non stanno insieme, non è detto che non nutra qualche interesse per l’amico … e non sia possessivo nei suoi confronti. Poi scoppia a ridere, di gusto, e io mi tranquillizzo. << Ehi, non me lo fare morire, sai? >>, mi redarguisce scherzosamente. << Anche perché non sono sicuro che poi non voglia sfogare tutto questo fuoco … ma si rifiuti di farlo con me >>.
<< Imbecille >>, è la lapidaria risposta di Magnus.
Finalmente arriviamo al dolce, e nonostante i cannoli abbiano un aspetto squisito non penso che riuscirei a mangiarne neanche un misero pezzettino senza strozzarmi. << Leo, prendine uno >>.
<< Guarda, davvero, non offenderti Angelo, ma sto per scoppiare. Se me ne lasci un paio per domani, li mangio volentieri >>.
Invece di arrabbiarsi, ghigna. << Ehi, Shu, il tuo amico qui sta facendo il timido >>.
Eh? Ma ho sentito bene? Com’è che l’ha chiamato? Shu?
<< Piantala, Angelo. Guarda che vale anche per te >>.
<< Nemmeno tu gli fai onore? >>.
<< No, grazie. Ho esagerato anche io >>.
<< Paura che schizzi, eh? >>.
Se lo sguardo di Ale fosse stato una lama, gli avrebbe fatto barba e capelli in mezzo secondo. << Mi sa che qualcuno non ha capito bene, qui >>.
<< Oh, ma dai! Stavo scherzando! E che cazzo, Ale! >>.
<< Avanti. Lo sai cosa ti tocca. Forza >>. Si alza e inizia a sparecchiare la tavola. Io lo seguo, pronto ad aiutarlo; ma mi ferma con un’occhiata perentoria. E alquanto penetrante, è il caso di dire. << Tu no. Hai già fatto abbastanza, per oggi >>.
Il suo tono serio, quasi cupo, unito al suo sguardo mi fa scorrere un brivido dietro la nuca. Deve accorgersi del mio stupore, perché subito rimedia con un leggero sorriso. << Non sarebbe giusto che lavassi anche i piatti. Li faranno questi due, così imparano >>.
<< Dai, Ale! Proprio oggi che ho rifatto la manicure! >>, protesta Magnus, alzando le mani inaellate dalle unghie perfette.
<< Meglio, così puoi grattare quello che si è incrostato >>.
<< Terribile, terribile! Angelo, ricordami com’è che sono ancora amico di questo … essere senza cuore >>.
<< Ah, me lo sto chiedendo anch’io chi me l’ha fatto fare, in realtà >>.
<< Vedi che vi faccio anche lavare il pavimento >>.
<< Che uomo impossibile. Ci credo che non riesci a tenerti stretto nessuno, se fai così! >>.
Per un attimo cala il gelo, nella stanza. Perfino Angelo si è azzittito, e fissa il biondo con sguardo allarmato.
Dite si mordicchia il labbro, compunto. Io non oso guardare Ale in faccia, è chiaro che non dovrà certo avere un’espressione felice, a quest’uscita.
Però la sua voce suona neutra, quando replica: << Hai ragione. Per questo le pulizie le faccio io. Non so quante collaboratrici domestiche ho cambiato, da quando abito qui >>. Lo spio di sottecchi, mentre raccoglie due bicchieri posandoli nella ciotola ormai vuota, con una delicatezza assurda, per la circostanza. << Ma dico io, chiedo forse troppo, quando dico che almeno una volta alla settimana il materasso va battuto? >>.
E’ troppo quieta, come risposta. E forte è l’impressione che abbia premuto su un punto dolente, il bel Magnus; e che Ale si sia trincerato bene dietro la sua consueta compostezza, ma dentro quella frase gli abbia aperto uno squarcio sanguinante. 
Vorrei poter dare la colpa al vino, ma so che non è così. E’ il desiderio improvviso e convulso di spazzarla via, questa barriera, e di lenire quella ferita che mi fa aprir bocca prima ancora di capire cosa diavolo stia sputando fuori.
<< Ma forse, hanno dato per scontato … che lo facessi tu >>, pigolo, in un filo di voce.
Ora l’attenzione si calamita su di me. Ed è una reazione a catena. Prima parte Angelo, che deve appoggiarsi al mobile del televisore per non finire a terra, piegato in due dalle risate; poi Dite, che nasconde il viso tra le mani e scuote la testa, quasi volesse contenersi per non rovinare il trucco.
A questo punto trovo il coraggio di guardare Ale. Lui non ride, ma le sue labbra hanno una piega sardonica, e gli occhi dietro le lenti sono lucidi.
<< E sia. Scatto al re, Leo >>. Prende l’ultimo bicchiere rimasto sul tavolo, il suo, con ancora dentro un sorso di vino e lo solleva in un brindisi ironico.
Mi rilasso anch’io, ridacchiando come uno scemo. Vorrei non sentirmi tanto … orgoglioso di aver stemperato la tensione, quando invece di solito sono proprio io quello che la fomenta.
E di aver riportato la pace. Almeno per il momento.
<< Be’, allora? Questi piatti? >>, sbotta Ale, vedendo che i due ancora ghignano.
<< Sì, sì, va bene, va bene. Ma sia chiaro: lo faccio solo per Leo >>, trilla Dite, passando le dita sotto gli occhi e rialzandosi leggero. Mi scocca uno sguardo pieno di gratitudine, che mi scalda il cuore.
<< Ma guarda … per me non l’hai mai fatto! E sì che io … vabbé lasciamo perdere va’! >>, sentenzia Angelo, tornando in soggiorno per un altro carico di stoviglie.
Mi sento un cretino a starmene seduto a rigirarmi i pollici; ed è insolito, perché a casa non ho mai spostato un bicchiere. Se riuscivo a infilare le mutande usate nel cesto della biancheria era per puro caso, perché magari riuscivo a centrarlo con un canestro da tre punti.
Eventualità che si verificava una volta su mille. E la donna delle pulizie di turno non dev’essere stata contenta di entrare nella mia stanza, dove sembrava si fosse raccolto l’occhio del ciclone.
Se non altro non ha mai trovato articoli scottanti. Niente ragazze in casa, a parte Shaina quando i miei erano fuori. E siccome so bene come la pensino i miei riguardo i rapporti prematrimoniali, e anche i genitori di lei in realtà sono sempre stato molto attento a non lasciare tracce in giro.
Così mi alzo, e comincio a mettere da parte gli avanzi. Ale ritorna, e mi fissa serio.
<< Allora proprio nessuno mi dà retta >>, osserva. Sembra tranquillo, anche se non so quanto di questa serenità sia reale, e quanta ben esposta.
<< Ehi, io mi sono comportato bene. Lo faccio solo per solidarietà >>.
Lo sento schioccare la lingua, ed emettere un sospiro. << Senti, mi spiace per prima. Ma se gli lascio ruota libera ti devastano il cervello. Persino un ragazzo a pagamento arrossirebbe dalla vergogna, a sentirli >>.
<< Sì, okay, ma io … non sono un ragazzo a pagamento >>.
Mi lancia un’occhiata divertita. E sta per dire qualcosa, quando dalla cucina spunta Dite, le ciocche scompigliate appiccicate al volto. << Io la mia parte l’ho fatta. Ora voglio il mio premio >>.
<< E che, si è mai sentito di un premio dopo una punizione? >>.
<< Ti lascio il mio numero >>, prosegue come Ale non avesse detto niente. Rivolto a me, ovvio. << Così sarai tu a decidere se contattarmi, e quando >>. Sorride, strizzandomi uno di quei magnifici occhi celesti.
<< Ecco, come ti dicevo, Dite sarebbe un perfetto esempio di ragazzo a pagamento. Anzi, sono quasi sicuro che il suo lavoro nel centro massaggi sia solo un bell’eufemismo … sbaglio? >>.
<< Guarda che l’ho capito, che stavi cercando di farti bello davanti al tuo coinquilino >>, sbotta Magnus, le manine umide sui fianchi. << Non gli dare retta, Leo. Sembra così a posto e per benino, ma se sentissi che razza di oscenità riesce a tirar fuori da quella boccuccia che pare tanto santa, ti cascherebbero le orecchie >>.
<< Certo, certo, continua pure a dire bugie, Dite >>. Ale sfila la tovaglia, per nulla irritato. Al contrario. << Tanto Leo lo sa che non è vero. Giusto? >>.
Vorrei tenergli bordone e assentire, ma tutto quello che mi riesce di fare è muovere la testa. Da destra a sinistra. << Ah! Visto che l’ha capito pure lui, che invece è la pura verità! >>.
<< No, cioè, scusa, sì. In Grecia … si fa al contrario che nel resto d’Europa >>.
Ale lancia un’occhiata trionfante a Magnus. Che mi si avvicina con fare suadente. << Ah ah. Interessante. Ed è l’unica cosa, che si fa al contrario, in Grecia? >>.
<< Be’ … >>. A questo punto viene fuori Angelo, sbuffante.
<< Sei un figlio di una cagna svedese, Dite. Hai sciacquato tutti i bicchieri e a me hai lasciato le rogne. Questa me la paghi >>.
Magnus fa un gesto con il capo, sventagliando i lunghi capelli. << Si chiama karma, Angelo. La prossima volta che prenderai il gabinetto per un tiro al bersaglio, ci penserai due volte >>.
<< Come se tu la facessi seduto … okay, penso sia ora di andare. La prossima volta, Leo, ti porto una caponata da far girare la testa >>.
<< Prossima volta? E chi ha detto che ci sarà una prossima volta? Vi siete salvati in calcio d’angolo, già stasera >>.
<< E chi ha detto che devi esserci pure tu? >>, lo rimbecca Angelo, grattandosi il collo. << Andiamo, Di? Che ho giusto bisogno di un digestivo, sai >>. Fa per cingerlo col braccio, ma l’altro si scansa.
<< C’è del bicarbonato in frigo, a casa >>, è la replica raggelante di Magnus.
<< Sì, sì. Poi ne riparliamo >>. Prende la giacca, e quella di Magnus. << Be’, ragazzi, buonanotte. E grazie >>.
<< A voi >>, mormoro, accodandomi ai tre per accompagnare gli ospiti alla porta.
Prima di uscire, Dite si gira. << Ti sei trovato un ottimo coinquilino, Ale. Cerca di non farlo smammare in fretta … con le tue manie per la pulizia >>, sentenzia, con uno sguardo che non riesco a decifrare.
<< Ah, non potrebbe neppure se mi costringesse a lavare i piatti tutti i giorni, o a battere il materasso. Mi ha salvato la vita >>, intervengo io, spero non a sproposito.
Magnus lo guarda a lungo, poi fa un cenno con la testa. Il buio delle scale lo ingoia e ci ritroviamo soli, io e lui.
<< Ora sai che la prossima volta non mi chiederai a che ora arrivano >>, è il commento di Ale, appena chiude la porta. <<  Ma a che ora se ne vanno >>.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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