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Autore: Tisifone1301    19/07/2018    4 recensioni
Questa storia prende solo spunto dalla celebre favola di Cappuccetto Rosso, per cui è stata totalmente rivisitata e non rispecchia fedelmente la trama originale.
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Dal testo: "... Il borgo era abitato da umili contadini e allevatori, che vivevano in pace ed armonia tra loro da generazioni. Ma un giorno, con la comparsa di una misteriosa creatura, questo clima armonioso venne intaccato..."
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Koga, Kohaku, Naraku, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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UN RITORNO INASPETTATO
 
 
 
 
 
Dopo la morte della sacerdotessa Midoriko, il villaggio di Goshinboku era sprofondato nel caos più totale. Per quanto si impegnassero, gli sterminatori non riuscivano più a tenere a bada i lupi, che non perdevano occasione di attaccare e uccidere gli infausti abitanti.
Dopo svariate settimane di sangue, a riportare la calma e la pace al borgo ci aveva pensato l’arrivo di una nuova miko, che giunse scortata da un aitante e giovane soldato. L’intero villaggio era rimasto piacevolmente stupito del loro arrivo, che non si aspettava minimamente. Ma rimasero altrettanto meravigliati dalla peculiarità dei nuovi arrivati. Notarono che la sacerdotessa non indossava la tradizionale veste rossa e bianca, bensì un largo kimono nero impreziosito da un rosario di perle verdi. L’indumento metteva in risalto la sua lunga chioma bianca come la neve, dove all’attaccatura centrale dei capelli – sulla fronte - era incastonata una piccola pietra d’oro a forma di conchiglia. Constatarono anche una certa vanità nella religiosa: il bel viso, dalla pelle diafana, era velato da una leggera quantità di trucco, gli incantevoli occhi azzurri erano messi ancor più in risalto da una sottile linea di colore glicine, mentre le labbra erano dipinte di una pronunciata tonalità di rosso.
L’accompagnatore, invece, indossava una singolare armatura; vestiva ampi calzoni bianchi, infilati in alti stivali a punta di pelle nera. La corazza di un intenso colore blu, che richiamava i toni dei suoi capelli, era impreziosita sugli orli da dei pregiati ricami dorati. Ma il dettaglio che attirava maggiormente l’attenzione su di lui, erano due grandi zampe di drago che gli cingevano le spalle. Sulla schiena teneva saldamente ancorate un paio di spade. La folta capigliatura era acconciata in una lunga treccia che gli arrivava a metà schiena. Altra particolarità di questo misterioso ragazzo, era una voglia azzurra a forma di rombo che spiccava in mezzo alla fronte, che andava in netto contrasto con i suoi occhi vermigli.
La venuta della religiosa fu una vera benedizione per l’intero il villaggio, che la accolse con infinita gioia. Anche se molti degli abitanti erano scettici sul suo conto, erano comunque convinti che ella li avrebbe protetti dai futuri attacchi del clan Yoro e dalla misteriosa creatura che si aggirava furtiva tra i boschi.
 
 
 
***
 
 
 
- Kohaku, dovrai essere la mia ombra ancora per molto? – domandò esasperata Rin.
- Dopo quello che è successo, sì. Non puoi andartene in giro da sola, nemmeno da tua nonna. – rispose secco, non ammettendo repliche.
- Ma adesso che è arrivata la nuova sacerdotessa possiamo stare tranquilli. Non si sono più verificati attacchi da quando è arrivata lei. – cercò di convincerlo.
Kohaku le rifilò uno sguardo che non consentiva scuse. Lui l’avrebbe seguita con o senza il suo volere.
Stavano percorrendo tranquillamente il sentiero che li avrebbe condotti alla casa di Kaede, quando un feroce latrato, seguito dall’urlo agghiacciante di una donna, li fece sobbalzare. Si guardarono sgomenti per un attimo. Rin aveva gli occhi pieni di terrore, mentre quelli del ragazzo erano un mix tra stupore e panico. Quello che avevano sentito, non era affatto il verso di un lupo e il giovane sterminatore lo sapeva. Kohaku agguantò la sua fedele kusarigama e si avviò impavido verso la direzione da cui era partito il grido, intimando all’amica di restare lì dov’era; ma lei non gli diede ascolto e lo seguì. Quando giunsero sul posto, a entrambi si gelò il sangue nelle vene. Rin si schermò dietro le spalle dell’amico, stringendogli leggermente un braccio. Per terra era riversa prona una figura femminile e a sovrastarla c’era un enorme e rabbioso cane bianco, che alla loro vista, si dileguò fuggendo nel folto sottobosco. Kohaku fece per inseguirlo, ma l’amica lo fermò ribadendo che la sconosciuta aveva bisogno del loro aiuto.
Quando le si avvicinarono, la prima cosa che notarono fu la piccola pozza di sangue che colorava il terreno sotto di lei e il suo kimono verde. Lo sterminatore si chinò per accertarsi che la donna fosse ancora viva e, quando le tastò il polso, si rasserenò nell’udire un debole battito. La ghermì per le spalle e la portò delicatamente in posizione supina. I lunghi capelli corvini della sconosciuta ricaddero scomposti sul suo viso celandole il volto e, quando Kohaku glieli scostò, rivelando la sua identità, il cuore di entrambi perse un battito. Il ragazzo voltò di scatto la testa, rivolgendo uno sguardo inquieto all’amica, notando che il suo volto era diventato di un pallore quasi spettrale. La vide accasciarsi a terra sulle ginocchia, come una bambola di pezza inanimata. Copiose lacrime presero a sgorgare dai suoi occhi.
- Non è possibile! Non può essere lei! – sussurrò con un fil di voce, portandosi una mano alla bocca nel vano tentativo di bloccare i singhiozzi.
- Presto! Non perdiamo tempo. Portiamola al villaggio. – enunciò Kohaku, prendendo in braccio la donna e spronando Rin a seguirlo.
Ma l’amica non accennava a muoversi.
- Rin! – urlò lo sterminatore – Non c’è tempo da perdere. –
La ragazza guardò prima lui, subito dopo la donna e dopo un attimo di tentennamento, lo seguì.
Raggiunsero il villaggio nel minor tempo possibile.
- Venerabile Tsubaki! Venerabile Tsubaki! La prego, ci aiuti! – urlò a gran voce Rin, quando giunsero dinanzi al tempio.
- Che cosa succede? Cosa sono tutti questi schiamazzi? – proferì la sacerdotessa quando uscì dal luogo di culto.
- Questa donna ha bisogno del vostro aiuto. – le spiegò prontamente lo sterminatore.
Quando la miko vide la donna ferita che stringeva tra le braccia, sgranò impercettibilmente gli occhi, intimando al ragazzo di portarla subito dentro al tempio.
Gli fece strada all’interno l’edificio, fino a quando raggiunsero una piccola stanza e ordinò al giovane di adagiare la sconosciuta sul futon nell’angolo.
- Sono stati i lupi? – domandò la sacerdotessa avvicinandosi per controllare le ferite.
- No, questa volta è stata la misteriosa creatura. L’abbiamo vista, venerabile Tsubaki. È un enorme cane bianco. Giuro di non aver mai visto nulla di simile in vita mia. – rivelò lo sterminatore.
La religiosa alzò di scatto il capo e incastrò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola di Kohaku. Il giovane vi lesse una stana luce al suo interno, un frammisto di stupore e gioia, ma non seppe definirlo con precisione.
- Ryura. –
- Sono qui, venerabile Tsubaki. – rispose repentino il soldato.
Un ragazzo dai lunghi capelli blu, fece capolino nella stanza da dietro un paravento. Rin, che fino a quel momento era rimasta in silenzio sullo stipite della porta, lo riconobbe immediatamente come il giovane giunto insieme alla sacerdotessa. Sentendosi osservato, per un istante gli occhi purpurei del nuovo arrivato si posarono sulla fanciulla, facendola trasalire. Poi ritornarono obbedienti verso la miko.
- Dovrai intraprendere un viaggio. Dovrai andare a Sud, verso il villaggio di Hōrai. Lì troverai un cacciatore di grande fama, il suo nome è Naraku. Avremo bisogno dei suoi servigi per quella bestia. – lo istruì Tsubaki – La questione è più grave di quello che immaginavo. -
Ryura fece un cenno d’assenso col capo e si dileguò velocemente.
Rin si voltò a guardare nuovamente la donna sdraiata sul futon. Ignorando gli sguardi indagatori della miko, le si avvicinò e le si inginocchiò accanto. Scostò la frangia dai suoi occhi e prese ad accarezzarle delicatamente la fronte.
- Si riprenderà? – chiese con voce ansiosa e tremolante.
- Credo di sì. Le ferite non sono gravi. – rispose la sacerdotessa, osservando lo strano atteggiamento della ragazza – Siete arrivati in tempo. Se aveste tardato anche un solo secondo, sicuramente quella mostruosa creatura l’avrebbe uccisa. -
- Bene. – esclamò Rin alzandosi in piedi.
Fece un inchino e corse via, lasciando soli Kohaku e Tsubaki.
- Cosa l’è preso? –
- La donna ferita… È sua madre. – rivelò lo sterminatore, con tono triste.
 
 
Rin uscì dal santuario della sacerdotessa, sentendosi confusa e disorientata. Una marea di sentimenti contrastanti presero a vorticarle dentro come un violento uragano che spazza via tutto quello che incontra nel suo cammino, ma dove al suo interno, vige una calma apparente. La rabbia si frapponeva alla felicità.  La paura alla serenità.
Aveva intrapreso una corsa sfrenata verso la casa di sua nonna.
Il cielo plumbeo e minaccioso di pioggia, rispecchiava in pieno il suo stato d’animo, in quel momento. A ogni respiro che prendeva, l’aria fredda le trapassava i polmoni come aculei appuntiti. Per lo sforzo della corsa, le guance le si erano imporporate e la fronte le si era imperlata con piccole goccioline di sudore, facendo aderire alcuni ciuffi della frangetta. La sua lunga mantella rossa fluttuava nell’aria come fosse fuoco ardente.
Quando giunse davanti alla piccola abitazione, avvertì una fitta dolorosa al petto, che la bloccò sul posto.
Come avrebbe reagito sua nonna alla notizia?
Fissò la porta per alcuni minuti, indecisa sul da farsi. Alla fine, con mano tremante, bussò. La trovò seduta sulla sua sedia a dondolo, intenta a lavorare a maglia. Ma a lasciare Rin stupefatta, fu l’espressione abbattuta dipinta sul viso rugoso dell’attempata.
Che sapesse già?
- Bambina mia, per un momento ho pensato che non saresti venuta, oggi. – enunciò Kaede, guardandola con occhi tristi.
In quel momento, la fanciulla capì il motivo del suo stato d’animo.
- Mi dispiace per il ritardo, nonna… Ma… ma è successa una cosa inaspettata, stamane. – le rivelò la ragazza, distogliendo lo sguardo e voltando il viso in un’altra direzione.
La donna la osservò perplessa. Il comportamento di Rin era alquanto strano quel giorno. Era rimasta immobile sull’uscio come se non riuscisse a trovare il coraggio di fare un altro passo in avanti. Teneva il capo chino, col voluminoso cappuccio a schermarle il bel viso e le mani erano congiunte sull’addome, chiuse talmente strette da far sbiancare le nocche. Di consuetudine, invece, la nipote entrava sempre con un sorriso contagioso sulle labbra, le correva in contro per abbracciarla e la prima cosa che le domandava sempre era: “Come ti senti oggi, nonna?”.
- Rin. – la richiamò l’anziana con voce preoccupata.
La giovane, nell’udire il suo nome, sussultò come colpita da una scarica elettrica. E quando i suoi occhi si scontrarono con quelli piccoli e amorevoli della nonna, avvertì nuovamente il pizzicore di nuove lacrime.
- Vieni qui, bambina mia, avvicinati. – le disse Kaede, posando i ferri e allungandole un braccio.
Rin si sfilò tremante il mantello e lentamente le si avvicinò.
- Cosa ti turba? –
- Nonna… - fu l’unica parola che riuscì a pronunciare prima di scoppiare a piangere tra le sue braccia.
L’anziana la lasciò sfogare. Vedere Rin in quello stato, le procurava non poco dolore. In quel momento si sentiva impotente. Dopo svariati minuti, quando finalmente la ragazza si calmò, la pregò di raccontarle cosa le era successo. Gli occhi della sua amata nipote rispecchiavano di una strana luce, non sapeva se definirli tristi oppure speranzosi.
- Cosa è successo? Non ti ho mai vista in questo stato. – disse l’attempata, prendendo il viso della nipote tra le sue mani.
Rin la guardò a lungo, cercando le parole giuste per rivelare alla donna quello che era accaduto poche ore prima. Prese un profondo respiro e, adagio, iniziò a raccontarle cosa l’aveva turbata tanto. Kaede sgranò gli occhi, incredula nell’udire il racconto di Rin. Si lasciò cadere all’indietro sullo schienale della sedia a dondolo esausta, come se quelle parole l’avessero travolta come una valanga.
La sua amata figlia era ritornata… dopo tutti quei anni.
- Kikyo. – mormorò a fior di labbra, portandosi una mano sul cuore – È ferita gravemente? – chiese con apprensione.
Rin scosse la testa, rassicurandola con ciò che le aveva riferito la miko.
Kaede fu rapita da vecchi ricordi. Rammentava ancora adesso il giorno in cui la sua Kikyo se ne era andata, lasciandole solo un misero biglietto dove le chiedeva di occuparsi di Rin. Non si era sprecata nemmeno a spiegarle il motivo; nel cuore della notte aveva raccattato le sue cose ed era scappata, come una ladra. All’epoca, la nipote aveva non più di otto anni e soffrì molto per l’abbandono di sua madre.
Anche un altro ricordo riaffiorò limpido come l’acqua nella sua mente, ma questo era molto più recente. Aggrottò la fronte, accentuando ancor di più le rughe. Non era affatto convinta che fosse stato lui ad aggredire Kikyo. Era impossibile. Eppure il racconto di sua nipote lo confermava.
La ragazza la osservava ansiosa.
Le posò una mano sul braccio, come per richiamarla dal quel suo stato di trance e, infatti, l’attempata si voltò a guardarla.
- Rin, non sai perché tua madre è stata attaccata da quella creatura? – domandò ancora assorta.
- No, nonna. – confessò mestamente la fanciulla.
Kaede si sollevò dalla sedia e le sue vecchie ossa malandate scricchiolarono con un suono secco. Rin la seguì con lo sguardo, confusa.
- Prendi il mio mantello, andiamo al villaggio. – esclamò la nonna.
 
 
 
***
 
 
 
Kikyo si era svegliata poco tempo dopo che Rin era andata via. Quando riaprì gli occhi, ancora frastornata, l’unica figura che aveva trovato al suo capezzale era stata quella di Tsubaki. Dopo una breve conversazione con la sacerdotessa, rimase da sola nella stanza. Si sentiva irrequieta. Con un po’ di fatica si mise seduta sul futon e prese a osservare la camera intorno a sé, costatando che era spoglia di soprammobili, a eccezione di un piccolo settimino in legno di noce e di un separé di carta di riso su cui erano raffigurati dei rami di ciliegio. Avvertendo del fastidioso bruciore, chinò il capo portando l’attenzione sulle proprie mani e notò che sui dorsi erano presenti alcune escoriazioni. Poi, lentamente portò le dita sul fianco destro, sfiorandolo, e una smorfia di dolore le deformò il viso.
Ancora stordita, si accorse solo in quel momento che di fianco a lei c’era una piccola finestra, celata da una tenda di bambù, che si affacciava sulle strade del borgo. La scostò e notò che il villaggio era in piena attività; gli abitanti andavano e venivano indaffarati nelle loro faccende quotidiane.
Rimase ad osservarli inoperosa, rammentando di quando anche lei viveva lì. Un sorriso amaro si formò sulle sue labbra quando rievocò il lontano ricordo del suo amato Suikotsu.
 
 
Era di ritorno dal campo di riso dove lavorava suo padre, un umile contadino ben voluto da tutti. Correva svelta tra gli alberi della foresta; le sue gambette corte incespicavano nell’impazienza di arrivare il prima possibile al villaggio. Doveva raggiungere sua madre per assisterla mentre aiutava la miko.
Il suo più grande desiderio era quello di diventare un giorno una sacerdotessa.
Quando arrivò al tempio, trovò sua madre intenta ad accendere alcuni incensi, mentre la sacerdotessa sprigionava il suo potere mistico per purificare lo spirito di una donna. Kikyo rimase sull’uscio della porta immobile, trattenendo addirittura il respiro per paura di disturbare la sacerdotessa. Sua madre si voltò a guardarla e le rivolse un sorriso amorevole. La bambina contraccambiò felice, poi uscì.
Attese buona, seduta sotto al porticato, finché non ebbero finito.
Sollevò di scatto il capo quando avvertì il tocco delicato della mano di Kaede che le sfiorava i capelli.
- Cosa aveva quella donna? – chiese curiosa la bambina.
- Nulla di grave. Stava poco bene, ma grazie alla miko ora è guarita. –
- Un demone ha cercato di impossessarsi del suo spirito… non è così? – domandò scaltra Kikyo.
Kaede sgranò leggermente gli occhi, colpita dalla perspicacia di sua figlia. Fece solo un segno d’assenso col capo.
- Quando sarò grande, prenderò io il posto della venerabile Hitomiko e ucciderò ogni demone che incontrerò sul mio cammino. – affermò convinta la bambina.
- Ne sono più che convinta, gioia mia. Su, andiamo a casa, adesso. -
Il fato però, aveva scelto un destino differente per la piccola Kikyo.
Diversi anni dopo, in un giorno di primavera, un giovane forestiero di nome Suikotsu, era giunto al villaggio chiedendo ospitalità per qualche giorno in cambio dei suoi servigi di medico. Ma grazie alla sua bravura e alla sua disponibilità, si era aggiudicato un posto fisso nella piccola comunità di Goshimboku, sostituendo nel suo lavoro l’ormai anziano dottore Totosai.
Quando Kikyo lo aveva incontrato per la prima volta, era rimasta ammaliata dal suo portamento aitante e dai suoi modi educati e gentili; e anch’egli non era rimasto affatto indifferente al suo fascino etereo.
Un pomeriggio la ragazza si era presentata alla sua capanna, chiedendogli di parlare di una questione per lei importante.
- Qualcosa non va? Non ti senti bene? – le chiese apprensivo il medico.
- No, tranquillo, sto bene. – lo rassicurò subito lei – Ho una richiesta da farti, a dire il vero. –
Suikotsu arcuò un sopracciglio, meravigliato.
- Cosa posso fare per te, Kikyo? -
- Vorrei che mi permettessi di aiutarti con i tuoi pazienti. – gli rivelò.
- Oh! –
Il medico la fissò leggermente basito, non si aspettava una simile richiesta da parte sua. Ma pensandoci su, non gli sarebbe dispiaciuto avere una mano di aiuto, data la mole degli ammalati. Per cui accettò la sua offerta di buon grado.
Lo stare a stretto contatto tutti i giorni, la loro attrazione tramutò in amore in breve tempo. Si sposarono dopo pochi mesi e dalla loro unione nacque il frutto del loro sentimento, Rin.
Ma il destino si sa, è beffardo.
Una notte un gruppo di briganti aveva attaccato e saccheggiato il villaggio. Due uomini, armati di spade e lance, erano entrati prepotentemente nella loro capanna minacciando Kikyo e sua figlia. Suikotsu era intervenuto impetuosamente avventandosi contro i due banditi, intimando alla moglie di scappare e di portare in salvo la loro bambina che piangeva terrorizzata. Contro la sua volontà, Kikyo ubbidì, correndo via con Rin stretta tra le braccia.
Fuori dilagava il caos. Il villaggio stava letteralmente bruciando. C’era gente che urlava, alcuni che scappavano e altri ancora che cercavano disperatamente di difendere i loro averi e i propri cari. Nella calca aveva incontrato i suoi genitori che si stavano precipitando verso la sua capanna per prestarle soccorso. Senza proferire alcuna parola, aveva affidato loro la sua piccola e, prima di scomparire nuovamente tra la folla ignorando le proteste di sua madre, le aveva dato un rapido bacio sulla fronte.
Era corsa, lesta, verso la piccola armeria; aveva afferrato un arco e una faretra con delle frecce al suo interno, poi si era dileguata ad aiutare suo marito. Ma sopraggiunse troppo tardi. Suikotsu era riverso a terra, inerme, sull’uscio della porta in una pozza di sangue. Un urlo straziante aveva abbandonato la sua bocca, squarciando l’aria. Aveva preso a correre disperatamente verso di lui, lasciando cadere arco e frecce. Lo aveva ghermito tra le braccia, stringendolo a sé e iniziando a chiamarlo nel vano tentativo di riuscire a sentire ancora una volta la sua voce. Ma ciò non avvenne. Aveva preso a dondolarlo dolcemente, avanti e indietro, intonando una dolorosa cantilena col suo nome.
Dopo quella notte, la sua vita non aveva avuto più senso.
 
 
Un leggero bussare la ridestò dai suoi tristi ricordi.
- Avanti. – rispose serafica.
Quando la porta si aprì, un terremoto scosse l’animo di Kikyo. Due donne si palesarono dinanzi a lei, un’anziana signora e, al suo fianco, una giovane fanciulla che pareva la sua copia. Non le ci volle molto a capire chi fossero, ma nonostante ciò, mantenne un atteggiamento freddo e scostante.
- Kikyo. –
Quel nome uscì come un sussurro dalle labbra di Kaede, che fece un paio di passi incerti in direzione della figlia.
Rin, al contrario, rimase ferma sulla soglia della porta, non trovando la forza - o il coraggio - di fare un solo passo. Sentimenti contrastanti si agitavano nel suo animo. Era felice che sua madre fosse ritornata, ma dall’altra parte non riuscita a trovare una motivazione plausibile della sua ricomparsa dopo tutti quei anni.
Si fissarono a lungo, senza proferire una sola parola. Kikyo la rimirava constatando quanto fosse cresciuta e, soprattutto, quanto le somigliasse. Ma sostenere il suo sguardo le costò un’enorme sforzo. Quei occhi, quei meravigliosi occhi nocciola, erano la copia di quelli di suo padre.
- Sei tornata. – un suono quasi inudibile fuoriuscì dalla bocca di Rin.
Quelle due parole sembrarono aver sciolto un incantesimo, tanto che la fanciulla corse verso la madre lasciandosi cadere al suo capezzale, abbracciandola e affondando il viso nel suo ventre.
- Mi sei mancata così tanto. -
Kikyo sgranò gli occhi, attonita. Avrebbe voluto dirle che anche per lei era stato altrettanto, ma non riuscì a pronunciare nessuna parola di conforto. Si sentiva prigioniera dei suoi stessi sentimenti: rimorso, rabbia, risentimento, sensi di colpa.
Improvvisamente avvertì la sua veste inumidirsi delle lacrime della figlia.
- Alzati. – le disse con tono secco.
Ma Rin non accennò a muoversi, al contrario, intensificò l’abbraccio e strinse tra i pugni il kimono della madre.
- Ho detto alzati. – ripeté la donna imperiosa, afferrando le spalle della ragazza e sollevandola con forza.
Gli occhi pieni di lacrime di Rin si scontrarono col quelli gelidi di Kikyo e, una fitta di dolore colpì la giovane all’altezza del petto. In quel preciso istante, capì che sua madre non era ritornata per lei.
- Kikyo. – esclamò sconcertata Kaede.
La donna si voltò in direzione dell’attempata e con tono duro pronunciò:
- Credevate davvero che fossi ritornata in questo lurido villaggio che non ha nulla se non brutti ricordi? Beh, vi siete sbagliate. Nulla mi lega a questo posto. –
Nell’udire quelle infelici parole, Rin ricadde all’indietro boccheggiando.
Perché le stava facendo questo? Non le bastava il male che le aveva già fatto?
- Allora… per quale motivo… -
- Non è affare che vi riguarda. – tagliò corto Kikyo.
Col cuore a pezzi, la ragazza si alzò e senza aggiungere altro corse via.
- Figlia mia… Il tuo cuore si è indurito a tal punto? –
- Va via! Lasciatemi sola! – urlò irata contro sua madre.
 
 
- Rin! –
Kohaku era seduto sugli scalini del tempio e scattò in piedi quando vide l’amica passargli di fianco e correre in direzione della foresta.
Era pronto a seguirla, ma una mano gli afferrò una spalla, bloccandolo. Si voltò pronto a replicare, ma si bloccò, sorpreso, nel constatare che si trattava della vecchia Kaede.
- Lasciala andare, ha bisogno di restare un po’ da sola. –
- Ma… cosa è successo lì dentro? – domandò.
- Kikyo non è ritornata per sua figlia e questo ha spezzato nuovamente il cuore della nostra piccola Rin. –
- E allora, per quale ragione è ritornata al villaggio? –
Lo sterminatore era scioccato.
Kaede non gli diede nessuna risposta. Una lacrima solitaria scivolò lungo la sua guancia, mentre guardava sua nipote addentrarsi nella fitta boscaglia.
 
 
 
***
 
 
 
La porta si aprì con un lieve fruscio generato dalla carta di riso che la rivestiva. Diverse ore dopo, Tsubaki era tornata nella camera di Kikyo, seguita da una giovane ragazza che teneva tra le mani un piccolo vassoio di legno con la cena dell’ospite.
- Appoggialo pure lì, sul tavolino. – le intimò la sacerdotessa.
La ragazza fece come le era stato ordinato, poi lasciò subito la stanza.
- Non mi avevi detto che avevi una figlia… Per giunta così giovane e bella. – proferì la miko, rimirandosi in un piccolo specchio appeso sulla parete in un angolo della camera. Prese a delineare i contorni del suo volto col dito indice, come se fosse in cerca di una qualche imperfezione.
In un primo momento Kikyo si limitò solo ad osservarla, poi replicò:
- Non sai molte cose sul mio conto, Tsubaki. – rispose atona l’altra.
Un sorrisetto beffardo e malizioso si materializzò sul viso della religiosa, che si voltò a guardarla.
- Spero che questo inconveniente non interferisca con i nostri piani. Sai bene a cosa auspico, Kikyo, e non permetterò a niente e nessuno di intralciare i miei fini. Anche se… -
Kikyo aggrottò la fronte, scrutando attentamente l’altra donna.
- Cosa? –
La sacerdotessa incrociò le braccia al petto e portò una mano sotto il mento. Un pensiero le balenò nella mente; i suoi occhi azzurri brillarono di una luce sinistra e una risatina stridula abbandonò le sue labbra scarlatte.
- Rin… È così che si chiama, giusto? – la beffeggiò – Mi potrebbe tornare molto utile. -
Un brivido gelido attraversò la spina dorsale di Kikyo, squassandola fin dentro le viscere più profonde. Piccole goccioline di sudore presero a imperlarle la fronte. Un triste presagio la attanagliò, fin quasi a soffocarla. Con immensa fatica si rimise in piedi, fissando con astio la sacerdotessa.
- Lascia fuori Rin. Lei non c’entra nulla. Mi hai chiesto di aiutarti e continuerò a farlo, ma non osare avvicinarti a mia figlia. –
Tsubaki le riservò un’occhiata torva.
- Non credo a questo tuo ritrovato amore materno, Kikyo. Sbaglio, o l’hai abbandonata quando era solo una bambina? Quando aveva maggior bisogno di sua madre al suo fianco... E anche adesso l’hai respinta senza remore, senza lasciarle un barlume di speranza. –
- Non te lo ripeterò un’altra volta, Tsubaki… Stai lontana da Rin. – le intimò a denti stretti.
Con molta grazia la miko le si approssimò. Dai loro sguardi incrociati divampavano scintille.
- Mi stai forse minacciando? -  la derise, posandole repentina una mano sul fianco ferito.
A quel contatto, l’altra trasalì e una gocciolina di sudore le scivolò lungo la tempia sinistra.
- Prendila come ti pare. –
Un urlo squarciò la stanza.
Tsubaki aveva cominciato a premere con tutta la sua forza sulla ferita di Kikyo fino a farla risanguinare. La donna si accasciò a terra scossa da tremiti per l’acuto dolore. La vista le si annebbiò e la stanza prese a vorticare davanti ai suoi occhi. Avvertiva le forze abbandonarla.
La miko le si inginocchiò di fronte e le afferrò malamente il mento, costringendola a guardarla. Il viso di Kikyo era di un pallore lugubre.
- Non ti conviene metterti contro di me. –
Dopo quelle parole, Kikyo crollò al suolo priva di sensi.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo il triste incontro con sua madre, Rin si era diretta nel suo luogo segreto nel cuore della foresta. Lo aveva scoperto per puro caso qualche anno addietro mentre perlustrava la selva.
Si trattava di una piccola radura nascosta alle spalle di due enormi massi. A prima vista, quei due macigni non presentavano nulla di insolito. Rin ne aveva visti diversi sparsi per tutta la boscaglia. Ma quando fu sul punto di andarsene, aveva avvertito un leggero alito di vento fischiare attraverso le pietre. Credeva di averlo solo immaginato, ma una ciocca dei suoi capelli l’aveva smentita. Così aveva preso a tastare la superficie ruvida del blocco di roccia, fino a quando non aveva scoperto un piccolo passaggio celato da lunghe e fitte liane.
Lo spettacolo che si era ritrovata dinanzi l’aveva lasciata senza fiato. In quella radura l’erba era folta e bassa, puntellata da profumati fiori variopinti. Un rettangolo lussureggiante che gli alberi cingevano di alte mura, simile a un lungo colonnato, mentre le fronde si protendevano verso il centro creando una cupola verdeggiante, che lasciava penetrare solo pochi raggi solari.
Al centro di quel luogo incantato, si ergeva un maestoso albero secolare, che ormai faticava a reggersi ritto sul suo tronco e pendeva coi suoi rami robusti verso terra; aveva salde radici e un larghissimo fusto. Nella corteccia, ad altezza d’uomo, vi era una grossa e profonda spaccatura. Buio e profondo, lo squarcio non lasciava intravedere nulla al suo interno.
Spinta dalla curiosità, Rin aveva preso a incamminarsi verso quell’arbusto. Passo dopo passo, mentre avanzava sul tappeto erboso umido e scuro, lo raggiunse posando una mano sul tronco rugoso. La ragazza aveva preso a domandarsi da quanto tempo quel vecchio albero si trovava lì, in quella radura misteriosa, dove nessun altro dei suoi simili aveva osato porre radice. Aveva stabilito che doveva essere molto più vecchio delle secolari querce che circondavano la casa di sua nonna. Cercava però di non darsi una ragione plausibile, o meglio, tentava di preservare inviolato l’enigma, poiché senza quell’alone di mistero la nuova scoperta avrebbe perso la sua magia.
Sin da ragazzina, si era sempre recata nella foresta per giocare o per ispezionarla, ma non si era mai imbattuta in un luogo mistico come quello.
Non aveva raccontato a nessuno di quel posto, né a sua nonna, né a Kohaku. Quello doveva rimanere il suo luogo segreto, un posto tutto suo dove rifugiarsi quando ne sentiva il bisogno, proprio come necessitava quel giorno.
Quando oltrepassò la spaccatura tra le due rocce, assorta nei suoi pensieri, Rin si lasciò cadere sull’erba ai piedi del grande albero. Appoggiò la schiena al tronco, portò la testa indietro e chiuse gli occhi, per allontanare quella baraonda di preoccupazioni che le affollavano la mente e il cuore. Si era ripromessa di non piangere. Trasse un sospiro e rilassò muscoli e nervi. La radura la rasserenava, le donava un senso di pace e di quiete in fondo all’anima. Era rimasta lì per un tempo inestimabile; quel luogo era capace di farle perdere la cognizione del tempo.
All’improvviso, una folata di vento la sorprese alle spalle. Pareva provenire proprio dalla crepa nel tronco. Scossa ovunque da brividi di freddo, Rin scattò subito in piedi e si voltò, osservando attentamente lo squarcio. Si strinse ancor di più nella sua mantella rossa, come a volersi proteggere.
La nera fenditura era terribilmente sinistra. Le aveva sempre trasmesso un certo timore, sin dalla prima volta. Una parte di lei era sempre stata curiosa di scoprire cosa si celasse al suo interno, ma l’altra parte, quella più saggia, aveva preferito mantenere il mistero.
Inaspettatamente, le parve di scorgere un luccichio fulgido al suo interno. Aggrottò la fronte, perplessa. Avvicinò lentamente il capo finché non fu completamente immerso e inghiottito dall’oscurità: di colpo la investì un’latra folata, più forte questa volta, accompagnata da un ruggito spaventoso, forse di una qualche creatura sconosciuta.
Si ritrasse immediatamente, scossa e impaurita.
Rimase a osservare l’apertura per un’altra manciata di secondi, poi girò i tacchi e si allontanò con passo spedito fuori dalla radura.
La ghiaia scricchiolava sotto i suoi calzari. Correva svelta senza voltarsi mai indietro, come se alle calcagna avesse il più spaventoso dei demoni. O il grande cane bianco.
Solo quando fu abbastanza lontana si fermò per riprendere fiato. Si appoggiò esausta a un albero. I polmoni le bruciavano e le gambe le dolevano. Si portò una mano davanti al viso, tremava come una foglia. Si voltò a guardare sopra la sua spalla, timorosa di veder sopraggiungere all’improvviso qualcosa o qualcuno.
Alzò il viso verso il cielo e scorse la luna appena sorta sopra l’orizzonte. Dentro al bosco, l’oscurità iniziava a divenire insopportabile, rischiarata a malapena dal tenue bagliore lunare. Il panico si impossessò di ogni fibra del suo corpo. Si maledisse per essere rimasta fino all’imbrunire nella radura. Avrebbe voluto che in quel momento lì con lei ci fosse il suo migliore amico. Prese un bel respiro profondo, si armò di tutto il coraggio che possedeva e riprese il suo cammino verso il villaggio. Doveva ringraziare Kohaku per i suoi insegnamenti se era in grado di orientarsi nella foresta anche di notte.
Velocizzò il passo, avvolta da un senso di inquietudine. Alcuni starni rumori la fecero voltare; sembravano provenire oltre gli alberi. Un ululato si disperse nell’ambiente in un attimo, seguito da altri richiami più forti.
La ragazza impallidì. I suoi occhi fissavano occhi lucenti di animali che si muovevano veloci tra la boscaglia.
Avevano seguito il suo odore, assodò con orrore.
Una decina di lupi comparvero dal nulla, accerchiandola. Rin vide prima i foschi occhi rossastri, poi le aguzze orecchie, i musi e infine i loro interi corpi. Il pelo era rizzato, dalle bocche grondava la bava, mentre le zanne sporgenti venivano mostrate come ammonimento.
La ragazza diede un rapido sguardo dietro di sé, in cerca di una via di fuga, ma con terrore, vide altri lupi uscire da dietro gli alberi e avanzare verso di lei. Era circondata. Un lupo guaì, poi, quel suono si trasformò in un ringhio sordo e prolungato.
 
Non fare mosse avventate, Rin.” mormorò tra sé e sé.
 
La sua attenzione fu catturata, per un momento, da un ramo spezzato a pochi passi da lei. Con estrema lentezza si avvicinò all’oggetto, mentre i lupi non staccavo un solo istante lo sguardo da lei.
Il capo branco aveva fiutato l’odore della paura.
I lupi attorniarono la loro preda; le fauci spalancate, ringhiando e ostentando le lunghe zanne affilate come rasoi, per far capire chi comandava.
Rin strinse forte la fronda tra le mani, puntandola contro il lupo più vicino. Alla minima mossa della belva, non avrebbe esitato a colpirlo, o almeno era quello che sperava di fare. Deglutì, ma non aveva più saliva in bocca. Sentiva la gola secca come se avesse smesso di bere da giorni.
I lupi avanzarono con lentezza, assediando sempre più la ragazza.
Rin prese ad agitare il ramo contro di loro nel vano tentativo di allontanarli, ma questo non fece che innervosirli ulteriormente, portandoli a scattare all’attacco. Un lupo azzannò il pezzo di legno scuotendolo da una parte all’altra con violenza, strappandolo con facilità dalle mani di Rin e facendola cadere rovinosamente a terra. Non fece in tempo a risollevarsi, che con un salto il capo branco le fu addosso. La ragazza venne investita dal suo alito caldo e le grandi zampe anteriori la ributtarono a terra. Il guaito dell’animale si insinuò nella sua testa, mentre le sue mani avevano afferrato il suo collo rigido. Il terrore aveva invaso l’animo dalla fanciulla, rendendola incapace di reagire. Nel tentativo di allontanare quella belva assetata di sangue dalla sua gola, il lupo le addentò un braccio. Avvertì quei denti aguzzi affondarle nella carne e il dolore fu così lancinante che le sue urla le parvero lontanissime, come un ricordo affievolito dal tempo.
Poi, accadde qualcosa di inaspettato.
All’improvviso, uno strano rumore attirò l’attenzione del gruppo di lupi. Il capo branco venne distratto per un attimo, che gli fu fatale. Una smisurata zampa bianca lo colpì in pieno muso, scaraventandolo con inaudita violenza contro un albero. Il lupo cadde al suolo rantolando privo di sensi.
Con un balzo, il grande cane bianco si frappose fra la ragazza e i restanti lupi. Voltò leggermente il capo verso di lei, ringhiando, come a volerle intimare di mettersi al riparo. Rin spalancò gli occhi, sorpresa. Tenendosi con la mano il braccio ferito, indietreggiò fino a un albero.
I lupi avanzarono minacciosi, col pelo ispido e indurito, verso il nuovo arrivato. Ma il cane non si lasciò intimidire, mostrando gli affilati canini che gli fuoriuscivano dalla bocca. Il branco si lanciò in avanti, attaccando come furie, ma il cane li respinse uno dopo l’altro con poderose spinte buttandoli a terra. Ma i lupi non si diedero per vinti, circondandolo nuovamente.
Rin osservava quel combattimento impotente. I movimenti, da entrambe le parti, erano rapidi e feroci. I fili d’erba si muovevano come impazziti aprendosi e piegandosi di lato, sotto il peso dei loro passi. I loro ringhi, gli ululati e guaiti, riecheggiavo spettrali per l’intero bosco.
Un lupo si staccò dal resto del gruppo e si scagliò contro la ragazza. Non appena il cane tentò di respingerlo, altri cinque lupi gli furono addosso, mentre un sesto approfittò della sua distrazione per affondargli i denti nella zampa sinistra posteriore. La mascella di quest’ultimo si muoveva facinorosa, lacerando la carne dell’arto. A quel punto, un altro lupo balzò molto in alto nel tentativo di azzannare la gola dell’animale, ma con uno strattone, il cane bianco riuscì a respingerlo.
All’improvviso, un’accecante bagliore verde avvolse il grande cane bianco. Rin si schermò gli occhi tanto era accecante. Udì soltanto i lamenti strazianti dei lupi e quando si scoprì di nuovo gli occhi, di loro non vi era più traccia. L’unica creatura dinanzi a lei, era l’essere che si aggirava nella foresta. Rimase a fissarlo a lungo, domandandosi perché la creatura che aveva aggredito sua madre quella mattina, era invece corsa in suo aiuto. Per quanto si sforzasse, non riusciva a darsi una risposta valida.
In quel momento il ricordo dei lupi che l’avevano attaccata, aveva abbandonato la sua mente. Quelle bestie non avevano nulla a che fare con quel cane di fronte a lei. Cautamente si avvicinò e quando gli fu sufficientemente vicina, allungò il braccio sano per accarezzarlo. L’animale si abbassò e la lasciò fare. Rin strinse tra le dita il manto bianco e rimase piacevolmente stupita della sua morbidezza.
Quando la ragazza alzò lo sguardo, i loro occhi si incontrarono per la prima volta e, quelli purpurei della creatura si schiarirono un pizzico. Gli sorrise dolcemente, continuando ad accarezzarlo. Nei suoi occhi vi lesse un barlume di umanità al di là del sul aspetto “spaventoso”: nella profondità delle sue pupille lesse dolore e solitudine.
Questo la rattristò.
Rin lo fissava quasi ipnotizzata. In quei pochi secondi, ebbe la strana sensazione di rivedere un giovane ragazzo che aveva avvistato furtivamente nella foresta quando era una ragazzina. Ricordava di essere rimasta tremendamente affascinata dalla sua bellezza. Al solo ricordo, il cuore le tamburellò impazzito nel petto.
- Sei ferito. – sussurrò.
Senza esitare, strappò un lembo della sua veste e fasciò con cura la zampa, incurante del fatto che anche la sua ferita al braccio aveva bisogno della stessa cosa.
- Almeno così smetterà di perdere sangue. –
Il cane fece solo un roco verso gutturale. Stremato, diede un ultima occhiata alla ragazza e poi si dileguò nella foresta.
- Aspetta! – urlò Rin, nel vano tentativo di fermarlo – Non ti ho ancora ringraziato. – mormorò.
Ma quell’ultima frase, si disperse nei meandri della foresta insieme a lui.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti. Chi non muore si rivede ^^’ (corre a nascondersi)
Mi scuso con voi per gli aggiornamenti molto lenti, ma purtroppo non sto attraversando un bel periodo e molto spesso la scrittura, per quanto mi diletta, mi risulta parecchio faticosa. Ma vi assicuro che porterò a termine le mie storie, spero solo che avrete pazienza di aspettarmi.
Ma veniamo al capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento. Sono successe un po’ di cosine. Lo avreste mai immaginato che Kikyo era la mamma di Rin? Mi auguro di avervi stupito almeno un pochino XD. E poi, cosa mai vorrà Tsubaki da lei?
Abbiamo avuto anche il primo incontro tra la nostra “misteriosa” creatura e Rin. Cosa ne pensate? Se vi va, fatemelo sapere. Mi fa sempre piacere leggere le vostre opinioni.
Ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono, in silenzio e non. Vi mando un bacio e a presto.
Tisifone
  
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