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Autore: Indaco_    19/07/2018    4 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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Justin “volò” letteralmente nel fiume. Non era riuscito ad aggrapparsi ad una delle tante radici sporgenti e l’erba alta non era riuscita ad impedirgli o rallentargli la caduta. Le onde alte ed impetuose del fiume lo avevano inghiottito in pochi secondi e come in vortice lo avevano spinto verso il basso.
La corrente fredda e torbida lo trascinò sul fondo, dove uno spesso strato di fango appiccicoso gli cementò le gambe impedendogli di tornare a galla. Il poco ossigeno presente nel suo corpo si stava velocemente consumando, i polmoni ben presto cominciarono a richiedere ossigeno sempre con maggior intensità. Il piccolo era in preda al panico più totale, cominciò ad agitare le braccia e le gambe, tentando disperatamente di sbloccarsi da li.
Il freddo e la forza dell’acqua lo stavano spolpando di ogni energia, inoltre necessitava urgentemente di respirare. Le sue disperate bracciate divennero sempre più lente e faticose. I polmoni gli bruciavano come se gli fosse esplose un incendio sottopelle. Il suo stato di salute peggiorò quando un pesante  ed improvviso dolore al petto rallentò ancor di più i suoi già scarsi movimenti e lo costrinse ad respirare un po’ di acqua.  Ma ad un tratto, un’ondata più forte delle altre trascinò via una parte del fango che lo tratteneva sul fondo, liberandogli parzialmente le gambe.
Gli bastò per staccarsi dal fondo, tornare velocemente a galla e trarre una grossa boccata d’aria. Provò ad avvicinarsi alla riva a forza di gambe ma fu come tentare di svuotare il mare con un cucchiaio, la corrente lo trascinò immediatamente con se.
Sonic gli aveva sfiorato il braccio durante la caduta, per un solo millisecondo era riuscito a toccarlo ma era stato incredibilmente troppo lento. In quel momento era a pochi centimetri dal fiume terrorizzato, con gli occhi fuori dalle orbite  e in preda all’ansia più profonda che avesse mai conosciuto. L’acqua era una delle sue paure più grandi, non avere il controllo del suo corpo e della materia attorno a lui lo faceva uscire di testa. Era troppo insidiosa ed imprevedibile per affrontarla: l’acqua inglobava, non lasciva spazio all’aria, sommergeva e soffocava nella sua presa liquida e ferrea. E la possibilità che il suo piccolo e lui potessero affogare in quel fluido sporco e violento lo faceva impazzire.
Ma doveva farlo, sapeva bene che non c’era tempo e modo di chiamare i soccorritori o qualsiasi altra cosa, doveva agire, altrimenti Justin sarebbe morto. Perciò, nonostante non sapesse nuotare e non sapesse dove il piccolo fosse, disperatamente si tuffò. Immediatamente il fango e l’acqua congelata lo investirono con la potenza di un camion, facendolo affondare a velocità spaventosa. La preoccupazione aumentò ancor di più, la forza della corrente era invalicabile per lui, figuriamoci per un bambino.
Uno spesso strato di fango lo accolse nel fondale, ma diversamente da Justin, con due bracciate riuscì a liberarsi ritornando in balia delle onde che lo trascinavano come un secco bastoncino di legno. Aprì gli occhi sott’acqua sperando di vederlo, ma la sabbia e la terra gli bruciarono terribilmente, costringendolo a richiuderli. Prima di serrarli completamente però, gli parve di vedere un punto blu elettrico in superficie, che veniva trasportato con furia dalla corrente.
Un lampo di speranza si accese nel suo cuore e agitando le gambe riuscì ad emergere per qualche secondo, giusto il tempo di prendere mezza boccata d’aria e avere la certezza che quello era realmente Justin. Non riuscì a chiamarlo o a toccarlo, il piccolo essendo molto più leggero di Sonic, veniva spostato a velocità maggiore, si trovava quindi a una decina di metri più avanti rispetto all’adulto. Il riccio affondò nuovamente, sprofondando nelle onde marroni mentre la bocca gli si riempì di fango, sabbia e foglie marce, rischiando di farlo soffocare.
Un grosso masso, fatto rotolare dalle onde, lo investì pienamente sulla spalla, facendolo sprofondare ancor più verso il fondale mentre le gambe cominciavano a bruciare dalla fatica e bloccarsi dai crampi. Ritornò in superficie con uno sforzo immane, prendendo aria affannosamente e sforzandosi di avvicinarsi il più possibile a Justin, il quale veniva sballottato su e giù dalla corrente.
La distanza sempre maggiore che si stava formando tra lui ed il bambino lo riempì di disperazione, si sbracciò e nuotò con tutta l’energia che disponeva per recuperare i metri che li separavano. Il terrore più profondo e terribile si impossessò di lui quando vide che Justin stava galleggiando a faccia in giù, inerme, circondato da un sottile velo di schiuma creato dall’acqua.
< JUSTIN! > Urlò in preda al panico cominciando ad agitare le gambe forsennatamente. Il pensiero che fosse morto lo privò di qualsiasi esitazione e precauzione.
Si slanciò in avanti recuperando la distanza che li separavano e gli afferrò con una presa ferrea la caviglia. Non l’avrebbe mollato neanche morto, piuttosto sarebbe arrivato al mare con lui.

Cominciò a tirarlo verso di se, ma la mancanza di energia e la corrente opposta alla direzione del suo gesto, gli impediva di fare quella banalissima operazione.
Un’onda più grossa delle altre li colse impreparati sollevandoli senza delicatezza. Sonic tentò più volte di puntellarsi ai massi sporgenti per fermare il loro durissimo viaggio e trascinarsi a riva, ma a causa della velocità sempre maggiore e del solo braccio utilizzabile, non riusciva ad aggrapparsi abbastanza saldamente. 
La forza dell’onda si ridusse dopo qualche metro, quando il letto del fiume si allargava leggermente.
Si stava giusto augurando che il fiume si calmasse, quando notò un grosso tronco bloccato in mezzo al torrente.
Sgranò gli occhi in preda all’ansia mentre il suo cuore accelerò cominciando a bombardargli il petto, se non fossero usciti o almeno fermati, sarebbero andati a sbatterci contro ad una velocità spaventosa e si sarebbero fatti molto, molto male. Imprecando a gogo e sforzandosi come poteva, il riccio tentò di avvicinarsi alla riva con un braccio, ma fu un tentativo completamente inutile. L’acqua li stava maneggiando a suo piacere, un colpo li faceva sprofondare tra le sue fredde spire, un’altra volta sembrava volesse gettarli fuori dal suo abbraccio soffocante.
La consapevolezza che sarebbero andati a sbattere lo rinvigorì di quel poco che bastò a tirare e a stringere a se il corpo ghiacciato di Justin per proteggerlo dall’urto.
  Tentò invano di rallentare la loro andatura con delle deboli mezze bracciate, ma fu completamente inutile.
Il peso di Justin squilibrava non poco i suoi movimenti, infatti ruotò su se stesso esponendo il fianco destro all’ostacolo insormontabile. Un sapore amarissimo e nauseabondo gli aveva invaso la bocca e la gola, ma nonostante ciò si costrinse a deglutire per concentrarsi meglio. Il fusto, coperto di monconi di rami si avvicinava sempre di più, forte e minaccioso. Arrendendosi all’evenienza chiuse gli occhi con rassegnazione e andò a schiantarsi sul tronco con un suono secco. 
L’impatto gli provocò una densa nube di puntini gialli che danzarono davanti ai suoi occhi quasi con grazia.
Gli sembrò di aver colpito un muro di calcestruzzo con la spider lanciata a tutta birra. Non ebbe la forza di urlare quando il fianco destro scoppiò in un dolore lacerante, la gamba venne colpita da un altro paralizzante crampo, immobilizzandola. Il corpo di Justin si liberò per un solo secondo dalla sua presa, indebolita a causa della botta, e venne trasportato in avanti per un metro prima che Sonic riuscisse ad acciuffarlo nuovamente. Ignorando il fianco in fiamme, fece leva sul tronco avvicinando il piccolo a lui, intrappolandolo tra le sue braccia, al sicuro.
Respirò profondamente per recuperare un po’ di energia e tentare di calmare il fianco pulsante. Nell’impatto si era morso accidentalmente la lingua, ed ora, oltre al sapore nauseabondo di foglie marce e fango, si aggiunse quello ferroso del sangue. Doveva trovare una soluzione per uscire da li al più presto.  
Si guardò attorno spaesato, gli occhi lucidi dal dolore e dalla sabbia non gli permettevano una visuale nitida e pulita.  Il tronco aveva bloccato la loro corsa e finalmente dopo quelle che erano parse ore, erano finalmente fermi. Sputando un grumo di fanghiglia, resti di vegetali molli e sangue, testò la solidità del legno. Con suo sommo piacere constatò che era molto robusto e ben incastrato, avrebbe potuto camminarci sopra se solo fosse riuscito a camminare. Infatti, la parte destra del corpo, dal fianco in poi, non rispondeva più ai suoi comandi.
Il freddo e la stanchezza avevano smorzato il dolore pulsante al fianco, ma non riusciva a muovere la gamba, sembrava si fosse addormentata. Non ci badò più tanto, al momento, la cosa che più preoccupava Sonic era Justin: freddo, inerme, pesante e di un azzurro cadaverico.

Aggrappandosi ai  monconi di rami, con fatica e dolore immenso riuscì ad avvicinarsi alla riva, scivolò più e più volte, rischiando ogni volta di perdere nuovamente Justin. Quando raggiunse la sponda, una volta assicurato che la corrente fosse troppo debole per intrappolarli di nuovo, si concesse un attimo di pausa obbligata. Si sdraiò tra i massi e la vegetazione senza badare a nulla.
I muscoli gli bruciavano dallo sforzo, non si sentiva più la parte destra del corpo e non aveva più energia per fare un altro passo. Respirò profondamente, non aveva ancora finito, doveva far uscire il piccolo dall’acqua prima. Lo issò sulla sponda con le ultime energie residue, si sentiva vuoto, straordinariamente calmo e pesante.
Era intorpidito, non sentiva più il dolore al fianco e men che meno il freddo, gli occhi diventati improvvisamente pesantissimi chiedevano solo la pace. E lui era più che desideroso di dargliela, non riusciva nemmeno più a respirare regolarmente, si accorse che i respiri diventavano sempre più faticosi, fino al punto che doveva imporsi per introdurre aria. I pensieri cominciarono a diventare sempre più incoerenti e insensati, mentre una sfilza di immagini gli sfilò davanti alle palpebre sigillate. Il frastuono dell’acqua si assottigliava sempre di più, scomparendo del tutto, sostituito dal battito del suo cuore.
“ Justin!” ricordò in quell’ istante. Si impose di aprire gli occhi e con uno sforzo immenso riuscì a mettere a fuoco il corpo del piccolo, abbandonato sulla riva.
Disperato iniziò a pregare qualsiasi essere superiore, rivolgendo una preghiera silenziosa a chiunque lo stesse ascoltando da lassù. Impuntandosi con la gamba sana e a forza di braccia, strisciò vicino al piccolo, cominciando a scrollarlo nervosamente.
< J-Justin … svegliati > Mormorò senza fiato con una voce che non riconosceva. Era freddo come il marmo, i muscoli erano rigidi e duri, mentre la pelle del volto tirata stava assumendo un grigio pallore mortale. Sembrava che il sangue avesse smesso di circolare sottopelle. In preda al panico cominciò a schiacciargli il petto per far uscire l’acqua, strinse i denti mentre le immagini cominciarono a deformarsi e a sfocare, era realmente morto?
< NON PUOI PORTARLO VIA, HA SOLO 4 ANNI! NON E’ GIUSTO! NON PUOI FARLO! NON PUOI DARLO E RIPRENDERLO A TUO PIACIMENTO! E’ MIO! PER FAVORE! ALMENO LUI LASCIAMELO! > Urlò pazzo di dolore, mentre una lacrima  faceva capolino tra i suoi occhi. Continuò a premere con ostinazione il piccolo corpicino che non dava segni di ripresa.
< Per favore …  ti scongiuro … ti prego! > Mormorò disperato non fermandosi un solo secondo. Si stava per rassegnare, stava per accettare la durissima realtà e le sue responsabilità. Un peso che sembrava quanto mai reale, crebbe dentro di lui, era immensamente pesante, impossibile da accogliere e portare.
Si sentì sprofondare nella disperazione, i suoi pensieri vennero completamente oscurati, il cervello sembrava essersi bloccato. Imperterrito continuò a premere con forza maggiore il bambino, che di minuto in minuto diventava sempre più simile ad un pezzo vuoto di legno. Il dolore gridò acuto e stridente dentro di se, afferrando quel che rimaneva di lui e scagliandolo nell’angoscia più buia e profonda. Rimasto senza forze e in preda alla disperazione più nera, si accasciò accanto al corpo di Justin, lasciandosi divorare dai morsi affilati e bramosi dei sensi di colpa.
Quando gli occhi del piccolo, tremarono e si spalancarono di colpo. Il piccolo corpicino sussultò e con uno spasmo svuotò i polmoni dall’acqua e dal fango respirati accidentalmente. Cominciò a tossire imperterrito, traendo grosse boccate d’aria e ansimando come un mantice.
Sonic si sollevò incredulo, la felicità nel sapere di avere anche solo mezza speranza per la vita del piccolo era ineguagliabile e potentissima. Lo sollevò di peso da terra per facilitargli la respirazione e cominciò a dargli leggeri battiti sulla schiena per aiutarlo a riprendersi. Il sollievo di vedere che Justin ritornava in vita lo riempì di gratitudine verso la vita stessa, ringraziandola per non avergli accollato quel peso indescrivibile dovuto alla presunta morte del suo bambino.
Ringraziò commosso dal più profondo del suo cuore l’entità divina che gli aveva portato indietro il suo tesoro, promettendo a se stesso che da quel giorno sarebbe andato in chiesa più volentieri e spesso. Non si sarebbe mai perdonato se il riccetto fosse morto quel giorno.
Mai.
 Appena il bambino diede segno di riprendersi un po’, Sonic non poté evitare di stringerlo tra le sue braccia. Era stato ad un soffio dal perderlo e in quel momento era così felice che dovette trattenersi per non rischiare di soffocarlo lui stesso.
< Justin! Oh mio Dio, sei vivo! > Esclamò baciandolo più e più volte sulla fronte coperta di fango scuro, accarezzandogli i capelli con le mani che tremavano dall’emozione. Justin si appoggiò all’adulto, sfinito e stanchissimo, sputacchiando sabbia e resti di foglie. Era coperto da uno strato di melma, i capelli erano bagnati e sporchi, incollati tra loro dall’umidità e tremava come una foglia. Al suo fianco il riccio adulto non era messo meglio anzi, oltre ad essere bagnato, sporco e svuotato di ogni energia, era anche dolorante.
< A-andiamo a casa? Ho fame > Biascicò distrutto il bambino incollandosi alla gamba sana del suo salvatore in cerca di appoggio. Non sembrava preoccupato o impaurito dall’accaduto, era solamente stanco morto, probabilmente non si era reso conto del grosso rischio a cui era andato incontro. Con uno sguardo carico di affetto e con uno sforzo non da poco, l’adulto lo prese in braccio stringendolo forte a se per riscaldarlo
< certo che andiamo a casa, riesci a camminare? Ti fa male qualcosa? > Gli domandò preoccupato. Sperava vivamente in una risposta positiva alla prima domanda visto le pessime condizioni della sua gamba.
< Si, riesco a camminare ma sono stanco. Ho male solo un po’ la spalla > si lamentò socchiudendo gli occhi assonnato. Il piccolo poi si appoggiò alla spalla del riccio in cerca di riposo, avvolgendogli il collo con le braccine. Sonic sospirò di sollievo, almeno oltre ad essere vivo era anche sano
< oh Justin, mi dispiace ma ti toccherà camminare almeno per uscire da qui, vedi, ho una botta sulla gamba e non riesco a portarti per ora > ammise Sonic con dispiacere visibile. Sminuì il problema per non spaventarlo o preoccuparlo. Sperava che il suo arto riprendesse vita a momenti, per correre via di li il più velocemente possibile. Appoggiò a terra il piccolo il più delicatamente possibile
< va bene, ma se non riesci più a camminare ti porto io > sentenziò con determinazione e serietà Justin incominciando a tirarsi via il fango dalla faccia.
Sonic trattenne le risate a stento, il piccolo gli arrivava a malapena sopra al ginocchio, ma la serietà con cui aveva affermato di portarlo a casa in braccio l’aveva spiazzato. Il bambino, non molto felice di dover camminare, accettò la situazione preoccupato per la bua del suo accompagnatore, il quale trascinava, con pietosi saltelli, la gamba contratta. Impiegarono un bel po’ di tempo a capire dove si trovavano, la corrente li aveva trascinati a parecchi chilometri di distanza dal punto di partenza.
Oltretutto non tutte le zone del parco erano curate, trovarono infatti vari ostacoli naturali da dover aggirare e con una gamba compromessa non era per niente facile e rapido. I rovi aggrovigliati avevano sbarrato la loro strada centinaia di volte, zone allagate dal fiume erano diventate vere e proprie micro – paludi, popolate da zanzare, mosche e altri fastidiosi insetti che pungevano con straordinaria regolarità. Uscirono dal parco quando il sole era in procinto a tramontare e le nubi aranciate e rosate si spostavano con lentezza.
Entrambi erano coperti di graffi, fango, punture e foglie, sembravano dei naufraghi tornati alla civiltà moderna. Justin era al limite delle forze, era stato molto, molto bravo a camminare per tutto quel tempo, aveva anche aiutato Sonic, per quanto poteva, durante il cammino. L’adulto era allo stremo, il fianco lo rallentava moltissimo e crampi micidiali lo avevano invaso durante tutto il tragitto. La nausea gli aveva invaso lo stomaco, sapeva bene che entro non molto avrebbe vomitato tutto il fango ingerito.
Era molto preoccupato per la sua gamba letteralmente addormentata, sperava che fosse solo una botta in grado di guarire in qualche giorno. Ma un grosso pensiero gli rodeva l’anima: e se non fosse guarita costringendolo ad una sedia a rotelle a vita? I suoi terrificanti pensieri vennero interrotti dal crollo del bambino sull’arto  sano, provocandogli un leggero sbilanciamento che rischiò di farlo cadere. Con gli occhioni lucidi dalla stanchezza, gli tese le braccine implorando di venire preso in braccio.
Non se lo fece ripetere due volte, non sopportava vederlo in quello stato pietoso e derelitto, perciò se lo caricò in braccio e riprese a zoppicare verso casa. Le strade erano vuote fortunatamente, non sarebbe stato per nulla elegante e normale camminare trascinando la gamba con un bambino conciato in quel modo in braccio.
Sarebbero sicuramente partite diverse  chiamate agli assistenti sociali. Alcuni ristoranti iniziarono ad aprire solo in quel momento e nelle strade si spanse un odore di cibo così intenso e pungente, che creò un senso di vomito al riccio adulto. Aumentò la velocità, per quanto possibile, per arrivare a casa prima. Quando Sonic avvistò le mura di mattoni rossi si sentì subito più leggero e gioioso, finalmente avrebbero potuto riposarsi e avrebbe controllato il suo fianco odiosamente dolorante.
A causa dello squilibrio, tenere in braccio Justin per tutto quel tempo lo aveva indebolito maggiormente, sperava di riuscire ad arrivare al cancello prima di schiantarsi al suolo. Il piccolo non aveva spiaccicato più parola da quando era stato preso in braccio, non era riuscito ad addormentarsi a causa del continuo sballottamento ed era veramente esausto.
Il cancello era aperto, sicuramente Amy era preoccupatissima e Sonic sapeva già che si sarebbe incazzata non poco una volta venuta a conoscenza dell’intero episodio. Superato il cancello oltrepassò sfinito il vialetto e bussò alla porta con le mani che tremavano dalla fatica.
Sentì il bambino scivolargli lentamente dalla presa, ma stavolta non sarebbe riuscito a riprenderlo e ricaricarselo tra le braccia.
Fortunatamente, un’angosciata Amy spalancò la porta di colpo, il sollievo nel vedere che erano tornati sani e salvi era chiaramente leggibile sul suo viso. Senza troppe cerimonie e in velocità, il riccio blu gli piazzò Justin tra le braccia, per poi appoggiarsi distrutto allo stipite della porta.
 

Spazio autrice: Buonasera a tutti, ecco un altro capitolo, spero vi piaccia! Critiche e consigli sono sempre ben accetti. Spero di aver scritto un buon capitolo visto che questa scena è una delle più importanti (secondo il mio punto di vista) della storia. Ringrazio chi dopo anni segue ancora la mia storia e soprattutto per i recensori che mi hanno dedicato parole meravigliose. Grazie mille e a presto! Baci!
  
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