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Autore: Il_Genio_del_Male    20/07/2018    5 recensioni
[Will]
[Will]“Will!” chiami, la voce rauca. Vacilli, ma riesci a tenerti in piedi. “Will!” ripeti.
[Spoiler fino all'episodio 1x08]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ad un amore mai nato'
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Auguri Clò! <3

 

 

 

 

 

Le porte della locanda cedono facilmente sotto al tuo peso. “Will!” chiami, la voce rauca. Vacilli, ma riesci a tenerti in piedi. “Will!” ripeti. Tremi mentre sali le scale di corsa, affannato. Invochi ancora quel nome bussando ad una porta, poi ad un’altra, cercando quella che ti condurrà da lui. “William Shakespeare. Will!”

La trovi, non sai davvero come, ed entri. Entri nella sua stanza con l’incedere di un re che può permettersi di disturbare i propri vassalli, ma la tua mente è confusa ed i tuoi abiti sono laceri, il volto pesto ed il naso forse rotto a causa della rissa in cui ti sei lanciato soltanto per ferire Thomas. Thomas Walsingham che ti vuole bene, povero Ganimede traviato dalla tua perversione.

William Shakespeare ti osserva irrompere a bocca aperta, troppo attonito per cacciarti via. Ti ascolta delirare. Ti si avvicina lasciandoti esprimere il rammarico che provi per aver perso Thomas e farfugliare parole da ubriaco, tu che però ebbro non sei.

“Di cosa stai parlando?” domanda. Forse prova pena per il grande Christopher Marlowe ridotto così, ad un folle spaventato la cui voce trema di rabbia e frustrazione. Sei un dio decaduto di fronte a quei suoi occhi blu che riflettono l’abisso dei mari. Ti compatisce. Ma è gentile con te, che considera il suo maestro.

“Sono all’inferno!” gli urli in faccia. “Il vuoto in me non ha fondo, è nero ed eterno”. Provi a spiegargli quale emozione alberghi nel tuo animo oscuro. “Devo credere che ci sia altro in questa vita. Più di questo tavolo, più di questa sedia” dici rovesciando entrambi. “Più del vanesio, crudele, bugiardo, imbroglione Christopher Succhiacazzi Marlowe!” concludi, esasperato da te stesso. Potresti piangere, se solo non volessi dare quella soddisfazione a Shakespeare. Il sangue rappreso sotto il naso e sulla bocca trasforma il tuo viso in una maschera grottesca. 

William ti cinge le spalle. Non lo fa con disgusto né con stizza, sebbene tu sia pronto a ricevere l’uno o l’altra da parte sua; lo meriteresti. Ti tocca con rispetto. Ha la calma di un uomo che, benché tuo coetaneo, è già padre di tre figli e ha una moglie a carico che ha delle aspettative nei suoi confronti. Vi guardate. Lui cauto, tu amaro. “Come fai a credere?”

I suoi occhi vagano smarriti, la bocca si apre senza emettere suono. Rilascia lentamente la presa sulle tue braccia. Non sa cosa risponderti. Come potrebbe? Non ti capisce. Non ne è in grado. Nemmeno tu sai che nome dare al male che ti consuma e ti impedisce di trovare pace. “Non posso farne a meno” riesce infine a dire. “È una malattia”.

“Infettami, allora” lo supplichi. Speri che il significato ambiguo della frase passi in secondo piano. Solo stavolta. Normalmente, in un altro contesto, non perderesti un’occasione così succulenta per stuzzicare la pudicizia di un cattolico che rispecchia fin troppo il tuo ideale estetico perché tu lo ammetta serenamente.

“Non vuoi prenderla, fidati” si allontana. Sempre gentile, paterno. La condiscendenza nel suo tono ti infastidisce persino più della leggerezza con cui liquida il tuo appello.

“Stronzo arrogante” lo accusi. “Vai avanti nella tua vita supportato dal tuo prezioso segreto… la tua fede. Credi di essere tanto speciale” ti sporgi verso di lui.

Scuote la testa. “Non è vero”.

Non gli consenti di difendersi. “Dai retta a qualcuno che contempla il terrore del nulla totale, ogni esecrabile momento della sua misera vita. Tu sei speciale. Per questo ti ho salvato”. Dentro di te ridi, pieno di scherno per te stesso, perché stai rivolgendo ad un rivale le parole più sincere che tu abbia mai rivolto ad un’altra persona. Nessuno dei tuoi amanti ha goduto di un simile privilegio, nemmeno Thomas. Dai la colpa alle sue iridi blu e limpide, alla criniera castana, alla carnagione pallida da campagnolo che diventa rubizza se irritata dai raggi del sole. “Il tuo lavoro era grezzo, ma emanava fede”.

Mastro Shakespeare sembra scosso da quella rivelazione. “È per questo che mi hai salvato? Pensavo volessi Southwell”.

“Lo voglio” ammetti, stanco. “Ma non nel modo in cui immagini”. Temendo di leggere solo scetticismo e rifiuto nel suo sguardo, lo incalzi. “Io ti ho salvato. Ora tu devi salvare me”.

Non come vorresti davvero, però. Non credi in nulla se non nella solidità di un corpo che ti scalda il letto, in un paio di labbra attorno all’uccello, in una lingua che te lo succhia, nelle mani che possono graffiarti e mappare i tuoi muscoli. Hai sempre creduto nel potere della carne. E da William Shakespeare ti faresti salvare, alla tua maniera, se soltanto lo volesse. Fingi di non saperlo, ma ti porti dentro questa consapevolezza dal vostro primo incontro al Globe, quando ti eri recato presso il teatro di Burbage per scoprire chi si celasse dietro al tuo nome; chi avesse osato scrivere quel dramma, l’Edoardo III, spacciandolo per l’ultima opera di Kit Marlowe. Non lo hai salvato soltanto per la sua fede o il suo talento acerbo.

Lo convinci a condurti da Robert Southwell, sacerdote cattolico sobillatore di folle che Sua Maestà ha tutto l’interesse a sopprimere. “Ti prego, Will” insisti, meravigliandoti di quanto bene suoni il suo nome nella tua bocca, quasi fosse un candito prelibato. Lui si alza, ti guarda in faccia ad una distanza tanto ridicola che la potresti annullare allungandoti verso di lui. Con voce bassa, affinché nessun orecchio indiscreto senta, ti rivela come contattare Southwell. Decide di fidarsi: gli hai salvato la vita, facendo imprigionare Baxter invece di lui, e difficilmente se lo scorderà.

Riesci ad addolcire la smorfia ammaccata delle tue labbra in un sorriso appena accennato. “Grazie, Will”. Gli sfiori il braccio, come se foste amici. “Il tuo debito è saldato”.

Te ne vai senza voltarti indietro. Vi saranno di certo altre occasioni per incontrarvi e, magari, dilettarvi in schermaglie verbali che nascondono reciproca stima. In cuor tuo ti riprometti che mai, mai più mostrerai la tua miseria ad un altro uomo. Non a quell’uomo, soprattutto. 

 

 

William Shakespeare, giunto a Londra alcuni mesi or sono, nutriva il desiderio genuino di conoscere Christopher Marlowe. La sua ambizione non lo rendeva tanto stolto da sperare di potergli sottoporre alcuni dei suoi lavori; ciò nonostante, avrebbe sacrificato diverse cose pur di stringere la mano al grande drammaturgo ed elemosinare una parola gentile, un augurio di prosperità da parte sua.
Quel desiderio si era avverato il giorno dopo il suo arrivo in città. Kit Marlowe era venuto al Globe apposta per incontrarlo, a quanto pareva. E dallo sguardo che gli aveva lanciato, era sembrato soddisfatto del viaggio intrapreso.

Non era la prima volta che William si vedeva rivolgere un apprezzamento simile da un esponente del sesso maschile. In gioventù, prima di sposare Anne; e il buon Richard, attore e figlio maggiore dei Burbage, talvolta si dimostrava eccessivamente affettuoso con lui. Nessuno però lo aveva fissato con lo stesso abbagliato stupore di Marlowe. Nessuno, nemmeno sua moglie o Alice, aveva faticato tanto a distogliere lo sguardo e a recuperare la favella.

Marlowe era una spia per conto dei protestanti, di un uomo sordido e perverso come lo era Topcliffe. Era un sodomita, tutta Londra ne mormorava. Aveva interessi pericolosi, che sconfinavano nell’occulto e in riti pagani che non pochi avrebbero bollato come satanici. Era un uomo senza Dio; si diceva avesse venduto l’anima al Diavolo in cambio di un talento smisurato, ma tormentoso. Eppure non si poteva negare che fosse bello, persino Will non aveva problemi ad ammetterlo. Il biondo dei suoi capelli gli ricordava quelli di Alice, e anche gli occhi erano dello stesso azzurro cupo. Le somiglianze finivano lì: dove la ragazza aveva curve e pelle morbida, Kit esibiva l’indubbia mascolinità di un corpo spigoloso, forte.

Quello stesso corpo che, poco tempo dopo, William aveva sbattuto contro un tavolo ingombro di pergamene pulite, teschi e suppellettili d’argento, proprio in casa di Marlowe, dove il poeta lo aveva invitato. Aveva agito d’impulso, irritato dalle domande petulanti che l’uomo gli poneva senza sosta. Cosa desiderava essere, Will? Affermato, ricco, amato? William le aveva percepite come accuse. Non gli bastava dunque la sua famiglia, essere un buon cristiano? Non bastava la sua fede? Il suo cuore poteva essere accecato dalla cupidigia, dalla brama di successo? Era vero quanto gli rimproverava Anne, ovvero che fosse scappato a Londra mosso dal suo egoismo e non dalla volontà di assicurare un futuro migliore a lei e ai loro figli?

Seguendo un impulso cieco, quasi omicida, era esploso. Sì, voleva il denaro, la grandezza, la fama; ma sopra a ogni altra cosa, desiderava la libertà. Si era buttato su Marlowe mentre lo proclamava a gran voce, rabbioso, afferrando il colletto della sua camicia. Marlowe sembrava divertito da quello scoppio d’ira e non aveva resistito all’assalto. Beffardo, gli aveva accostato una mano al volto, accarezzandolo. Will ne aveva seguito i movimenti interdetto, spaesato, ma senza respingere quel contatto. E quando Marlowe lo aveva baciato, lui non era stato abbastanza rapido da evitarlo. Aveva sentito una bocca premere contro la sua, una lingua tentare di farsi strada tra le labbra, braccia che provavano a trattenerlo.
Prima di gettarsi all’indietro, atterrando sul pavimento tale era stata la fretta di liberarsi dalla malia di Marlowe, aveva pensato che nessuno lo avrebbe più baciato con tanta urgenza.

Vederselo piombare senza preavviso e senza motivo nella propria misera stanzetta resa appena più accogliente grazie agli sforzi di Anne, quindi, è abbastanza surreale per Will. Non può evitare di chiedersi cosa gli sia successo, sporco ed imbrattato di sangue com’è. Che fine ha fatto il Kit che ha imparato a conoscere, dagli abiti sfarzosi e sicuro di sé? Perché gli ricorda una belva ferita e selvatica, diffidente? Perché porgli domande sulla sua fede? Marlowe, ancora una volta, riesce a metterlo in difficoltà con le sue richieste. Tuttavia è la tristezza segreta che scorge in quegli occhi pesti e scuri come il carbone a turbarlo. Marlowe non lo ha mai guardato così, prima d’ora: senza lussuria né arroganza, ma con rimpianto. (Davvero lo considera speciale, o si sta prendendo gioco di lui?)

Gli piace illudersi di stare ripagando il proprio debito mentre decide di mettere la vita di Richard Southwell -suo amato cugino- nelle mani di Kit, consapevole del rischio analogo che il collega (amico mancato? Qualcosa di più?) sembra voler correre. Prova a metterlo in guardia, poiché gli uomini del cugino potrebbero assassinarlo come spia, ma l’altro lo congeda con un sorriso mansueto, un tocco leggero, e in un soffio è già uscito dalla stanza.

Improvvisamente, oppresso da un’angoscia senza nome, si rende conto che potrebbe non rivederlo più. E si ritrova di nuovo a pensare che mai nessuno lo bacerà come ha fatto Christopher Marlowe.

 

 

Anche io vorrei luce ed amore,
ma se arriva deve essere sempre così crudele e accecante?

(F. De André)

 

 

 

 

La mia pagina autore: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.

Ficcy smaccatamente ispirata agli avvenimenti dell’ottavo episodio. Hanno contribuito due bellissimi video fanmade che vi linko qui: https://www.youtube.com/watch?v=5BHzat4A_5U&list=WL&index=22&t=0s e https://www.youtube.com/watch?v=sch6GTVEq34&list=WL&index=23.

   
 
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