Incontri e spiegazioni
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Quel pomeriggio
Hermione decise di fare qualcosa per scoprire quello che
Draco aveva fatto tre giorni prima al Ministero. Si erano incontrati,
ma lei
non aveva avuto il coraggio di dirgli che l’aveva visto.
Né lui le aveva detto
di esserci stato.
Si stava arrovellando il cervello per sapere cosa stesse succedendo.
Ginny le aveva promesso che avrebbe chiesto alla Parkinson se sapesse
qualcosa,
ma doveva essersi scordata. Così, decise di chiederglielo
lei di persona. Incontrò
la Serpeverde in uno dei corridoi. Beh, a dir la verità
sapeva che sarebbe
passata di lì e si era fermata ad aspettarla.
“Parkinson” disse staccandosi dal muro.
La mora si spaventò.
Pansy stava
tranquillamente pensando ai fatti suoi mentre andava in
biblioteca, ma dal nulla sbucò la Granger che le si
parò davanti
all’improvviso.
“Granger! Vuoi uccidermi?” gridò, con il
cuore che batteva furioso.
Le aveva teso un agguato?
Hermione
spalancò gli occhi. Doveva essere soprapensiero, per non
averla
vista!
“Scusa… io…. non volevo” si
giustificò.
Lei annuì e tornò alla solita espressione.
“Cosa è successo?” le chiese
la mora.
“Ehm… io volevo chiederti se….
cioè io lo so che non siamo amiche….
però
è importante… non vorrei…”
La Parkinson aveva corrugato la fronte. Giustamente. “Di cosa
parli?”
Decise di tagliare la testa al toro. “Hai parlato con Draco,
ultimamente?” le chiese allora.
“Io?” esclamò la Serpeverde. Ora era
Hermione a essere confusa.
“E chi?”
“Io non parlo con Draco da prima di tornare a
scuola” ammise la mora. Oh.
Sì, forse Ginny aveva accennato a qualcosa del genere.
“Avete litigato?” chiese ancora.
Pansy non voleva
raccontare i fatti suoi, soprattutto alla Granger.
“Mmm, una cosa così” disse, vaga.
Vide la Granger spalancare gli occhi. “Non avrete litigato
per colpa mia,
vero?” La Serpeverde la guardò di traverso.
“Ma no” esclamò. Perché
avrebbero dovuto litigare per colpa sua?
“Avete litigato per qualcosa che Draco vuole fare?”
chiese ancora la
Grifondoro.
Pansy era sempre più confusa. I Grifondoro erano veramente
strani.
“Abbiamo discusso perché Draco non vuole farsi i
fatti suoi” sbottò alla
fine.
Ora l’avrebbe lasciata andare in biblioteca?
Hermione
strabuzzò gli occhi. “Ok, scusa non volevo essere
invadente” si
giustificò.
“Brava, spiegalo anche a lui” disse la Serpeverde,
girandole intorno e prima
di rendersene conto le richiese: “Quindi non sai
perché è andato al Ministero?”
Pansy si
fermò. Draco era andato al ministero? Poteva essere solo per
andare ad Azkaban. Per un attimo, si pentì di aver evitato
il biondo. Solo per
un attimo.
Si girò di nuovo verso di lei. “Draco è
andato al Ministero?” chiese. La
riccia annuì. “Ma non ti aveva detto che ci
andava, giusto?” domandò di nuovo. Lei
annuì ancora.
La guardò di sottecchi, mentre faceva finta di pensare. Come
aveva fatto
a scoprirlo?
Beh, erano affari loro. Draco poteva fare quello che voleva. Ma non
poteva andare ad Azkaban da solo. Se voleva andare a trovare Lucius,
aveva
bisogno di qualcuno che andasse con lui. E la Granger andava benissimo,
ma lui non
glielo aveva detto. Forse non voleva metterla in mezzo. Effettivamente
Lucius
era difficile da gestire; se lo ricordava bene.
La Parkinson
sospirò e fece un passo verso di lei. “Non voglio
neanche
sapere come hai fatto a scoprire che lui fosse là senza che
te l’abbia detto”,
alzò una mano per interromperla quando Hermione
tentò parlare “ma se il motivo
per cui c’è andato è quello che penso,
avrà bisogno di te. Parlaci al più
presto”.
“E perchè è andato al Ministero,
secondo te?” le chiese, ma lei scosse le
spalle.
“Non ho intenzione di dirtelo. Io posso immaginare, non sono
sicura” spiegò.
La riccia si adombrò. “Non vorrai farti
pregare!”
“Io so solo che lui ha parlato con…
Narcissa?!”
Hermione corrugò la fronte; era strano che Draco parlasse
con sua madre?
Perché aveva usato quel tono? Vide lo sguardo della
Serpeverde allungarsi
dietro di lei, lungo il corridoio alle sue spalle. Lentamente si
girò e vide
una strega bionda, elegantemente vestita con quello che sembrava un
abito costoso.
Hermione la riconobbe: era la madre di Draco, Narcissa, e stava
camminando
nella loro direzione, ma non le aveva ancora viste.
Pansy non sapeva
cosa fare: non voleva incontrare Narcissa. Era riuscita
a evitarla fino a quel momento. Poteva continuare benissimo
così.
Prese il braccio della Granger e la tirò indietro, verso un
altro
corridoio. Lei si girò verso la Serpeverde e le chiese:
“Cosa fai?”
“Ah, volevi incontrarla?” le chiese, ironica. Vide
passare sul viso della
riccia diverse emozioni, ma non era sicura di decifrarle correttamente.
Hermione non
sapeva cosa rispondere. Voleva incontrare Narcissa? L’ultima
volta che l’aveva vista, era stato durante la battaglia e
l’ultima volta che lei
era stata nel raggio visivo della strega, era stato al Manor, quando
Bellatrix…
Sì, va bene, ok, non voleva incontrarla. Non
così.
Annuì senza dire niente e rimase lì
dov’era.
Ma Narcissa le
aveva viste. Non si diventa la moglie di un Malfoy senza
avere imparato ad avere tutto sotto controllo. Aveva visto le ragazze,
anche se
aveva riconosciuto solo Pansy, e aveva visto come erano scappate quando
si
erano accorte di lei. Non sapeva bene perché fossero
scappate, anche se la cosa
la fece sorridere.
Qualche tempo prima avrebbe ghignato. Ora avrebbe anche pianto. Non
voleva essere quel tipo di persona. Si incamminò velocemente
verso l’altro
corridoio e sperò che non fossero andate troppo lontano.
Quando girò l’angolo
le trovò subito. L’altro corridoio era cieco.
Cercò di sorridere come aveva visto fare ad Andromeda: aveva
un sorriso
così dolce, la sorella.
Quando Pansy si
ritrovò davanti la strega bionda, trattenne il fiato,
soprattutto quando fece quel sorriso così strano. Quando
Narcissa pronunciò il
suo nome, un brivido le fece vibrare tutta la schiena.
Quando la
signora Malfoy sorrise e salutò la Serpeverde con un:
“Pansy,
cara”, la mora si irrigidì, Hermione se ne accorse
subito, ma subito dopo tornò
rilassata.
“Narcissa” la salutò la Parkinson.
La strega bionda spostò lo sguardo su Hermione e i suoi
occhi si
spalancarono per pochi secondi, prima di tornare alla
normalità. “Mi spiace
cara, non mi ricordo il tuo nome” le disse con un sorriso. Un
sorriso vero.
“Hermione. Sono Hermione Granger” riuscì
a dire. Stava per aggiungere la natababbana,
Sanguemarcio, Mudblood,
giusto per farle capire chi fosse, quando una fitta le
trapassò la testa.
Pansy
guardò la Grifondoro e vide la stessa espressione che aveva
Draco
quando andava in crisi. Anche lei? Anche a lei succedeva?
Perché?
“Granger, stai bene?” le chiese.
Pansy le appoggiò una mano sul braccio, lei ebbe un brivido
e si agitò. “Sì,
sto bene” rispose, poco convincente.
“Vuoi che chiami… qualcuno?” le chiese
sottovoce. Intendeva Draco, ma in
quel momento Draco era l’ultima persona che voleva cercare.
Sperò che al
massimo le chiedesse di andare a chiamare Ginny.
La riccia appoggiò una mano al muro. “No no, ho
detto che sto bene”.
Narcissa si avvicinò, con in viso la stessa preoccupazione
di Pansy e
disse: “Mio figlio dovrebbe avere qualcosa per questi
momenti…”
Hermione e la
Parkinson guardarono la signora Malfoy. Questa volta fu
Hermione a sgranare gli occhi. “Lei…
sa?” chiese, poi si voltò verso la Serpeverde
ma vide sul suo viso uno stupore identico al suo.
Narcissa annuì e si guardò intorno.
“C’è un posto dove possiamo
sederci?”
La mora indicò il corridoio.
“C’è una stanza in disuso, di
là”.
Narcissa annuì ancora, posò un braccio intorno
alle spalle della
Grifondoro e tutte e tre presero quella direzione.
Hermione ebbe la sensazione che, più che per aiutarla lo
avesse fatto per
non farla scappare. Entrarono in un magazzino circolare e Narcissa,
dopo aver
acceso delle lanterne, fece comparire un tavolino da tè, con
tre sedie.
“Gradite del tè?” chiese quindi alle
ragazze.
Senza aspettare risposta, chiamò un elfo e gli diede
istruzioni. Quando
l’elfo tornò, la strega si sedette e
versò il tè.
Hermione guardò la Parkinson che scrollò le
spalle e si sedette, così
prese posto anche lei. Era un po’ infastidita per via degli
ordini dati
all’elfo, ma Narcissa non era stata né sgarbata
né cattiva quindi non seppe
bene per cosa lamentarsi, visto che una tazza di tè
l’avrebbe gradita
volentieri. “Se non passa, chiamiamo Draco, ok?”
spiegò, mentre riempiva
l’ultima tazza.
Hermione annuì, mentre prendeva un sorso di bevanda calda:
era
rigenerante.
“Sono stata io? Ti ho spaventato io?” le chiese la
signora Malfoy. Sapeva
come venivano le crisi, la sua domanda non era stata casuale.
“Non è stata lei” disse la Grifondoro a
bassa voce.
“Quello che ti ricordo, allora?”
Hermione piegò la testa di lato. “Forse. Anzi,
sì, è molto probabile”.
Narcissa appoggiò la tazza sul piattino e le posò
una mano sulla sua. “Mi
dispiace”. Sembrava sincera.
Pansy, che non
capiva bene lo scambio di battute, si alzò. “Forse
è
meglio se vi lascio sole…” Narcissa sorrise
ancora.
Merlino, non l’aveva mai vista sorridere così
spesso, se non quando
parlava di suo figlio o lo guardava. “Veramente ero venuta a
cercare te” disse.
L
Per Salazar, cosa voleva Narcissa da lei? Era per la storia del piano
di
sua madre? Era perché aveva fatto finta di voler stare con
Draco?
“Beh…” iniziò, ma sembrava un
po’ tentennante. Ed era la prima volta che
le succedeva. “Ho parlato con William White, il consulente
che ti ho
consigliato l’estate scorsa…” si
interruppe e prese un sorso di tè. “Io lo so
che non sono affari miei, ma… chi ti dice cosa scrivere a
William per investire
i soldi?”
Pansy spalancò gli occhi. Ma che razza di domanda era?
“Nessuno mi dice
cosa scrivere”, iniziò un po’ confusa
dalla domanda “perché?”
“Perché sembra che tu riesca sempre a fare dei
buoni investimenti. William
dice che…” Lanciò un’occhiata
alla riccia e poi ritornò a guardare la Serpeverde.
“Quando ha iniziato a seguire i tuoi conti non avevi niente,
mentre ora hai una
delle camere blindate più sicure alla Gringott, e sono
passati solo pochi mesi”
spiegò.
Hermione si
voltò verso la Serpeverde “Cosa vuol dire che non
avevi
niente?”
La Parkinson si agitò sulla sedia e le rivolse uno sguardo
veloce. “Mia
madre ha vuotato la camera alla Gringott, quando Voldemort ha avuto
bisogno.
Lei doveva mostrargli più fedeltà degli altri
perché la prima volta che lui era
salito al potere mio padre non aveva voluto unirsi a lui”,
poi si rivolse
ancora a Narcissa. “E quindi? Qual è il
problema?”
Narcissa la guardò
fissa negli
occhi. “Nessuno crede che tu possa averlo fatto da sola.
Pensano che tu sia in
contatto con qualcuno. Qualcuno che sta ad…
Azkaban”
Pansy si
alzò di nuovo e appoggiò le mani sul tavolino.
“Voi non credete
che l’abbia fatto da sola? Credete che ci sia mia madre
dietro? Davvero? Beh,
sapete una cosa? Non mi interessa” disse. Si sentiva un
po’ agitata.
“Calmati e siediti” le ordinò e Pansy
sbuffò e si risedette.
“L’unica cosa che sapeva riconoscere mia madre era
un vestito di alta
moda da uno contraffatto. Non ci capiva niente di transazioni bancarie.
E poi
ci appoggiamo alla borsa babbana. Lei non lo avrebbe mai
accettato”. Stava quasi
parlando da sola.
“A me non interessa chi c’è dietro.
William passa le informazioni anche a
me, abbiamo fatto i tuoi stessi investimenti e ci va bene. Il problema
è un
altro. Comunicare con Azkaban senza passare dal ministero è
un reato, volevo
solo dirti di stare attenta. Potrebbero anche venire a prenderti per
interrogarti. Ma se dici che non hai avuto
contatti…”
“Ho detto di averlo fatto da sola perché
è quello che ho fatto. Posso
dirlo a chi volete anche a Shacklebolt in persona, se lo
volesse sapere.
Non ho niente da nascondere” disse, alla fine, con
più sicurezza di quella che
sentiva veramente: non le piaceva il Ministero e sperava di averci a
che fare
il meno possibile.
Vide Narcissa annuire. “Bene. Allora sei a posto. E anche
noi. So che il
ministero ha tenuto sotto sequestro la vostra casa più del
necessario. Non hai
un avvocato che si occupi di queste cose burocratiche?”
Pansy alzò le spalle e scosse la testa. Non le interessava
la casa dove
abitava prima. Però magari interessava a Camille.
Sospirò. “Devo andare al
Ministero allora? Per la storia di Azkaban?”
Narcissa scosse le spalle. “Non lo so. Ti ho solo raccontato
quello che
ho saputo”.
“Posso
pensarci io” disse Hermione. Non aveva più detto
niente.
La Parkinson si voltò verso di lei. “Lo posso fare
da sola”.
La riccia alzò le spalle “Come vuoi”
l’assecondò.
Narcissa
guardò le due ragazze. Non avrebbe mai pensato di
incontrarle
insieme. E neanche di prendere il tè con loro, se
è per questo. Sorseggiò
ancora la bevanda e appoggiò la tazza sul piattino.
Guardò la ragazza seduta vicino a Pansy. Subito si era
spaventata quando
l’aveva riconosciuta: l’amica di Potter, la
babbana. Si ricordò di Bellatrix.
Bellatrix che la torturava. E quando le aveva scritto sul braccio
quella
parola. Un brivido le passò lungo la schiena. Sua sorella
era fuori di testa.
Quando era uscita da Azkaban sembrava che non avesse più
contatto con la
realtà.
E ora la ragazza stava male come stava male Draco quando Lucius
l’aveva
obbligato a farsi fare il marchio sul braccio. L’unica volta
che aveva pregato,
urlato e pianto contro il marito era stata quella volta. Non voleva che
Draco
diventasse come Lucius, non voleva che avesse a che fare con la magia
oscura,
non voleva che servisse il signore oscuro. Ma si era ritrovata
circondata. Suo
marito e sua sorella. Per loro era una buona idea. Un’ottima
idea. E alla fine
Draco aveva ceduto. Il suo Draco, il suo bambino.
Avrebbe fatto una brutta fine, se non fosse stato per Severus. E per
Pansy. Sapeva come era stato quel sesto anno per Draco.
Guardò la mora che
fissava la tazza. Sorrise. Suo figlio era la persona più
importante, lo sarebbe
sempre stata.
Si rivolse all’amica di Potter. “Stai meglio
cara?” Lei annuì.
“Lei
sapeva delle crisi?” Pansy le fece la domanda quasi a
tradimento.
“Sì” ripsose.
Poi si voltò verso la Granger e le chiese: “E
perché le hai anche tu?”
La ragazza arrossì. “Io… ho una
cicatrice sul braccio che me le provoca”
spiegò. Pansy non riuscì a non lasciar cadere lo
sguardo sulle sue braccia: logicamente
erano coperte. Spostò altrove lo sguardo, vergognandosi di
non essere riuscita
a controllarsi.
“Gliel’ha fatta mia sorella Bellatrix, a casa mia,
l’anno scorso”.
Narcissa l’aveva guardata. Lei si voltò di nuovo
verso la Grifondoro e questa
annuì senza abbassare lo sguardo. Prima ancora di rendersene
conto, allungò una
mano verso la spalla della ragazza e gliela strinse in un gesto
comprensivo.
Forse era per questo che non era andata a casa Malfoy. Poi
guardò ancora la
madre di Draco.
“Narcissa, ma
perché lei è qui? Di
sicuro non è venuta per me” disse, incuriosita.
“Beh, non hai mai risposto alle mie lettere e non sei venuta
a Natale.
Volevo solo avvertirti…”
Pansy fece un sorriso di circostanza. “Non è
venuta per me” disse, più
sicura. Poi si girò verso la Granger e le fece un cenno con
gli occhi. Tornò a
guardare Narcissa. “È venuta perché
Draco è andato al Ministero. Giusto?”
Hermione era
rimasta stupefatta quando la Parkinson le aveva stretto
calorosamente la spalla e si stupì anche quando aveva
cercato di far dire a
Narcissa perché Draco fosse andato al Ministero.
“Sì, è vero. Sono venuta per Draco, ma
non l’ho trovato. Lui è…”
“Agli allenamenti di Quidditch” concluse per lei
Hermione, prima di
pensarci.
La strega si voltò verso di lei con uno sguardo strano. Poi
guardò ancora
la Parkinson. “Già. Così mi sono
ritrovata da sola e ti sono venuta a cercare”.
Pansy sorrise
ancora e prese la tazza con il tè. Si ripeté
ancora che non
le interessava quello che pensava lei.
“Quindi non ce l’ha con me?” Non
riuscì a non chiederlo.
“No. Dovrei?”
Pansy alzò le spalle. “Pensavo che dopo aver
scoperto di mia madre, dei
suoi piani…”
“Tua madre non mi è mai stata particolarmente
simpatica. Avevo immaginato
qualcosa del genere. Draco era considerato un buon partito, in tante ci
hanno
provato. Ma so che tu non hai mai ingannato mio figlio. E questo
è quello che
conta per me.”
Pansy decise di accontentarsi di questa spiegazione e annuì.
“Però adesso
è venuta per sgridarlo” disse. Aveva imparato a
leggere le espressioni di
Narcissa già da un po’, così
andò sul sicuro mentre parlava. “Per sgridarlo
perché è andato al Ministero senza
dirglielo” continuò. Stette attenta agli
occhi e alla bocca della strega mentre lei continuava a parlare.
“Perché lui…”Draco
glielo aveva detto! “Vuole andare ad Azkaban; da Lucius. E
vuole andarci senza
di lei!”
Narcissa, che aveva imparato presto a non rivelare emozioni, non si
capiva se fosse sorpresa o no, ma sicuramente Pansy ci aveva preso. Su
tutto.
Narcissa bevve
un altro sorso di tè, che ormai si era fatto freddo.
Quella ragazzina era tremendamente furba. E sua madre non capiva
niente.
Sorrise.
“Già. Bella la maternità, vero? Ho
rischiato così tanto per lui e ora,
dopo che l’ho convinto ad andare a trovare il padre, vuole
andarci da solo”
ammise la strega.
“Prima o poi dovrà lasciarlo andare,
no?” Questa volta aveva parlato
l’amica di Potter; la guardò male: cosa ne sapeva
lei? Sospirò.
“Lui non può andarci da solo. Ho insistito io
perché ci andasse, è vero,
ma non voglio che ci vada da solo. Non può farlo da solo.
Non dopo tutto quello
che è successo. Ha bisogno di chiarirsi con lui, ma ho paura
che possa stare
male, quindi vorrei che avesse vicino qualcuno che lo possa
sostenere” spiegò
la donna e tornò a guardare la moretta. “Potresti
andare tu, con lui. E lui
potrebbe venire con te quando andrai da tua madre”.
In fin dei conti Pansy era meglio di tante altre. Sembrava una buona
amica. E non le sarebbe dispiaciuto neanche se si fossero sposati
veramente.
Hermione si
agitò. Non le piaceva la piega che aveva preso la
discussione. Ma la Parkinson le strinse ancora la spalla.
“Non penso di essere la persona adatta, Narcissa. Ma prometto
che non lo
lascerò andare da solo, va bene?” E le
lanciò un sorriso di nascosto. Vide
Narcissa annuire.
“Io vado” disse la Grifondoro.
L’ultima cosa che voleva fare era assistere mentre la madre
del suo
ragazzo gli organizzava un incontro con un’altra.
“Andiamo tutte”. La Parkinson si alzò e
salutò Narcissa, che le guardava
stranita, le prese la mano e sgattaiolò via dalla porta
prima che la strega
potesse dire qualcosa.
Hemione non sapeva cosa dire: la Serpeverde stava quasi correndo. Si
fermò solo dopo molti passi lungo i corridoi.
“Oh, per Salazar. Auguri, Granger, con una suocera
così!” Si fermò e
sospirò sollevata, come se fosse scampata a un grosso
pericolo.
La riccia la guardò. “Sembra che voglia te come
nuora” mormorò. Non si
rese conto di averlo detto finché non lo sentì
con le sue orecchie.
“Oh, vuole qualcuno facile da gestire. E io lo sono sempre
stata. Ma sarà
molto più divertente con te, scommetto che saprai tenerle
testa meglio di me”.
Hermione la guardò incuriosita. “Ma le hai detto
che andrai con Draco!”
“No. Ho detto che non lo lascerò andare da solo.
Perché ci andrai tu. Io
non ho nessunissima intenzione di vedere Lucius” disse.
Hermione era ancora più curiosa: aveva dosato le parole.
Avrebbe dovuto
imparare anche lei a farlo.
“Perché non vuoi vedere il padre di
Draco?” Lei sventolò una mano per
liquidare la questione.
“L’hai incontrato anche tu quell’uomo,
no?” disse solamente.
“Puoi sempre accompagnarlo e aspettarlo fuori”
propose la riccia.
La Parkinson sbuffò. “Oh, ma da che parte stai?
Non vuoi andarci tu?”
“Lui non me l’ha chiesto…”
“Non te lo chiederà mai” ammise la mora.
“Allora non voglio andarci!”
Pansy
sbuffò; stupido orgoglio Grifondoro.
“Ascolta. Non andrete da nessuna parte così. Ogni
tanto bisogna cedere,
no?” disse.
“Ma non posso dirgli che so cosa vuole fare!”
esclamò la Granger.
“Perché no? Ce l’ha detto
Narcissa.”
“Ma io l’ho visto al
Ministero…” La Serpeverde sbuffò
ancora.
“Non è importante. Non devi dirgli che
l’hai visto. Quando finirà
l’allenamento, Narcissa gli dirà che ha parlato
con noi, quindi lui saprà che
tu sai. Partite da lì” spiegò.
Vide la Grifondoro intristirsi. “Gli dirà che ha
parlato con te e una tua
amica e lui penserà che l’abbia detto alla
Bulstrude”.
Pansy scoppiò a ridere. “È abbastanza
stronza da farglielo credere”, poi
si guardò intorno. Erano in mezzo al corridoio.
“Vuoi venire nei sotterranei?”
Hermione
spalancò gli occhi. La Parkinson la stava invitando in
camera
sua? Assolutamente no.
“Perché non vieni tu nella torre?” Vide
la Serpeverde tentennare. Era ora
di una piccola rivincita. “O hai paura di incontrare
Ron?”
“Io non ho paura di nessuno” esordì,
forse un po’ troppo velocemente.
Hermione sorrise. “Perfetto. Andiamo, allora”
disse, voltandosi, ma la
mora rimase ferma.
“Ok, è vero, non voglio incontrarlo.”
Lo disse così piano che Hermione non fu sicura di aver
sentito giusto.
“Perché?” le chiese, allora tornando
vicino.
“Perché vuole che vada a Hogsmeade con lui,
sabato.”
“Mi
sembra veramente un ottimo motivo per evitarlo. Dovrebbe finire ad
Azkaban per questo”. La Granger era ironica, adesso. Pansy
sbuffò sorridendo.
Poi la Grifondoro si avvicinò. “Perché
non vuoi andare a Hogsmeade con lui?”
“Perché è un appuntamento!”
esclamò Pansy.
Ma lei non capiva. “E quindi?” chiese infatti.
Non potevano uscire per un appuntamento. Già era stato
disastroso quando
erano andati sulla torre di astronomia. Lei aveva parlato troppo e gli
aveva
fatto vedere la foto di suo padre. Era sempre più difficile,
non riusciva più a
dirgli di no. L’unica era evitarlo.
“Non sono brava con gli appuntamenti”
spiegò.
“Non penso sia un grosso problema, penso che neanche lui lo
sia” le
rispose la riccia.
Ma la Parkinson
non era ancora convinta. La vide tentennare ancora. Qual
era il problema di quella ragazza? Lei non vedeva l’ora che
arrivasse sabato
per andare a Hogsmeade con Draco. Sorrise ancora all’idea.
“Io… non vado bene per lui”
mormorò la ragazza mora, guardandosi intorno.
Hermione tornò al presente. Cosa aveva detto?
“Come dici?”
“Se uscissimo insieme, sotto gli occhi di tutti, la cosa
diventerebbe
seria. Seria davvero. Non andrebbe bene” spiegò.
“E perché non andrebbe bene?”
Lei la guardò negli occhi. “Perché
siamo diversi, troppo diversi”.
Hermione sbatté gli occhi. A cosa si riferiva? Intendeva che
Ron non era
abbastanza per lei? Si stava per arrabbiare, quando vide
un’emozione strana
negli occhi della Serpeverde. Si ricordò del discorso di
Luna, quello sulle
persone cattive.
“Pensi di non meritartelo?” domandò,
stupita.
La Parkinson abbassò gli occhi. "Sono la figlia di una
mangiamorte” sussurrò.
“Io so che non è importante quello che si
è, ma quello che si fa” disse.
“Sì, ho già sentito questa frase. Ma io
ho fatto brutte cose. Molte
dovresti ricordartele anche tu. Vado a fumare, Granger. Ci vediamo in
giro.”
La Parkinson cercò di liquidarla. Cosa voleva dire che aveva
già sentito
la frase? “Le hai fatte tu o te le hanno fatte
fare?” le chiese, alzando un po’
la voce.
La mora, che se ne stava andando, si girò e disse allargando
le braccia:
“E che differenza fa?”
Hermione guardò la ragazza andare via e non disse niente.
***
Ginny chiese a
Harry se si fosse annoiato appena rimasero soli. Il
pomeriggio era stato fantastico. Aveva mangiato poco per il nervosismo
e per
non appesantirsi, poi aveva rintracciato Harry e insieme avevano
camminato fino
all’ufficio postale di Hogsmeade, dove un signore con la
barba bianca molto
gentile li aveva accolti e lasciato che si smaterializzassero in
Galles.
Harry le sorrise. “Assolutamente no. Mi è piaciuto
tantissimo. E anche
conoscere Gwenog Jones!” Si toccò la tasca interna
del mantello dove aveva
messo le due figurine delle cioccorane autografate dalla giocatrice
(una era
per Ron).
Anche Ginny sorrise. Aveva paura che rimanere seduto a guardare sarebbe
stato noioso e invece lui era stato carino. Carino e gentile, come
sempre.
Sospirò. Si smaterializzarono all’ufficio postale
e si fecero vedere dal
signore con la barba bianca che sorrise loro amichevolmente.
Uscirono dall’ufficio postale e si incamminarono verso la
scuola. C’era
freddissimo. Molto più che in Galles. Camminarono vicini
senza dire niente. Ginny
era stanca ma soddisfatta.
“Ti ricordi di un tipo di nome Derrick, Peregrine Derrick? Un
Serpeverde
che giocava a Quiddicth?”
Il viso di Harry si piegò in una smorfia.
“Sì. Un battitore. Perché?”
Lei alzò una spalla. “Oggi ho diviso il calderone
con suo fratello. Non
mi ricordavo di Peregrine, ma Mike diceva che tu te lo saresti
ricordato di
sicuro” spiegò.
Harry si fece
più attento. Chi era Mike? E perché Ginny era
finita con un
Serpeverde? Un maschio, poi? La guardò di sottecchi, ma lei
sorrideva senza
dire niente.
“Derrick e l’altro battitore avevano colpito Baston
a tradimento. Si sono
beccati un rigore” spiegò.
“Ecco perché era così sicuro che te lo
saresti ricordato!” esclamò lei.
E cos’altro si erano detti? “E cos’altro
vi siete detti?” si informò
infatti.
“Oh, abbiamo fatto uno scherzo a Harper. Ti ricordi di
Harper? Il
cercatore al posto di Malfoy?” Harry annuì e lei
andò avanti: “Quell’idiota ha
detto una cavolata perché non avevo scelto lui e Mike
è riuscito a fargli
prendere un brutto voto” esclamò contenta; adesso
rideva. Troppo.
Harry era gelosissimo. Se avesse avuto quel tale Mike fra le mani in
quel
momento, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Cercò di
rilassarsi e rimanere
calmo. “E la vostra pozione com’è
andata?”
Lei si
voltò verso di lui. “Oh, non è stata la
pozione meglio riuscita,
ma mi sono divertita”. Almeno Derrick era riuscito a
distrarla dal pensiero
dell’allenamento. Le due ore erano volate.
“Dovresti sceglierlo anche la prossima volta,
allora” disse nervosamente.
Lei alzò le spalle.
“Magari lo farò. Devo conoscerlo meglio”
disse e non si accorse che Harry
si era irrigidito.
“Come mai?” chiese lui.
Ginny sorrise ancora. “Sarebbe perfetto per Luna!”
Harry
guardò in direzione della ragazza.
“Luna?”
“Sì. Trovo starebbero bene insieme. Devo riuscire
a farli uscire” spiegò.
Lui si rilassò davvero. Luna, certo; Luna poteva uscire con
chi voleva.
Anche con Mike. Annuì. Si avvicinò e le prese la
mano guantata senza dire
niente. Lei ricambiò la stretta e gli lanciò un
sorriso dal basso.
Quando arrivarono nel cortile della scuola, Harry si fermò e
le tirò il
braccio per farla girare. “Andiamo a Hogsmeade insieme,
sabato. Solo io e te.
Andiamo da Mielandia, al parco o alla stazione. Dove vuoi tu. Ma
andiamoci
insieme”. Harry aveva parlato con tono basso ma fermo.
Lei sorrise e annuì. “Scusa se l’altra
volta ho reagito così, io non…”
Harry non voleva sentire altro. Fece un passo e la strinse fra le
braccia prima
di chinarsi sulle sue labbra. Era tutto il giorno che voleva farlo.
“È ora di rientrare.”
Gazza, sul portone della scuola, li guardava con il suo sguardo vacuo.
Harry vide Ginny annuire e tirarlo per la mano per entrare al castello.
Salirono ridendo le scale e attraversarono i corridoi. Sarebbe stata
ora di
cena fra non molto. Davanti al quadro della signora grassa, la ragazza
gli
diede un bacio e disse: “Vado a far la doccia, ci vediamo a
cena?”
Lui annuì senza dire niente. Riuscì a baciarla
un’altra volta e poi
entrarono dal ritratto. Ginny scappò verso la scala a
chiocciola del dormitorio
femminile e Harry si diresse verso le camere dei ragazzi sorridendo.
***
Prima di cena
Draco si incamminò verso il settimo piano. Sorrise del
fatto che Hermione gli avesse mandato un gufo di pergamena per
chiedergli di
incontrarlo e avrebbero potuto avere la stanza delle
necessità tutta per loro, se
non era già arrivato qualcun altro.
Nel pomeriggio Draco aveva incontrato sua madre e lei gli aveva detto
di
aver incontrato Pansy e di aver fatto un’interessante
chiacchierata. Poi
sarebbe andato a chiederle di cosa avessero parlato; sua madre non
glielo aveva
detto.
Ma aveva ricevuto una bella strigliata da parte sua per il fatto di non
averle detto che era andato al Ministero. Si era arrabbiata tantissimo.
Pensava
che lui sarebbe andato ad Azkaban con lei. Certo. Come no: mamma e
papà insieme
nella stessa stanza.
Non aveva ancora deciso se andare da suo padre o no. Ma avrebbe deciso
lui se, quando e con chi. Su questo era stato irremovibile. Per fortuna
sua
madre aveva capito. Alla fine gli aveva dato un freddo bacio sulla
guancia e in
silenzio lui l’aveva accompagnata all’ingresso
della scuola.
Poi, prima di andare via, lei gli aveva detto: “Sai chi altri
ho
incontrato? La babbana amica di Potter. Te la ricordi? Quella che hanno
portato
al Manor Greyback e i suoi scagnozzi”. Draco si era
irrigidito. E aveva visto
sua madre sorridere. Non il solito sorriso. Il sorriso che riservava a
lui.
“Avevo immaginato qualcosa del genere. Stai attento,
Draco”, ed era uscita dal
portone.
L’aveva guardata finché non era uscita dalla
proprietà di Hogwarts e
l’aveva vista smaterializzarsi. Aveva capito? E cosa aveva
capito? E a cosa
doveva stare attento?
Hermione lo aspettava al settimo piano. Quando lo vide arrivare gli
sorrise. “Ciao”.
“Ciao, piccola” rispose lui. Si chinò a
baciarla prima di aprire la porta
della stanza delle necessità.
Sorrise guardando la stanza. Le prese la mano e la trascinò
dentro. Lei
si sedette sul letto senza guardarlo. Sembrava nervosa.
“È successo qualcosa?”
“Oggi ho visto tua madre” esordì la
riccia. Draco smise di sorridere: pensava
che Hermione non l’avesse vista.
“Oh, davvero?” Non le disse che Narcissa
l’aveva riconosciuta.
“Lei… non ti ha detto niente?” gli
chiese la ragazza.
Hermione non
sapeva come affrontare l’argomento. Sapeva che Narcissa
l’aveva riconosciuta. Ma cosa aveva detto a Draco? Adesso le
venne qualche
dubbio. Vide il ragazzo corrugare la fronte.
“Cosa doveva dirmi?” le chiese, con la fronte
corrugata.
Sospirò.
Draco guardava
Hermione senza capire bene la situazione. Cosa doveva
dirgli sua madre?
“Ti ha sgridato per qualcosa che hai fatto?”
continuò lei. Draco si sentì
arrossire. Si sentiva un bambino, un bambino di cinque anni.
“No” mentì Ma non riuscì a
guardarla e dovette spostare lo sguardo. Come
faceva lei a saperlo? Era impossibile che li avesse visti. Quando aveva
accompagnato sua madre fuori dal castello, dopo la loro discussione,
non
avevano incontrato nessuno. E nessuno poteva averli sentiti litigare su
suo
padre. Sua madre aveva insonorizzato la stanza, da brava purosangue
aveva
imparato come non far sapere in giro i fatti loro.
Le stava
mentendo! Draco le stava mentendo! “No?” gli
chiese, anche se
sapeva già la risposta corretta.
“No. Per cosa doveva
sgridarmi?”
Ora lui la stava guardando negli occhi. Quante altre volte lo aveva
fatto? Su
quante cose aveva mentito? E a quante cose lei aveva creduto? Le si
informicolarono
le braccia. Merlino, Merlino, Merlino. Non adesso.
“Forse perché sei andato al Ministero senza
dirglielo?”
La faccia del biondo ora era impagabile.
Draco
spalancò occhi e bocca. Come faceva a saperlo lei?
“Come fai a sapere che sono andato al Ministero?”
Poi si ricordò: la piccola Weasley. Lei gli aveva detto che
qualcuno lo aveva
visto. E quel qualcuno lo aveva detto a Hermione. Santo Salazar! Lei
aveva
salvato il mondo magico, probabilmente si scriveva tutti i giorni con
il
Ministro o cose così. Avrebbe dovuto pensarci.
“Perché non mi hai detto che ci andavi?”
gli chiese. Il suo sguardo era
deluso. Deluso e arrabbiato. La sua voce si era incrinata. Lui
sospirò.
“È una cosa mia.”
Hermione
riconobbe le sue stesse parole. Anche lei non gli aveva detto
del C.R.E.P.A. ma il gesto di lui le sembrava meno innocente del suo.
“Immagino che tu abbia ragione” disse.
Si alzò e fece per uscire dalla porta quando lui la
bloccò per un
braccio. “Dove vai?”
“In dormitorio.”
Forse poteva dirle perché era andato al Ministero. Lei
avrebbe capito e
lo avrebbe lasciato stare.
“Ok. Sì, sono andato al Ministero. E mia madre mi
ha sgridato” confessò.
Anche se ancora non sapeva come facesse a saperlo lei.
“E perché ti ha sgridato?” gli chiese.
“Perché l’ho fatto di
nascosto.”
“L’hai tenuto nascosto anche a me. Dovrei
sgridarti?”
Lui ghignò.
“Vuoi sculacciarmi?”
Ma lei non aveva voglia di scherzare. “Perché non mi
hai detto che volevi andare ad Azkaban?” sbottò.
Hermione si era
spazientita quando lui aveva tentato di fare lo stupido.
Non era il momento. Lo vide diventare di ghiaccio.
“Come fai a sapere che voglio andare ad Azkaban? Non
può avertelo detto
nessuno al Ministero. Il segreto professionale…”
Adesso la riccia era nervosissima. “Ma quale segreto
professionale! Ce
l’ha detto tua madre!”
La faccia di Draco era sempre più pallida e rigida. Aveva
l’impressione
che potesse sgretolarsi da un momento all’altro.
“Mia
madre?” Draco era sempre più stupito.
Sua madre non gli aveva detto di aver parlato con Hermione, ma solo di
aver parlato con… “Pansy! Te l’ha detto
Pansy?” Vide la riccia sbuffare e i
suoi capelli agitarsi insieme a lei.
“Eravamo insieme quando tua madre ce l’ha
detto” spiegò, lentamente come
se fosse stupido.
“Mia madre non avrebbe mai detto una cosa così
personale a…” si
interruppe da solo prima di finire la frase.
“A me?” concluse Hermione. “Hai ragione.
Probabilmente non ce lo avrebbe
detto, se la Parkinson non l’avesse indovinato per prima. E
purtroppo per voi,
c’ero anch’io”.
Draco corrugò la fronte Quindi sua madre aveva parlato con
tutte e due? E
perché non glielo aveva detto? “Eravate
insieme?” chiese sempre più
incuriosito. “Mia madre mi ha detto di aver incontrato solo
Pansy”.
Hermione alzò un sopracciglio in maniera perfetta.
“Perché non sono
stupita? Tua madre ha una mente contorta!” Lui
alzò una spalla.
“Viveva con mio padre.”
Lo disse come se
fosse una
spiegazione plausibile.
Il suo sguardo
era rassegnato, come se fosse una cosa normale. Hermione
alzò
le spalle, accettando la sconfitta. “Ma sai che cosa? Non mi
interessa. Vai da
tuo padre. Vacci da solo. Vacci con la Parkinson. Portati un boccetto
di
pozione della pace. Bello pieno. Per quando starai male, e SE starai
male. Non
sono fatti miei”.
Si alzò e questa volta riuscì ad aprire la porta
e uscire in corridoio.
“Aspetta! Hermione, ma cosa…” Lui
l’aveva seguita.
Hermione si voltò verso il Serpeverde e, tirando fuori la
bacchetta, lo
fece fermare sul posto. “Non ti muovere. È una
cosa tua. Hai ragione. Tua madre
non me l’avrebbe mai detto. Hai ragione anche su questo. Ma
pensavo che me
l’avresti detto tu. Ho sbagliato io. Pensavo che fidarmi di
te sarebbe stata la
cosa migliore. Mi sbagliavo ancora. Mi ero illusa che… Mi
ero illusa” concluse
tristemente.
Si allontanò all’indietro, ancora con la bacchetta
puntata, finché non
girò l’angolo.
Draco non le corse dietro. Non questa volta. La guardò andare via.
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