Capitolo 1
“E’ un maschio….”
“Un maschio…. Dimmi com’è…”
“E’ bellissimo. Oh George il tuo posto era qui con noi…..”
…
“… chiamiamolo Jim”
…
“Ti amo Winona”
L’eco delle sue ultime parole risuonava ancora sulle labbra quando il fuoco iniziò a briciargli la carne.
Sentì la pelle del viso e delle mani sciogliersi come burro… un dolore inimmaginabile lo spinse ai confini della follia.
E poi più nulla.
Rura Penthe
Data stellare 2263.4
“Alzati lurido umano. Finalmente ci liberiamo del tuo puzzo”
Il calcio nel ventre lo risvegliò dal sonno tormentato che, come ogni notte, non gli aveva recato sollievo.
Ansimando per il dolore si alzò più in fretta che poteva e raccolse le poche cose accanto al giaciglio.
Poi come al solito si calò il cappuccio di pelliccia sul volto, grato di nascondere le cicatrici che lo deturpavano da quasi trent’anni.
“Buona fortuna Gregory” grugnì il piccolo coridiano che era stato per anni il suo vicino di giaciglio.
“Anche a te Makel. Non credo ci rivedremo…” balbettò l’umano in risposta, strofinando il pugno nel saluto tipico della specie.
“Qualsiasi cosa sarà meglio di questo posto ghiacciato” fece Malik salutandolo.
Con un ultimo sguardo indietro Gregory si mise in coda con gli altri prigionieri diretti alla navetta.
“Avanti non vi fermate… le miniere di Kronos vi aspettano” rise uno dei Klingon che sorvegliava la fila, spingendolo con un bastone.
Appena uscito il vento gelido lo accolse in un turbinio di ghiaccio e neve.
Lentamente, arrancando e inciampando, la fila avanzò verso la navetta che attendeva con il portellone aperto.
“Salite a bordo, schifosi, altrimenti morirete ancor prima di arrivare alle miniere” rise una delle guardie.
”Tanto su Kronos non vivremo più di un anno nelle miniere, ci ucciderà il caldo se non la fatica” ansimò l’uomo che lo precedeva.
Finalmente la fila avanzò nel ventre della navetta e Gregory riuscì a prendere posto poco prima che il portellone si chiudesse. L’interno piombò nella semioscurità e la cosa rese il tutto ancor più angosciante.
Colpi di tosse rauchi si mescolavano ai piccoli gemiti lanciati dai prigionieri.
“Zitti, state in silenzio, lurida feccia. State per essere trasferiti nelle miniere di Kronos. Lì sarete trattati come meritate, bestie da soma, sarete fortunati a vivere per pochi mesi” urlò uno dei Klingon di sorveglianza.
Gregory quasi sperò che fosse vero; finalmente la morte, la liberazione dopo quasi trent’anni di sofferenze.
Era sopravvissuto nonostante tutto, nonostante la fatica estenuante, il freddo, le malattie…e i ricordi.
Aveva ricacciato i ricordi di ciò che era, di quello che era stato. Mai avrebbe permesso agli schifosi Klingon di sapere chi era. Anche dopo trent’anni, quando ormai tutte le informazioni di cui poteva essere a conoscenza erano inutili, mai avrebbe permesso al suo vero nome di uscire dalle labbra.
George Nicholas Kirk.
Ricacciò- come aveva fatto per trent’anni- nel profondo della mente il pensiero della sua bellissima Winona, di George Samuel il suo figlio maggiore, così simile a sua madre, e di Jim (chissà se davvero lo aveva chiamato così) il suo piccolo bambino mai conosciuto.
Chiuse gli occhi mentre i motori della navetta si accendevano e si lasciò cullare dalla sua unica speranza.
La morte che lo attendeva presto.
“E’ un maschio….”
“Un maschio…. Dimmi com’è…”
“E’ bellissimo. Oh George il tuo posto era qui con noi…..”
…
“… chiamiamolo Jim”
…
“Ti amo Winona”
L’eco delle sue ultime parole risuonava ancora sulle labbra quando il fuoco iniziò a briciargli la carne.
Sentì la pelle del viso e delle mani sciogliersi come burro… un dolore inimmaginabile lo spinse ai confini della follia.
E poi più nulla.
Rura Penthe
Data stellare 2263.4
“Alzati lurido umano. Finalmente ci liberiamo del tuo puzzo”
Il calcio nel ventre lo risvegliò dal sonno tormentato che, come ogni notte, non gli aveva recato sollievo.
Ansimando per il dolore si alzò più in fretta che poteva e raccolse le poche cose accanto al giaciglio.
Poi come al solito si calò il cappuccio di pelliccia sul volto, grato di nascondere le cicatrici che lo deturpavano da quasi trent’anni.
“Buona fortuna Gregory” grugnì il piccolo coridiano che era stato per anni il suo vicino di giaciglio.
“Anche a te Makel. Non credo ci rivedremo…” balbettò l’umano in risposta, strofinando il pugno nel saluto tipico della specie.
“Qualsiasi cosa sarà meglio di questo posto ghiacciato” fece Malik salutandolo.
Con un ultimo sguardo indietro Gregory si mise in coda con gli altri prigionieri diretti alla navetta.
“Avanti non vi fermate… le miniere di Kronos vi aspettano” rise uno dei Klingon che sorvegliava la fila, spingendolo con un bastone.
Appena uscito il vento gelido lo accolse in un turbinio di ghiaccio e neve.
Lentamente, arrancando e inciampando, la fila avanzò verso la navetta che attendeva con il portellone aperto.
“Salite a bordo, schifosi, altrimenti morirete ancor prima di arrivare alle miniere” rise una delle guardie.
”Tanto su Kronos non vivremo più di un anno nelle miniere, ci ucciderà il caldo se non la fatica” ansimò l’uomo che lo precedeva.
Finalmente la fila avanzò nel ventre della navetta e Gregory riuscì a prendere posto poco prima che il portellone si chiudesse. L’interno piombò nella semioscurità e la cosa rese il tutto ancor più angosciante.
Colpi di tosse rauchi si mescolavano ai piccoli gemiti lanciati dai prigionieri.
“Zitti, state in silenzio, lurida feccia. State per essere trasferiti nelle miniere di Kronos. Lì sarete trattati come meritate, bestie da soma, sarete fortunati a vivere per pochi mesi” urlò uno dei Klingon di sorveglianza.
Gregory quasi sperò che fosse vero; finalmente la morte, la liberazione dopo quasi trent’anni di sofferenze.
Era sopravvissuto nonostante tutto, nonostante la fatica estenuante, il freddo, le malattie…e i ricordi.
Aveva ricacciato i ricordi di ciò che era, di quello che era stato. Mai avrebbe permesso agli schifosi Klingon di sapere chi era. Anche dopo trent’anni, quando ormai tutte le informazioni di cui poteva essere a conoscenza erano inutili, mai avrebbe permesso al suo vero nome di uscire dalle labbra.
George Nicholas Kirk.
Ricacciò- come aveva fatto per trent’anni- nel profondo della mente il pensiero della sua bellissima Winona, di George Samuel il suo figlio maggiore, così simile a sua madre, e di Jim (chissà se davvero lo aveva chiamato così) il suo piccolo bambino mai conosciuto.
Chiuse gli occhi mentre i motori della navetta si accendevano e si lasciò cullare dalla sua unica speranza.
La morte che lo attendeva presto.