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Autore: Morghana    22/07/2018    1 recensioni
L'equipaggio del Drago Spaziale è abituato a combattere contro un nemico in carne ed ossa... un nemico fin troppo appartenente al presente e fin troppo materiale. Fino al giorno in cui uno di loro non dovrà combatterne uno di tutt'altro genere.
Può un semplice anello chiudere il cerchio del tempo e fare giustizia di un efferato delitto... dopo cinquecento anni?
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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*

"Lu primu corpu la donna cadiu

L’appressu corpu la donna muriu
Nu corpu a lu cori, nu corpu ‘ntra li rini
Povera Barunissa di Carini…”


- Carini, 4 dicembre 2063 – 07:15 -

Si riebbe a fatica, sentendosi il corpo intorpidito dal freddo ed il viso ancora bagnato di pianto.

Si era addormentato... o era svenuto?
Non lo sapeva e non gli importava.
Sapeva soltanto che Laura se ne era andata... per sempre.

Riuscì lentamente a rialzarsi in piedi, ma solo per appoggiarsi con la schiena contro il muro, respirando profondamente per riaversi del tutto.

Il suo sguardo vagò senza meta lungo le pareti della stanza, quasi a cercare la presenza di Laura, come se la sua mente stesse tentando di ricrearla e riportarla a lui... finché l'occhio gli cadde sull'impronta rossastra sulla quale, la sera del loro incontro, lei aveva posato la mano.

Quasi senza accorgersene, la raggiunse e riuscì a mettere insieme quel poco di lucidità che bastava per osservarla attentamente.
Era l'impronta di una mano, sbiadita dal tempo ma riconoscibilissima.
Una mano insanguinata.

L'impronta di quelle dita gli riportò alla memoria l'anello maledetto che Laura gli aveva dato, raccomandandogli di distruggerlo perché lei fosse liberata da quel luogo... e le parole di Calò.

A verità sta propriu 'nto casteddu...”
“...fatemi l'unuri di viniri a trovarmi a casa...”

Sì... sarebbe andato da lui.

*

Fu proprio Calò ad aprirgli, senza mostrare meraviglia alcuna.
Probabilmente immaginava che gli avrebbe fatto visita anche se, forse, non a quell'ora così mattiniera.

“Le chiedo scusa, Calò, so che non è un orario appropriato per una visita ma...”
Vossìa non si preoccupi, qua tutti mattinieri semu... accomodatevi.”

Gli fece strada verso il tinello, arredato modestamente come il resto della casa, ma pulito e dignitoso, accingendosi a fare gli onori di casa.

Vossìa fici colazione? Saruzza, u cafè... e porta i dolci chi facisti ajeri! Meo mugghìeri pasticciera sopraffina jè... vedrete!”
“Grazie, Calò, ma non ce la faccio a mandare giù nulla... devo parlarvi e subito.”
Bedda Matri, jè cosa tantu urgente da nun potere fari neppure colazione?”
“Sì, Calò... proprio così.”

Senza aggiungere altro, Pete estrasse l'anello dalla tasca del giubbotto, mostrandoglielo.

Calò fissò il prezioso monile, senza proferire parola.
Solo una lacrima, scorrendogli sul viso, fece comprendere a Pete che, in qualche modo, quell'uomo sapeva ogni cosa di quanto era accaduto nel castello... e che Laura era indissolubilmente legata al sarcofago senza nome, nella chiesa di Palermo.

Il loro lungo silenzio fu interrotto dall'arrivo della moglie di Calò: un'attempata signora dai capelli grigi e dagli occhi neri, logorata dal lavoro e dagli anni ma colma della fiera dignità del popolo siciliano.

Pete fece rispettosamente per alzarsi e presentarsi, ma il suo volto bastò per farle fare quasi un salto indietro... insieme al segno della Croce, mentre lo fissava con occhi spalancati.
Bedda Matri... ma... ma voi...”

Saruzza, calmati... sì, lu sacciu a cosa stai pensannu, ni parleremo chiu tardu. Pi u mumenti io e chistu signuri dobbiamo parlari, lassaci soli...”
Sta bene... scusatimi. Vossìa s'abbenedica...” fu il congedo della donna, rivolta a Pete.
Se ne andò, senza aggiungere altro.

Calò chinò il capo, incapace di reggere lo sguardo di Pete, che si era seduto di nuovo e lo fissava con occhi ardenti e vitrei allo stesso tempo.
Mormorò soltanto una frase, stranamente in perfetto italiano... ma che Pete, ugualmente, non comprese.

“Oggi è il quattro dicembre... fanno giusto cinquecento anni...”
“Che significa?”

Vossìa mi ha onorato della sua visita per sapere la verità sulla tomba della baronessa... e la verità è cominciata esattamente cinquecento anni fa, il 4 dicembre del 1563.”
“Mi racconti tutto, Calò... la prego.”

“Vi avverto: la storia che vi racconterò vi sembrerà incredibile.”
“Qualsiasi cosa mi dirà, le crederò.”

Calò strinse le labbra, per poi schiuderle in un sospiro doloroso... ed iniziò a parlare, dipanando la matassa che ingarbugliava la mente del giovane.

“Esattamente cinquecento anni fa, nel castello di Carini, fu commesso il terribile omicidio narrato da una ballata delle nostre parti... una ballata composta per commemorarne le due vittime. Vossìa non la conosce, immagino...”
“No... non l'ho mai sentita.”

“Aspettate...”

Il brav'uomo si alzò per accendere un vecchissimo giradischi posato su di una mensola, estraendo poi un altrettanto vecchio 45 giri da una piccola pila di dischi posta di fianco all'apparecchio.

Non ci volle molto perché nella piccola casa risuonassero, accompagnate da una chitarra, le parole che narravano un'antica storia... una storia di amore, di dolore e di morte.

Pete non la comprese del tutto, ma Calò gli andò in soccorso traducendogli sottovoce, man mano, i versi più importanti.

Piangi, Palermo…
Piangi, Siracusa…
A Carini c’è il lutto in ogni casa…

Intorno al castello di Carini
Va avanti e indietro un bel cavaliere...
il Vernagallo, di sangue nobile
Che gode i favori della gioventù...

Amore, chi può trattenermi dall'obbedire ai tuoi comandi?
Dove mi porti, dolce amore, dove?”

Vedo arrivare degli uomini a cavallo
Questo è mio padre, che viene qui per me...
Tutto abbigliato con i suoi paramenti da cavaliere,
questo è mio padre... che viene ad uccidermi!”

Signor padre, cosa sei venuto a fare?”
“Signora figlia, vengo ad ammazzarvi!”

Al primo colpo la donna cadde,
al secondo colpo la donna morì.
Un colpo al cuore, un colpo alle reni...
Povera baronessa di Carini”.

“Credo di aver capito... il Vernagallo fu causa della morte della baronessa?”

“Sì, ma non nel senso che tutti potrebbero pensare... non era semplicemente l'amante della baronessa: loro si amavano fin da ragazzi ed avrebbero voluto sposarsi, ma non riuscirono a vincere la prepotenza del padre di lei, il barone di Trabìa, don Cesare Lanza. Lei aveva soltanto quattordici anni quando lui le impose un matrimonio con don Vincenzo La Grua, il figlio del barone di Carini... un matrimonio combinato, come si usava allora, per il quale nulla contavano i sentimenti e la giovanissima età della sposa.”

“Vedo che lei conosce bene la storia della baronessa... l'ha studiata a fondo.”
“Nessuno studio, capitano: la mia famiglia è legata da secoli alla baronessa... si può dire che io sia qui grazie a lei.”

Si asciugò gli occhi con il fazzoletto.
“A quel tempo le donne che mettevano al mondo un figlio senza essere maritate erano additate ed abbandonate da tutti, sempre che non finissero uccise dal padre o dai fratelli mentre ancora erano incinte... ed il bambino, se pure lo lasciavano nascere, veniva abbandonato in una chiesa, se non in mezzo alla strada. Ci fu una contadina di Carini, si chiamava Caterina, che rimase incinta di un giovane... si volevano bene assai, ma la famiglia non la voleva fare sposare, per non perdere due braccia nei campi. Lei pensò di metterli di fronte al fatto compiuto, ma per poco non la ammazzarono insieme al bambino che portava in grembo... lei si salvò scappando nella chiesa del paese e chiedendo asilo al parroco.”

Sospirò di rassegnazione, prima di proseguire.

“A quel tempo le cose andavano così ma, per fortuna, il parroco si rivolse alla baronessa... e quella brava giovinetta non fece mancare il suo aiuto: accolse Caterina e quel bravo giovane, Luca, al castello e non solo li fece sposare, ma fece da madrina al bambino e li tenne a servizio... Caterina diventò la sua cameriera personale e Luca il custode del castello. Nessuno ebbe niente da ridire, perché all'epoca erano le donne ad occuparsi di assumere la servitù... l'unica cosa che la baronessa chiese, in cambio, fu la promessa che sarebbe stata sempre la loro famiglia a custodire il castello di Carini. E così, di generazione in generazione... eccomi qua, io ed i miei figli. E' grazie alla baronessa che la mia famiglia esiste... e mantiene la promessa di custodire il castello.”

“Quindi lei è discendente da quel bimbo a cui la baronessa diede la possibilità di nascere...”

Calò annuì, con un sorriso malinconico ad illuminargli il volto... un sorriso che lasciava trasparire il gran cuore di quell'uomo che, anche dopo secoli, non aveva dimenticato il debito di gratitudine della sua famiglia nei confronti della nobildonna, che aveva reso possibile la loro stessa esistenza.

“Tutto il popolo la amava moltissimo, perché era di animo generoso e caritatevole: nessun bisognoso che si fosse presentato alla porta del castello sarebbe mai andato via a mani vuote, nessuna famiglia che avesse bisogno di aiuto veniva abbandonata... il buon cuore della baronessa era diventato leggenda in tutta la Sicilia sin da quando era una bambina. Quando, in qualsiasi città o paese, si parlava della baronessina, non c'era bisogno di farne il nome... tutti sapevano che era lei. Pure dopo che fu maritata e venne a vivere qui, gli anziani continuarono a chiamarla così... la baronessina. Le volevano tutti bene, come ad una figlia.”

Strinse le labbra in una smorfia di rabbia, prima di proseguire.
“Tutto il contrario di so' patri... quell'uomo era avido e spietato, avrebbe giurato il falso sulla tomba di sua madre pur di ottenere quel che voleva! Ricevette dai La Grua la richiesta della mano della figlia per il loro figlio Vincenzo... e non ci pensò due volte a concederla, pur sapendo che lei era innamorata di Ludovico. Considerava quell'amore come una ragazzata e, per lui, Ludovico era sempre e comunque l'erede di una famiglia meno nobile e meno ricca dei La Grua...”

“Ma... lei non poteva rifiutarsi?”
“No, povera figghia... le usanze e le leggi del tempo non consideravano per nulla la volontà delle donne, specialmente in faccende di matrimonio. Il padre aveva diritti ed autorità assoluta, non c'era modo per lei di opporsi.”

Pete strinse i pugni, avvertendo un sapore amarissimo salirgli in gola... intuì quanto Calò stava per dire, ma questo servì solo a gonfiargli gli occhi di lacrime, che a stento poté trattenere.

Fissò il suo anziano interlocutore, anche lui sul punto di commuoversi per l'ira e la pietà che lo avevano invaso, nel raccontare quella storia di soprusi e di ingiustizie.
“Non le servì a niente il piangere e l'implorare... fu costretta a sposare un uomo che non amava, impostole dal padre per dare lustro al loro casato ed aumentarne il patrimonio, mentre Ludovico piombò nella disperazione al vedere la donna amata condotta all'altare da un altro.”

“E... cosa successe dopo?”

“Le parole della ballata... ve le ricordate? Amuri, chi mi teni 'a to cumanni? Successe quello che doveva succedere: quei due infelici divennero amanti, non potendo sopportare di rinunciare l'uno all'altra... il marito di lei, don Vincenzo, era un codardo e non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare il Vernagallo a viso aperto, per cui finse di ignorare la faccenda, ma don Cesare aveva spie dappertutto e venne presto a sapere ogni cosa.”

Pete strinse i pugni... attendendo di udire quanto già, in cuor suo, aveva compreso.

Calò esitò, per riprendere il controllo delle labbra, che gli tremavano per il dolore e per la rabbia.
Prese un profondo respiro e proseguì.

“Tentò di affrontare l'amante della figlia da solo, per evitare che altri scoprissero la verità e scoppiasse uno scandalo, ma si trovò di fronte uno spadaccino di prim'ordine e dovette fuggire. L'onta della sconfitta si aggiunse alla vergogna che lei stava gettando sulla famiglia... e decretò la morte di quei due sventurati. Il tempo di organizzarsi e, due sere dopo, don Cesare piombò con tre dei suoi sgherri nella camera della figlia, proprio mentre lei e Ludovico erano l'una nelle braccia dell'altro...”

“E fu la fine...” mormorò Pete, con voce strozzata.

“... e fu la fine. Chiddu patri snaturato scannò la figghia senza pietà, facendo uccidere anche il Vernagallo dai suoi uomini, che lo pugnalarono alla schiena... non le concesse nemmeno l'ultimo atto di compassione, accordandole di confessarsi prima di morire.”

Pete quasi digrignò i denti per l'ira che lo invase: personalmente considerava il raccontare i fatti propri ad un prete come un qualcosa di inconcepibile, ma la crudeltà del voler condannare a morte non soltanto nel mondo terreno, ma anche nell'altro, lo fece imbestialire oltre ogni limite umano.

Gli rimase soltanto quel po' di lucidità necessaria per intuire, per quanto confusamente, quale fosse l'ultimo tassello del mosaico: il sarcofago senza nome.

“Per questo la tomba di... della baronessa è anonima?”
Vossìa ne ha di cervello... sì, è per questo. Chiddu cori ri pietra di so patri volle che nessuno potesse rintracciare la sua sepoltura, per impedire anche che si potesse pregare sulla sua tomba. Nunn'a fici aviri neppure 'n funerale cristianu.... fu chiusa ri notti 'nta sarcofago, sìenza neppure a benedizione ri 'n sacerdoti.
“Nemmeno il funerale o la benedizione di un sacerdote...” fu il ringhio di Pete, ormai fuori dalla grazia di qualsiasi Dio potesse esistere nell'Universo.

“Esatto... perché fosse dimenticata da Dio e dagli uomini. Per quell'infame veniva prima l'onore della casata e poi tutto il resto, figghia compresa!”

Un lampo attraversò la mente del giovane capitano.
Quell'impronta sul muro...

“Calò... su di una parete del castello ci sono delle strane strie brunastre... che sembrano riprodurre la forma di una mano. Non... non ne sono certo, ma mi è sembrato che fossero di sangue...”
Sono di sangue, vossìa ha ragione...”

Pete non ebbe il coraggio di chiedere nulla.
Il ricordo di Laura che posava la mano proprio su quell'impronta, del suo singhiozzo soffocato e del suo pianto silenzioso ma, soprattutto, delle due cicatrici che le sfregiavano lo splendido corpo, gli fece incasellare un altro tassello del mosaico e lo fece sprofondare ancor di più nella disperazione.

Si chiuse il viso tra le mani.

Ricordò altri versi della ballata che Calò gli aveva tradotto.
Ne sussurrò i versi, con un filo di voce.

“Un colpo al cuore... un colpo alle reni...”
“Sì, Vossìa ricorda bene. Al primo colpo la donna si portò la mano al petto, prima di cadere... per un momento si voltò verso la parete come per cercare sostegno... e vi appoggiò la mano, completamente rossa di sangue. Ma quel cane fetuso di so patri non si accontentò del primo colpo, che già era mortale... la pugnalò pure alla schiena, prima che lei crollasse morta.”

“BASTA! Basta, Calò... basta!” fu l'urlo rabbioso di Pete, che sentì di non poter reggere oltre al sentir parlare dell'atroce martirio subìto dalla... dalla baronessa? O forse da...

Sì.
Era giunto il momento della domanda cruciale.
Pete tirò un profondo respiro, prima di parlare.

“Calò... la baronessa... come si chiamava?”
“Laura, capitano... si chiamava Laura.”

Una lacrima, finalmente, scese sul volto di Pete... e poi un'altra.
Ed un'altra ancora.
Si racchiuse il viso tra le mani, rinunciando a trattenersi.

“Allora... quella tomba... è la tomba di Laura?”

Un sospiro gli rispose di rimando.
“Sì... ma non soltanto la sua. La leggenda dice che delle donne pietose, alle quali la baronessa aveva fatto del bene, con l'aiuto del parroco del paese presero in consegna il corpo del Vernagallo e, di notte, aprirono il sarcofago di Laura e vi posero anche lui.”

Si alzarono entrambi, contemporaneamente, con lo sguardo rivolto alla sagoma del castello, inquadrata dalla finestra aperta ma non più illuminata dal sole: un inseguirsi di nubi nere aveva velato il cielo, preannunciando tempesta.

Mille ricordi ed altrettante domande affollavano la mente di Pete, ma soltanto una di esse riuscì a trovare la via della sua bocca, mentre i suoi occhi fissavano l'anello di Laura, che era rimasto sul tavolo.

Un alternarsi di scintillii cupi e luminosi richiamò alla sua mente le ultime parole di Laura.

I ritratti...

“Calò, Laura mi aveva detto che, se vi avessi mostrato quell'anello, voi mi avreste mostrato...”
“... dei ritratti? Aspettavo solo che vossìa me lo chiedesse. Venite con me... e capirete tutto.”

Lo guidò lungo il corridoio che tagliava in due la casa, fino ad una porticina che dava su di una scala a chiocciola... la scala di una cantina.
Gli scalini terminavano in un altro corridoio, dalle pareti di roccia, che percorsero fino all'improvviso aprirsi di una enorme grotta... che ospitava due quadri, con ogni evidenza antichissimi.

Due ritratti, a grandezza naturale, l'uno a poca distanza dall'altro.

Un grido soffocato eruppe dalla gola di Pete.
“LAURA!”

Sì, Laura.
Impressa sulla prima tela, in abiti rinascimentali, con al dito indice della mano sinistra lo stesso anello che gli aveva affidato, c'era lei.
Laura.

La donna che, per un tempo troppo breve, lo aveva amato... e della quale lui, nonostante fosse ormai morta da secoli, si era innamorato.
Avrebbe invocato la morte in quello stesso momento, pur di raggiungerla...

La mano di Calò, paternamente, gli si posò sulla spalla.
“Non è tutto... vossìa guardi anche l'altro ritratto. Coraggio...”

Ci vollero parecchi minuti perché Pete gli desse ascolto e si girasse verso l'altra immagine dipinta... minuti di lacrime silenziose, alternate a singhiozzi soffocati.

Calò non ritrasse la mano: aveva compreso che quel giovanotto aveva bisogno di un contatto con la realtà, per non perdere del tutto la ragione dinanzi allo svelarsi di quel mistero e sotto il peso del dolore.

Vossìa se senti megghio?” gli chiese, sottovoce, quando gli sembrò che il pianto si fosse calmato.
“No...” mormorò Pete, soffocando un altro singhiozzo.
“Fatevi forza... dovete arrivare fino in fondo, ormai”.

Pete sollevò gli occhi, rossi ed annebbiati, per volgerli dove Calò stava puntando il dito... e, per un istante, credette di essere preda di un'allucinazione.

Il suo stesso volto...
Nel secondo ritratto, poco distante da quello di Laura, campeggiava il suo stesso viso... la foggia degli abiti era della stessa epoca di quelli di Laura, la capigliatura era lunga e liscia e di un biondo diverso dal suo, più scuro e lievemente cinerino, ma il volto era il suo!

Non ebbe bisogno di chiedere a Calò chi fosse il giovane dipinto su quella tela: su ambedue i ritratti l'artista aveva riportato il nome ed il titolo, oltre allo stemma, del personaggio che aveva raffigurato.

Ludovico Vernagallo, barone di Dainasturi... all'età di trent'anni.

Trent'anni.
Come Laura.
Ambedue nel fiore degli anni... ed ambedue assassinati.

Per il solo crimine di essersi amati.

Perché nel tempo in cui nacquero, l'amarsi contro la volontà delle proprie famiglie era una colpa da punire con la morte... mentre, invece, era assolutamente lecito il combinare un matrimonio per accrescere il potere e le ricchezze della famiglia, anche a costo di straziare il cuore della figlia o del figlio a cui veniva imposto.

Pete sembrò vacillare, mentre i suoi occhi vagavano da un ritratto all'altro, senza poter trattenere il pianto silenzioso che ancora gli bagnava le guance.

Calò si rese conto che il giovane non avrebbe retto ancora a lungo dinanzi a quelle due tele ed a ciò che gli avevano rivelato. Lo prese per un braccio, gentilmente, invitandolo a seguirlo.

“Basta, vossìa ha bisogno d'aria fresca... i ritratti non si muovono da qui, potrete scendere di nuovo, dopo, se volete.”
Lo trascinò via, garbatamente ma fermamente, riportandolo alla scaletta e facendolo risalire in casa.

Il caffè, anche se ormai freddo, fu un toccasana per il giovane, che ne mandò giù due tazzine colme.
Avrebbe voluto rifiutare i dolci – squisiti pasticcini di mandorle e ricotta, tipici siciliani – ma Calò, paternamente, insistette.

Vossìa deve mangiare... e poi meo mugghieri malissimo rimarrìa, se sapissi chi nun aviti favorito... mangiate.”

Più per stanchezza mentale che per necessità di nutrirsi, Pete obbedì.
Calò gli versò dell'altro caffè, comprendendo che il giovanotto dinanzi a lui aveva assoluto bisogno di una sferzata di energia per riprendersi da tutto quel che gli era accaduto... e non solo dagli eventi soprannaturali che aveva vissuto, ma dal dolore che gli stava divorando l'anima al pensiero che non avrebbe rivisto mai più la donna che amava.

Se avesse accettato di fare quello che Laura, sicuramente, gli aveva chiesto.

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Due ritratti, a grandezza naturale, l'uno a poca distanza dall'altro.



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