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Autore: Nao Yoshikawa    22/07/2018    3 recensioni
Esistono tanti tipi di famiglia.
E ognuno cerca la propria a modo suo.
Takumi e Soma, Kuga e Tsukasa, Megumi e Shinomiya, Ryou e Akira, sono coppie tra loro diverse, ma accomunati da un desiderio comune: quello di costruirsi una famiglia.
Ma tra problemi, malintesi e situazioni avverse, le cose non saranno per niente facili.
TRATTO DAL SECONDO CAPITOLO:
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? E’ solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Kuga Terunori, Souma Yukihira, Takumi Aldini, Tsukasa Eishi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2 - Scelte


La prima cosa che Takumi aveva fatto era stata ridere. Ridere sguaiatamente e senza alcun motivo. Una risata che era andata via via scemando nel momento in cui si era accorto di come Soma lo stesse mal guardando.
Che cos’era quella richiesta improvvisa?
Così dal nulla, poi, che senso avrebbe avuto?
Dopo quella sua pessima uscita, era poi calato un silenzio imbarazzante.
Non posso credere che me lo abbia chiesto davvero. Mi sento alquanto stordito.
Io e Soma non abbiamo mai parlato di mettere su famiglia. Sì, ho sempre saputo della sua predisposizione verso i bambini, ma questo cosa c’entra?
Anche se credo di essere stato giusto un filino insensibile.
Non è colpa mia, è solo che non me lo aspettavo!
Erano questi i pensieri a cui Takumi si stava lasciando andare mentre si trovava steso sul materasso. Era buio, fatta eccezione per la luce della lampada.
Dava le spalle a Soma, il quale guardava fisso verso l’alto senza dire una parola.
C’era una chiara e palpabile tensione, un silenzio insistente che entrambi avrebbero voluto interrompere. Ma Takumi non avrebbe saputo cosa dire.
Fu infatti Soma che, ad un certo punto, si mise seduto.
“Però così non vale. Non mi hai risposto”.
Suo marito imprecò mentalmente.
Certo, dopotutto è l’orario perfetto per fare certi discorsi, no?
Anche lui si mise seduto, sbuffando. Poi lo guardò.
“Soma… io non so che dire...”
“Eh? Ma come no? Ti ho fatto una richiesta, dimmi sì o no”.
Non sono sicuro funzioni esattamente così.
“Sì o no ? Soma, non posso darti una risposta così su due piedi. Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? E poi così all’improvviso?”.
Soma abbassò lo sguardo con fare imbarazzato, gesto che sorprese non poco Takumi.
No, non mi dire
“Non è… stato all’improvviso, vero?”
“Direi di no. È un po’ che ci penso, ma non sapevo come prendere il discorso. Credo di avere proprio istinto per certe cose. Insomma, mi vedi con Satoru, no? Ecco… oramai inizio ad avvertire il desiderio di avere un figlio mio. Ma prima devo sapere se sei d’accordo”.
Non lo so, sono d’accordo?
Avere un figlio è una grande responsabilità. Si parla di crescere un altro essere umano che in tutto e per tutto dipenderà da noi, di guidarlo, curarlo, amarlo… E sinceramente il solo pensiero mi mette non poco in ansia.
Si massaggiò le tempie, tutto quel pensare lo stava già facendo andare fuori di testa.
Non avrei mai pensato che mi sarei ritrovato a riflettere su certe cose.
“Oh, cielo. Io… io avrei seriamente bisogno di fare mente locale”.
Fu allora che Soma gli afferrò le mani, sorridendo.
“Io non prendo mai nulla sul serio, me ne rendo conto. Però posso assicurarti che non sono mai stato così serio come adesso. Questo è un mio desiderio scaturito dal fatto… che ti amo immensamente. E vorrei crearmi una famiglia con te, se lo vuoi anche tu. Quindi, se vuoi pensarci, fa pure”.
Soma, tu… tu mi sorprendi sempre, malgrado ti conosca ormai da tempo.
Il fatto che tu voglia costruire qualcosa di così bello con me… mi scalda il cuore.




Suonava la sveglia e la giornata era pronta per ricominciare.

Alla mattina c’era sempre un grande caos, probabilmente ciò era dovuto al fatto che Soma era un incorreggibile disorganizzato. Oltre che disordinato.
Ma Takumi, quella mattina, non avrebbe avuto la forza di stargli dietro.
Questo perché le parole del marito si erano infilate prepotentemente nella sua testa, portandolo a pensare costantemente.
Un momento del genere, si era immaginato che sarebbe arrivato molto più avanti. Magari quando sarebbe stato più grande, maturo e propenso a certe cose. Perché in verità, Takumi vedeva ancora lui e Soma come quei ragazzini spensierati dei tempi della scuola, cosa che ovviamente non era.
Erano davvero pronti a prendersi una responsabilità del genere?
Soma probabilmente lo è. Cioè, lui? Quello scemo sempre con la testa fra le nuvole è pronto per un passo del genere ed io no!
“Takumi!”, lo chiamò Soma, mentre tentava di vestirsi. “Il caffè sta straripando!”
“Eh?! AH! ARRIVO!”.
Merda, sono proprio imbranato. Ma poi, come farei ad occuparmi di un bambino e anche di Soma? Non dimentichiamoci che lui è… sì, è peggio di un ragazzino molto spesso.
“Sbrigati, stiamo facendo tardi!”.
Il biondo si voltò a guardarlo con una smorfia.
“Se mi fai ancora fretta giuro che ti ammazzo. Tuo padre non se la prenderà se arrivi in ritardo”
“No, però mi romperà le scatole. E lo sai che mi da fastidio”, affermò, bevendo velocemente il caffè dalla sua tazzina. “Va beh, io ti precedo, ci vediamo dopo”
“Ma...”.
Prima che potesse dire altro, ecco che Soma gli aveva donato un bacio dal sapore di caffè sulle labbra.
Come sciogliermi in una semplice mossa. Oh, beh…


Per Kuga e Tsukasa, invece, la giornata cominciava con decisamente più calma. Questo perché Terunori era un inguaribile dormiglione, e alla fine Eishi si era abituato a questo suo tenore di vita.
Il primo a svegliarsi era sempre Simba. Il cucciolo color caramello saltò sul materasso, pensando bene di svegliare i suoi padroni. Avvicinandosi a Kuga, iniziò a leccargli il viso.
“Mh”, mugugnò il ragazzo. “Sì, tesoro, adesso mi alzo...”
“Ah”, biascicò Tsukasa, ancora con gli occhi chiusi. “Ma che ore sono?”
“Mh… le otto...”
“Ah… LE OTTO?! MA CHE DIAMINE, PERCHE’ NON MI HAI SVEGLIATO?!”
“Ma perché tu non me lo hai chiesto, ovviamente”, rispose beato, mentre accarezzava Simba, accoccolato accanto a lui.
Tsukasa era sempre così ansioso, non era cambiato negli anni. Anzi, probabilmente adesso che avevano aperto una loro attività era perfino peggio. Avevano aperto un ristorante in cui erano riusciti a fondere le loro capacità e idee. Peccato che il suo adorabile marito prendesse tutto un po’ troppo alla leggera.
“KUGA TERUNORI, ESCI IMMEDIATAMENTE DAL BAGNO!”.
Con una tazzina di caffè in mano e un asciugamano intorno al collo, Eishi picchiò contro la porta. Quell’incorreggibile aveva sempre il brutto vizio di perdere mezza giornata chiuso lì dentro, era peggio di una donna.
“Mi dispiace, non riesco a sentirti, sono sotto la doccia!”, rispose lui divertito.
Tsukasa sospirò.
“E dai, farò tardi”
“Scemo, la porta è aperta”
“Oh… bene”, si diede mentalmente dello stupido, infilandosi poi nel bagno dove aleggiava una nube di vapore.
“Non finire l’acqua calda”, sospirò.
“Noioso”.
Dopo quel commento, Kuga scostò le tendine della doccia. Era ancora insaponato e i capelli erano bagnati. Probabilmente doveva essersi alzato di buon umore, quella mattina.
“Tsukassan”, cantilenò il suo nome. “La fai o no una doccia con me?”.
Eishi alzò gli occhi al cielo. Certo, l’altro alle volte si comportava ancora come un adolescente dagli ormoni in subbuglio.
“Ma non c’è tempo”
“Che peccato”, recitò. “Allora mi sa che dovrò passarmi la schiuma sul corpo tutto solo...”.
… Ma alle volte faceva proprio bene a comportarsi così.
“E va bene”, alla fine Tsukasa si arrese, neanche troppo dispiaciuto, e decise di lasciarsi andare ad una lunga doccia calda con il suo innamorato.

Contrariamente ai loro migliori amici, Takumi e Soma erano già arrivati a lavoro. Mano nella mano erano giunti allo Yukihira. Il rosso era stato il primo ad entrare e a cercare con lo sguardo il padre.
“Vecchio, ma dove sei?”. Takumi sbuffò, togliendosi la giacca e facendo per appenderla all'appendi-abiti. Sicuramente non ci si annoiava mai nel lavorare in quel luogo. Anche se doveva ammettere che avere a che fare con padre e figlio in contemporanea – soprattutto quando litigavano – non era esattamente una passeggiata. Aveva appena finito di formulare il pensiero, quando due braccia lo sollevarono da terra.
“Buongiorno, mio adorato genero! Come stai? Hai dormito abbastanza? Hai fatto colazione?”.
Per l’appunto.
“Ehi! Joichiro, mettimi subito giù! Non è divertente, andiamo!”, esclamò il ragazzo con le guance arrossate. Quell’uomo lo aveva davvero a cuore, praticamente lo trattava come un figlio, in tutto e per tutto.
“Perché a me non mi abbracci mai così?”, protestò Soma mentre si premurava di indossare il grembiule.
“Vuoi essere abbracciato anche tu? Davvero? Lo faccio subito!”
“No, no, no! Stavo scherzando, stai indietro!”.
Non appena era stato rimesso a terra, Takumi si sistemò i capelli.
Questo è violare la mia intimità.
Sarebbe stata un’altra lunga ed estenuante giornata di lavoro, se lo sentiva.


Se c’era una cosa che Megumi adorava, era il suo lavoro. Ormai da cinque anni era stata assunta in un ristorante specializzato in cucina tipica giapponese. Tutto ciò che aveva appreso durante gli studi alla Tootsuki e nei suoi viaggi per il mondo, l’avevano fatta crescere e maturare anche dal punto di vista professionale. Il ristorante in cui lavorava era modesto e di certo non stellato, ma portare avanti la sua passione era tanto quanto le bastava per essere felice. Inoltre, un fattore molto positivo era che il posto era frequentato da molte famiglie. E da bambini.
E lei amava i bambini. Così come i bambini amavano lei.
Uscì dalla cucina con un piatto in mano e si diresse ad uno dei tavoli.
Due bambini di circa cinque e quattro anni sorrisero nel vederla arrivare.
“Megumi-chan, che bello vederti!”, disse il maschietto, il più grande dei due.
“Ciao, bambini!”, salutò con un amabile sorriso. “È bello anche per me vedervi, mi siete mancati. Mi raccomando, ricordate di mangiare tutto. Il pesce è importante se volete diventare grandi e forti”
“Ah, tu sei davvero bella, brava e buona, Megumi-chan!”, affermò invece la bambina con aria sognante. Quel complimento puro e genuino la fece arrossire.
“Megumi, ci sai proprio fare con i bambini”, disse poi quella che era la madre dei due fratellini. “Sono certa che saresti una brava madre”.
E già, me lo dicono tutti. Peccato che non sia ancora successo.
“La ringrazio, davvero. Spero che arrivi presto quel giorno”, affermò imbarazzata.
Sì, un giorno sarebbe arrivato. Lei e Shinomiya non erano sposati da molto, appena due anni, ma di mettere su famiglia in realtà non ne avevano mai parlato, probabilmente perché erano entrambi troppo presi dal lavoro. Lui infatti continuava a gestire il suo ristorante in Europa, sebbene il suo fosse un continuo andirivieni dalla Francia al Giappone e viceversa. Con Megumi avevano affrontato a loro tempo l’argomento “trasferimento”. Ma la verità era che per lei sarebbe stato troppo difficile abbandonare il suo paese natale e i suoi amici. Shinomiya era stato fortunatamente molto comprensivo. Certo, così risultava tutto un pelino più difficile, ma fino a quel momento non avevano mai avuto problemi.
Chissà se le cose si sarebbero evolute con l’arrivo di un figlio.
Quello era un pensiero che ultimamente la tormentava. Aveva un grande istinto materno e sentiva che era quello il momento per lei di avere un figlio suo.
Peccato che la persona con cui aveva decido di trascorrere il resto della sua vita non ne fosse a conoscenza.
Forse un giorno di questi dovrei parlargliene. Anche se non ho idea di come potrebbe prenderla. Non vedo Kojiro come un tipo molto paterno, ma magari mi sbaglio.
Megumi era talmente persa a pensare che non si era neanche accorta di una persona che era appena entrata e che si era fermata a guardarla.
La sua Megumi… si distraeva ancora spesso.
Ma era la sua indole un po’ da bambina che tanto amava.
“Signorina, scusi, non crede di starsi distraendo un po’ troppo?”.
Lei sussultò, voltandosi di scatto. E poi sorrise radiosa.
“Kojiro sei… sei qui…!”, esclamò lei contenta, dimenticandosi di trovarsi sul posto di lavoro e andando a catapultarsi tra le sue braccia. Shinomiya la strinse forte a sé, tanto quasi da sollevarla da terra. Nonostante non si vedessero solo da una settimana, le era mancata maledettamente.
“Ma non dovevi arrivare domani?”, chiese lei.
“Potrei aver anticipato… per farti una sorpresa”.
Lei sorrise radiosa. Alle volte si sentiva ancora una ragazzina che viveva il primo amore.
“Accidenti”, strizzò gli occhi e gli diede un pizzicotto. “Ma adesso io sto lavorando, come faccio?”
“Finisci pure con calma. Stasera ti porto fuori”
“Oh”, Megumi si era praticamente sciolta. “V-va bene allora”.
Non con poca difficoltà si staccò dal suo abbraccio.
Ma certo. Una romantica uscita. Forse la sua occasione per parlargli poteva essere proprio quella.


Intanto, a Le petit lion, il ristorante di Kuga e Tsukasa, le cose andavano come ogni giorno.. all’incirca.
“CHE SIGNIFICA CHE ALTRIMENTI CI TAGLIATE LA LUCE?! NON OSATE, SAPETE? Non ci pensate neanche”.
Tsukasa si portò una mano sul viso. Per quale assurdo motivo in natura aveva permesso a Kuga di prendere la situazione in mano?
“Kuga… abbassa la voce”.
Terunori però gli fece segno di tacere.
“Se ho detto che le pago vuol dire che le pagherò. Cosa pensate che siamo noi, dei barbari? È solo un piccolo ritardo, può capitare, amico. Ah, sì? E lo sai io cosa ti rispondo, vaffa...”
“No, no, no!”, Tsukasa gli strappò prontamente il telefono dalle mani. “Pronto? Sì, chiedo scusa, mio marito è un po’ nervoso. Certo, ma certo, assolutamente, non si preoccupi. Grazie, mille grazie. Buona giornata”.
Chiuse la chiamata. Poi sospirò e guardò Kuga, il quale se ne stava imbronciato.
“Terunori, ti prego, per favore… potresti evitare di litigare con ogni essere vivente e non?”
“Non è colpa mia! Quelli lì fanno tante storie solo perché abbiamo ritardato di due giorni a pagare le bollette. Non è colpa mia se me ne sono dimenticato!”
“Ahi, d’accordo, mi sa che la prossima volta ci penso io. Torna a cucinare che è meglio”.
Kuga fece per ribattere, ma prima che potesse farlo, una certa loro ex compagna di scuola che era oramai diventata una cliente abituale, li salutò con energia.
“Ciao, bellissimi, come state?”
“Ecco qua, ci mancava pure questa”, sbuffò Terunori. “Ciao, Rindou. Sto una meraviglia”
“Piccolo Kuga, che ti prende? Mi offri una cosa da bere?”
“Io non ti offro un bel niente, se la vuoi dovrai pagare. E poi bevi troppo”
“Mh, quant’è noioso”, sbuffò la ragazza. “Ma che gli prende?”
“Stress? Non ne ho idea”, sospirò Tsukasa. “Comunque, come mai sei qui a quest’ora? Non lavori oggi?”.
Rindou sorrise nervosamente, alzando gli occhi al cielo.
“Come dire… potrei aver perso il lavoro”.
Eishi desiderò sprofondare. Era il secondo lavoro che perdeva in un mese, come si poteva essere così sfortunati?
Rindou era una bravissima ragazza, ma viveva ancora con la testa fra le nuvole. Se non fosse stato per lui e Kuga, probabilmente si sarebbe persa.
“Bene, e adesso? Dopo tutta la fatica che hai fatto...”
“Ah, troverò qualcosa, tanto in quel posto ero sottopagata. Emh… detto fra noi… non è che potreste prestarmi qualcosa per l’affitto? Giuro che poi ve li ridò”
“Mi dispiace Rindou, non posso. Io e Kuga abbiamo già abbastanza spese questo mese...”, deglutì a vuoto. “E poi chi è che ha il coraggio di chiederglielo?”


Dopo il lavoro, Takumi non avrebbe certo avuto un po’ di riposo. Suo fratello gli aveva chiesto se gli andava di accompagnarlo in giro per la città, e lui non aveva ovviamente potuto rifiutare. Soma invece si era tirato indietro farfugliando qualcosa del tipo “Sono troppo stanco, non sarei di compagnia”.
Le sue solite scuse, ma in fondo non era un problema. Poiché vivevano lontani, ogni scusa era buona per stare insieme… insieme anche a quella piccola peste di suo nipote Satoru, che era come sempre scatenato. Dopo un giro non esattamente breve, i due fratelli pensarono bene di fermarsi poiché Satoru aveva espressamente chiesto un gelato. E poi era voluto andare sull’altalena.
“Emh… Isami, sei certo che la tripletta bambino-gelato-altalena sia una mossa saggia?”, domandò Takumi, guardando preoccupato il bambino.
“Ti prego, nii-san, non c’è Yuki e ti ci metti tu?”, sospirò Isami, comodamente seduto sulla panchina. “Stare dietro a Satoru è davvero stancante”.
Già, stancante… chissà se anche io sarei in grado?
Ma sì, forse potrei chiedere qualche consiglio a lui. Possibilmente senza fargli capire nulla.
“Senti, Isami, c’è una cosa che non ti ho mai chiesto. Tu… tu, sì, insomma, come facevi a sapere che saresti stato in grado di fare il padre?”.
Isami sorrise.
“Non lo sapevo. È stato un vero e proprio salto nel buio...”
“Oh, interessante. Ma non hai avuto paura?”
“Oh, puoi dirlo forte. I mesi precedenti alla nascita di Satoru sono stati mesi di ansia e dubbi e domande! Credevo di non essere pronto, capisci? Ho perso il conto di tutte le volte in cui ho pensato di fuggire lontano”
Bene, questo non mi sta aiutando.
“Però sai… nel momento in cui è nato è passato tutto. Certe cose si imparano a farle man mano che le vivi. Ogni giorno è un’avventura”, puntò gli occhi su Satoru. “Amo quel bambino, è il mio più grande orgoglio. Ci sono delle paure che vale la pena affrontare”.
Le parole di Isami furono una sorta di liberazione. Takumi ebbe un’illuminazione su qualcosa che era però ovvia. Non era né il primo né l’unico ad avere certi dubbi per la testa, tutti i futuri genitori ne avevano.
Crearsi una famiglia con Soma era quello che voleva, ed era certo che anche quest’ultimo avesse tenuto in considerazione le difficoltà che ne sarebbero seguite. Probabilmente questo era uno di quei casi in cui bisognava rischiare.
“Cavolo… grazie Isami...”
“Di niente, nii-san. Ma perché me lo hai chiesto?”
“Ah, così. Semplice curiosità”


Tra il lavoro e i suoi impegni, raramente Megumi trovava il tempo per indossare abiti un po’ più eleganti. Vestiva sempre con la divisa o dei semplici vestiti sportivi. Quella sera però aveva indossato un vestito nero dallo scollo a barca, aveva accentuato leggermente il trucco e aveva anche indossato gli orecchini, accessorio che in genere non usava.
Ogni volta che lei e Shinomiya uscivano, sembravano essere due fidanzatini alle prime armi, cosa che ovviamente non erano.
Megumi sorseggiò lentamente del vino rosso dal suo calice, mentre pensava alle parole giuste da dire. In realtà non aveva pensato ad altro tutto la sera. Non capiva perché doveva preoccuparsi tanto, dopotutto arrivava un momento del genere per tutte le coppie sposate, no?
“Così ho dovuto fare i salti mortali per arrivare qui. Chi ha detto che essere il capo è una gran fortuna non ha capito un emerito cavolo. Comunque sia, quando ci sono io tutti rigano dritto, mi chiedo invece cosa combinino quando io non ci sono e… Megumi, stai ascoltando?”
“Eh? Scusa, Kojiro. Stavo solo pensando che… c’è una cosa di cui dovrei parlarti”
“Non mi dire che si è rotto di nuovo qualcosa”, sbuffò. “L’avevo detto io a quell’idraulico che le tubature non avrebbero resistito a lungo, maledizione”
“In realtà non è di questo che si tratta”, disse sorridendo. “Tu… ci pensi mai ad avere una famiglia tutta tua?”.
Lui inarcò un sopracciglio.
“Ma io ho già una famiglia mia. Sono sposato con te”.
Lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sì, ma io intendevo… avere dei figli...”.
A quel punto Shinomiya fece un’espressione indefinibile, sembrava sconvolto, indignato e spaventato allo stesso tempo.
“Ah, in quel senso eh?”, domandò nervosamente. “Sì, ci ho pensato”
“Davvero? E cosa ne pensi?”
“Che sì… succederà… un giorno… forse”
“Un giorno forse? Il fatto è che io sento che adesso è il momento”, sospirò. “Voglio diventare madre”
“Oh, Megumi, ma c’è tempo per quello, tu sei ancora giovane. E poi per adesso siamo entrambi molto impegnati nel lavoro, non sarebbe troppo complicato?”
“Quindi tu non vuoi avere un figlio con me perché sei troppo impegnato?”, chiese lei a braccia conserte.
“Sì, cioè no! Non è che non voglio un figlio con te, solo non adesso”
O forse mai. Io in certe cose sono negato.
Ma questo forse è meglio non dirlo.
Lei aggrottò la fronte. Da un lato si era immaginata una reazione del genere, ma c’era comunque rimasta male.
“Capisco”, rispose facendo un cenno con il capo e cercando, in realtà senza successo, di nascondere la sua delusione.


“DAI, ANDIAMO! OH, CHE CAVOLO, MA NON PUOI ELIMINARLO, SEI SERIO?”
Nonostante le pesanti giornate di lavoro, Soma la sera aveva sempre tempo per guardare Hell’s Kitchen e imprecare a vuoto contro la televisione.
E di solito lo faceva insieme a Takumi, peccato che quest’ultimo si stesse limitando a guardarlo da dietro.
Lui non era un codardo. Amava Soma e voleva fare con lui quel passo importante. Anche se sicuramente non sarebbe stata una passeggiata. Ma non voleva che la paura gli impedisse di vivere fino in fondo certe gioie.
Sì, glielo dico. E se cambio di nuovo idea? Ah, smettila Takumi, sii uomo.
Deglutì a vuoto, avvicinandosi a Soma, il quale sembrava molto concentrato a guardare il suo programma preferito.
“Soma… ti devo parlare”
“Non puoi aspettare un attimo? Forse c’è un ripescaggio fra i concorrenti nominati”
“Ah”, sospirò. “No, Soma. Non posso aspettare”
Gli bastò ascoltare il suo tono per capire che doveva trattarsi di qualcosa di serio. Quindi spense subito la tv.
“Ehi, dimmi. Che c’è?”.
Il biondo sospirò, sedendoglisi di fronte.
Perché mi preoccupo? Ne sarà estremamente felice, qual è il problema?
“Sai, Soma… quando mi hai detto di volere un figlio... sono rimasto sconvolto. Ma non perché non la pensassi come te… Anche prima di sposarci. Il fatto è che parlarne è sempre diverso da vivere le cose. Quando me lo hai chiesto è diventato reale, capisci?”.
Soma annuì.
“Capisco, Takumi. So che io e te siamo sulla stessa lunghezza d’onda, ma se per adesso non te la senti di fare questo passo non devi sentirti in colpa, voglio dire, c’è ancora tempo...”.
Avrebbe continuato a parlare, ma Takumi gli stava sorridendo in modo tanto dolce e incoraggiante da zittirlo.
“Io lo voglio fare. Perché ti amo. E voglio costruire qualcosa di bello con te. Anche se l’incertezza mi mette non poca ansia, anche se probabilmente sarà un salto nel buio, visto che né io né tu siamo pratici con certe cose. Ma se dovessi sempre dare retta alla paura e all’indecisione, non farei mai niente, giusto?”.
Soma batté le palpebre, muovendo piano le labbra.
“Quindi tu...”
“Sì, è esatto. Voglio anche io un figlio”.
Quell’affermazione fece spuntare un sorriso, fino a quel momento trattenuto, sulle sue labbra. Si sentiva così felice e raggiante da non avere la forza di trattenersi.
“TAKUMI, SONO COSI’ FELCE CHE TU ABBIA DETTO Sì!”, esclamò saltandogli addosso e atterrandolo sul divano. L’altro si lasciò andare ad un gemito.
E io che mi preoccupavo tanto, sono proprio un cretino.
Gli venne da ridere, mentre portava una mano tra i capelli di Soma.
“Sì, sono felice anche io...”.
Adesso sicuramente non sarebbero più tornati indietro. Avrebbero perseguito quella strada, insieme.



NDA
Ce l'abbiamo, ce l'abbiamo! Takumi si è deciso, ce l'abbiamo. Shinomiya invece no, ma non può essere tutto rosa e fiori, no?
Ringraziamo Isami che senza saperlo ha convinto suo fratello.
Io invece ringrazio come sempre Jill perché mi ha aiutata con il nome del ristorante di Kuga e Tsukasa.
Adoro troppo e basta.
And now? Sarà questo l'inizio di una lunga serie di eventi?
Spoiler, sì.
   
 
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