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Autore: reggina    22/07/2018    3 recensioni
Una malattia che ha cambiato la vita di Philip.
Adesso è un sopravvissuto: una garanzia che, anche se gli è scampato, la leucemia non se la scorderà più.
Prima di ricevere la medaglia di guarito però dovrà capire che Superman non esiste. Mentre cerca di ricostruirsi dovrà accettare le sue fragilità, le sue insicurezze, il suo essere..."umano".
Sequel de: "Sulla collina rosa"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Da quando Alex McDonald lo aveva preso in gestione, il piccolo snack-bar, semplice e pulito, nell’incantevole cornice delle montagne di Furano era diventato il luogo di ritrovo degli ex calciatori della Flynet.

Nell’ora meno affollata, Philip si era incollato un bel sorriso sulla faccia e aveva raggiunto gli amici per il loro appuntamento settimanale: bere una birra insieme era soltanto un pretesto per sfuggire, qualche ora, alla frenesia che sembrava essere diventata il modus vivendi di ognuno, per fermarsi a parlare loro, e di loro, una volta tanto.

L’idea di radunare tutti da Alex era stata di Peter e non aveva accettato un no come risposta.

L’ex capitano poteva anche immaginare Peter e Tony recuperare Kenny e Gerard per strada e arrivare all’appuntamento contemporaneamente a Jerry che, infatti, aveva già mollato la sua bici come capitava su un lato dell’edificio.

“Ehi desaparecido che fine avevi fatto?”

Tony Brunor lo aveva accolto con un sorriso leale e con la sua allegria contagiosa, diffusa nell’aria, negli occhi.

“Sono stato impegnato!”

“Si a leccarti le ferite! Brutta batosta che ha preso il tuo Consadole domenica!”

Peter aveva toccato un tasto dolente, ma con delicatezza e ironia. Un’ironia gentile e leggera come una carezza ma efficace e inarrestabile come un panzer.

In un Consadole Sapporo che rideva, forte di tre successi consecutivi e soltanto di quella brutta sconfitta nell’ultimo turno, c’era anche chi masticava amaro.

La squadra prima di tutto ma per Philip Callaghan non era un momento positivo: da quando era nella nuova squadra aveva giocato soltanto scampoli di partite.

Era il momento più difficile della sua carriera ma aveva la fiducia della società e sapeva che l’unica strada era quella di continuare a lavorare.

Si trovava in quella terra di mezzo dei panchinari d’élite e l’allenatore non lo trattava come una semplice riserva. Lo considerava un valore aggiunto.

Philip si era appoggiato al bancone e aveva risposto con una risata divertita che aveva preso Peter in contropiede.


Lui ci provava ad essere il Callaghan di un tempo. Disinvolto, spiritoso, dal frizzo pungente ma dal cuore generoso e di un carattere amabile, d’un coraggio a tutta prova ma, anche se i suoi compagni lo accoglievano sempre a braccia e cuore aperto, a volte un profondo imbarazzo li divideva, il disagio prendeva il posto della naturale spigliatezza di un tempo.

Anche se durante la malattia Philip si era chiuso in sé stesso sapeva che la loro amicizia era indistruttibile.

Se li portava dietro dalla scuola, dall’infanzia, perciò erano quegli amici speciali che non durano una stagione soltanto: anche se i loro visi erano cambiati, un accenno di barba e qualche ruga in più, il loro numero era rimasto sostanzialmente invariato come se il suo cuore potesse confidarsi e fidarsi soltanto di loro e basta.

La Flynet era stato il collante, il resto una conseguenza.

Aveva dato una pacca sulla spalla a Kenny, guardando e ascoltando, poi si era allontanato verso l’uscita e, con un’espressione enigmatica e incomprensibile aveva fatto cenno a qualcuno all’esterno.

“Guardate un po’ chi vi ho portato!”


Tom aveva provato una sensazione viscerale: un mix di eccitazione e di spavento. Come quando si torna dalle vacanze e si rimane sul ballatoio, con la porta aperta e le valigie a terra, indecisi se profanare quella strana penombra.

“Tom Becker, toh questa sì che è una bella sorpresa!”

Peter gli era andato incontro con il sorriso sulle labbra e lo aveva avvolto in un abbraccio sollevandolo da terra mentre Tony era esploso in una delle sue fragorose risate facendo dondolare anche tutto il bar.

Raccolte le ordinazioni, Alex aveva chiesto di non avviare nessuna discussione importante: li avrebbe raggiunti con il cibo e mangiato con loro, prendendo molto volentieri parte alla conversazione.

Il luogo che Alex McDonald, a soli ventiquattro anni, aveva sistemato e ridipinto era un’oasi di fiducia dove tutti, anche Philip, si strappavano quella maschera fredda e sospettosa che il mondo li costringeva ad indossare come autodifesa e parlavano senza riserve, senza timore del ridicolo, con il cuore pieno.

Era il luogo della fiducia.

Dopo pochi minuti il giovane gestore era ritornato con gli stuzzichini.

“Mangiate tranquillamente, il pranzo lo offre la casa!”

“Chiamalo pranzo!”

Alex aveva ignorato la giocosa provocazione di Jerry e si era rivolto a Tom con l’espressione del perfetto padrone di casa.

“Ma non ti ci abituare però! Il benvenuto durerà solo un giorno non per tutta la vita!”

“Tanto tra una settimana il nostro Tommy sarà ripartito per chissà dove!”

La veritiera osservazione di Peter aveva gettato un’ombra di tristezza su quella rimpatriata tra amici. Tom aveva continuato a sorseggiare la sua birra poi, con il suo sorriso pacato, aveva scacciato quel nuvolone scuro che aleggiava tra loro.

“Questa volta ti sbagli Shake! Dopo anni di vagabondaggio penso che è ora di farmi una casa!”

La sua dichiarazione disinvolta li aveva colti tutti di sorpresa e Tony, quello con la battuta sempre pronta, era stato il primo a riaversi dallo stupore.

“Magari una bella casetta imbiancata a calce su un’isola greca?”

“No, casa dopotutto è dove sono i miei amici. Non so se sarà in Hokkaido ma in Giappone ne ho tanti!”

Philip non si era intromesso fino a quel momento ma a Tom non era sfuggito il suo cenno di approvazione, un semplice gesto di assenso.

“È bello avere le ali ma ci vogliono anche le radici!”

La riflessione del Capitano sottendeva qualcosa di molto più profondo di quello che si potesse credere. Aveva avvertito tutti gli occhi dei compagni su di lui, solo allora si era ricordato della birra chiara che da almeno quindici minuti teneva tra le mani fino a scaldarla e aveva cambiato discorso.


“Ma vi ricordate del nostro primo incontro con Tommy?”

“Rammento perfettamente quel giorno di tanto tempo fa proprio come se fosse stato ieri: giocavamo vicino alla fattoria dei miei genitori e non sapevamo nemmeno che il pallone non si potesse prendere con le mani. Il padre di Tom dipingeva poco distante…Non lo avevamo nemmeno notato finché non siamo stati richiamati dalle sue urla!”

Il ricordo di Gerard era il ricordo di tutti e ognuno aveva voluto condividere le immagini che conservava nella memoria.

“Quest’incosciente era entrato nel recinto di quell’animale demoniaco, di quel cavallo selvaggio!”

L’aria si era riempita di elettricità a tal punto da far rizzare i peli sulle braccia a Kenny.

“Quando vedevo un pallone non capivo più niente!”

Possibile che non ti sai controllare? Davanti ad un pallone perdi letteralmente la testa e fai delle cose molto pericolose!

Alex aveva camuffato il timbro della voce facendo il verso a papà Becker.

Pensare alla loro infanzia, tornare con la mente a quel tempo fatto solo di curiosità e ingenuità aveva risvegliato un senso di malinconia misto a felicità. Quello che allora era la scoperta della vita adesso era per Philip un rifugio.

“Non saremo potuti diventare gli adulti di oggi senza i bambini che eravamo ieri!”

“E non saremo mai arrivati alle semifinali dei tornei nazionali senza tutto quello che ci ha insegnato Tom!”

“Il merito è tutto vostro, ragazzi! Siete diventati quasi imbattibili quando avete capito che aiutarsi l’un l’altro è un punto che vale doppio. E se proprio dobbiamo dare dei meriti a qualcuno allora diamoli a chi vi ha insegnato la generosità, la coralità, l’equilibrio e i valori. Ho giocato con tanti campioni finora ma ne ho conosciuti davvero pochi fidarsi così tanto dei propri compagni da abbandonare l’io per il noi!”

Nell’udire quell’elogio, chiaramente rivolto a lui, a Philip si erano imporporate le guance e tese le labbra.

“Non sperticarti in tutte queste lodi per me!”

Aveva cercato di glissare quei complimenti con un lieve tono di rimprovero.


“Tom ha ragione! Quante volte ti sei sacrificato per noi, Capitano? La prima volta che mio padre è venuto a vedermi giocare hai chiesto all’allenatore di farmi entrare al posto tuo per dimostrare tutto il talento…Che non avevo!”

Alla menzione di Gerard se ne erano aggiunti altri.

“E quando contro la Majestic ho sbagliato l’impossibile? Ti trovavi da solo davanti alla porta e hai passato la palla a me per farmi ritrovare fiducia anche se un mio sbaglio poteva costarci la vittoria!”

Dopo Peter aveva preso la parola Tony.

“E quando mi sono fatto male contro la Muppet? Mi hai portato sulle spalle per evitare che la mia caviglia si gonfiasse!”

Philip era commosso da tutti quei tributi di stima e di rispetto, tasselli di un passato che gli dava un senso di sicurezza ma anche una certa insofferenza, e aveva cercato una battuta per dissimulare il disagio.

“A quello ci sono stato costretto Tony! Eri il nostro unico portiere titolare, non potevo rischiare che in porta ci finisse Alex!”

Sentendosi chiamato in causa McDonald aveva colto la palla al balzo per prenderlo un po’ in giro.

“Ti preoccupavi sempre di tutti, Capitano! Nemmeno fossi stato la nostra mamma!”

Avevano riso tutti ma Philip non aveva fatto in tempo a replicare.

Uno starnuto. Uno più forte e aveva sentito un liquido caldo colargli lungo il prolabio. Aveva portato il palmo della mano a strofinarsi il naso e l’aveva ritirata incredulo.

Svestito delle sicurezze faticosamente riconquistate.

Di nuovo senza difese.

   
 
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