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Autore: GeoFender    24/07/2018    2 recensioni
“Storia che avrebbe dovuto partecipare all’Iniziativa Halloween Town Femslash” indetta dal gruppo LongLiveToTheFemslash”
Prompt- Hug me: Pioggia, coperta, cioccolato
Non solo i bambini hanno paura di temporali e fulmini. A volte anche gli adulti, nonostante indossino una maschera scura e un mantello avvolgente, si paralizzano e crollano di fronte a quella dimostrazione di Madre Natura.
Genere: Angst, Fluff, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kate Kane, Maggie Sawyer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Author's Note:
La storia è ambientata poco dopo il fidanzamento tra Maggie e Kate, molto ptima che lei conoscesse Nocturna. THAT BITCH. Canzone che dà il titolo alla storia e fa da filo conduttore: https://www.youtube.com/watch?v=zCktyjCosHE




Prompt- H
ug me: Pioggia, coperta, cioccolato 
Genere: Hurt/Comfort 
Bonus: Ceraunofobia (paura dei fulmini e tuoni)

 
 
 
Lullaby for a stormy night
 
 

 
 
 
Nuvole minacciose coprivano il cielo di Gotham, la città più oscura del Wisconsin e degli interi Stati Uniti. Certamente, pensò Maggie, era diversa da qualsiasi città in cui avesse vissuto e lavorato finora, come Metropolis o Star City, ma non altrettanto frenetica. 
 
Per quanto non le andasse esattamente a genio, la Batfamily svolgeva un lavoro eccellente nel proteggere i cittadini e, sotto la saggia e retta guida del commissario Gordon, Maggie aveva persino imparato ad apprezzare il loro aiuto, a volte vitale. 
 
Sospirò stancamente nel pensare a un particolare membro di questa, passando una mano tra i suoi già scompigliati capelli corti, color miele. Si chiese dove potesse trovarsi con quel brutto tempo, la pioggia creava molto scompiglio a Gotham e, purtroppo per il GCPD, cancellava tracce che avrebbero potuto portare alla risoluzione di diversi casi. 
 
Un tuonò squarciò il cielo buio e il pensiero di Maggie corse a sua figlia, Jamie, terrorizzata dai temporali e sicuramente sola a casa, visto che James, il suo ex marito, era ossessionato dal lavoro quasi quanto lei.
 
«Sawyer, porta il tuo culo fuori di qui. Sono stufo di vedere la tua brutta faccia.» Disse Atkins, un suo collega che l'aveva esplicitamente richiesta al GCPD dopo le dimissioni di Harvey Bullock. C'erano irritazione e stanchezza nella sua voce, accentuate dal tono roco che anni di sigari avevano causato. Era una caratteristica che aveva contraddistinto anche lei ai tempi in cui lavorava nell'unità speciale di Metropolis; era un incarico particolarmente stressante che l'aveva portata ad assumere una sigaretta come compagna. Abituata a parole peggiori di quelle, sistemò i fascicoli dei suoi casi e i rispettivi rapporti, per poi indossare una giacca di pelle nera sulla sua camicia azzurra e leggermente sgualcita. Con la sua fedele Glock al sicuro nella fondina ascellare, uscì dal commissariato, abbandonò il distretto e si diresse verso la sua monovolume grigio sabbia. La aprì premendo il tasto sulle chiavi, sgusciò all’interno e si allacciò la cintura.
 
Altri lampi e tuoni esplosero, trasformando la notte in giorno. Alla vista di quel fenomeno atmosferico, le labbra di Maggie si strinsero fino a diventare una linea sottile e le sue chiare sopracciglia si aggrottarono per la preoccupazione. Non la entusiasmava quando Kate era di ronda col brutto tempo, non era certo invincibile come l'Uomo d'Acciaio. Estrasse il suo cellulare dalla tasca interna della giacca e controllò se qualcuno l'avesse cercata ma nulla, molti dei messaggi risalivano a qualche giorno prima. 
Mise in moto, azionando il tergicristalli e dirigendosi verso l'appartamento lussuoso della sua fidanzata. Probabilmente lei era ancora impegnata nella ronda, ma sarebbe tornata, prima o poi, e per la detective non era un peso aspettare. Lo preferiva decisamente rispetto al pensiero di rientrare nel  suo bilocale scadente, con quel triste frigo vuoto; i suoi turni di lavoro spesso non le permettevano di fare una grossa spesa e optava gran parte delle volte per del cibo da asporto. 

Frenò bruscamente non appena notò una Porsche bianca a pochi metri da lei e osservò la fila di automobili che si era formata a causa del temporale. Istintivamente, avvicinò la mano al vano portaoggetti della monovolume ma si bloccò, posizionandola sul volante e tamburellando nervosamente con le callose dita su di esso. Questo traffico non ci voleva proprio, mormorò tra sé e sé. Era un'altra odiosa conseguenza del maltempo, anch’essa abbastanza frequente a Gotham. Fortunatamente, la coda iniziò a scorrere abbastanza in fretta e, non appena ne ebbe l'occasione, svoltò verso l'abitazione di Kate. 
 
Scendendo dall'auto, affidata a un parcheggiatore, rimase a bocca aperta nel notare l’imponente palazzo che si ergeva a pochi metri da lei. Definirlo palazzo era riduttivo, la struttura era un grattacielo in vetro e acciaio, probabilmente uno dei più alti della città oltre a quelli delle Wayne Industries e delle Kane Enterprises. Non importava quante volte fosse andata da Kate, non era mai in grado di nascondere lo stupore di fronte a quello spettacolo. Una volta ripresasi, entrò a passo svelto nel mastodontico complesso e salutò Esteban, il portiere latino del palazzo, con un sorriso forzato, e raggiunse velocemente l’ascensore, selezionando il ventitreesimo piano e osservando le porte metalliche chiudersi. Una sinfonia a tratti irritante, almeno dal suo punto di vista, la accompagnò nella sua lunga salita ma cacciò un sospiro di sollievo per non aver dovuto condividere l’ascensore. 
 
Questo perché le si sarebbero presentati due scenari possibili. Nel primo, sarebbe stata costretta a parlare del più e del meno con uno sconosciuto che probabilmente non avrebbe più rivisto e nel secondo, avrebbe passato il tempo senza dire una parola, annegando in un silenzio imbarazzante. Ventuno, ventidue, ventitré, finalmente era giunta al piano. Mise piede fuori dall'ascensore e si ritrovò immersa nella penombra dell'immenso e silenzioso corridoio. Un lampo, seguito quasi istantaneamente da un fragoroso tuono, lo illuminarono quasi a giorno, facendo scattare qualcosa nella detective; un’ansia nervosa, la certezza che qualcosa fosse assolutamente sbagliato. 
 
Si avvicinò alla porta dell’appartamento di Kate e, dopo aver preso un’adeguata rincorsa, vi si gettò contro, tentando di aprirla a spallate. Si morse il labbro per reprimere un gemito di dolore, sapeva che quella porta non avrebbe ceduto al primo tentativo ma sperava che Kate non l’avesse chiusa bene. Altrimenti Maggie si sarebbe giocata la spalla, condizione non ideale per una poliziotta, specialmente se si trattava di quella corrispondente alla sua mano dominante. Al secondo impatto, la serratura cedette e la porta si aprì; Maggie sorrise soddisfatta, nonostante il dolore.
 
«Kate.» Disse Maggie, stringendosi la spalla destra con la mano sinistra, scandagliando con lo sguardo l’enorme salone. Nessuna risposta. L’ansia, che già le attanagliava le viscere, iniziò a scorrerle nelle vene, il battito del suo cuore era quasi assordante e i palmi delle sue mani sudavano, stretti a pugno. 
 
«KATE!» Un urlo strozzato uscì dalla sua gola, chiusa e secca per il mix di emozioni che stava provando in quel momento. Fece qualche passo verso il divano rosso sangue e sentì uno scricchiolio sotto la suola in gomma dei suoi pesanti stivali in pelle nera. Un bicchiere, pensò sicuramente. Ma, sollevando la calzatura, registrò con i suoi occhi azzurri la reale fonte del suono sgradevole: il collo di una bottiglia di vetro. 
 
Scotch invecchiato, doppio malto, pensò Maggie, a giudicare dal forte odore e dalla macchia scura su un cuscino del divano. Raccolse il frammento con attenzione e lo poggiò sul basso tavolino da caffè in legno di ciliegio, l’ultima cosa che voleva era farsi più male del dovuto; la sua spalla ancora protestava per l’azione impulsiva di poco prima. Estrasse una torcia tascabile a LED dalla sua giacca e la accese, puntandola sul luogo in cui aveva trovato il pezzo di vetro. Trattenne istintivamente il respiro nel notare una macchia scarlatta sul basso tavolino, che spiccava sul quadrato di vetro nel centro. 
 
«Non posso certo chiuderle a chiave l’armadietto degli alcolici, troverebbe comunque il modo per aprirlo…» mormorò sottovoce, esprimendo disappunto per il piacere che la vigilante trovava nell’alcol. Avanzò lentamente verso il lato opposto dell'enorme stanza, nel procedere, urtò qualcosa con la punta dello stivale destro, udendo un mugolio soffocato provenire dall'inaspettato ostacolo. Puntò la torcia verso di esso e vide una coperta blu notte sul parquet in legno chiaro; sollevandola lentamente da un angolo, Maggie rivelò il viso candido di una donna dai capelli rossi e dagli spaventati occhi verdi. Ad una seconda occhiata, poté notare che le gote di Kate erano leggermente arrossate, forse per l'alcol o per il forte spavento. O forse per entrambi, pensò la detective  nel poggiare le braccia della sua fidanzata sulle spalle e cingerle la vita, tirandola su a fatica e facendola sedere sul divano. Cercò di sciogliere la stretta di Kate, in modo da togliersi la giacca umida per la pioggia, ma il suo tentativo fu vano, riuscì persino a renderla più ferrea di quanto già non fosse. Le nere pupille dell'ereditiera erano fisse nel vuoto e dalle sue labbra rosse non usciva un solo suono; Maggie divenne ancora più ansiosa. 
 
«Katie, sono Maggie. Sei al sicuro ora.» Quelle parole accesero una strana luce negli occhi di Kate, che nascose il viso nell'incavo del collo della sua fidanzata e iniziò a singhiozzare.
 
 
Era un'insolita giornata di agosto a Bruxelles. Il cielo, di solito tinto di un azzurro limpido, con qualche rara e candida nuvola, aveva assunto un colore plumbeo e grandi nubi promettevano un acquazzone imminente. Ciò non intimoriva di certo la famiglia Kane, che passeggiava lungo il corso in cerca di un posto che permettesse a Kate ed Elizabeth, le loro gemelle di dodici anni, di fare merenda dopo il pomeriggio passato a giocare. 
 
Nonostante la giovane età, erano definite bambine molto composte ma, a dire la verità, Kate era più energica. Scoppiò a piovere, come annunciato dalle nuvole minacciose, lampi e tuoni squarciavano il cielo e un vento tiepido si alzò, facendo sfuggire dalla mano di Elizabeth un palloncino, rosso come i suoi capelli. La bambina, avendo paura di perderlo, iniziò a corrergli dietro ma la raffica di vento era troppo forte. Elizabeth sembrava non curarsene, continuò a rincorrerlo come se fosse la cosa più importante al mondo. Kate fece lo stesso, aveva un legame quasi simbiotico con la sorella. Il colonnello Jacob Kane scoppiò in una fragorosa risata a quella scenetta, non era inusuale per lui assistere a momenti simili e, di conseguenza, non modificò minimamente la sua andatura. Al contrario Gabrielle, sua moglie, le seguì. Bruxelles era una città sconosciuta per la famiglia, non voleva certamente che le bambine si perdessero, per di più proprio il giorno del loro compleanno. 
 
Sguardi curiosi e guardinghi si posarono su Jacob, era certamente fuori posto nella sua divisa mimetica mentre passeggiava nella tranquilla città fiamminga. Li ignorò senza problemi e continuò per la sua strada, ma la calma che caratterizzava il corso si spezzò a causa del rumore di una brusca frenata. 
 
Forti grida arrivarono alle orecchie del colonnello che, riconoscendole, iniziò a correre come non aveva mai fatto prima. Presto i muscoli delle gambe e i polmoni andarono in fiamme per lo sforzo intenso ma, grazie all'adrenalina pompata a tutta forza delle sue vene, quelle sensazioni gli giungevano attenuate. 
 
Ogni sua falcata, lo avvicinava sempre di più al veicolo che cercava in tutti i modi di seminarlo e, non appena gli si presentò l'occasione, balzò verso di esso. Il suo tentativo fallì e cadde rovinosamente a terra, sbattendo la bocca sull’asfalto ruvido ed escoriandosi parte del viso. Urlò frustrato, colpendo con entrambi i pugni la dura superficie stradale. Urlava perché voleva salvare la sua famiglia con le sue sole forze ma era cosciente di non esserne in grado, non da solo, soprattutto in quelle condizioni. Mise da parte l'orgoglio e l'impotenza che gli riempivano il cuore ed estrasse un telefono satellitare da una delle molteplici tasche della sua divisa; attese, seduto scomposto su una panchina, i rinforzi appena chiamati. Ma, disgrazia volle, che arrivassero troppo tardi. Gli intensi occhi verdi di Jacob fissarono sua moglie, incappucciata e legata a una sedia, totalmente priva di vita e con una scarlatta pozza di sangue che si allargava sotto di lei. Kate raggomitolata in un angolo, che scandagliava col suo sguardo terrorizzato quel magazzino abbandonato, cercando disperatamente Beth. La loro Beth. 
 
«Katie, non guardare. Guarda me. C’è il tuo papà, ora.» Kate, però, non gli diede ascolto. I grandi occhi verdi, le cui pupille si erano ridotte alla punta di uno spillo, osservavano il corpo della madre, accasciato come un pupazzo su una sedia, e quello della sorella, Beth, stesa a pochi centimetri di distanza, immersa in una pozza di sangue che aveva inzuppato il bel vestitino che indossava. Lo scrosciare della pioggia e il fragore dei tuoni rendevano quasi impercettibili le parole dei poliziotti che camminavano su e giù per la stanza immensa. Il padre la strattonò via, implorandola con la voce rotta .
«Ti prego, Kate, guarda me. Guardami.» Kate si girò e dall’enorme finestra alle spalle del padre sentì e vide tuoni e lampi illuminare il cielo, denso di nubi nere.
 
 
«Papà.» Rispose Kate con un tono infantile e sconsolato, che non le apparteneva più e che contrastava con la sua imponente figura. La vigilante, col temporale che infuriava su Gotham, era ritornata ad essere una bimba traumatizzata, distante anni luce dalla donna forte e sarcastica che la Sawyer aveva conosciuto. 
 
Maggie era una persona dal carattere duro, plasmato dall’asprezza della sua vita e da Gotham, ma il suo cuore le si strinse nel vedere Kate spezzarsi. La detective lasciò spazio alla madre. Passò le mani tra i lunghi capelli della sua fidanzata, sfiorando la grande cicatrice a forma di saetta che risaltava bianca tra i suoi capelli rossi e rasati sulla tempia destra. Si era sempre chiesta come se la fosse procurata ma, ogni volta che provava a sfiorare anche solo lontanamente l'argomento, Kate si chiudeva a riccio. Col tempo, aveva smesso di tentare di chiederglielo ma non di domandarselo. D'altronde, mettere in discussione qualcosa era ormai diventata la sua seconda natura. Kate, a quel contatto quasi bruciante, sussultò e la mano di Maggie si allontanò da quel punto delicato. Era a conoscenza del fatto che Kate, anche nelle occasioni in cui non era esattamente vigile, reagiva fisicamente e non voleva ritrovarsi con un occhio nero o qualcosa di rotto. Sarebbe stato complicato spiegarlo in centrale.
 
Un altro tuono scosse la sudicia città di Gotham, lo sguardo azzurro di Maggie raggiunse in un baleno l'ampia finestra sul lato ovest del loft. Kate emise un lamento piagnucoloso e le sue mani pallide, sudate, si strinsero attorno ai bicipiti della detective, che sussultò per il dolore nel sentire le unghie piantate nella carne. 
 
Quel tempaccio infernale dettava un ritmo che le ricordava una melodia che aveva sentito per caso alla radio e, senza rendersene conto, iniziò a canticchiarla come una ninna nanna.
 
Little child
Be not afraid
Though thunder explodes
And lightning flash
Illuminates your tearstained face
I am here tonight
 
 
And someday you'll know
That nature is so
This same rain that draws you near me
Falls on rivers and land
And forests and sand
Makes the beautiful world that you see
In the morning
 
 
Everything's fine in the morning
The rain will be gone in the morning
But I'll still be here in the morning
 
«M-mags, sei tu?» Chiese Kate con voce tremante, gli occhi, prima spenti, avevano ripreso la loro solita luce. Sembrava ancora lontana dalla dura vigilante ma, dopotutto, quella era solo una maschera, fisica e al tempo stesso metaforica, che indossava. Solo un istante dopo si rese conto della posizione, a suo dire imbarazzante, in cui si ritrovava ma si sentiva troppo al sicuro tra le braccia della poliziotta per protestare. Un po’ di coccole non fanno male a nessuno, giusto?, pensò, come a giustificarsi. 
 
«Sì Katie, sono io. Vedrai, la tempesta passerà. Ti faccio una cioccolata calda, che ne dici?» Maggie non poté fare a meno di domandarle materna, mandndole all'indietro un ciuffo sudato di capelli. Kate era ancora evidentemente scossa, era meglio avvisarla a voce per avere il tempo di prepararsi.

«Della cioccolata calda andrà bene, Mags. Niente scotch, stavolta.»



«Niente scotch, solo cacao e marshmallow.»












 
   
 
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