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Autore: verolax    08/07/2009    4 recensioni
Kakashi, in missione, viene assalito da un ninja sconosciuto. Si tratta di una giovane del Villaggio della Sabbia. Kakashi vuole vederci chiaro e porta la ragazza alla Foglia. Ma i due non resteranno nemici a lungo...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FAN FICTION – KAKASHI INNAMORATO

 FAN FICTION – KAKASHI INNAMORATO

 

 

PARTE PRIMA – IN MISSIONE

 

I tempi erano tranquilli a Konoha. Il team Kakashi era stato spedito in una missione di livello C, poiché non vi erano missioni di livello superiore da svolgere. Il loro compito era quello di scortare un importante uomo d’affari nel suo viaggio verso una riunione con alcuni clienti. Egli avrebbe infatti dovuto portare con sé una notevole quantità di merce preziosa da proporre ai compratori.

Data la semplicità della missione, bastavano i tre membri giovani del team: Sai in perlustrazione aerea, Naruto ad aprire la strada e Sakura a guardia del carro con la merce. Perciò Kakashi si era preso il lusso di rimanere un po’ indietro, e stava pensando a Sasuke e al modo per riportarlo al villaggio. Il resto del team era ormai appena un puntino in allontanamento tra gli alberi quando Kakashi udì uno strano rumore provenire da un punto imprecisato alla sua destra e decise di avvicinarsi per capire di che si trattasse. Sembrava il gemito di un animale ferito, e Kakashi si fece largo tra i cespugli senza badare a tenersi nascosto.

Non si sarebbe mai aspettato ciò che effettivamente di lì a poco accadde. Si trovò in una piccola radura, appena illuminata dai raggi solari che filtravano dalla fitta chioma degli alberi, nel silenzio più totale. Non c’era traccia di animali feriti. Sentì un lievissimo “crack” di ramoscello spezzato alla sua sinistra, e voltò di scatto la testa per determinarne l’origine. Niente: nulla si muoveva in quella direzione. Stava per voltarsi e tornare sui suoi passi, scocciato per quella deviazione inutile, quando una figura scura balzò da un ramo sopra di lui, attaccandolo lateralmente. D’istinto Kakashi portò il braccio destro all’altezza del volto, per proteggersi da un colpo inaspettato; schivò un fendente così rapido che l’arma che lo aveva prodotto, affilatissima, sibilò al passaggio sopra la testa del ninja, mancandolo di pochi centimetri. Kakashi con un salto all’indietro si portò su un ramo per osservare la situazione dall’alto e riprendere fiato.

Il suo avversario era una donna. Si era ritirata dietro un albero, proteggendosi dagli attacchi frontali, e il suo volto spuntava parzialmente dal tronco. Lo scrutava con occhio vigile, ansimando per la forza che aveva messo nell’attaccarlo, concedendosi una tregua senza però distrarsi nemmeno per un istante. Aveva i capelli verde acqua marina e gli occhi dello stesso colore; l’immagine della determinazione dipinta sul volto, il pugno chiuso in posizione di difesa appena sotto il collo, il polso adorno di braccialetti metallici che tintinnavano ad ogni piccolo movimento.

Kakashi pensava: “è molto forte, devo stare attento. Non l’ho sentita arrivare, e non mi sono accorto della sua imboscata. Mi ha attaccato con una violenza spropositata per la sua corporatura. Le sue armi sono estremamente affilate. La sua velocità è tale da non permettermi di seguire tutti i suoi spostamenti con lo sharingan. Devo inventare qualcosa.”

Mentre Kakashi cercava di elaborare una strategia, la ragazza si fece nuovamente avanti. Senza preoccuparsi di attaccare di sorpresa, o di prenderlo alla sprovvista, corse verso di lui frontalmente, sempre tenendo il braccio destro sollevato con la mano chiusa a pugno. Quando si trovò a poca distanza da Kakashi, che non indietreggiava perché voleva nuovamente saggiare le sue capacità in uno scontro diretto, i suoi occhi si fecero color del metallo, mentre i suoi braccialetti si trasformavano in un’arma appuntita, con la quale la donna si apprestava a colpire il ninja della Foglia. “Ecco, dunque! – pensò Kakashi – la sua abilità è quella di piegare il metallo!”.

Schivò il colpo con la tecnica della sostituzione, e l’arma della ragazza trafisse un tronco inanimato, trapassandolo da parte a parte. Intanto Kakashi con un agile balzo si era rifugiato su un ramo più alto. Estrasse il suo kunai preparandosi ad attaccare. Piombò sulla giovane donna dall’alto, senza il minimo rumore, atterrando alle sue spalle e bloccandola con il braccio. Le puntò il kunai alla gola. Immediatamente la ragazza diventò rigida, si tramutò in metallo e si squagliò ai suoi piedi: era una copia. Kakashi fece appena in tempo a schivare un fendente vibrato dal ramo di un altro albero, alla sua sinistra. I due ingaggiarono un breve combattimento corpo a corpo a colpi di ninjitsu. Erano alla pari. Si staccarono per riposarsi, ciascuno nascondendosi dietro il tronco di un albero. Entrambi ansimavano; il combattimento era ad un livello elevatissimo, e ciascuno degli avversari stava utilizzando grosse quantità di chakra per portare a termine gli attacchi e le difese.

            “Devo trovare alla svelta una soluzione – pensava Kakashi cercando di riprendere fiato – devo tornare dal resto del mio team, ma prima è necessario sconfiggere questa donna, e  tentare di capire perché mi sta attaccando. Potrebbe esserci sotto qualcosa di importante”.

Decise di non aspettare una sua mossa e di attaccare per primo. Si scagliò in direzione della giovane con il suo chidori. Lei si difese forgiando il metallo dei suoi bracciali a forma di scudo, ma il chidori era troppo potente e stava fondendo il metallo, proprio all’altezza del cuore della ninja sconosciuta. Quando Kakashi si rese conto che con quella mossa l’avrebbe uccisa, a pochi istanti dall’impatto, non potendo più bloccare la sua tecnica, la deviò sulla gamba destra della ragazza. Colpita gravemente, lei emise un gemito e si accasciò al suolo. Vi fu un istante di penoso silenzio. Quando Kakashi tentò di avvicinarla per verificarne le condizioni, però, la giovane si rialzò di scatto, e zoppicò fino all’albero più vicino, nascondendosi dietro il suo tronco con i bracciali pronti a fondersi in uno scudo di protezione. Non voleva attaccare; si vedeva che la ferita alla gamba le procurava notevoli sofferenze, e che il suo unico obiettivo era difendersi e trovare un’apertura per effettuare una ritirata. Kakashi, però, non aveva alcuna intenzione di lasciarla fuggire: la giovane non si era accorta che nel repentino balzo all’indietro una manica del suo vestito si era sollevata, lasciando intravedere nella parte ora scoperta del suo braccio il coprifronte. Il simbolo che vi era impresso era quello del Villaggio della Sabbia. Adesso Kakashi era ancora più determinato a scoprire le ragioni dell’attacco, dato che proveniva da un membro di un villaggio alleato alla Foglia…

 Così, parlando con voce ferma ma calma, senza muovere un passo nella sua direzione, le disse: “Smettiamo di combattere, non sei in condizioni per farlo. Chi sei?”

La donna non rispose, e forgiò nuovamente i suoi bracciali a forma di pugnale, tenendolo in obliquo davanti al volto per proteggersi da un eventuale attacco nemico.

“Ti ho detto che non voglio farti alcun male: deponi le armi e parliamo un po’. Vieni dal Villaggio della Sabbia. Io da quello della Foglia. Siamo alleati. Perché mi hai attaccato?”

Per tutta risposta la ragazza, con movimento fulmineo, si portò sul ramo di un albero dietro di lei, tentando la fuga. Kakashi si era già messo al suo inseguimento, ma a causa della ferita alla gamba la giovane mancò l’appoggio del ramo successivo, e precipitò al suolo da un’altezza di parecchi metri. Kakashi si portò velocemente sotto di lei e la prese al volo. Lei si ritrovò fra le sue braccia, stordita e sofferente; sentiva di non potersi muovere, tanto il dolore alla gamba la paralizzava. Si irrigidì appena; ma qualcosa nello sguardo di lui, per nulla ostile, la convinse a rilassarsi nel suo abbraccio, a lasciarsi andare in quella presa sicura, anche perché privata del peso del suo corpo, la ferita alla gamba era un po’ meno dolorosa. Per la prima volta da quando era stata colpita, abbassò lo sguardo verso la ferita; ebbe un tuffo al cuore nel constatare il danno considerevole che la tecnica del ninja della Foglia le aveva procurato. Sotto al pantalone stretto, lacerato in più punti, si allargava una grossa chiazza di sangue, e la ferita pulsava in maniera quasi insopportabile. Kakashi si sedette appoggiato ad un albero e posò la donna delicatamente a terra. “La ferita è abbastanza seria”, le disse, “anche se poteva andarti molto peggio”. Sorrise, e, presa una benda, incominciò a fasciarle la gamba ferita. Lei si ritrasse appena, chiedendogli perché la volesse aiutare. “Ho percepito che in fondo sei una persona buona,” le disse Kakashi quasi interpretando i suoi pensieri, “penso che nel tuo attacco ci sia stato un qualche tipo di equivoco, e vorrei scoprire qual è.”

“Non c’è stato nessun equivoco. Tu sei Kakashi dello Sharingan. Io cercavo proprio te.”

“Volevi eliminarmi? Per quale motivo? Il mio villaggio e il tuo sono in ottimi rapporti…”

Lei volse lo sguardo altrove, mordendosi le labbra. Si sentiva inerme di fronte al suo nemico, e il suo orgoglio bruciava più della sua ferita per l’onta di essere curata da lui, che lei odiava tanto. “Tu sei un traditore”, sibilò, tentando di allontanare la mano di Kakashi dalla sua gamba. “Lasciami stare.”

“Un traditore?” chiese Kakashi stupito. “Ma di che stai parlando?” La fissò a lungo negli occhi, cercando di trovare nella profondità del loro color verde una risposta.

Lei abbassò nuovamente lo sguardo: non le piaceva che la scrutasse così. “Si. Quando Gaara è stato catturato dall’Akatsuki, approfittando della confusione che regnava nel nostro villaggio, sei stato visto aggirarti sospetto per il palazzo e frugare nel cassetto della scrivania del Kazekage. Che hai fatto con le informazioni riservate che hai così ottenuto? Le hai portate a Konoha? Tu sei solo un traditore, la mia missione era quella di eliminarti.

“Guarda che ti sbagli. Konoha rimane fedele alla Sabbia, e così io. Chi ti ha raccontato simili menzogne?”

“Certo, menzogne, questo è quello che dici tu. Ma gli Anziani della Freccia non sbagliano mai, e loro hanno detto che tu stai tentando di eliminare il Kazekage e di distruggere il Villaggio della Sabbia.”

“Non è vero. Il nostro Hokage, Tsunade-sama, ha tutte le intenzioni di restare fedele al patto di alleanza tra i nostri villaggi, e io, personalmente, ho partecipato alla missione di salvataggio di Gaara quando è finito in mano all’Akatsuki. Ecco perché mi trovavo al palazzo del Kazekage. Non ho mai trafugato nessun documento segreto! Questi tuoi Anziani della Freccia hanno preso un granchio. E comunque, cosa sarebbe questa Freccia?”

“Si tratta di un gruppo di ninja estremamente abili che si preoccupano di mantenere la pace tra il Villaggio della Sabbia ed i suoi alleati. I suoi membri spesso si infiltrano nei villaggi vicini per ricavare informazioni utili alla Sabbia, scovando i traditori e rinsaldando i rapporti con gli alleati.”

“Capisco. Mi credi se ti giuro sul mio onore di ninja che io, Kakashi Hatake, non ho mai pensato di tradire il vostro villaggio, né ho mai in alcun modo dato a chicchessia informazioni riservate riguardanti i vostri piani?”.

La ragazza, per la prima volta, fissò i suoi occhi in quelli di Kakashi. Sapeva che cosa voleva dire giurare sul proprio onore di ninja: nessuno mai avrebbe osato proferire un simile giuramento senza essere completamente in buona fede. Per la prima volta da quando Kakashi aveva iniziato a parlare, si insinuò in lei il dubbio che le sue parole corrispondessero a verità, e che gli Anziani si stessero sbagliando.    

 “Giuri… sul tuo onore di ninja?” ripeté incredula, avvicinando il suo volto a quello di Kakashi. L’intensità del suo sguardo era tale che il ninja della Foglia si sentì lievemente a disagio. Lei pareva voler indagare le profondità più recondite del suo animo. Le sue iridi verdi erano così vicine che Kakashi notò che erano appena screziate di un colore più scuro, indefinibile. Mosse un braccio per portarsi la mano sul cuore, per ripetere il giuramento un’altra volta, come per convincerla; il movimento fu però così fulmineo che la ragazza si spaventò, temendo un attacco a sorpresa da parte di Kakashi, e immediatamente forgiò il braccialetto della mano destra in forma di kunai. Kakashi intanto non aveva smesso di guardarla negli occhi, e così vide le screziature grigie allargarsi, fino a cancellare completamente il verde dei suoi occhi: erano diventati plumbei, dello stesso colore dei braccialetti. “La sua è un’abilità innata,” pensò. Gentilmente allontanò il kunai dal suo volto, sorrise e le disse: “mi credi forse il tipo da sferrare un attacco a tradimento, contro una persona ferita?”.

Lei arrossì leggermente, gli occhi si tinsero nuovamente di verde mentre il kunai tornava a prendere la forma del suo braccialetto. Si vergognava di aver pensato una cosa simile di lui. Incominciava a capire che Kakashi era un uomo d’onore, e combatteva soltanto con avversari di pari valore, non perdendo mai di vista il senso di giustizia e la purezza dei suoi ideali.

“Scusami, ho agito d’istinto,” si scusò lei facendo finta di essere molto interessata a scrutare un piccolo fiore giallo vicino al suo piede, in realtà un pretesto per non incontrare il suo sguardo. Una smorfia di dolore le percorse il volto: aveva spostato il suo peso, inconsciamente, sulla gamba ferita, che le aveva ricordato la sua presenza con una fitta molto intensa.

Kakashi se ne accorse subito. “Sei ferita. Se ti fidi di me, ti porterò a Konoha, dove i nostri ninja medici sapranno curarti. Il mio chidori è una tecnica molto fastidiosa, perché l’elemento fulmine rende il chakra estremamente vulnerante. La forma ramificata del fulmine crea una ferita a diverse profondità, e la scossa elettrica brucia la carne. Bisogna curare sia l’ustione che il taglio.”

La giovane, a quel racconto un po’ troppo particolareggiato, si portò d’istinto una mano alla gamba. Scosse la testa. “Chi mi dice che non mi consegnerai all’Hokage come traditrice?

“Non lo farò. Certamente, Tsunade-sama vorrà scoprire cosa sia successo veramente, ma io sono sicuro che tu hai agito in buona fede. Sei stata ingannata: il tuo gruppo non ti ha detto la verità. Si tratta di scoprire il perché.”

La giovane si fece cupa. “Non saprei. Vorrei tornare da loro, chiedere spiegazioni. Sono in debito con gli Anziani della Freccia: quando ho perso i miei genitori, da bambina, loro mi hanno cresciuta. Mi hanno insegnato la tecnica della manipolazione del metallo, propria del mio clan, del quale io sono l’ultima superstite. Mi hanno insegnato ad essere un ninja, e io devo loro la vita. Si fidano di me e io di loro. Perché avrebbero dovuto mentirmi?”

“Una volta guarita, potrai andare a scoprirlo. Intanto, però, qualche giorno di pausa ti farà bene: oltre a curare la tua ferita, Konoha potrà fornirti la tranquillità necessaria a schiarire la mente ed organizzare i tuoi pensieri. Ti servirà.” Le sorrise bonario. Gli piaceva il modo di porsi di quella ragazza, determinata e cocciuta e al tempo stesso spaurita, bisognosa di protezione. Si fidava di lui al punto di parlargli della Freccia e della sua vita passata, ma non diceva tutto: a Kakashi piaceva anche questo alone di mistero di cui si circondava.

“Sei molto saggio, Kakashi-san,” gli disse lei, “se è così accetto. Verrò con te a Konoha se mi prometti di aiutarmi a capire che cosa è successo alla Freccia e perché mi hanno mentito”.

“Consideralo già fatto”, sorrise lui. Voleva andare in fondo a questa storia, per Konoha, per se stesso e per quella ragazza innocente.

Il ninja della Foglia giocherellò con un filo d’erba e non volle incontrare il suo sguardo per paura di sembrare troppo invadente, ma non poté far a meno di domandarle il suo nome.

Lei attese un istante prima di dirglielo. Quel secondo sembrò durare ore, i due si concentrarono sul sibilo del vento che passava tra due alberi alle loro spalle, e sul frusciare delle foglie sopra di loro. Poi lei parlò. “Mi chiamo Kiyama Tetsuno, del glorioso clan dei Manipolatori di Metallo”. Nel suo tono si poteva percepire una nota di malcelato orgoglio.

“Bene, Kiyama-san, adesso che so il tuo nome, possiamo andare. Aspetta solo un attimo,” le disse Kakashi, poggiandole una mano sulla spalla con fare rassicurante. Voleva che lei si fidasse di lui.

Si allontanò di qualche passo da lei, si morse il dito e si accucciò a terra, con il palmo della mano destra rivolto verso il basso a toccare terra. Immediatamente attorno alla mano si disegnò un simbolo, si sentì un boato e tra una nuvola di fumo apparve un cane ninja.

“Pakkun, per piacere, trova Naruto, Sakura e Sai e dì loro che proseguano la missione da soli. Io ho trovato un ninja ferito e sto tornando a Konoha perché ha bisogno di cure urgenti. Se necessario, resta con il team e prendi il mio posto in qualità di leader. Adesso vai,” disse Kakashi all’animale. “Lascia fare a me,” rispose Pakkun annuendo, e senza indugiare oltre sparì tra la boscaglia. Aveva visto Kiyama, ma non era il tipo da fare domande.

Kakashi tornò dalla giovane, e senza dire una parola la prese in braccio caricandosela sulle spalle. “Tieniti forte,” si ricordò di precisare all’ultimo minuto, quando già aveva spiccato il primo salto e stava per darsi una seconda spinta.

La giovane Manipolatrice di metallo si strinse alla schiena di Kakashi. Notò che nonostante la velocità sostenuta, i movimenti del ninja erano così controllati che sulle sue spalle sobbalzava appena. Si sentiva molto sicura, tenuta dalle forti braccia di Kakashi, mentre lui balzava da un ramo all’altro a considerevole altezza. Appoggiò la guancia destra sulla spalla del ninja, e finalmente si lasciò andare: sentì la stanchezza del combattimento e la debolezza causata dalla ferita assalirla, ma non la volle combattere.

Nel giro di qualche minuto, si addormentò profondamente. 

 

 

 

 

PARTE SECONDA – KONOHA

 

 

            Kiyama si svegliò in un candido letto d’ospedale. La gamba era fasciata strettamente: era fastidioso, ma non sentiva più il dolore atroce che aveva provato all’inizio. Si guardò intorno. Alla sua sinistra, una porta chiusa doveva certamente affacciarsi su un corridoio. Di fronte a lei, un letto vuoto e un armadio metallico. A destra, una finestra inondava di luce dorata una sedia: lì, immerso nella lettura, c’era lui. Kakashi.

Non si accorse subito che s’era svegliata: leggeva tenendo il libro sollevato con una mano sola, le dita stringevano le pagine in un punto inusuale, la piegatura centrale. Prima di poter pensare consciamente, Kiyama sorrise: trovava buffa la posizione del ninja, tutto curvo sul suo libriccino, che artigliava con le lunghe dita affusolate.

Istintivamente, Kakashi alzò lo sguardo, come se si sentisse osservato. La vide che lo scrutava. Kiyama aveva ancora mezzo sorriso stampato in volto, e gli occhi inteneriti: dalla quantità di terra sull’uniforme del ninja, aveva appena intuito che per rimanerle accanto non era andato nemmeno a farsi una doccia o a cambiarsi dopo il lungo viaggio.

“Buongiorno, Kiyama-san,” la salutò lui. Dal libro sporgeva solamente l’occhio destro, quello che non possedeva lo sharingan. L’altro era coperto dal coprifronte, portato obliquo, in modo da unirsi alla maschera che gli celava anche il resto del volto. Nonostante questo, pensò la giovane, non era difficile leggere le emozioni che passavano su quel viso così misterioso: quando sorrideva, Kakashi lo faceva anche con gli occhi. Ogni più piccola sfumatura dei suoi pensieri si rifletteva in quella iride nerissima. La sua mente tornò al combattimento che i due avevano ingaggiato nel bosco. L’occhio sinistro, si sorprese a pensare, così percorso da quella cicatrice verticale che divideva la pelle in due metà perfette, e con la sua iride rosso fuoco, era invece un po’ inquietante: quando osservava le mosse del suo avversario, Kakashi sembrava perforarlo con quell’arma micidiale, in grado di captare ogni più piccolo movimento cinetico, ma soprattutto in grado di generare visioni oniriche che intrappolavano irrimediabilmente il nemico in un’illusione potentissima, senza via di scampo. Per fortuna, lei non aveva dovuto affrontare il suo sharingan ipnotico; ma ne aveva tanto sentito parlare…

Lui la distolse dai suoi pensieri: “hai dormito parecchio, sai. Ho finito un libro e sto cominciandone un altro,” sorrise. “Come ti senti? Mentre dormivi, i ninja medici hanno somministrato le prime cure alla tua ferita, ma non si sono spinti oltre perché una volta fermata l’emorragia era più importante che tu riposassi. Mi hanno chiesto di avvertirli al tuo risveglio, però, perché possano continuare le operazioni necessarie alla tua completa guarigione”.

Kiyama si passò la mano sulla gamba: al suo tocco, il dolore tornò a farsi sentire. “Certamente,” rispose. Kakashi si alzò e silenziosamente raggiunse la porta. La attraversò, poi ricacciò la testa nella stanza, rivolgendole un cenno di saluto. “Vado a fare una doccia, tornerò a trovarti presto,” disse, e si allontanò senza aspettare una sua risposta.

 

Dopo la medicazione, Kiyama si era nuovamente addormentata, per svegliarsi solo dopo che il sole era già tramontato dietro il monte che sovrastava Konoha. La luce, però, non si era ancora del tutto esaurita; nella stanza penetrava un raggio rossastro, che colpiva il mobile metallico infuocandolo. Un leggero bussare alla porta la distolse dai suoi pensieri. Entrò una giovane ragazza dai capelli bruni, che le annunciò la visita del Quinto Hokage.

Kiyama non si aspettava che l’Hokage in persona venisse a trovarla. Fu colta alla sprovvista, e quando la donna dai codini biondi fu di fronte a lei, la giovane non era ancora riuscita a cancellare l’espressione di sorpresa dal suo volto.

“Mi chiamo Tsunade e sono il Quinto Hokage di Konoha,” disse con fare risoluto la donna, squadrando Kiyama dalla testa ai piedi. I suoi occhi si posarono sulla gamba fasciata, così aggiunse in fretta: “sono un ninja medico. Lascia che dia un’occhiata.”

Kiyama non si aspettava tutto questo interessamento da parte dell’Hokage: in fondo, lei aveva attaccato Kakashi… sorrise debolmente, senza riuscire a proferir parola. Si limitò ad annuire, cominciando lei stessa a slegare la fasciatura.

Scoprì la ferita: era la prima volta che la vedeva senza la protezione dei vestiti o delle bende. Era davvero orrenda. La lacerazione partiva dall’inguine ed arrivava fin quasi al ginocchio. L’epicentro si trovava nella zona mediana, dove era avvenuto l’impatto con il chidori di Kakashi. Lì c’era una zona circolare di tessuto vivo, scavata così in profondità da arrivare quasi all’osso. Attorno a questa voragine, una serie di lacerazioni zigzaganti si dipartivano dal grande foro circolare, attenuandosi pian piano con la lontananza fino ad essere poco più che lievi escoriazioni.

Tsunade sbuffò. “Kakashi ti ha procurato un bel danno. Ci vorrà più tempo del previsto perché la gamba guarisca completamente.

Appoggiò la propria mano sulla voragine rossa scavata nella pelle e nei muscoli di Kiyama, e la giovane avvertì il flusso benefico di chakra che s’insinuava tra i tagli e le lacerazioni, in una sensazione insieme fastidiosa come di milioni di minuscoli aghi conficcati nella carne, e al contempo deliziosa, di carezzevole tepore.

Si accorse che nel suo imbarazzo non aveva ancora osato proferir parola. Si affrettò a dire la prima cosa che le passava per la mente: “Tsunade-sama, lei non si deve preoccupare per me. Ho avuto ciò che mi meritavo…” non finì la frase, la vergogna le tinse le guance di un tenue colore rosato, e i palmi delle mani s’imperlarono di minuscole goccioline di sudore.

“A proposito,” rispose rapida Tsunade, “sono venuta anche per questo. Kakashi mi ha raccontato tutto. Sono preoccupata che i rapporti tra Konoha e il Villaggio della Sabbia possano essersi in qualche modo raffreddati. Vorrei capire perché ti hanno ordinato di eliminare uno dei nostri ninja più forti e preparati”.

“Il fatto è che io non lo so,” disse Kiyama con estrema lentezza ed una nota di tristezza nella voce. Mi hanno ingannata, mi hanno fatto credere che Kakashi fosse un traditore…”

   Tsunade non rispose subito. Si concentrò per qualche minuto sul chakra che inviava alla ferita di Kiyama, nel silenzio più totale. Una sottile ruga sulla fronte, però, denotava il suo cambiamento di umore: forse l’Hokage non credeva del tutto alle parole della giovane ninja della sabbia…

La Freccia è composta da un gruppo di sette Anziani, uomini politici di grande influenza nel Villaggio, che si servono di un unico team di quattro ninja per svolgere le loro missioni. Io sono il leader del gruppo, ma poiché siamo così pochi, spesso lavoriamo a diverse missioni ciascuno per conto proprio. La Freccia si occupa di mantenere i rapporti con i villaggi alleati e di scovare i traditori, punendoli e vanificando i loro complotti,” sputò velocemente Kiyama, tenendo lo sguardo piantato a terra, quasi con tono di scusa. Poi, più lentamente, aggiunse, sottovoce: “io sono stata cresciuta da due Anziani, una coppia, Ayako e Makoto. Quando ho perso i miei genitori, loro mi hanno allevata come una figlia, e insegnato ad essere un ninja… per me, sono come una madre e un padre…”

Tsunade terminò la sessione di cura e fasciò nuovamente la gamba in silenzio.

Pensava.

“Kiyama, le tue informazioni sono molto utili. Ti credo, il tuo tono è sincero. Non appena ti sentirai meglio, cercheremo di capire cosa è successo. Non ti nascondo che ho già inviato un ANBU ad indagare sui membri della Freccia, è un maestro nei travestimenti e non si farà scovare. Non pianifichiamo alcuna azione offensiva: crediamo che si tratti solo di un terribile sbaglio, e presto lo scopriremo. Quando sarai guarita, tu e Kakashi raggiungerete il nostro agente, e tu potrai parlare direttamente con gli Anziani se lo vorrai.”

Si allontanò, dirigendosi verso la porta. “Oggi ho incominciato a risanare la parte più profonda della ferita. Tornerò domani per continuare il lavoro; ora mangia qualcosa e poi cerca di riposare il più possibile”.

Tsunade si scostò i lunghi capelli biondi dalle spalle con un repentino movimento laterale della testa, e fece un altro passo in direzione della porta prima di fermarsi nuovamente.

Sappi che non sei trattata come un prigioniero di guerra solo perchè Kakashi ripone la sua fiducia in te,” disse a bassa voce, con il volto diretto all’uscita ma lo sguardo obliquo verso la ragazza.

Con queste parole uscì.

 

Passavano i giorni e Kiyama era spesso allietata dalle visite di Kakashi. Nelle loro lunghe conversazioni non avevano più toccato l’argomento della loro lotta, o delle intenzioni della Freccia. Kakashi non voleva turbarla. Lei, dal canto suo, non cessava di chiedere informazioni sulla vita a Konoha: le piaceva l’aria tranquilla che si respirava al villaggio, la cooperazione che vi era tra i suoi abitanti. Per quanto ne sapesse lei, al villaggio della Sabbia, invece, i gruppi erano più ristretti, essenzialmente nuclei familiari, all’esterno dei quali non v’era grande comunicazione. O perlomeno, così era all’interno della Freccia. Si era accorta della differenza a Konoha perché oltre a Kakashi e a Tsunade, altre persone venivano a trovarla: il maestro Gai con tutta la sua squadra, Shikamaru e i suoi compagni, Iruka, e la bella Kurenai. Ino, in particolare, le portava ogni giorno bellissimi fiori, e rimaneva a lungo a raccontarle di Sakura, Sasuke e Naruto.

Tutti i suoi visitatori le chiedevano notizie di Gaara, Kankuro e Temari; erano loro buoni amici, si vedeva. Tutti dovevano essere stati informati della sua aggressione a Kakashi, ma nessuno le domandava nulla. Erano lì per farle compagnia, per farla sentire a casa, le missioni non erano molte e c’era poco da fare al villaggio; dunque loro mostravano l’ospitalità tipica della Foglia intrattenendola come meglio potevano.

 

Dopo una settimana di permanenza in ospedale, la ferita alla gamba si era notevolmente ridotta; Tsunade le comunicò che in poco tempo sarebbe guarita completamente. Kiyama si sentì stranamente triste: si avvicinava il momento di lasciare il villaggio per tornare dagli Anziani, per capire cosa era successo. I numerosi visitatori erano riusciti a farle momentaneamente dimenticare il tradimento della Freccia, ma ora doveva prendere il toro per le corna e fare qualcosa.

Intanto il team Naruto era rientrato alla base; non appena il biondo ninja della Foglia fu ragguagliato sulla novità presente in città, si recò in visita a Kiyama.

Con la sua solita impulsività, entrò di folata nella stanza della giovane: la curiosità gli aveva fatto dimenticare le buone maniere, non aveva nemmeno bussato.

“Ciao Kiyama-san, sono Naruto,” le disse con un sorriso a trentadue denti. “Mi hanno raccontato tutto, sei forte!” aggiunse subito dopo avvicinandosi. “Ma anche Kakashi-sensei non scherza, eh?” Ridacchiò. “Come stai?”

Che strano ragazzo, pensò Kiyama: l’avevano avvertita della sua mancanza di tatto, ma non se l’aspettava così infantile. La fece sorridere.

“Molto meglio, grazie. Il tuo maestro ha una tecnica davvero potente, ma io ho la pelle dura,” ribatté guardandolo in volto. Il ragazzo la osservava senza celare minimamente la sua curiosità nei confronti della forestiera.

Si fece più vicino al suo letto, incurvando la schiena leggermente per portarsi sopra di lei, squadrandola dall’alto. I suoi occhi si fecero cupi. Senza indugiare oltre, le sussurrò all’orecchio: “Kakashi-sensei non è un traditore. È l’uomo più dolce e onesto che io conosca. È un amico leale e sincero. Spero che sia davvero come dici, che tu non abbia più dubbi su di lui…”

Kiyama trasalì: il ragazzo si era fatto improvvisamente serio, sembrava più maturo, lei non si aspettava che la conversazione prendesse questa piega così repentina.

“Si, Naruto, l’ho capito subito: il suo chidori puntava al mio cuore, ma non ha voluto uccidermi. Ha deviato il colpo più lontano possibile dagli organi vitali, colpendomi la gamba. Poi, quando giacevo a terra ferita, mi ha aiutata; ho tentato di fuggire, ma sono scivolata da un ramo alto, e lui mi ha evitato una caduta mortale.” Stropicciò nervosamente il lenzuolo che le copriva le gambe. “E poi,” aggiunse con tono sommesso, “ha giurato sul suo onore di ninja…”

Naruto sembrò sollevato. Si affacciò alla finestra: una pioggerellina fine avvolgeva il villaggio in una nuvola di vapore, e aveva riempito il vetro di minuscole perline trasparenti.

Fu Kiyama a parlare per prima: quel ragazzo doveva amare molto il suo maestro. Glielo chiese. Lesta fu la risposta di Naruto:

“Sono poche le persone che riconoscono il mio valore, al villaggio. Kakashi-sensei è una di queste. Lui, il maestro Iruka e Ero-sennin mi hanno insegnato ad essere un ninja, devo loro tutto quello che sono…”

Il pensiero di Kiyama andò agli Anziani, e soprattutto ad Ayako e a Makoto. Il suo cuore mancò un battito: come avevano potuto tradirla…

Si fece sfuggire un sospiro. Naruto la osservò un momento, poi le chiese: “Qualcosa ti turba, Kiyama-san?”

Lei non seppe mentirgli. “Anche io sono legata a due persone che mi hanno insegnato ad essere un ninja, ma temo che loro possano avermi ingannata facendomi credere che Kakashi stesse complottando contro il nostro villaggio. Mi hanno mandata in missione per ucciderlo, come ti hanno sicuramente già detto i tuoi amici. Io… non riesco a capire perché…” puntò lo sguardo sulla finestra. Non voleva che il giovane si accorgesse che aveva gli occhi colmi di lacrime.

Ma Naruto, per quanto infantile, aveva un cuore enorme, e una sensibilità senza pari: si accorse subito del suo stato d’animo, la raggiunse e si sedette sul letto vicino alle sue gambe. Le poggiò una mano sulla spalla.

“Non ti preoccupare, hai di fronte Naruto Uzumaki, che sa cosa vuol dire perdere gli affetti e rimanere solo. Io ti aiuterò a scoprire che è successo. Te lo prometto,” disse rivolgendole un sorriso fiducioso.

Perché mi vuoi aiutare, che t’importa?”

“Non sopporto la vista di persone tristi, io sono così e non potrò cambiare.

Bussarono alla porta. Era Sakura. “Ah Naruto, sei già arrivato?” rivolse un cenno all’amico, poi salutò educatamente Kiyama. Naruto si alzò e si congedò, accennando ad alcune scodelle di ramen che lo stavano aspettando; nel salutare Kiyama le rivolse uno sguardo d’intesa.

“Così tu sei Sakura, eh?” chiese cordialmente la giovane della Sabbia.

“Esatto, piacere di conoscerti Kiyama-san. Sono allieva di Tsunade-sama, e dato che la ferita è ormai in via di guarigione, lei mi ha mandata da te per le ultime cure. Ti va di togliere le bende?”

Anche lei è molto gentile, pensò Kiyama stupita: ma sono proprio tutti così a Konoha?

 

Dopo la visita di Sakura, che mentre le medicava la ferita la intrattenne con discorsi sulla stupidità di Naruto, calò il buio sul villaggio bagnato. La pioggia batteva ora più insistente sui vetri della finestra; per la prima volta da quando era arrivata all’ospedale, Kiyama si fidò della gamba lacerata e si decise a fare qualche passo nella stanza. Si avvicinò zoppicando alla finestra per osservare le luci di Konoha con il loro tremolio seducente. La strada dell’ospedale si animò d’improvviso di risate di bambini, che incuranti della pioggia sferzante giocavano a palla proprio sotto la sua finestra. Kiyama tornò con la mente alla sua primissima infanzia, quella veramente felice, passata con i suoi genitori.

 

Nel ricordo aveva forse tre anni e giocava con il padre nel cortile di casa. Anche quel giorno pioveva, ma questo era un bene al Villaggio della Sabbia, poiché succedeva molto di rado in quel deserto e portava un po’ di frescura all’aria afosa della zona. Lei ed Eichiro si rincorrevano, ridevano, si lanciavano la palla che scivolava sotto le loro dita umide. L’uomo aveva i capelli del colore della figlia, ma gli occhi erano scuri, animati da riflessi argentati. Kiyama bambina mise il piede in una pozzanghera, scivolò, chiuse gli occhi aspettando l’impatto che non arrivò: Eichiro l’aveva presa al volo, cingendola da dietro con le sue forti braccia. Il padre si inginocchiò e rigirò la figlia per guardarla in faccia, ridendo. “Stai attenta, piccola, vuoi farti male?”. Lei si strinse forte a lui in un abbraccio senza parole. In quella, la madre Joruri, castana, bellissima, gli occhi verdi, si affacciò alla porta di casa, chiamandoli per la cena. Il padre si avviò con la figlia ancora in braccio.

 

“Vedo con piacere che ti sei alzata, Kiyama-san,” una voce vellutata la distolse da quei ricordi, belli ma dolorosi. La giovane trasalì, voltandosi di scatto.

Era Kakashi.

I due erano diventati molto amici durante la permanenza di Kiyama in ospedale: lui veniva a trovarla tutti i giorni, rimanendo per ore in sua compagnia. Spesso restavano in silenzio per lunghi periodi, ma si trattava di un silenzio complice, naturale, nel quale entrambi godevano della sola presenza dell’altro.

Quel giorno, invece, il ninja dai capelli argentati non si era fatto vivo, e Kiyama era rimasta un poco delusa.

Eccolo, invece, arrivare quando il buio era già calato, di sorpresa, ad interrompere i pensieri, i ricordi di Kiyama. Gliene era grata.

“Credevo che oggi non saresti venuto, Kakashi-san,” gli sorrise lei; ma era un sorriso ancora velato della tristezza, della nostalgia per la perdita dei suoi genitori, risvegliata dal gioco dei bambini sotto la sua finestra.

Lui ormai la conosceva bene: le chiese subito cosa non andasse. “Nulla, davvero, ero solo immersa nei ricordi…”

Kakashi allora fece una cosa che non aveva mai fatto. Si avvicinò a Kiyama, che era ancora in piedi appoggiata al davanzale interno della finestra, e gli dava le spalle guardandolo con la testa posta di lato. Lei lo vide avvicinarsi, ne fu felice. Il suo petto si appoggiò sulla schiena di lei, inondandola di piacevole tepore. Le sue braccia girarono attorno al collo cingendola in un forte abbraccio. Kiyama aspettava da tempo quell’abbraccio, lo assaporò, ci si crogiolò; lentamente si girò, perché voleva che l’abbraccio fosse completo, voleva essere rivolta con tutto il suo corpo verso di lui. Premette il suo petto contro quello scolpito di Kakashi e incuneò la testa nel suo collo: inaspettatamente la maschera che copriva il volto del ninja, e che proseguiva a fasciargli anche il collo, era morbida e liscia, pareva di velluto. Era così sottile che con la guancia Kiyama poteva sentire il battito del suo cuore nella giugulare. Le parve di sentirlo appena un po’ più veloce del dovuto.

Rimasero in quella posizione per parecchi minuti, perdendosi in quel gesto dolcissimo, più eloquente di mille parole; l’unico suono era il ticchettio della pioggia sui vetri, ed il suo ritmo regolare li cullava, li ipnotizzava. Nessuno dei due voleva essere il primo a sciogliere l’abbraccio.       

 

Ci pensò un’infermiera, giunta a dare a Kiyama la medicina serale: aprì la porta senza bussare, scoprendo i due ninja uniti in un’unica persona. “Oh, scusate,” bofonchiò, ma già Kakashi aveva distanziato Kiyama di un passo. Sorrise imbarazzato e rispose, “oh, nulla, stavo solo confortando un po’ la nostra paziente, che non vede l’ora di tornare a casa,” disse mettendo insieme  parole a caso. “E comunque, stavo andando via.” Percorse a grandi passi la distanza tra la finestra e la porta della stanza. “Ci vediamo domani, buonanotte,” disse a Kiyama tentando di utilizzare un tono neutro. Lei rispose con un cenno del capo, ancora sopraffatta dalla dolcezza del momento trascorso, incapace di parlare. Tornò a sedersi sul letto, deglutendo rumorosamente: non aveva un briciolo di saliva, la gola era così secca che le doleva leggermente. Ingoiò d’un fiato l’amara fialetta che le porgeva l’infermiera, e senza una parola si ficcò sotto le lenzuola dando la schiena alla solerte signorina, che si affrettò a lasciare la stanza buia.

 

 

 

 

 

PARTE TERZA – GUAIO

 

 

Kiyama non riusciva a dormire: si sentiva ancora tra le braccia di Kakashi, la sua mente non pensava ad altro. Era notte inoltrata, non si sentiva alcun rumore; la ragazza si alzò, innervosita. Non le era mai capitato di agitarsi così per un semplice abbraccio. Ma poi, era davvero soltanto un semplice abbraccio? Kiyama non lo sapeva. Desiderò che l’infermiera non li avesse interrotti proprio sul più bello. Si diresse verso la finestra: aveva smesso di piovere, ma tutto era inzuppato d’acqua, i tetti delle case brillavano nella notte per l’umidità che rifletteva la luce dei lampioni e la strada era piena di pozzanghere. Aprì la finestra per prendere una boccata d’aria, sperando con la frescura di scrollarsi di dosso la sensazione d’avere ancora sulla pelle il tepore dell’abbraccio di Kakashi.

 

Non avrebbe potuto trovarsi davanti una scena più inaspettata. Aggrappato alla grondaia, un ragazzo vestito di nero saliva rapido verso la sua finestra; lei non fece in tempo a decidere il da farsi che la figura scura si trovò faccia a faccia con lei.

 

Era Bunjiro.

 

Kiyama era così sorpresa che fece un balzo all’indietro, procurandosi una repentina fitta alla gamba. “Bunjiro, ma che accidenti ci fai qui,” disse al ragazzo senza cerimonie. Si trattava del più giovane membro del suo team, un ragazzino di appena dodici anni, alto e snello. “Ciao, Kiyama,” le disse abbozzando appena un sorriso. Era in una posizione molto scomoda, concentrato com’era per mantenersi in equilibrio senza cadere, e non voleva farsi scoprire facendo alcun rumore, perciò non badò molto alla forma dei suoi saluti. Kiyama si riprese dallo spavento iniziale, si sporse per afferrare il ragazzo e lo issò sulla finestra.

“Stai bene?” le chiese lui non appena fu al sicuro.

“Io si, ma dimmi, tu che ci fai qui?” rispose lei tutto d’un fiato.

“Come che ci faccio qui, sono venuto a salvarti!”

Silenzio. Poi Kiyama comprese: alla Freccia era giunta notizia che lei era al Villaggio della Foglia, e non immaginavano certo che ci fosse arrivata di sua spontanea iniziativa… credevano che fosse stata fatta prigioniera!

Ma no, Bunjiro, non sono stata catturata! Ero ferita, e sono stata portata qui per essere curata…” spiegò la ninja al suo giovane compagno, non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso. Era tutto un divertente equivoco. “Ti ringrazio lo stesso per la premura. Sei solo?”

Bunjiro annuì, poi specificò: “Kafu e Shige sono in missione, stanno portando a termine quella che tu non hai potuto terminare…”

 

Panico. Le parole di Bunjiro riecheggiarono nella sua mente come un gong suonato a due centimetri dall’orecchio. “Terminare… quello che tu non hai potuto…”

Un terribile dubbio s’insinuò in lei.

“Bunjiro, cosa intendi, spiegati meglio, e subito!” gli intimò lei, quasi urlando.

Lui fu spiazzato dalla veemenza del tono della sua caposquadra. Rimase per un attimo basito, occhi spalancati, immobile, poi si riprese un poco e balbettò: “Come… c-certo, sono venuti ad eliminare Kakashi dello Sharingan, forse era troppo forte per te da sola, ma in due ce la faranno, no?” disse quasi con tono di scusa.

Lei divenne di ghiaccio. “Dimmi dove si trovano,” sibilò.

“L-l’hanno attirato fuori dal villaggio con una scusa, dovr-“ non finì la frase: Kiyama, rapida e silenziosa come la notte, si era fiondata fuori dalla finestra e con due agili balzi era sparita alla sua vista, lasciandolo solo nella stanza.

Bunjiro era esterrefatto. Non mosse un dito per svariati minuti, l’aria fresca che veniva da fuori gli accarezzava il volto magro, ma lui nemmeno se ne accorgeva. Non capiva nulla di quello che era appena successo: perché Kiyama era fuggita così? Cosa l’aveva preoccupata tanto? E perché era venuta spontaneamente a Konoha?

“D’accordo,” si disse dopo un po’ per scuotersi da quel torpore, “tutto quello che posso fare è andare a far rapporto agli Anziani”.

Con la testa piena di pensieri confusi, balzò fuori dalla finestra e sparì nella notte scura.  

 

Kiyama correva. Correva a più non posso, a perdifiato, senza badare alla gamba che protestava con dolorose pulsazioni. Era uno sforzo che la ferita in via di guarigione non poteva ancora reggere. Mentre balzava da un ramo all’altro tendeva l’orecchio per percepire ogni più piccolo rumore. Era sconvolta e impaurita: Kafu e Shige erano maestri negli attacchi combinati, e la loro abilità con gli esplosivi era leggendaria. Kakashi avrebbe potuto essere in difficoltà.

 

Il ninja si rese conto troppo tardi di essere caduto in trappola.

Due uomini lo avevano chiuso in una piccola radura, alle spalle aveva una scarpata rocciosa, a destra un uomo dalle proporzioni gigantesche, alla sua sinistra un ninja più esile, ma comunque sufficientemente corpulento. Tutte le vie di fuga gli erano precluse: la trappola era stata preparata con grande cura, sopra la testa del ninja pendevano innumerevoli fili costellati di carte bomba, e di fronte a lui uno strano ordigno bloccava il corridoio fra i due uomini.

Kakashi sollevò il coprifronte a scoprire il rosso sharingan e si preparò alla lotta, kunai alla mano.  

 

Kiyama udì un boato provenire da un punto abbastanza vicino alla sua sinistra: li aveva trovati. Sperò di non essere arrivata troppo tardi. Si avvicinò furtiva al luogo dello scontro: nessuno la notò. Quando il fumo si fu diradato poté vedere Kakashi di spalle alla scarpata rocciosa. Era in difficoltà. Ansimava vistosamente, un rivolo di sangue correva lungo il volto. Teneva un braccio sollevato sulla fronte, col pugno chiuso rivolto verso di sé, e tentava di riprendere fiato.

Stringeva tra i denti un kunai, per poter avere la mano sinistra libera, con la quale si frugava insistentemente nella tasca alla ricerca di qualcosa che evidentemente non si trovava lì.

 

Kafu e Shige erano poco lontano, anche loro malconci e sanguinanti, ma con un ghigno disegnato in faccia. Sapevano di avere il ninja copiatore in pugno: contro i loro ordigni lo sharingan di Kakashi era inutile, egli poteva utilizzarlo per riprodurre soltanto le tecniche, non i materiali.

I due individui aspettavano, non avevano fretta. Era solo questione di tempo.

 

Kiyama pensò al modo di intervenire: in fondo Kafu e Shige erano i membri del suo team, forse se fosse uscita allo scoperto intimandogli di cessare il combattimento l’avrebbero ascoltata. D’altra parte, però, gli ordini degli Anziani erano indiscutibili; no, avrebbe dovuto farli smettere con la forza.

 

Mentre era immersa in tali considerazioni, si accorse da movimenti impercettibili del corpo di Kakashi che egli aveva elaborato una strategia e stava per attaccare. Così fu: il ninja si voltò di scatto e prese a correre in verticale sulla parete rocciosa. Con mossa fulminea si aggrappò ad una sporgenza; da lì si girò facendo leva sulla mano destra lanciando contemporaneamente una raffica di kunai.

 

La risposta dei due scagnozzi della Freccia fu però istantanea: il più corpulento dei due parò i colpi, mentre l’altro lanciò in direzione di Kakashi un kunai di dimensioni spropositate, che recava una carta bomba. Era una mossa intelligente: aggrappato com’era alla roccia, Kakashi poteva fare ben poco per difendersi, a parte lasciarsi cadere, ma l’altezza alla quale s’era arrampicato era notevole, avrebbe rischiato di farsi male.

Kakashi fece un rapido calcolo mentale e vide che non aveva altra scelta. A pochi secondi dall’impatto lasciò la presa e atterrò con entrambe le ginocchia piegate. Il contraccolpo fu tremendo, ma tirandosi in piedi il ninja si rese conto di essere integro; non fece in tempo a rallegrarsene, la bomba esplose parecchi metri sopra di lui aprendo una voragine nella pietra. Alcuni macigni rovinarono in basso, intrappolando Kakashi in una prigione rocciosa.

 

Allora Kafu scagliò un altro kunai esplosivo: Kakashi spalancò gli occhi, tentò di saltare, ma una pesante pietra gli bloccava una gamba. Incrociò le braccia a coprirsi il volto, con i pugni premuti sulla fronte; chiuse gli occhi aspettando l’esplosione. Sapeva che non avrebbe avuto scampo.

 

Kiyama non ebbe tempo di pensare: si lanciò in avanti con uno scatto poderoso, in un solo balzo fu davanti a Kakashi. I suoi occhi si fecero plumbei, mentre forgiava tutti i braccialetti di entrambi i polsi in uno scudo abbastanza grande per coprire entrambi, e sufficientemente spesso da non essere sventrato dall’esplosione.

 

Kakashi udì il tremendo boato, aspettando con rassegnazione di sentire le sue carni dilaniate. Pensò a Kiyama e sperò di non morire. Poi si accorse d’essere illeso: incredulo aprì gli occhi.

Kiyama era di fronte a lui, gambe divaricate, testa lievemente abbassata, immobile. Reggeva davanti a sé uno scudo immenso, avvolto in una nuvola di chakra azzurrino. Anche se era voltata in direzione opposta alla sua, si accorse che ansimava vistosamente: anche la schiena si muoveva al ritmo dei suoi respiri, tanto era il suo sforzo nel prendere fiato. Doveva aver utilizzato una quantità immensa di chakra per vanificare l’esplosione.

Rapidamente lei si voltò verso il ninja della Foglia, senza aspettare una sua parola lo liberò dal macigno che gli opprimeva una gamba, gli prese una mano e lo trascinò via con sé; in un attimo furono lontani dal luogo dello scontro. Procedevano velocissimi balzando tra un ramo e l’altro, e l’unico rumore era il tonfo dei loro piedi sul legno. Kafu e Shige gli erano alle calcagna, ma la mole non consentiva loro di mantenere la stessa andatura dei due snelli ninja che li precedevano. Presto rimasero indietro di qualche centinaio di metri, mentre il distacco continuava ad aumentare.

 

Non poterono far altro che desistere, osservando da lontano i due varcare la soglia di Konoha.   

 

 

Kakashi e Kiyama si fermarono un momento per riprendere fiato. Lei notò che il ninja zoppicava: il macigno che gli era caduto sulla coscia aveva lacerato il muscolo, e la ferita gettava sangue. “Andiamo all’ospedale,” disse con aria preoccupata.

“No, sto bene. Il taglio è molto esteso, ma non particolarmente profondo: se tu non sei ferita, andiamo a casa mia. Lì ci riposeremo e penseremo alla prossima mossa.

“Io non ho riportato alcun danno, andiamo pure,” mentì Kiyama, sforzandosi di nascondere il dolore che provava ogni qualvolta appoggiava a terra la gamba destra.

 

Arrivarono a casa di Kakashi; lei si fermò sulla soglia, incerta. Non voleva disturbare la sua intimità. Lui, da dietro, la spinse gentilmente nell’ingresso richiudendo la porta dietro di sé. Stando a poca distanza da lei, si accorse che la ferita del suo chidori le doleva ancora.

“Sei sicura di non voler tornare in ospedale? Mi pare che tu stia soffrendo…” le chiese dolcemente.

“Stai tranquillo, ho sentito un’infermiera affermare che domani mi avrebbero dimesso: significa che la gamba sta bene. Ho solo fatto uno sforzo un po’ eccessivo, ecco tutto”. Raggiunse il divano, ma vi rimase accanto, in piedi.

Lui le prese la mano e ve la adagiò. “Vado a prendere le garze”, le disse sparendo dietro una tenda.

Quando tornò, lei si era rilassata un poco. “Lascia fare a me”, gli disse prendendogli il disinfettante dalle mani. Lo guardò negli occhi: quelli di lui sorridevano. Lei trattenne per un secondo il respiro. Poi si concentrò sulla gamba del ninja, cercando di non pensare al suo sguardo magnetico. Prima doveva medicarlo. Poi, forse, gli avrebbe chiesto di continuare quell’abbraccio interrotto dall’arrivo dell’infermiera.

Le sue mani rapide disinfettarono l’abrasione, che, in effetti, non era profonda come lei aveva immaginato. Insieme avvolsero le bende sulla coscia di lui, poi rimasero seduti uno vicino all’altra in silenzio.

 

Fu Kakashi a parlare per primo: “Kiyama –“ silenzio, rotto soltanto dai loro respiri. Il suo tono di voce fece battere forte il cuore alla giovane. Rispose con voce roca: “Dimmi”.

“Grazie…”

Lei non disse nulla, allora lui continuò: “mi hai salvato la vita, laggiù. Sarei morto, se tu non fossi intervenuta”.

Lei gli prese una mano tra le sue. “Allora adesso siamo pari”, sorrise. “Anche tu mi hai salvato, deviando il tuo chidori sulla mia gamba…”

Non è propriamente la stessa cosa, pensò lui, ma tacque. Liberò la mano e la poggiò sulla sua spalla, tirandola verso di sé. Lei finì con la guancia appoggiata al suo petto. Questa volta ne era sicura: il cuore di Kakashi batteva a più non posso.

Si sollevò per guardarlo negli occhi. Puntò lo sguardo sulla maschera, dove un piccolo taglio in corrispondenza dell’occhio destro lasciava intravedere la pelle sottostante. Una bolla di sangue raggrumato si era raccolta in basso, tra la punta del taglio e l’estremità della maschera.

Kiyama vi passò la punta delle dita, sfiorandolo appena. “Kakashi, io...” riuscì a balbettare, in preda ad una forte emozione. Lui fece scivolare una mano dietro il suo collo, esercitando una leggerissima pressione per avvicinarla impercettibilmente a sé. Lei prese questo gesto come un incoraggiamento, con lo stesso tocco vellutato prese il bordo lacerato della maschera tra la punta delle dita e delicatamente tirò verso il basso. La maschera si staccò dal volto dell’uomo, lasciando scoperto il naso, poi la bocca dalle labbra lisce, ben disegnate. Kakashi non si mosse, ma i suoi occhi erano puntati su Kiyama, sulla sua bocca appena schiusa. La desiderava almeno quanto lei desiderava lui, ma la sua compostezza gli impediva di lasciarsi andare completamente.

Aspettò che fosse lei ad avvicinarsi: Kiyama lo fece lentamente, pregustando la gioia di quel momento. Era così vicina che lui poteva sentire il tepore del suo respiro sulle labbra. Era tremendamente eccitante: l’avvicinarsi di lei, le sue labbra carnose che lo desideravano, la sensazione di tiepida carezza del suo respiro, amplificata dalla pelle sensibile, abituata ad essere celata e protetta dietro un lembo di tessuto.

Le loro labbra s’incontrarono, fu come un’esplosione. Finalmente Kakashi si lasciò andare, cingendo le spalle di lei con entrambe le braccia, premendo tutto il suo corpo sul suo. Fu un bacio lunghissimo, appassionato, di vero amore. Quando si staccarono, rimasero abbracciati così stretti che ognuno poteva sentire il battito accelerato del cuore dell’altro.

“Ti amo,” gli sussurrò lei all’orecchio. Lui non rispose, ma la strinse ancor più forte.   

 

Si svegliarono ancora abbracciati. Albeggiava e un timido raggio di sole attraversava la stanza immersa nella penombra. Lui fece scorrere la mano sulla schiena di lei, carezzandola dolcemente. Lei rispose baciandolo voluttuosamente sul collo. “È bellissimo svegliarsi fra le tue braccia,” gli disse candidamente. Kakashi le appoggiò l’indice sotto il mento, sollevandolo leggermente, e la baciò teneramente. Sistemò nuovamente la maschera sul suo volto: “Vieni, dobbiamo andare a far rapporto a Tsunade-sama”.  

 

 

PARTE QUARTA – DECISIONI

 

 

Tsunade, sentendo il racconto di Kakashi e Kiyama, decise di non aspettare oltre e di inviare un messaggero al Kazekage per informarlo dell’accaduto. Ordinò ai due ninja di riposare ancora un giorno, e poi di raggiungere anch’essi il Villaggio della Sabbia per aiutare il Kazekage a vederci chiaro in tutta quella faccenda. Così, a malincuore, i due tornarono a casa di Kakashi: avrebbero voluto partire immediatamente, ma Tsunade lo aveva proibito. “Non posso permettermi di perdere un ninja del tuo calibro,” aveva detto a Kakashi prima di congedarlo. “Sei ferito, e devi riposare. Partirai con Kiyama domani all’alba”.

 

A casa di Kakashi faceva un gran caldo. Dopo la pioggia del giorno precedente, splendeva il sole e l’aria era afosa. I due sedevano sul divano, vicini, godendosi un filo d’aria proveniente dal ventilatore. Lei infilò una mano in quella di lui. Kakashi la strinse forte, mentre con l’altra mano risalì lungo il suo braccio fino alla spalla, fino al collo. L’accarezzava dolcemente, facendola rabbrividire di piacere. Lei si gettò al suo collo, lo morse avidamente. Fece correre una mano sul suo petto muscoloso, la infilò sotto la maglia di lui, assaporò il contatto con la sua pelle liscia e levigata, con i suoi pettorali scolpiti. Lui si alzò in piedi, invitando anche lei a farlo con una leggera pressione delle mani sotto le ascelle. Lei obbedì. Una volta in posizione eretta, Kakashi le carezzò i fianchi, fino ad arrivare alle sue natiche. Le strinse fra le mani in un gesto sensuale, la sollevò. Lei strinse le gambe sui suoi fianchi, baciandolo. Caddero nuovamente sul divano, e presero a spogliarsi vicendevolmente.

 

Fecero l’amore come mai prima di allora, immergendosi l’uno nella carne dell’altro, inebriandosi del profumo dell’altro. Fu un amplesso così lungo che alla fine si addormentarono, esausti, Kiyama ancora sopra Kakashi.

 

Si svegliarono a mattina inoltrata. Scattarono in piedi all’unisono, consci del loro ritardo. In fretta e furia si prepararono a partire, in dieci minuti erano alle porte di Konoha. Si scambiarono un cenno di assenso e sparirono insieme nella boscaglia.

 

Quando arrivarono al Villaggio della Sabbia, gli eventi avevano già trovato la loro tragica conclusione. Il Kazekage, che da tempo teneva d’occhio la Freccia avendone intuito in parte i piani d’opposizione politica, all’udire le notizie portate dal messaggero di Konoha non attese oltre ed emanò ordini di cattura per tutti i membri del gruppo. Quando i ninja arrivarono alla sede della Freccia, però, poterono arrestarne solo cinque: Ayako e Makoto mancavano all’appello.

La loro casa era poco distante e alcuni ninja si diressero lì per cercarli. Li trovarono stesi sul pavimento nell’ingresso, in una pozza di sangue: erano stati assassinati.

 

Queste le notizie che accolsero Kiyama e Kakashi al loro ingresso al villaggio. Gaara incaricò Temari di spiegare l’accaduto alla coppia di ninja: lei raccontò loro come gli Anziani della Freccia avessero complottato per far cadere il Kazekage, inscenando l’assurda farsa di Kakashi traditore per giustificare la missione assassina di Kiyama; poi avrebbero fatto ricadere la colpa della morte di Kakashi su Gaara, per interrompere i rapporti tra i due villaggi alleati. Sfruttando poi il malcontento che si sarebbe creato al Villaggio della Sabbia, avrebbero realizzato un colpo di stato per deporre Gaara.

 

Quando arrivò per Temari il momento di raccontare del ritrovamento dei cadaveri di Ayako e Makoto, gli occhi di Kiyama si velarono di lacrime. La sorella di Gaara spiegò che il capo dei cospiratori, Hirotsugu, aveva scoperto che i due volevano ribellarsi e raccontare tutto al Kazekage. Non volevano più mentire a Kiyama, non volevano più essere pedine del suo sporco gioco. Era stato proprio Hirotsugu a confessare il duplice omicidio, poco dopo la sua cattura. Si era rivelato un uomo miserabile, capace solo di tramare nell’ombra quando non vi era pericolo per sé; ma una volta nelle mani dei ninja del Kazekage, aveva ceduto alle prime minacce, raccontando tutti i suoi loschi piani.

 

Il messaggero di Konoha fu nuovamente inviato alla Foglia per informare Tsunade del cessato pericolo. Kakashi invece decise di fermarsi un po’ al Villaggio della Sabbia insieme a Kiyama, che si aggirava per le strade come un fantasma, visibilmente scossa. Era la seconda volta che perdeva d’un sol colpo le persone che amava, così, senza preavviso. Era la seconda volta che arrivava tardi, e qualcuno le annunciava il massacro.

 

Il suo girovagare senza meta la portò dinanzi alla casa di Ayako e Makoto. La porta era socchiusa. Entrò, seguita da Kakashi, che avendo intuito dove si trovassero, le poggiò una mano sulla spalla. “Kiyama,” le disse con voce sincera e commossa, “non devi tenerti tutto dentro… da quando Temari ha finito il suo racconto, non hai detto una parola… sono preoccupato…”

Lei non rispose e si scostò la mano dalla spalla, perché inconsciamente lui la tratteneva con la punta delle dita per evitare che s’inoltrasse ulteriormente nella casa: con i suoi occhi di falco aveva già notato alcune goccioline di sangue che non erano state ripulite, non voleva che lei le vedesse. Poggiò entrambe le mani sulle spalle di lei, la girò verso di sé. Non era per niente nella sua indole, ma stava per supplicarla.

“Ti prego, Kiyama, andiamo via”, le disse con voce rotta dall’emozione. Quella donna era capace di fargli provare emozioni che non sapeva nemmeno di poter provare.

Lei lo guardava con gli occhi gonfi di pianto. Gettò un ultimo sguardo obliquo al corridoio, prese un respiro profondo, fece per seguirlo fuori da quella casa degli orrori.

Appena lei si fu allontanata dal punto in cui Ayako e Makoto erano stati trucidati, Kakashi la bloccò in un abbraccio che voleva essere al tempo stesso di conforto e di incoraggiamento. Kiyama, che fino a quel momento si era illusa di non provare alcuna emozione per la morte dei suoi genitori adottivi, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Lui la lasciò fare, senza dire una parola, stringendola forte a sé e carezzandole la schiena e le spalle.

Dopo alcuni minuti, i singhiozzi di lei si fecero più radi fino a terminare completamente. Fu allora che Kakashi le sussurrò all’orecchio due semplici parole, pesanti come macigni.

“Ti amo.”

Lei sollevò il volto per cercare i suoi occhi, le guance ancora rigate di lacrime. Non rispose, non era necessario. Fu ancora lui a parlare: “Vieni via con me”, le disse tutto d’un fiato. “Torna con me a Konoha. Qui non c’è più niente per te.”

 

Era vero. Tutto quello per cui lei aveva combattuto, tutto quello in cui aveva creduto si riduceva oggi ad una casa vuota, impregnata dell’odore della morte, cinque uomini arrestati, due assassinati. Voleva solo andare via dal Villaggio, per non farvi più ritorno. Un senso del dovere però le impediva di andarsene: sapeva che pur senza volerlo aveva rischiato di nuocere al suo villaggio, e voleva in qualche modo fare ammenda, mettendosi al servizio del Kazekage.

Kakashi sembrò leggerle nella mente. “Potrai continuare a servire il tuo villaggio da Konoha,” le disse. “Io partecipo spesso a missioni per conto del villaggio, anche da solo. Potrebbe farmi comodo un aiuto.”

Kiyama ci pensò su. “Chiederò il permesso al Kazekage”, gli disse, abbozzando il primo sorriso da quando erano arrivati al villaggio della Sabbia.

“Permesso accordato,” disse una voce dietro di loro. Era Gaara, in piedi dinnanzi a loro, con Temari e Kankuro al seguito. Il Kazekage aveva chiesto ai fratelli di portarlo a casa di Ayako e Makoto, per una rapida ricerca di prove contro Hirotsugu.

 

“Andiamo, allora”, disse Kiyama; diede a Kakashi un bacio leggero, e i due si congedarono da Gaara e gli altri, ripartendo alla volta della Foglia.     

  
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