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Autore: MarySF88    24/07/2018    2 recensioni
Clexa ispirata al telefilm The 100.
Lexa si risveglia improvvisamente dopo la sua morte ma qualcosa non va. Non c'è Clarke vicino a lei né Titus, sarà stato tutto un sogno?
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Mi scuso con chi segue la storia per la lunga attesa. Una serie di eventi (belli tanto per cambiare) mi ha molto impegnata.  


Capitolo 4, Lo specchio

 

Uno specchio riflette fedelmente ciò che vede? Se chiedete a chi li fabbrica vi risponderà che due specchi diversi non riflettono mai allo stesso modo. E allora cos'è quel riflesso? Siamo noi? È qualcun altro? Se siamo noi, quale versione di noi finisce nello specchio? Se è qualcun altro, chi è?

 

Lexa passò il resto della notte a fissare il suo riflesso nello specchio. L'immagine di Clarke era svanita pochi istanti dopo essere comparsa e per quanto si fosse accanita nel suo compito di sorveglianza la Heda non era riuscita a scorgere più altro se non sé stessa. Verso l'alba cominciò a credere di essersi immaginata ogni cosa. Che il suo sguardo fosse labile esattamente come la sua mente. Ricordava cose mai accadute e non conservava memoria di quelle realmente successe, vedeva cose impossibili che poi svanivano poco dopo. L'estrazione della fiamma aveva danneggiato il suo cervello? O era forse colpa della morte con annessa resurrezione? In ogni caso queste visioni la turbavano assai meno della sensazione che le lasciavano addosso, la sensazione che fossero reali, per lei molto più reali di ciò che la circondava. Non era abituata a indulgere nelle fantasie e si sentiva frustrata da quell'improvvisa incapacità di farne a meno.

 

Mezz'ora dopo quando Octavia bussò alla porta ed entrò, la trovò con le gambe incrociate di fronte allo specchio, ancora intenta a fissarlo. La vide distintamente avvicinarsi a lei e fermarsi incerta a pochi centimetri, probabilmente convinta che stesse meditando e dissuasa dal disturbarla. Finalmente si schiarì la voce e le disse:

“Lexa, Indra sta meglio. Potresti parlarle, ma ti avverto che non è di umore particolarmente accomodante.” le comunicò incerta.

“Non approva quello che sta succedendo.” commentò cupa Lexa senza smettere di fissarsi, irrequieta al pensiero che qualcosa avrebbe potuto comparire nell'istante esatto in cui si fosse voltata.

“Decisamente, no.” nella voce di Octavia c'era una punta di rammarico.

“Non sta dimostrando apprezzamento per la tua rinnovata condizione di comando delle file nemiche.” Lexa era divertita. Lo era a sufficienza da avere la forza di spostare finalmente la testa in direzione di Octavia. La colse fare una smorfia di disappunto.

La Heda si alzò e si avviò verso la sala del trono. Con una certa sorpresa notò che la Skairipa la stava seguendo. Appena entrata nella sala si accorse che molte persone erano state spostate: erano morte? Erano guarite e quindi erano state spostate in luoghi dove fossero più controllabili. Vagò con lo sguardo nella stanza memorizzandone la configurazione: una decina di guaritori Skaikru, otto delle loro guardie armate, i suoi erano stati suddivisi in quattro settori, probabilmente in base alle loro condizioni di salute. In tutto i terrestri saranno stati una quarantina. Nel settore in alto a destra riconobbe Indra, seduta contro la parete fissava con ostinazione uno spicchio di luce sul muro di fianco a lei. Le si avvicinò con passo deciso mentre il resto dei presenti, quelli che erano coscienti almeno, la osservavano con sorpresa, ma anche con risentimento.

“Oso gomplei don odon. Yu ouyon klin kom osir.” fu accolta da questa frase sibilata tra i denti. “La nostra battaglia era finita. Tu ce lo dovevi.”

“Octavia capisce ciò che dici Indra, non è necessario parlare nella nostra lingua.” la ragazza le stava ancora appiccicata e Lexa ebbe la netta sensazione che la stesse sorvegliando, alimentata dalla reazione di agitazione che aveva avuto appena l'aveva sentita pronunciare quella frase.

Indra continuò imperterrita parlando nella lingua dei terrestri, con un tono ancor più aspro.

“Capisce ciò che dico ma non parla la nostra lingua, parla solo la lingua del suo popolo di traditori.” ringhiò.

Lexa tacque e attese. Passarono alcuni minuti prima che Indra si decidesse a puntare su di lei i suoi occhi acquosi.

“Ci hai venduto agli Skaikru come bestiame. Hai venduto la libertà e la potenza del nostro popolo alle stesse persone che ci hanno avvelenato! Dovevi lasciarci morire con onore...”

“Non sono stati gli Skaikru a contagiarci e non vedo onore nel morire senza combattere.”

“Come puoi dire che non sono stati loro a farci questo?” quasi l'accusò Indra.

“Perché Wanheda stessa me l'ha assicurato personalmente questa notte.” non era vero, ma ottenne la reazione che aveva sperato. Vide Octavia sussultare nervosa, colta da un improvviso impulso di scattare altrove.

“Gli Skaikru hanno soltanto approfittato con arguzia di questa situazione, ma sono certa che io e Clarke troveremo un accordo soddisfacente anche a questo proposito.” si affrettò a dire ad Indra la cui furia stava visibilmente montando.

Stava per insistere su quella strada di provocazione nell'intento di causare un piccolo tafferuglio o di convincere Octavia a correre da Clarke a chiedere spiegazioni, ma ebbe inaspettatamente fortuna.

“Lincoln!” la sentì esclamare. Si voltò giusto in tempo per vederla mentre correva tra le possenti braccia dell'uomo e lo baciava con trasporto.

“Sei troppo debole! Non dovresti essere qui!” gli disse a voce alta.

La Heda approfittò subito della situazione per avvicinarsi a Indra e sussurrarle furtivamente:

“La nostra battaglia era finita, ma non la nostra guerra. Era forse meglio concludere entrambe o lasciar vivere i miei guerrieri per combattere ancora in futuro?”

Indra la fissava combattuta.

“Wanheda mi lascerà al comando del nostro popolo.” continuò, “Saremo un clan indipendente e potremo continuare a vivere liberamente anche se risponderemo agli Skaikru. Potremo crescere e fortificarci, riprenderci da questa tragedia e rinegoziare in futuro la nostra indipendenza come popolo più forte.”

Il suo discorso fu interrotto dai passi di qualcuno che entrava con impeto nella stanza. Era Clarke-Wanheda, seguita da Bellamy e tre guardie. Appena la vide non la degnò di attenzioni, ma lanciò subito uno sguardo di rimprovero ad Octavia, evidentemente le aveva ordinato di non lasciarla mai sola e tanto meno con qualcuno dei suoi. Non si fidava di lei dunque?

La Skairipa sostenne il suo sguardo evidentemente ancora poco propensa a farsi comandare in quel modo. Fu Bellamy ad avvicinarsi a lei allarmato e con un atteggiamento decisamente più ostile del giorno prima.

“Indra deve certo riposare e voi, Heda, dovete aiutarci con alcune questioni relative all'ordine pubblico.”

La rassicurò il fatto che l'avesse chiamata Heda, ma non le sfuggì che le aveva di fatto dato un ordine di fronte a tutti.

Serrò lievemente la mano intorno all'impugnatura della sua spada e alzò leggermente il mento. Poi annuì piano inclinando la testa di lato e accettò il suo invito a seguirlo. Passando accanto a Clarke, che a quanto pareva non sarebbe andata con loro, le sorrise. Wanheda non solo la ignorò completamente ma la vide anche stringere gli occhi e serrare la mascella.

Qualcosa non andava nuovamente.

Mentre usciva dalla stanza la vide con la coda dell'occhio prendere possesso, trionfale, del suo stesso trono.

 

Le questioni relative all'ordine pubblico di cui parlava Bellamy non erano altro che ispezioni di ogni singola stanza della torre con relativo inventario dei materiali e degli spazi utilizzabili. Tutto ciò servì a tenerla occupata per l'intera giornata, sotto l'attenta e tesa sorveglianza del “sergente Blake”, come tutti lo chiamavano. Era chiaro che quel compito avrebbero potuto benissimo svolgerlo da soli.

Quanto meno questo lavoro le aveva permesso di osservare che diversi dei suoi uomini e donne, parzialmente rimessisi dalla malattia, erano stati trasferiti in altri piani del palazzo, sempre strettamente sorvegliati.

Per tutto il giorno si era chiesta cosa avesse nuovamente provocato quel cambiamento in Clarke. Certo non poteva aspettarsi che davanti a tutti si comportasse con lei come la sera precedente, ma il modo in cui aveva serrato la mascella...

“Bene, se adesso abbiamo finito, prima di cena gradirei avere un'udienza con Wanheda.” si rivolse a Bellamy che chiaramente era l'unico in grado di esaudirla, una volta che le fu annunciato che sarebbe potuta tornare nelle sue stanze.

“Wanheda al momento è molto occupata. Deve occuparsi di importanti questioni.” le rispose secco.

“Sono sicura che anche la definizione degli accordi tra i nostri due popoli è una questione di grande importanza.” ribatté. Cominciava ad essere decisamente irritata da quella situazione.

“Di questo parlerete di fronte all'intero consiglio e alla presenza di tutti i vostri rappresentanti non appena si saranno rimessi.”

Nonostante la rabbia che stava cominciando a montare in Lexa, Bellamy si voltò e se ne andò, ordinando alle guardie che erano con lui di scortare la Heda nella sua stanza.

 

Per quanto sperasse ardentemente il contrario quella notte Clarke non si fece vedere. Persino lo specchio nonostante il suo sguardo insistente era rimasto muto e a lei non era restato altro da fare che andarsene a letto.

Con sua crescente frustrazione, anche il giorno seguente la impegnarono in una serie di inutili ispezioni della città e del suo stato. Era costantemente sorvegliata e quando incontrava qualche malconcio membro del suo popolo si sentiva ogni volta chiedere:

“Heda! Sei viva! Cosa sta succedendo?”

Domande a cui le era concesso di rispondere a mala pena con qualche frase sbrigativa prima di essere trascinata altrove. Intanto osservava come almeno un centinaio di Skaikru, se non di più, si fosse trasferito all'interno della città e ne stesse prendendo tranquillamente possesso.

Le avevano comunicato che Titus stava meglio e che Aden si stava decisamente riprendendo ma che per il momento non poteva ancora vederli, “Per non turbare il loro stato di salute”.

Quando verso il tramonto incontrò nuovamente Bellamy, che probabilmente era venuto a controllare come stessero andando le cose, la sua irritazione aveva raggiunto livelli che la rendevano difficilmente controllabile.

Decise di ripetere con decisione la sua richiesta.

“Bellamy, voglio vedere Wanheda.” gli disse fredda e decisa.

“Wanheda è m...” cominciò lui inespressivo.

“Adesso ascoltami molto bene.” gli si parò davanti decisamente furente.

“Non ho intenzione di continuare a farvi da guida nell'esplorazione di quella che fino all'altro ieri era la MIA città. Non ho intenzione di venire ancora umiliata mentre prendo ordini da voi di fronte al mio popolo ignaro. Non passerò un'altra giornata prestandomi a questo teatrino e non aspetterò questo famigerato consiglio in cui sarà decisa ogni cosa, se prima non avrò parlato con Clarke. Perciò, poiché vi servo molto più viva che morta e avendo già fatto esperienza della seconda posso assicurarti che non ho nulla da perdere, portami immediatamente da lei o ti conficcherò la mia spada nella gola o, cosa assai più improbabile, morirò provandoci.” Il suo linguaggio del corpo era anche più chiaro delle sue parole. Non aspettava altro che un tentativo da parte dei presenti di fermarla per scaricare su di loro la sua rabbia. I verdi occhi fiammeggianti non scorsero paura in quelli di Bellamy ma si scostò e tra i denti gli sibilò “Seguimi.” mentre con una mano faceva cenno ai soldati di riporre le armi che avevano estratto alla vista di quanto stava succedendo.

 

La scortò di fronte alla stanza di Clarke senza mai dire una parola mentre entrambi si lanciavano occhiate scontente. La camera era la stessa di quando la Skaikru aveva alloggiato lì prima che lei morisse, ma era successo davvero? Se così non era stato sicuramente si trattava di una bella coincidenza.

“Aspetta qui.” le intimò Bellamy con decisione. Entrò nella stanza e per un po' non si sentì niente.

Il silenzio fu interrotto da un urlo rabbioso.

“Questo non ti riguarda!” la grande Wanheda si era chiaramente spazientita.

Lexa non poté fare a meno di correre con la mente alle sue discussioni con Titus per Clarke e sperò che qualcosa di simile si stesse svolgendo là dentro.

“Lexa!” sentì distintamente la voce della Skaikru chiamarla con decisione e capì che era il segnale che poteva entrare.

Wanheda stava in piedi di fianco a un grande tavolo completamente ricoperto da mappe e strani strumenti. Dava l'impressione di essere un tavolo di guerra ma in quei fogli non riconosceva territori a lei familiari.

Avanzò nella stanza ed attese. Clarke la fissava intensamente con durezza.

“Puoi lasciarci, Bellamy.” disse Wanheda mentre continuava a fissarla.

Lui esitava evidentemente contrariato.

A quel punto Clarke si voltò furente verso di lui e gli ordinò tra i denti.

“Ho detto esci!”

A quel punto il ragazzo strinse i pugni e si girò dirigendosi verso la porta. Non mancò di lanciare uno sguardo cattivo a Lexa non appena le passò accanto.

“Cosa vuoi, Lexa?” tagliò corto la ragazza.

“Sono giorni che mi eviti mandandomi in giro a svolgere compiti inutili sorvegliata dai tuoi uomini. Cosa sta succedendo, Clarke?” la sua voce si era inavvertitamente addolcita sul finale.

“Non ti sto evitando, semplicemente non ho nulla da dirti.”

Il gelo nella sua voce si propagò al corpo di Lexa.

“Non vuoi discutere nemmeno di quello che sta accadendo qui? Di come gestire la ripresa della città e...”

“Non è con te che devo discutere di queste cose.”

“Clarke!” la Heda si stava decisamente spazientendo, la situazione degli ultimi giorni cominciava seriamente a pesarle e non riuscì a mantenere la calma. “Mi dici cosa diavolo è successo dopo che te ne sei andata dalla mia stanza due notti fa?” il suo tono di voce era decisamente alto.

Wanheda inaspettatamente si mise a ridere, una risata dura e spietata. Si appoggiò con le natiche e i palmi al tavolo.

“Sono tornata qui e ho trovato Bellamy che mi ha fatta ragionare!”

“Bellamy era nella tua stanza?” in un attimo la gelosia aveva preso il sopravvento deformandole il volto e la voce. Cosa cazzo ci faceva quell'imbecille nella sua camera? Cosa le aveva detto per farle cambiare idea? Si chiese anche se quel suo intervento fosse veramente soltanto volto al bene di Clarke e del loro popolo o se non ci fosse in realtà qualche altro interesse sotto.

“Perché, non avrebbe dovuto?” un sorrisetto malizioso increspò le labbra di Wanheda mentre si avvicinava a lei costeggiando il tavolo.

Decise di non cedere a quella provocazione, visto che già aveva ceduto troppo, e rimase immobile, in silenzio.

Clarke le si avvicinò fino ad arrivare a pochi centimetri da lei che faticava a mantenere la posizione. Mentre si guardavano così vicine, il cuore di Lexa cominciò a battere all'impazzata e la sua pelle veniva percorsa da piccole scosse elettriche.

Lo sguardo della Skaikru ritornò improvvisamente duro.

“Bellamy, mi ha fatta ragionare. Ho ceduto troppo dopo tutto quello che mi hai fatto.” il suo tono era monocorde.

“Ti ho chiesto scusa. Ti ho giurato che non ti avrei mai più tradita. Cosa altro devo fare?” non avrebbe voluto ma finì col supplicarla.

“Niente, per il momento. Tu pensa a non abbandonarmi e a non tradirmi mai più e io vedrò se meriti di nuovo la mia fiducia.” la sentenza era emessa e quei meravigliosi occhi blu non ammettevano appello.

Lexa annuì tristemente guardando il pavimento mentre gli occhi le diventavano sempre più lucidi. Si scostò da Clarke dirigendosi lentamente verso la porta. Sperava segretamente che la fermasse e le dicesse qualcosa, ma ciò non avvenne.

Percorse furiosa il corridoio fino alla sua stanza e una volta entrata si sbatté la porta alle spalle. Afferrò l'elsa della spada pronta a menare fendenti in aria per sfogarsi quando notò che lo specchio non stava nuovamente riflettendo ciò che lo circondava. E ciò che vide non le piacque. Non le piacque per niente.

Vide il suo trono occupato da Ontari che sventolava trionfante la testa di Aden di fronte a Titus e ad altre persone.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. La rabbia le accecò la ragione e scagliò con tutte le sue forze un colpo contro il vetro dello specchio.

La sua sorpresa fu tale, quando invece di infrangersi la superficie lasciò passare la sua mano attraverso di essa, che terrorizzata ritrasse immediatamente il braccio convinta che non le sarebbe rimasto che un povero moncone.

Il braccio tornò intatto mentre le teste dei suoi piccoli Natblida rotolavano sugli scalini della sala del trono e sul volto di Titus scendeva una lacrima silenziosa. Quello che vedeva, quello che ricordava, non era un sogno, era soltanto qualcosa che non riusciva a capire.

   
 
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