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Autore: Anya_tara    27/07/2018    1 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mentre Ale è di là a fare la doccia, io esco sul terrazzino e mi accendo una sigaretta. Fa un freddo cane, si gela, così mi tiro addosso il plaid che ho dimenticato fuori stamattina presto.
L’ho evitata per tutto il pomeriggio, ogni qualvolta che il cellulare fermava la riproduzione casuale su quella canzone premevo “fast forward” e la scansavo come fosse una buca per strada.
Ma adesso che ho un attimo tutto per me non riesco a farne a meno.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca, la cerco e aziono il tasto “play”.
Anche se è un brano hip-hop il ritmo è allegro, suadente, ha un tocco della musica popolare greca e uno di arabeggiante, qualcosa che invita a gettarsi nella mischia senza pensarci due volte.
Ma il testo è tutto un altro discorso. E’ amaro, a tratti duro, e parla di una speranza forse solo immaginata, lontana. Irraggiungibile.
“ … Chilometri, migliaia, migliaia e le stesse miglia, quando ti vedo ti darò migliaia di baci sulle tue labbra.
Oppure metti 1000 come apice, contali se puoi e inseriscili nel grembiule del cielo
non sei solo in un mondo che provoca dolore, che ha imparato a sciogliere i sentimenti, a imparare a uccidere.
e se la menzogna serpeggia come la polvere nelle case, quando ci incontriamo giaceremo sullo stesso lenzuolo.
non sei l'unico a cercare qualcosa di reale, siamo di più e abbiamo tutti qualcosa in comune. che cosa?
ferite da amori, delusioni, amare mattinate da amori sbagliati e verrà il giorno in cui ci incontreremo con il sole e diremo buongiorno.
la mattinata poi sembrerà una celebrazione perché tutti noi cerchiamo l'amore in questa vita.
Quando verrà il giorno, entrambi diremo buongiorno
che respireremo la stessa aria
questo è quando la nostra notte sembrerà una notte
è in fiamme…”.
Giuro che non ho idea di come sia finita sul mio cellulare. Mi piacerebbe poter pensare che sia opera di Shaina, ma lei ascolta solo … quello che di solito ascolto anch’io.
Anche per questo mi è piaciuta tanto, quando ci siamo conosciuti.
<< Carina >>, sento dire la voce alle mie spalle. E per un secondo sussulto dalla sdraio: solo dopo realizzo che si sta riferendo alla canzone, e non … a colei a cui stavo pensando.
A meno che non possegga capacità medianiche. In tal caso sarei abbondantemente fottuto da un pezzo.
Prendo un’aria disinvolta. << Ma dai? Non so neppure perché ce l’ho. La stavo ascoltando per curiosità, non so nemmeno di che si tratta >>.
<< E…? >>.
<< Troppo smielata >>.
Mi giro e lo vedo fare quell’espressione che ormai conosco bene. China leggermente il capo, stirando l’angolo della bocca e socchiude gli occhi inarcando un sopracciglio.
Poi alza la mano. << Ce lo finiamo? >>, chiede, agitando la bottiglia.
<< Ma come, ce n’è ancora? Credevo fosse già finito >>.
<< Se hai notato io ne ho bevuto neanche mezzo bicchiere. Per me questo non è un vino da pasto. Bisogna … assaporarlo con grazia, un sorso alla volta. Ascoltare ogni sua nota, quale più dolce, quale più aspra, sentirle fondersi sulla lingua come in una danza. Percepirne l’aroma vellutato stemperarsi lentamente, rivestire la bocca col suo retrogusto e lasciarti quella patina inimitabile, differente per ogni qualità, per ogni annata. Ed è chiaro che non puoi farlo, se sei impegnato a strafogarti come hanno fatto quei due >>.
Meno male che alla fine mi è scivolato, che sennò rischiavo di ritrovarmi a bocca spalancata come uno stoccafisso.
E’ evidente che non è soltanto un semplice barista, che c’è una parte del suo lavoro che conosce bene e che ama profondamente. Senza contare ch’è un mago, con le parole; mi ha stregato, puro e semplice.
E io … non posso che ammirarlo. << Ma forse è anche vero che sono di parte. E’ uno dei miei preferiti >>, aggiunge.
Non dovrei sentirmi tanto fiero, proprio no. Tanto più che si è trattato di un ripiego.
Però lo sono lo stesso.
Sto ancora cercando di metabolizzare la sorpresa e la soddisfazione, che abbassa la voce con fare cospiratore. Quando lo fa, l’accento si sente più marcato che di solito. << Non lo dire in giro, però. Ho una reputazione di spagnolo da difendere, se sanno che mi do di straforo al vino estero, non mi fanno più mettere piede a Toledo >>.
Sorrido. << No, promesso >>. Spengo il cellulare e lo poso sul tavolino, prendendo l’accendino e il pacchetto.
<< Posso? >>, gli chiedo.
Lui annuisce, così me ne accendo una. Sto facendo proprio l’esatto contrario di quello che ha detto, devastandomi il senso del gusto con il fumo.
Ma non so perché mi è proprio venuta voglia di una sigaretta.
<< E comunque ho messo in riga anche quei due, prima che tu uscissi dal bagno. Non che bere peggiori molto le cose, nel loro caso >>.
<< La stai facendo troppo lunga, Alejandro. Sono simpatici, invece >>. D’altronde io sono abituato a Milo, ch’è sulla stessa falsariga, solo dell’altra sponda.
<< Già. Come no. Come un manico di scopa >>.
<< Se dici così, devo pensare che siano mooooolto più che simpatici >>. Lui alza le sopracciglia, stupito, poi mi tira lo strofinaccio con cui stava passando i bicchieri; e rido.
Ma in realtà ho avvertito una pulsazione più forte, al petto.
E’ la prima volta che compie un gesto simile. E’ stato quasi … intimo, come il superamento di una linea di confine.
Inizia a darmi confidenza. Quanto meno un po’.
E questo non può far altro che rendermi felice. << Da quando li conosco, ho iniziato a capire cosa volesse dire Kundera con il suo “ A condannare un uomo alla solitudine sono i suoi amici, non i suoi nemici” >>, ammette alzando le spalle.  
Lo guardo e sorrido. Io ricordo frasi più belle, di Kundera.
Ad esempio? “L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore, ma di dormire insieme”. Che guarda caso, è quello che dice anche la canzone, più o meno.
Ma non lo dico a lui. Specialmente dopo quelle parole di Magnus.
Chissà a cosa si stava riferendo. Cioè, non sono del tutto rimbambito, è chiaro che ci dev’essere qualche storia finita male, di mezzo.
Non posso fare a meno di chiedermi come, quando e perché. Se è stato lui a lasciarlo, o l’altro ad abbandonarlo. E in tal caso, il motivo. E il modo, soprattutto.
Mi piacerebbe immaginare che sia stata una chiusura civile, senza strascichi. Ma dalla reazione fin troppo controllata che ha avuto con Dite, ho come la brutta sensazione che non sia andata così. E che … chiunque fosse, gli abbia fatto male, davvero.
Lo guardo mentre versa il vino nei calici, riempiendoli per metà; e mi riesce difficile pensare che qualcuno abbia voluto infliggergliene volontariamente.
Certo è semplice per me giudicare stando da questo lato della questione. Forse non è facile stare con lui da partner, in effetti è un po’ rigido, e devo purtroppo ammettere che se si comporta anche … con l’uomo con cui sta allo stesso modo in cui fa con gli altri, come Magnus e Angelo, o anche con me, be’, non tutti possono gradire. Io stesso mi sento frustrato dal suo atteggiamento, e sono soltanto il suo coinquilino.
Mi passa il calice, mentre rigira il proprio tra le dita. Io non riuscirei a farlo senza versarmi addosso metà del contenuto, quindi mi accontento di stringerlo nel palmo, per scaldarlo.
Il rosso si beve a temperatura ambiente. E’ quasi l’unica cosa che so. << Vi conoscete da molto? >>.
Si siede anche lui. << In realtà da quando sono qui a Londra. Ho incontrato Magnus che distribuiva volantini per un evento in un locale, vicino alla stazione della metropolitana. Poi lui mi ha presentato Angelo >>.
Ho una curiosità indecente, che mi punge la lingua. Sarebbe meglio tacere, ma la tentazione è troppo forte, e io non sono mai stato bravo a resistere. << E … avete mai… ? >>.
<< No, no >>. Manda giù un sorso, continuando poi a far roteare il bicchiere con un gesto fluido, elegante e sicuro. Dev’essere davvero bravo nel suo lavoro … e mi sento una merda nel non essere andato ancora una volta a trovarlo al bar. 
Vero è anche che non mi ha mai chiesto di andarci. E che magari se mi fossi presentato lì, l’avrebbe presa come un’indebita intrusione, stando a com’è fatto. In fondo ci conosciamo da poco.
Però stasera, anzi adesso, vedendolo così, mi viene più facile pensare che invece abbia dato per scontato che se avessi voluto, l’avrei fatto motu propriu.
Improvvisamente l’irritazione cambia soggetto, e si rivolge verso di lui. Mi pare che sia abituato a dare troppe cose per scontate, questo benedetto ragazzo.
Poi mi do del cretino. Sono pensieri miei, magari a lui non è neppure passato per la testa. E sono io quello che si sta facendo un sacco di seghe mentali per niente.
Passa un attimo in cui autocensuro il mio cervello. Non è il termine più sano che potessi pescare in questo momento.
Meno male che Ale viene in mio soccorso, riprendendo a parlare. << Veramente, c’è stata una volta in cui ho baciato Magnus. Ma era per una scommessa, quindi non vale >>, ammette, giocherellando col calice.
Quanto sia stata davvero di aiuto la sua frase non lo so: resto sbigottito, il dispetto mutato in incredulità. Questa davvero non me l’aspettavo.
E subito mi viene un sospetto. Non è che Dite … gli ha posato gli occhi addosso, ma scoraggiato dal fatto che Ale lo veda solo come un amico gli ha mosso quel rimprovero per giusta causa?
Perché in effetti, nonostante la sua “rigidità”, Alejandro è … sicuramente affascinante. Cioè, lo dico da semplice conoscente, è una persona con un certo carisma. Già solo la sicurezza che emana deve risultare parecchio attraente.
Senza contare il suo aspetto. Ora che ha addosso solo una maglia nera leggera, e i calzoni della tuta i rilievi del suo corpo emergono chiaramente da sotto la stoffa morbida, non eccessivi, come quegli zoticoni pompati dei concorsi; ha delle linee affusolate e al contempo solide, del tutto naturali. Il suo volto qualcuno potrebbe trovarlo un po’ spigoloso; non ha la bellezza androgina, sfacciata del suo amico Magnus, però ha una struttura invidiabile, il naso fiero e dritto, gli zigomi alti, il mento deciso, appena segnato da una fossetta. E gli occhi, soprattutto … dietro quelle lenti che rendono lo sguardo severo, hanno un taglio particolarissimo, come il colore. Persino le ciglia, lunghe e folte, nerissime come i capelli accentuano l’impressione di smarrircisi dentro a queste iridi immense, profonde. 
Sì, indubbiamente è affascinante. E se lo dico io che sono etero … << Vinta o persa? >>.
<< Persa >>.
<< Quindi era la penitenza? Ma povero … >>.
<< In realtà non bacia male. Ma non è il mio genere >>.
<< Scommetto che avresti preferito Angelo >>, sputo fuori, anche se sono certo di dire una solenne cazzata.
A meno che uno di loro due nasconda molto bene … il lato più dolce e femminile di sé.
Per la prima volta mi ritrovo a domandarmi quale possa essere il suo tipo d’uomo. Sicuramente non uno come i suoi amici, altrimenti sarebbe un’eterna lotta, seppur da un estremo all’altro.
E realizzo che è davvero difficile decifrarlo. Non ce lo vedo proprio accanto ad un tipo tutto svenevolezze e mossettine. Come neppure assieme ad un … “cafone”, per citare Magnus, come il siciliano.
Forse uno come lui. Serio e inappuntabile.
Ale fa una faccia inorridita, a dir poco. << Meno male che non hai puntato nulla, altrimenti avresti perso tu, stavolta >>.
<< Cioè, però a vederlo così, non sembra … >>. Mi aspetto che mi dia del prevenuto, solo perché ho bollato una persona per la sua apparenza.
Principalmente perché anche lui non sembra omosessuale. Né tanto meno io, immagino.
Mando giù un sorso di vino, aspettandomi la sua reazione contrariata.
Invece Ale sorride più visibilmente. << In realtà è bisessuale, o almeno così credo. Ha avuto una lunga storia con una ragazza, prima di partire per una vacanza studio in Spagna. Lì ha incontrato Magnus ch’era in vacanza anche lui … e addio >>. Manda giù un altro sorso, anche lui. << La mia terra è pericolosa, a quanto pare >>.
<< Ehi, io sono greco. Siamo stati noi ad insegnarvi tutto quello che sapete su questo genere di pericoli. O quanto meno, siamo quelli che ne hanno fatto una tradizione millenaria. Non per niente, si dice ancora oggi “amore greco” >>, sbotto in un suglio di ostentazione davvero vergognoso.  
Cazzo, cazzo, cazzo! Stupida boccaccia del cavolo, e stupido vino che ci sta dentro.
Ale mi scocca un’occhiata obliqua. Il sorriso è ancora sulle sue labbra. << Giusto. Ora capisco da dove i siciliani hanno preso la tradizione dei cannoli … la Sicilia è stata una colonia greca, se non ricordo male >>.
<< Sì, infatti  >>.
<< Ma è stato anche dominio spagnolo >>.
<< Vero, ma i greci sono venuti prima >>. Okay, ora ho davvero toccato il fondo.
Perché me ne rendo conto sempre dopo che il danno è fatto?
Quasi mi aspetto che mi rimbrotti come ha fatto coi suoi amici.
Invece fa un ghigno divertito. << Vero anche questo. Probabilmente avevano fatto parecchia pratica, con i cannoli >>.
Di colpo sento la faccia in fiamme. << Oddio. Aveva ragione Magnus. Ora dovresti pagare pegno tu, dopo tutto quello che gli hai rimproverato >>. Inizio sul serio a capire cosa volesse dire il ragazzo, dicendo che non è tanto perbenino come sembra.
Lui arriccia il naso in una smorfia, espirando con forza. << Touché. E’ già la seconda volta che mi prendi in scacco, stasera >>. Vuota il suo bicchiere, stiracchiandosi poi nella sdraio. Piega la testa da un lato, muovendola avanti e indietro come se gli dolesse qualcosa.
Dovrei lasciarlo andare a dormire. E’ stata una lunga giornata per entrambi, e la mia soglia di lucidità si abbassa pericolosamente ad ogni minuto che trascorro con lui, oltre che ad ogni grammo d’alcol che immetto in corpo. Me ne rendo conto con esattezza quando lo sento farsi sfuggire un lieve verso di sofferenza, e portare la mano libera nell’incavo della spalla, premendo su un punto che immagino sia un nervo.
E mi lampeggia qualcosa, dentro. Come una spia luminosa sul cruscotto di un’auto, quella del radiatore. O mi fermo, o rischio di distruggere qualcosa, mandandola in fumo e cenere.
Ma appena apro bocca per proporglielo, lui mi precede. I suoi occhi brillano leggermente dietro gli occhiali, o è colpa del vino, ma non credo, oppure gli va parecchio a genio la prospettiva di pagare pegno.
Sarebbe insolito. Credo sia più abituato a infliggere penitenze, che a sottostarvi. << Avanti. Cosa devo fare? >>.
Non riesco a resistere al suo invito. << Rispondermi. A … qualche domanda, se ti va >>.
<< Tipo obbligo o verità? >>.
<< Be’, più o meno. Facciamo verità e basta >>. Sollevo il calice vuoto. << Abbiamo finito il vino >>.
Mi guarda per qualche secondo. E avverto una certa esitazione nella sua voce, quando riprende a parlare: << Ho una bottiglia ch’è rimasta chiusa nel mobile per un bel po’. Credi sia il caso di battezzarla? >>.
<< Dipende. Cos’è? >>.
<< Vodka. Liscia. Starka, la migliore sulla piazza. Quarantotto gradi di pura acquavite russa distillata a mano >>.
Non mi pare un buon partito da prendere, soprattutto dopo il vino. Però è così … irresistibile, ecco. Il suo entusiasmo è un catalizzatore, molto più delle lodi sulla vodka.
<< Non dovresti tentarmi così, Ale >>, lo ammonisco, in tono poco convinto.
Spero tanto non suoni troppo … malizioso, ecco.
<< Io non tento, al massimo propongo >>, replica alzandosi in piedi, lanciandomi un’occhiata da lassù. << E … giocare così, a secco, può essere fastidioso >>.
Okay. Se credevo di non poter avvampare oltre una certa soglia, ora ne sono sicuro.
Cosa c’è dopo il bordeaux acceso? Di sicuro, è di quel colore che ho la faccia. << Dovrei registrarti per farglielo sentire. Anzi, visto che mi ha lasciato il suo numero dopo glielo scrivo >>.
Invece di irritarsi, o ridacchiare, lui torna improvvisamente serio. << Questo è per dimostrare che non ci vuole niente a scadere nella volgarità, se ci si mette. Non è che non sono capace di scherzare in questo modo, è solo che mi infastidisce dare l’impressione di essere fatto così quando invece non lo sono >>.
Se per sbaglio gli capitasse di sentire Milo al top della sua forma, probabilmente lo obbligherebbe a farci i gargarismi, con quella vodka. E magari anche con un po’ di candeggina, giusto per andare sul sicuro.
Meno male che non s’incontreranno mai. Perché se avvenisse dovrei essere io a bere candeggina.
<< Allora? >>, insiste. << La metto fuori?  >>.
Dovrei rifiutare, se non altro per istinto di sopravvivenza. E’ da quando sto con Shaina che ho allentato il ritmo, e non reggo più tanto bene come un tempo.
Un tempo che non voglio ricordare. E’ ancora fin troppo viva l’impressione di un tubo cacciato a forza in gola, fino allo stomaco.
Non che questo mi abbia fermato, allora, però.
Nemmeno vedere che anche a mamma hanno riservato lo stesso trattamento, lo ha fatto.
Ma non riesco a rinunciare a quest’opportunità inattesa e insperata. Vuole trascorrere un altro po’ di tempo con me, e sembra più disponibile che mai.
Direi quasi … impaziente.
E penso di poter ancora reggere un bicchierino. << Va bene, dai. Ma non ti lamentare se ti ritroverai sbronzo fradicio perché non hai voluto rispondere alle mie domande >>.
Il sorrisetto furbo che gli sboccia sul volto mi lascia esterrefatto, quasi quanto le sue battute. << Chi ti ha detto che non risponderò? >>.
<< Be’ … >>.
<< Tu provaci, a porle. Sennò non puoi saperlo, se lo farò o meno. L’importante è che siano quelle giuste >>.
Rientra in casa portando via la bottiglia vuota e i bicchieri, e quando torna mi porge la nuova bottiglia, nell’altra mano stringe una pentola che per l’occasione è stata riciclata a secchiello per il ghiaccio.
<< A te l’onore >>, scherza.
Okay, a quanto pare bere fa male anche a lui. O bene, dipende dai punti di vista.
E’ sempre tutta una fottuta questione di punti di vista. Chi vede il bicchiere mezzo vuoto, chi mezzo pieno.
E’ affascinante osservare la sequenza di gesti metodici, quasi chirurgici di Ale. Passa i bicchieri bagnati con lo strofinaccio pulito, li posa sul tavolino e ci mette il ghiaccio.
Apro la bottiglia, e gliela passo. Li colma per metà, e me ne passa uno, tornando a sedersi.
Mezzo vuoto e mezzo pieno. Esattamente come mi sento anch’io, adesso. << Conosci le regole? >>.
<< All’incirca. Non è un gioco che faccia spesso >>, ammette, tirandosi indietro più comodamente nella sdraio, una mano dietro la nuca, l’altra che regge in equilibrio il bicchiere sulla coscia.
Sembra molto più che rilassato.
E monta, improvvisa, la voglia di punzecchiarlo. Per vedere se è solo una finta, la sua, o se davvero è deciso a lasciarsi spogliare, almeno un po’. << Allora, se faccio una domanda e ti rifiuti di rispondere, devi bere. Se invece rispondi, devo bere io >>, spiego.
<< Bene. Sono pronto >>.
<< Il primo bacio >>, dico, aspettandomi quanto meno un’incertezza. << Accetti, o rifiuti? >>.
<< Ah, accetto >>. Porto il bicchiere alle labbra, lambendo appena la superficie.
Accidenti. Per forte è forte, meno male che c’è il ghiaccio, sennò sarei andato giù solo con l’odore. << Solo … vuoi sapere se l’ho dato ad un ragazzo o a una ragazza? >>.
Forse avrei dovuto aspettare a bere.
Tossisco, risputando metà della vodka. << Che c’è? Ho avuto anch’io qualche esperienza con le donne, prima di capire che non facevano per me >>, fa Ale in tono innocente.
E certo. Chiaro che ha avuto esperienze con le donne.
Improvvisamente mi sento su un terreno molto meno solido. E già era abbastanza scivoloso,  ora è proprio un pendio ghiacciato. << O … okay. Facciamo in generale >>.
<< A tredici anni. Si chiama Martina,  frequentava la mia stessa classe. E’ stato in gita a Oviedo, sotto un albero di pesco in fiore, mentre il professore di matematica cercava disperatamente di tenere a bada il resto della classe >>.
<< A stampo, oppure … ? >>.
<< Ma che domande … ovviamente a stampo. Aveva l’apparecchio >>.
<< Ahhh! Ecco svelato l’arcano. Metti caso che con una figa ti veniva qualche ripensamento … >>.
<< Ehi, guarda ch’era la più carina della scuola. Aveva l’apparecchio, vero, ma una quarta abbondante e ed era più alta di me. Bionda, con le lentiggini. C’era una fila lunga come quella in posta, dietro. Aspetta, te la faccio vedere. Siamo ancora amici, ogni tanto ci contattiamo >>. Sfila il cellulare dalla tasca dei calzoni, giocherella con lo schermo e poi lo volta. << Fa la fashion blogger, e vive a Barcellona, adesso >>.
Porca miseria. Altro che figa. Un pezzo di ragazza alta e sexy da morire, con tutte le curve nei punti giusti.
Se mi sentisse Shaina mi scuoierebbe e con la mia pelle ci farebbe un bel tappeto. Magari da consigliare a Martina. << Accidenti. Se non le hai infilato la lingua in bocca, apparecchio o meno, davvero non credo non ci siano dubbi >>, commento, sconcertato. << Anche se forse all’epoca non era così >>.
<< In effetti, era un po’ più bassa >>, è la sua replica divertita.
Sembra ci stia prendendo gusto a scioccarmi. 
Ma non posso cedergli. E’ una sfida, anche se puerile, e non ce la faccio a dichiararmi sconfitto. Qualsiasi cosa debba sentire.
In fondo con Milo sono abituato a molto peggio.
In fondo, io stesso sono stato molto peggio. E non mi sono limitato a dirle, ma a farle, determinate cose. << E … com’è stato? Cioè, cosa … hai provato, per farti capire che non  … andava? >>.
<< In realtà nulla. E’ stato un bacio innocente, e penso di non averlo preso neanche troppo sul serio, per considerarlo il mio vero e proprio primo bacio. E non è stato neppure un esperimento. Eravamo vicini, lei si è fatta avanti e … tutto qui >>.
<< Tutto qui. E … qual è quello che consideri il tuo primo bacio vero? >>.
<< A sedici. Ad un ragazzo, naturalmente >>. Si ferma perché io possa bere di nuovo. Un miserrimo sorsetto, perché ho il bruttissimo presentimento che la sua sia una pausa ad effetto, e appena aggiungerà qualcosa io rischi di strozzarmi sul serio, a questo giro. << Veramente è iniziato come un bacio, ma poi … lui era più grande di un anno, di me. E … bravo, soprattutto con la bocca >>.
<< E non portava l’apparecchio >>.
<< No >>. Ridacchia. << Non portava l’apparecchio >>.
Mi sento un po’ stordito. Immagino c’entri tutto quello che ho in circolo, ma anche queste rivelazioni hanno il loro peso specifico non trascurabile.
Chissà perché ero convintissimo non fosse tipo da andare con chicchessia. Tanto meno … per una cosa così importante. Pensavo fosse uno che pianifica nei minimi dettagli ogni cosa, persino quando lasciarsi andare agli impulsi.
Per cui è davvero uno shock, scoprire che non è così. << Quindi, è stata anche la tua prima volta? >>.
<< No, quella a diciannove. Allora ci siamo fermati alla bocca >>.
<< Solo lui o … ? >>.
L’espressione fin qui tranquilla si acciglia leggermente. << Ma è un gioco, o un interrogatorio? Non dovrebbe essere una domanda a turno? >>, mi bacchetta.  
Io chino il capo, alzando il bicchiere in gesto di resa. La solita ingordigia che pretende di abbuffarsi tutto in una volta, senza lasciar nulla agli altri.
E pensavo di averlo messo in riga, questo vizio. Ora rispunta con forza, solo in una nuova forma.
Ma è sempre lo stesso. << Scusa. E’ solo che … sono curioso >>.
Inclina il volto, come a dire che non mi serba rancore. << Sì, l’ho notato. Ora tocca a te, rispondere >>.
<< Spara. Sono pronto>>.
Lui ci pensa un po’ su. Poi torna a guardarmi, un’occhiata obliqua che filtra da sotto le ciglia. << Cosa speri di ricavare, da questa esperienza? >>, butta lì.
Apparentemente sarebbe una domanda molto meno scabrosa di quello che mi aspettavo.  Eppure mi prende alla sprovvista, e quasi avrei preferito qualcosa a luci rosse. << Ehi, ma non erano domande piccanti? >>, protesto infatti.
Lui alza impercettibilmente l’angolo delle labbra. sembra quasi che abbia scommesso con se stesso e abbia vinto.
E’ abituato a giocare, e realizzo che non è stata davvero una domanda casuale. Mi sorge il dubbio che la pensi da un po’, e mi chiedo come mai abbia atteso questo momento per pormela.
Ma poi penso che sto sicuramente esagerando. E’ solo una domanda come un’altra, e me la sta ponendo adesso perché finora non abbiamo avuto occasioni di chiacchierare. Ecco tutto. << Non abbiamo deciso il tema delle domande. Quindi è libero. Avanti, rispondi oppure rifiuta >>.
Rifiutare, io? Giammai. << Sinceramente? Di riuscire a portare a termine la ricerca che sto svolgendo. Anche se … >>. D’un tratto sento che per quanto fondamentale, questo è davvero l’ultimo dei miei obbiettivi.
Come se avessi trovato solo ora il coraggio di porre lo sguardo sulla pozza torbida delle intenzioni, e sia riuscito ad intravederne il fondo.
E la gola mi si serra in un pugno. Davvero, ha fatto l’unica domanda che forse non avrei trovato la forza di pormi io stesso, se non l’avesse fatto lui. E il fatto che non sappia cosa rispondere la dice lunga sul mio attuale stato mentale ed emotivo.
O quest’uomo è un genio, oppure se lo fa inconsciamente, è molto bravo a leggere le persone. << Se? >>, insiste, vedendo che taccio.
Mi sento improvvisamente esposto, e mi viene difficile spiegargli cosa davvero stia provando adesso.
La sua domanda è arrivata come il sasso in quella pozza, che per un istante ha scoperto i sassolini altrimenti annegati nella mota. << Nulla >>.
<< Leo, devi bere se ti rifiuti di rispondere >>.
Il suo tono leggero mi fa intuire che non ha cattive intenzioni, non vuole estorcermi la verità; sta semplicemente sottostando alle regole che io stesso ho imposto. Come da aspettativa, trattandosi di lui. << Ma non mi sto rifiutando. Solo … mi sento un po’ confuso >>.
<< Okay. Lascia perdere la ricerca. Pensa a te come persona, non come studente. Cosa speri di riportare in Grecia, alla fine? In cosa credi che tornerai arricchito, oltre le nozioni di economia, e un innalzamento di grado sul tuo certificato di conoscenza dell’inglese? Pensaci >>.
<< Be’ … >>. Fisso il liquido nel bicchiere, il ghiaccio che si diluisce lentamente.
Mentire adesso sarebbe davvero impossibile, rischierei di incasinarmi del tutto, peggio che se avessi dovuto rispondere a qualche domanda su un immaginario curriculum vitae da gay.
Così rispondo sinceramente. << In realtà non è tanto cosa porterò con me, ma quello che troverò una volta tornato a casa >>, ammetto. << Mi piacerebbe … che si sistemasse, almeno qualcosa di quello che mi sono lasciato dietro >>.
<< Quindi la tua è stata una pausa, più che una partenza calcolata >>. Dice “pausa” per non dire “fuga”, lo sento chiaramente nella testa anche se non l’ha pronunciato.
<< Non proprio. Sono venuto qui … per una specie di sfida, di patto con me stesso. Volevo dimostrare di essere in grado di badare a me stesso, da solo. Di non dover sempre farmi ungere da mio padre, di riuscire a realizzare qualcosa con le mie sole forze. Per questo ho fatto domanda di borsa di studio. Per non dover … ricorrere sempre a casa, alla mia famiglia. E poi ci sono … altre cose >>. Troppo sincero. Forse adesso mi domanderà quali siano, queste altre cose.
Invece non lo fa. Risistema gli occhiali sul volto, annuendo. << Visto? Non era difficile >>. Vuota il bicchiere, dove restano solo due piccole scaglie di ghiaccio. << Be’, credo che sia ora di andare a nanna >>.
<< Tutto qui? Non t’interessa sapere altro, di me? Nessuna prima volta? >>.
Sto giocando col fuoco, e me ne rendo conto.
Ma non voglio che finisca. Ora che lo vedo così … rilassato, aperto, ho il timore che sia l’unica occasione buona per avvicinarmi di più a lui.
E poi sono egocentrico. Che qualcuno non sia interessato a sentir parlare di me è come un’offesa al mio onore, anche se fino ad un minuto fa ero in alto mare.
Ale mi studia con una lunga occhiata imperscrutabile, che mi scorre addosso come un panno umido e caldo. Rabbrividisco, ma sono certo che sia colpa della cappa caliginosa che copre il cielo, oscurandolo.
Oltre che del tasso alcolico decisamente impennato, nel mio sangue.
Sì, sono ad un passo dalla sbronza convinta. E solo il fatto che non sia troppo in me m’impedisce di pensare ch’è a mio beneficio, il fatto che abbia deciso di chiuderla qui.
Lui sembra molto più lucido. Ma chiaro, a cena quasi non ha toccato il bicchiere, e adesso ha appena terminato il suo mentre io stavo già tracannando da un pezzo, ed è tutto in giro nel mio organismo.
O forse è solo più allenato a reggere. D’altronde ho appena scoperto che non è proprio come sembra, Alejandro. Esattamente come Dite aveva suggerito.
Stira un sorrisetto storto. << Se ci diciamo tutto adesso, poi cosa facciamo, la prossima volta? Perderemmo la scusa per finire anche questa bottiglia >>.
Sorrido, improvvisamente felice. Non è che un’ipotesi, che magari non si verificherà, ma già soltanto sentirglielo proporre mi fa dimenticare che stavo per farmi riprendere dalla malinconia.
Perché mi basta così poco, per smaltire dubbi e cattivi pensieri? << Vieni anche tu? >>.
<< Appena riesco a tirami su >>.
<< Ho capito. Dammi la mano >>. Gliela porgo, e lui la raccoglie sollevandomi come se pesassi quanto la bottiglia sul tavolo. Non ero preparato a tanta energia e quasi gli sbatto addosso.
Così riesco a sentire più da vicino il suo odore. E’ intrigante, potente, e in sottofondo si coglie una nota differente ma non fastidiosa, anzi, un misto di vodka ed erbe amarognole, reso più intenso dalla foschia, che fanno pensare ad un campo sotto un temporale improvviso.
D’un tratto mi pizzicano le mani. Dev’essere per colpa dei nostri discorsi, che mi sento tanto a disagio.
Lo è anche lui, evidentemente, perché si morde il labbro, e non posso fare a meno di quanto sia ben fatto. A differenza dei tratti sobri, quasi austeri del resto la bocca è piena, dai contorni netti, anche se un po’ pallida, e se devo credere a tutto quello che vanno dicendo le riviste di Shaina che ogni tanto dimentica in auto, e che sfoglio perché sono proprio curioso di sapere come sperano di intortare noi poveri maschi, le donne d’oggi, rivela un lato possessivo e passionale.
Mi piacerebbe proprio tanto sapere com’è che la pure pagano, certa gente. Mah. Come pure quelli che si danno agli oroscopi, o che pretendono di capire una persona dal modo in cui scrive.
Non so di che segno sia Ale, e il tempo delle domande per oggi è finito; e poi anche ammesso, a queste cose ci credo poco. Per contro ho notato che è mancino, che chissà cosa vuol dire, ma appurerò presto, e la sua calligrafia è minuta ma armoniosa e ordinata. Però c’è un curioso contrasto tra la strettezza degli spazi tra i caratteri e la dimensione degli occhielli di alcune lettere, come la “g”, ad esempio.
Come nei tratti del suo volto. << Scusa >>, mi dice, continuando a reggermi con un braccio intorno alla schiena.
<< Scusa tu. Cavolo. Mi sa che sono più brillo di quanto pensassi >>.
<< Se è la scusa per farti portare a letto, vedi che non attacca >>, mormora tornando scherzoso. I tendini cervicali si gonfiano, sottopelle; la piccola vena azzurrina preme con forza, come se avesse irrigidito i muscoli per attenuare il dolore.
Così mi stacco dalla sua presa. << Hai male … al collo? >>.
<< In realtà un po’ sì. Stare con quei due mi fa accumulare un sacco di tensione. Di solito mi trema anche il sopracciglio >>.
<< Dai, lo so che ci tieni a loro >>, biascico, seguendolo in casa. Devo stare attento a dove metto i piedi, perché ho l’impressione di poter inciampare anche nelle righe del pavimento, tanto mi sento instabile.
E ho la nuca imperlata di sudore. Freddo. << E loro tengono a te. Amano punzecchiarti, ma forse lo fanno per aiutarti a … lasciarti andare un po’ >>.
Non mi serve guardarlo in faccia per sapere che vi ha un’espressione sardonica stampata sopra. << Se davvero dovessi lasciarmi andare con loro, dopo gli servirebbe un ortopedico. E no, non per quello che stai immaginando tu >>.
<< Mi pare che sia tu, quello che sta immaginando, sai? Io a malapena riesco a tenermi in piedi >>.
<< Però se non ti avessi suggerito io di ritirarci, saremmo ancora fuori >>.
<< Forse perché … questa è la prima volta che ci troviamo insieme per davvero, da quando sono qui >>.
D’un tratto si ferma in mezzo al corridoio, si volta. Nel buio non riesco a vedere il suo viso, ma la voce mi giunge compunta, bassa. << Hai ragione. Sono stato un po’ troppo assente. Mi spiace >>.
Subito cerco di rimediare. << Guarda che scherzo, lo so che sei impegnatissimo. Però … mi piace, stare con te. Sei una persona molto interessante >>. Un attimo dopo mi maledico: di nuovo quell’”interessante” così ambiguo.
Però forse lui non ci fa caso. Si schiarisce la voce, come se fosse in imbarazzo. << Credo sia un po’ presto per dirlo, dopo una volta sola >>.
<< Lo so. Sono impulsivo. Ma in compenso posso dire che non sbaglio mai, o perlomeno quasi mai, a fidarmi dell’istinto >>.
<< Mhmm. Bene. Non so quanto questo possa incrementare le chance di durare assieme altri due mesi e mezzo >>.
<< Se dici così sembra che tu non veda l’ora di liberarti di me >>. Magari sarebbe il caso di farmi un caffè, perché sto parlando davvero a ruota libera.
Ma dubito di riuscire a riuscirci senza invadere la cucina di polvere. E darle fuoco, anche, per soprammercato.
Ci fermiamo entrambi nel disimpegno, pronti ad entrare ognuno nella sua camera. Quella di cui ancora non ho visto nemmeno un millimetro.
E sulle motivazioni di questa stranezza, ho stilato una lista vergognosa, nei primi giorni; in greco, naturalmente, perché a differenza di lui io non chiudo mai. Distratto come sono rischierei di perdermi la chiave e dover sfondare la porta a spallate.
Lo sento sospirare, nel buio. << Scusami. Forse sono un po’ brillo anch’io. Quello che volevo dire è che … Dite ha ragione. Sei probabilmente il miglior coinquilino con cui abbia avuto fin qui >>.
Il mio ego si gonfia a dismisura, anche se probabilmente è solo una carineria di circostanza. Una di quelle cose che si dicono per rimediare ad un’uscita poco felice, o per lusingare un’altra persona.
Purtroppo sono molto sensibile alle lusinghe; ci casco sempre, come una pera cotta. E gli altri se ne approfittano, soprattutto se cercano di ottenere qualcosa da me.
Eppure non lo avverto come un tentativo di adulazione. Anzi, sembra quasi che sia a disagio lui, nell’avermelo confidato. Molto di più nell’avermi attirato con tanta energia da far cozzare le nostre costole le une contro le altre.
Dopo tanta bonomia ora lo sento stranamente timido, a dispetto di tutte le battutine scambiate fin qui.
E mi pare d’intravedere un altro Alejandro, quello che sta nascosto ancora più a fondo, come nel gioco delle bambole russe, le matrioske. Sotto la scorza dell’ineccepibile uomo di testa c’è quello che sa osare, bere con gli amici e scoccare battute salaci, audaci, e che credo venga fuori solo in alcune occasioni.
Quello che vedo adesso sono certo lo faccia ancora meno. E’ uno strato estremamente delicato, in cui sento compresse tante e tante cose, forse anche quello di cui parlava Magnus. Ed è simbolico che venga fuori qui e adesso, nel buio. Come se l’ombra gli restituisse un po’ di quella sicurezza che lui ha deciso di metter giù, per un attimo.
Vorrei dirgli qualcosa di carino anch’io, che poi sarebbe la pura verità, e cioè che probabilmente lui è una delle persone migliori con cui io abbia avuto a che fare fin qui, anche se poco. Ma ho come l’impressione che così lo farei ritrarre di nuovo su se stesso, soprattutto dopo quest’ammissione così spontanea. Come ha fatto prima quando gli ho detto che mi piace trascorrere del tempo con lui.
Non so perché ma alticcio come sono mi viene da pensare ad un ramo di sensitiva. Se ti avvicini quanto basta per ammirarla si lascia guardare, con le sue fronde verde smeraldo e i suoi piccoli piumosi fiori dorati, ma se allunghi troppo una mano si richiude. O ad un piccolo riccio, o a tutte quelle piccole creature coperte da dure scaglie, da aculei o spine per proteggere l’interno tenero e vulnerabile.
Se mi spingo oltre troppo il confine senza che lui me ne dia il permesso, indietreggerà, lo sento. E’ un equilibrio fragile da mantenere, specialmente per me che non ci sono abituato.
Mi manca il contatto fisico, il calore delle persone. L’ho percepito con chiarezza estrema quando mi ha porto la mano aiutandomi a tirarmi su. Non tocco qualcuno da quando sono qui, a parte che delle fugaci strette di mano; e la vampata che mi ha avvolto nel ritrovarmelo vicino è stata abbastanza rivelatrice.
Ma non posso farlo pesare ad Ale.
Mi appoggio schiena al battente, più che altro per non scivolare pericolosamente di lato.
Non ho dubbi che mi prenderebbe al volo, come in quelle prove di fiducia in cui devi chiudere gli occhi e lasciarti andare.
Ma non sarebbe salutare, per il suo mal di collo. E nemmeno per il nostro equilibrio appena raggiunto.
Devo spezzare la tensione, ancora una volta. Non voglio che domani debba svegliarsi con il ricordo di questa sua improvvisa fragilità, e debba provarne dispiacere, o vergogna. Tanto da obbligarlo a rifiutarsi le future occasioni di parlare ancora con me liberamente, come stasera. << Guarda che ho capito cosa stai cercando di fare >>, mormoro.
<< Sì? >>.
<< Ah ah. Sì >>. Faccio una pausa anch’io, tanto per il gusto di coglierlo in contropiede come lui ha fatto con me. << Ma non se ne parla. Non  ti cedo anche la mia parte di cannoli >>.
Lui alza le spalle. Cioè, non lo vedo ma immagino l’abbia fatto. << Be’, io ci ho provato >>, sentenzia in tono filosofico. << Buonanotte, Leo >>.
<< ‘Notte >>. Aspetto che chiuda la mia porta, per entrare nella sua camera.
Ma che mai custodirà in quella camera? Mica un dungeon sadomaso, o un tavolo in acciaio inossidabile da obitorio … animali da fattoria? Nahh, sentirei i belati e anche l’odore, in casa come sui suoi abiti.
E su di lui c’è solo l’odore del suo dopobarba, come ho potuto appurare stasera.
Mah. Mistero. E il fatto che chiuda sempre a chiave, anche quando dentro c’è lui, e che se la porti via quando esce non lascia ben sperare.
Non credo tema che possa derubarlo. Non mi avrebbe accolto in casa, altrimenti.
Dovrei svestirmi, prima di buttarmi sul letto. Almeno levarmi le scarpe.
Questo ci riesco, a farlo. le sfilo puntando i talloni l’uno dopo l’altro.
Sono davvero più cotto di quanto sembrasse. Appena metto la faccia nel cuscino, iniziano a scorrermi in testa storie inquietanti, frammenti di film che ho visto, di libri che ho letto, con gente tenuta imprigionata in una camera mentre chi entrava e usciva dalla casa non ne sapeva una benemerita mazza.
E la fiaba di Barbablu su tutte.
Mi addormento quasi subito su questa allegra falsariga, e sto facendo sogni complicati di cannoli e pentole usate come secchielli per il ghiaccio quando due piccoli, discreti colpi alla porta mi tirano di nuovo da questo lato della realtà.
<< Mhmm? >>.
<< Ehi, Leo. Scusami. Dormivi? Ti ho svegliato? >>.
Faccio per rispondere ma viene fuori solo un verso strano, come un raschietto sul ghiaccio.
Mi schiarisco la gola. Probabilmente ero già ad un punto profondo della mia fase R.E.M, e non quelli di Michael Stipe. << No. Dimmi, Ale >>, borbotto appena comprensibilmente.
<< Non è che avresti … un caricabatterie da prestarmi, no? Il mio ha deciso di morire >>.
<< Come la Veronika di Coelho >>, aggiungo così, a gratis.
<< Esatto >>.
Mi passo una mano sulla faccia, cercando di assicurarmi che non stessi sbavando. Le mie reazioni adesso sono meno controllate di quelle di un povero lobotomizzato, mi sa.
Non berrò più, promesso. Nemmeno se per questo dovrò rinunciare a scoprire i suoi segreti.
Al massimo farò in modo di escogitare domande atte a far bere lui, tanto saranno sconvenienti. << Entra >>.
<< No, grazie, aspetto qui >>.
D’impulso inarco il sopracciglio. E’ assurdo che la sua discrezione debba darmi così tanto fastidio. In genere è una dote.
Infatti la trovo anche … come dire, carina, per usare un suo termine.
Ho il serio dubbio che stia davvero manifestando segnali di bipolarità. O forse è lui che mi fa quest’effetto. << Devo cercarlo, e potrebbe volerci un po’. Mi viene l’ansia, se so che mi stai aspettando dietro la porta >>.
<< Tranquillo. Fai con comodo >>.
Snervato e mezzo rincoglionito, accendo la lampada sul comodino e apro il cassetto. Non è qui.
Così mi rassegno, mi alzo, apro il borsone e ci frugo dentro, nella miriade di cianfrusaglie.
Eccolo qui, il caricatore di emergenza. O almeno spero che lo sia, anche se non credo che un adattatore e un filo elettrico possa servire ad altro che a caricare un computer.
Faccio per spalancare il battente, ma lui infila dentro il braccio. Non sapevo avesse anche doti da contorsionista, visto che ha aperto di appena mezzo centimetro.
Forse pensa che sia in déshabillé, anche se dal mio personale punto di vista non credo ci sarebbe nulla di sconveniente a vedere un altro uomo in mutande, ammesso che fosse. Fin troppe volte durante l’adolescenza ho dovuto “ammirare” le grazie di Milo, che mi passava e spassava davanti in boxer elastici talmente aderenti da sembrare quasi un calco, pregandolo di infilare almeno degli shorts, che sennò mi passava la fame, di primo mattino.
Chiaro che lui non ci pensava proprio a farlo, e sogghignava domandandosi se non fossi per caso invidioso. Certo, come no. In un’altra vita, magari.
E di colpo mi sovviene il pensiero che da quando abito qui, non ho visto una sola volta Ale neanche a torso nudo. Magari per loro … è così, sarebbe come se una ragazza se ne uscisse tette al vento davanti ad un uomo, decisamente imbarazzante.
O forse è solo frutto della sua ormai proverbiale discrezione, e non ama mettersi in mostra davanti a chiunque.
O magari nasconde qualche segreto. Tipo che so, una cicatrice, una bruciatura, o …
E basta, ma che cavolo. Da quando sono qui mi sono fatto più film io di quanti ne abbiano girati a Hollywood da quando hanno inventato il cinematografo, cazzo.
E tutti per colpa sua. Se dovessi usare una parola con cui stigmatizzare Ale, sarebbe “forse”. Con lui è tutto un forse, una persona ci potrebbe perdere la testa, a star dietro a tutto il ventaglio di ipotesi e dubbi che riesce a seminare negli altri.
Non mi passa neppure per un istante il pensiero che possa essere io quello troppo curioso. Prova schiacciante del fatto che il mio cervello è annebbiato dai fumi dell’alcol.
<< Grazie. Domani te lo restituisco >>, mormora attraverso il legno.
<< Puoi tenerlo >>.
<< E se serve a te? >>.
<< Allora te lo chiederò. Dai, non farla tanto lunga, è un caricabatterie, non una Porsche! >>.
<< Okay. Grazie. Scusa se ti ho disturbato >>.
<< Ma figurati. Buonanotte >>. Giro sui tacchi, anzi sulle piante dei piedi, e giacché ci sono mi spoglio. Ora che ho mezzo recuperato un attimo di lucidità, tanto vale farlo.
Non per niente, ma questa roba l’ho pagata un botto di soldi. E sarebbe un peccato se si riempisse di pallini.
Non mi sono ripromesso di dar valore al denaro? << Ah, Leo? >>, mi chiama ancora, giusto un attimo dopo aver sfilato i pantaloni.
Per un secondo l’idea agghiacciante che mi stesse spiando si fa largo nel mio lobo frontale. Quindi mi giro verso la porta. E’ chiusa come due secondi fa.
O nella serie dei poteri paranormali ha inclusa la vista a raggi X, oppure è bene che smetta di preoccuparmi e me ne torni a letto.
Tuttavia non posso fare a meno di domandarmi che cavolo ci faccia ancora in mezzo al disimpegno.
Tanto vale tentare di scoprirlo. << Sì? >>.
<< La prossima volta ti chiederò davvero tutto, delle tue prime volte. Ed esigerò risposte molto più che esaurienti >>, dice, prima che oda di nuovo il “clic” della serratura della sua camera.
Resto impalato per qualche manciata di istanti, poi mi ritrovo a ridacchiare scuotendo la testa come uno scemo.
L’ultima parola, la stoccata perfetta.
Comincia a farsi largo adesso la cognizione di quello ch’è accaduto stasera. E’ stato un duello, dall’inizio alla fine, tra noi due. Un combattimento leale, in cui ad ogni mio affondo corrispondeva la sua parata, e quindi un suo colpo ben mirato. Qualcuno è stato a tradimento, ma nessuno basso.
Dev’essere stato per via la mia battuta sul materasso, l’ha presa come un guanto di sfida, e come nella migliore tradizione cavalleresca ha atteso il momento giusto per sfidarmi a singolar tenzone. Da quella ha  iniziato a meditare su come restituirmi pan per focaccia, giostrando con le parole, concedendo terreno per trarmi meglio allo scoperto, mostrando il fianco per indurmi a fare altrettanto, in un pareggio perfetto di dare e avere fino a quest’ultimo exploit con cui ha segnato il punto finale.  
Sì, ora si spiega tutto. Ha optato per un metodo differente dalle strigliate che ha dato ai suoi compari, che magari non sarebbero in grado di comprendere certe sottigliezze; ma si è vendicato comunque, per vie trasversali.
Da questo capisco che dev’essere uno abituato a non lasciar passare nulla, neppure una battutina. E a vincere, sempre.
E’ diabolico, a dir poco. La sua acutezza incute rispetto, ma stranamente invece che mettermi sull’avviso mi dà una sensazione di euforia.
Adesso ho le prove che non è il ragazzo tutto casa e lavoro che sembra di primo acchito. Mi somiglia, ama le sfide e non teme di raccoglierle, solo le orchestra modo furbo, mentre io invece parto in quinta finendo spesso in retromarcia, dopo aver sbattuto.
Merda, mi sa che mi sono provocato davvero qualche danno permanente al cervello con quella vodka. Perché se fossi sobrio un ragionamento simile mica mi sarebbe venuto in mente.
E novanta su cento esiste solo nella mia testa.
Però ancora sto ghignando quando mi butto di nuovo sul letto.
Un attimo dopo sto già ronfando saporitamente.
Devo ammetterlo. Sono felice di aver trovato … un coinquilino come lui.
 
 
 
Angolino di Anya: okay, qui le cose iniziano a farsi un tantino interessanti, a mio avviso. Per lo studio della grafia mi sono affidata a
http://www.sangiovannirotondonews.com/2010/12/grafologia-fai-da-te-interpreta-la-scrittura-in-10-passi/, per chi volesse consultarlo e capirci di più, sulla calligrafia di Alejandro.
Per il resto, sempre a disposizione!
Anya
 
 
 
 
   
 
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