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Autore: Hilary Anne Carstairs    27/07/2018    0 recensioni
Salve a tutti!
Questa è una one shot che scrissi tanto tempo fa, addirittura la postai su un'altro profilo di cui ormai ho perfino dimenticato i dati. Ho deciso di pubblicarla di nuovo qui, sul mio profilo originale per una questione di ordine e perché preferisco avere tutto sotto controllo.
Ai postumi mi rendo conto che magari il lavoro tocca argomenti un poco particolari e che potrebbero far storcere il naso, anche a me lo fanno storcere a volte, ma è parte di una storia alla quale sono molto legata e della quale probabilmente farò una serie di one shot.
Detto ciò preferirei non dilungarmi all'infinito, quindi vi ringrazio per essere arrivati fino a qui e spero vi piaccia.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Chosen by fate'
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La ragazza era stesa sul letto con le coperte tirate fino al collo, il suo respiro era ben udibile nella stanza e lui era sicuro che non stava dormendo. La conosceva troppo bene per sbagliarsi, aveva dormito cosi tante volte nello stesso letto con lei da saper interpretare i suoi comportamenti.
Odiava dormire da sola, fin da quando l'aveva consciuta che aveva cinque anni. 
Se la ricordava la prima volta che si era intrufolata nel suo letto all'improvviso, era rimasto sorpreso, ma l'aveva abbracciata e lei tremava spaventata.
Al solo ricordò si passò una mano sul viso, era una bambina cosi fragile, come aveva potuto fare quello che le aveva appena fatto?
Quella era una delle domande più stupide che si era mai posto in vita sua, superava i suoi standard e la risposta gli faceva montare una rabbia talmente forte che sentiva il sangue ribbolirgli nelle vene.
Digrignò i denti e si alzò camminando contro il muro e sferrandogli un pugno con forza, cercando cosi di calmarsi.
« Seth? »
La voce di lei era bassa, non era nemmeno sicuro di averla sentita.
Ne fu certo però quando si girò e se la ritrovò seduta sul letto con quello sguardo da cucciolo in difficoltà.
Non riusciva nemmeno a guardarla.
Scivolò a terra con la schiena contro lo stesso muro che aveva colpito poggiando la testa su di esso e spostando lo sguardo in alto.
Lei chiuse gli occhi ancora seduta sul letto, non riusciva a rimanere lì ferma mentre lo vedeva indifeso, era cosi raro. Non riusciva mai a vederlo soffrire.
Era come un riflesso, se lui era felice lo era anche lei, se lui soffriva, soffriva anche lei.
Chiuse gli occhi e abbassò il capo, non c'erano parole che avrebbe potuto dire in quel momento che sarebbero riuscite a consolarlo, lei stessa in quel momento avrebbe voluto restare sola. 
Dopo quell'esperienza era sicura che nessuno l'avrebbe mai toccata, di sicuro non in quel senso. In quel momento capì che quella probabilmente doveva essere la sensazione che aveva una ragazza stuprata. 
La cosa peggiore di quella situazione era che lei avrebbe davvero voluto che quello accadesse. Solo non in quel modo, non a quelle condizioni.
Voleva che lui la volesse, non perché l'aveva costretto qualcuno, solo perché era cosi.
Quel pensiero però non la sfiorò come le altre volte, non sentiva più il sangue fremerle nelle vene a quel pensiero. In quel momento le si raggelò tutto quanto come se fosse di fronte a qualcuno a cui voleva bene ma che non sarebbe mai riuscita a perdonare fino in fondo.
In quel momento si posò una mano sul ventre che era piatto e sentì una lacrima scenderle lungo la guancia.
Era stato detto loro fin dall'inizio che l'unico intendo di tutto quello era far si che avessero un bambino.
Volevano un piccolo genio, e il modo migliore per averlo era crearlo a loro parere.
« Non posso essere incinta vero? »
Lo chiese a tono basso, ma era chiaro che si stesse rivolgendo a lui. Seth però sembrava non accorgersi di lei.
« SETH. DIMMI CHE NON POSSO ESSERE INCINTA. Ti prego... Dillo. »
Più parlava più sentiva il respiro accelerare e le lacrime scendere più in fretta, a frase finita si ritrovava a singhiozzare come una bambina, cosa che in fin dei conti era.
Di certo a tredici anni lei non poteva definirsi una donna.
E di certo non poteva definirsi una mamma.
E non voleva esserlo, non in quel preciso momento della sua vita.
I suoi occhi tornarono pieni di suppliche alla direzione dove il suo migliore amico era seduto.
Lui la guardava con un'aria strana come se avesse appena visto il suo peggior incubo diventato realtà.
E non c'era nessuno che potesse fare qualcosa per lui, lei era l'unica. 
Lei in quegli anni era sempre stata l'unica a restargli accanto.
Si posso una mano sugli occhi asciugandosi le lacrime e prese dall'angolo del letto la camicia di Seth, era di certo la cosa più semplice che poteva mettersi in quel momento.
Quando si alzò in piedi, incapace di riuscire a camminare senza tremare come una foglia, si rese conto che l'indumento per lei era veramente enorme. 
Certo, era sempre stato più grande di lei, ma per la sua età era bassa e con quella camicia sembrava davvero una bambina piccola.
Fece qualche passo verso di lui e poi si fermo, non sarebbe stata capace di avvicinarsi di più, non immediatamente.
« Seth... Ti prego Seth di qualcosa. Per favore... »
Cadde a terra anche lei appoggiando la schiena al letto e abbracciandosi le gambe come per proteggersi. 
Erano uno di fronte all'altro. 
Da lì poteva vedere che anche lui piangeva guardandola, prima non era riuscita ad accorgersene.
Sentì una morsa nel petto in quel momento e i suoi singhiozzi peggiorarono.
« Mi dispiace... Mi dispiace tanto.. Mi dispiace davvero cosi tanto... »
Era la prima cosa che gli sentiva dire da ore, ed era il tono più straziante che gli aveva mai sentito usare.
Lui diede una testata al muro con uno sguardo fra il disperato e l'infuriato.
Lei era sicura che avrebbe ricordato quel giorno come uno dei più tristi della sua vita, il peggiore forse, superava perfino la morte del fratello.
Come puoi guardare la persona che ami soffrire in quel modo per averti fatto una cosa orribile e non andare a consolarlo?
Lei però non poteva farlo, non ci sarebbe stata quella volta, non sarebbe riuscita a consolarlo, e non sarebbe riuscita a consolare se stessa.
Come avrebbe potuto liberarsi dalla mente i ricordi delle ultime ore?
Come avrebbe mai potuto dimenticare che molto probabilmente era rimasta incinta quel giorno.
Più pensava e più piangeva.
Più il tempo passava più stringeva forte la mano attorno al proprio ventre.
« Se sono veramente incinta si chiamerà Thomas. Lo sai questo vero? »
Lui accennò un piccolo sorriso, lei glielo aveva sempre detto che avrebbe chiamato suo figlio come lui un giorno.
Sembrava sbagliato in quella situazione, infinitamente sbagliato, ma era l'unica cosa che potesse riportare il loro rapporto ad un minimo di normalità.
Era un ponte che poteva crollare ma che entrambi volevano restasse stabile.
« Thomas? Thomas Alexander? Mi piace sai? »
Lei abbozzò un sorriso tirando su col naso in mezzo ai singhiozzi.
« Ero certa che ti sarebbe piaciuto. »
« Chantal, ricorda che quel bambino non sarà nostro figlio. »
« E tu ricorda che lo è invece. Se non lo fosse avrebbe una vita felice. E' proprio l'essere nostro figlio che gli rovinerà l'esistenza. »
  
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