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Autore: Urban BlackWolf    28/07/2018    4 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenoh, Michiru Kaioh, Setsuna Meioh, Usagi Tzukino. Mamoru Kiba, Makoto Kino, Rei Hino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo XVIII

 

 

Partita a scacchi… con delitto

 

 

Con un pugno stretto alla bocca, Rei guardò la donna seduta dalla parte opposta della scrivania. Il viso rassegnato, di colpo meno fresco. Una piega amara ai lati della bocca carnosa. Il respiro corto e cadenzato da un’angoscia che trascende la mera posizione che stava ricoprendo come direttrice. Setsuna Meioh sembrava invecchiata all’improvviso, schiacciata da un avvenimento totalmente privo di una qual si voglia apparenza logica. Makoto Kino aveva deluso entrambe o almeno così sembrava. Il pugnale artigianale che le era stato trovato nella destra, non lasciava tanto spazio all’immaginazione. L’arma del delitto, la dinamica, la colpevole, c’era tutto e tutto riconduceva a quella ragazzina di diciassette anni che tanto si stava dimenando nel dire, urlandolo a gran voce, che lei in quell’atto tanto efferato non c’entrava nulla.

“E così la conoscevate già.” Aveva dichiarato Setsuna dopo il primo interrogatorio.

“Irrilevante.” Aveva amaramente risposto l’agente scelto, cercando di non tradire l’amarezza che sentiva di stare provando.

Dopo più di dieci anni aveva ritrovato Makoto ed era stato brutto, triste, non soltanto perché era una detenuta, ma soprattutto perché si era appena macchiata di un delitto orribile e a Rei non sarebbe bastato il potente vino liquoroso che la direttrice aveva tirato fuori da uno degli armadietti del suo ufficio, per non rivedere con gli occhi del ricordo, la scena raccapricciante di quel collo tagliato quasi fino alle vertebre cervicali.

Adesso, ferme ognuna sulla propria poltrona, viso contro viso, sepolta l’ascia di una guerra che le aveva accompagnate sin dal loro primo scambio verbale, Rei e Setsuna avrebbero dovuto cercare di sbrogliare una matassa che apparentemente sembrava non esserci nemmeno.

“Dovrò informare il Ministero…” Laconica la direttrice afferrò il bicchierino abbandonato sul piano della scrivania tracannandolo tutto d’un fiato.

“Aspettate qualche giorno. Dobbiamo fare il punto della situazione.” Consigliò Rei imitandone gesti ed umore.

“Secondo voi, Kino potrebbe essere innocente?”

In effetti Makoto aveva giurato e spergiurato su tutte le anime del Paradiso di non aver commesso il fatto, di essersi avvicinata attratta dai rantoli agonizzanti dell’altra detenuta, di non aver mai visto l’arma con la quale era stata uccisa, anzi, di averla presa in mano spinta solo dall’istinto, da una forma di passaggio mentale inconscio.

“Se bastasse un giuramento per professarsi innocente, le case circondariali sarebbero lande desolate. Però… non so, ma questa storia non mi convince per niente dottoressa.”

“Come nel più classico dei copioni tragici, dove il povero malcapitato di turno afferra il pugnale conficcato nello sterno della vittima mentre fanno capolino i primi poliziotti.” Setsuna si versò un altro bicchiere riempiendo anche quello dell’ospite mentre alla porta il dottor Kiba chiedeva il permesso di entrare.

“Avanti Mamoru.”

“Direttrice… Agente Hino. Ho il referto autoptico. - Non aveva perso tempo. - La detenuta 0056 è deceduta per massiva perdita ematica causata da una ferita da taglio all’altezza dell’arteria carotidea.”

“E questo è un fatto.” Rispose la donna alzandosi per prendere un altro bicchiere. Pur se molto professionale era evidente che anche il giovane medico avesse accusato il colpo e necessitasse di un aiuto per tirarsi su.

“Quello che però ci deve far riflettere è la posizione del taglio.”

“Spiegatevi meglio.” Disse Rei guardandolo sedersi sulla poltrona accanto alla sua.

“Per provocare quasi il distacco di parte del collo, l’assassino - si corresse al volo - l’assassina, deve avere agito cogliendo la vittima alle spalle. Una vittima piuttosto bassa. La detenuta 0201, Makoto Kino, è alta un metro e settantasei centimetri, quindi il solco lamare e la conseguente slabbratura della pelle, dovrebbero essere rivolti verso l’alto.”

Setsuna ebbe un sussulto. “E non lo sono?”

“Assolutamente no. La ferita rivela che l’omicida sia una persona con un’altezza oscillante tra il metro e sessanta ed il metro e sessantacinque, la stessa della detenuta 0056 che… con molta probabilità non si è neanche accorta di stare morendo. In più, non avendo riscontrato ecchimosi sulle spalle, alle braccia o ai polsi, escludo che sia stata un’aggressione di gruppo.”

“Questo scagionerebbe Kino ponendo come plausibile la sua versione. L’essersi trovata nel corridoio al momento sbagliato. L’aver preso il coltello di riflesso.” Dichiarò Rei sentendosi sollevata, ma al contempo atterrita perché se così fosse stato, all’interno della casa della luce girava ancora un’efferata assassina.

“Apparentemente, ma nasce il problema di dover fare l’identikit di una persona fortemente disturbata, che per un motivo qualunque, sempre se presente, abbia ucciso a sangue freddo. In maniera praticamente chirurgica.- Disse Setsuna porgendo il bicchiere di liquore all’uomo. - Cerchiamo allora di procedere per piani logici. Ricapitolando; abbiamo un soggetto con un’altezza ricadente nella media, forte quanto basta per affondare la lama nella gola di un’altra donna arrivando quasi a staccarle la testa dal collo. Questo mi porta a pensare ad una detenuta che senta di non avere più nulla da perdere e perciò un’ergastolana come la vittima.”

“O una folle.” Rincarò Hino seguita dal medico.

“Esattamente. Le carni sono state recise con lucida fermezza, il che ci porta a due strade; o siamo in presenza di una persona che in passato abbia già ucciso con lo stesso modus operandi, oppure di fronte ad una mente dissociata, priva cioè di qual si voglia discernimento umano.

“Domani mattina inizieremo una programmatica analisi della vittima. Amicizie. Inimicizie. Era un’ergastolana che non aveva mai dato problemi, anzi, era l’unica a poter accedere in qualsiasi punto del Blocco C che non fossero le stanze private del personale. Faceva parte del gruppo delle anziane, che da anni è in lotta con quello di Tesla la slava. Partiamo da li.” Concluse Setsuna sparpagliando i fascicoli per averli tutti a portata di sguardo.

Rei ebbe un fremito. Una campanella d’allarme iniziò a titillarle nervosamente nella testa. Quel famoso sesto senso, quell’intuito alla Sherlock che l’aveva spinta fin li e che tante soddisfazioni le aveva già regalato nella sua pur breve carriera.

E se quell’omicidio non fosse stato la drammatica conseguenza di un litigio, di una vendetta tra bande rivali? Se fosse stato invece l’inizio di qualcosa di più cervellotico?

“Purtroppo non ci sono ergastolane con un profilo simile. - La scosse la direttrice riportandola con i piedi per terra. - Nessuna donna con una pena a vita è qui per aver ucciso in maniera tanto efferata. Ho già controllato.”

“C’è sempre una prima volta. Anche se come ho già detto sarebbe una situazione molto rara. - Asserì Kiba afferrando uno dei fascicoli abbandonati sulla scrivania riguardanti le pene ad ergastolo. - Io penso che nonostante si abbia già ucciso, farlo in quel modo è da squilibrati.”

“Se dovesse trattarsi di una mente prima di giudizio, allora saremmo in grossi guai. Il campo di verifica si amplierebbe a dismisura e nessuna detenuta potrebbe dirsi al sicuro. Comunque fino a quando non ne sapremmo qualcosa di più, chiedo ad entrambi la massima discrezione. Ovvio che la notizia della morte della detenuta 0056 circolerà presto, ma almeno che non si sappia ancora come.”

“A tal proposito… - S'intromise Rei alzandosi dalla poltrona in pelle. - …vorrei parlare con le uniche due persone che insieme all’assassina e a Kino erano nei paraggi al momento dell’aggressione. La detenuta 0192 e l’agente Johanna Horvàth.”

 

 

Una volta ritornata in cella, Haruka aveva avuto conati di stomaco. Uscita dalla lavanderia per tornare verso il suo blocco, era dovuta obbligatoriamente passare per l’unico corridoio utile e li aveva visto Makoto accerchiata da uniformi, inginocchiata in un angolo, ammanettata e schiacciata contro il muro peggio di una bestia. Ad un paio di metri, un corpo disteso in una pozza di sangue talmente vasta da sembrare per assurdo quasi finta. Posando gli occhi sulla scena, la bionda aveva visto Setsuna ed il capo Shiry parlottare, certamente sul da farsi. Poi la curiosità l’aveva spinta a posare l’attenzione al fagotto abbandonato poco oltre le loro scarpe. Forse perché mai bazzicato per macellai o studi medici, il suo cervello ci aveva messo un po’ ad elaborare l’orripilante immagine dello squarcio che da parte a parte del collo stava lasciando esposta la carotide di una mal capitata. Ma non appena i contorni di quella scena erano stati razionalizzati passando dalla vista al cervello, Haruka aveva avvertito una scarica alla tempia seguita da una morsa allo stomaco talmente violenta da costringerla a serrare la mascella fino al suo ritorno in cella.

Nel voltarsi verso di lei, Meioh aveva ordinato un qualcosa che però la ragazza non era riuscita a comprendere. L’olezzo dolciastro del sangue unito ad un fastidiosissimo ronzare nelle orecchie, l’avevano spinta pericolosamente verso un mondo muto e se non fosse stato per la botta ricevuta all’altezza dei reni con la quale Johanna l’aveva scossa, con molta probabilità avrebbe perso i sensi.

“Horvàth! Porta via Tenoh e discrezione! Chiaro!?” Aveva ordinato Shiry, mentre Rei prendeva appunti mentali sulle due.

Adesso che Haruka si ritrovava seduta sul letto della sua compagna di cella, con le mani tra i capelli e lo stomaco sottosopra, incerta se rivelare o meno a Michiru quello che aveva visto, sentiva di essere meno tosta di quel che aveva sempre creduto.

Inginocchiandosi di fronte a lei e posandole una mano sul ginocchio, Michiru se la guardò scura in volto. Accigliata, cercò un contatto.

“Haruka… Che cos’hai? Non ti senti bene? L’agente Anya ha detto che la sirena è scattata a causa di un’emergenza. Non vedendoti rientrare mi sono preoccupata.”

“Non era mia intenzione…”

“Lo so, non ti sto rimproverando, vorrei solo capire.”

“… Come si può?!”

“Far cosa?” Chiese afferrandole i polsi per spostarle le mani dalla testa.

"Dammi un attimo Michiru."

Cavare qualcosa di bocca ad Haruka era un’impresa e di questo ormai era rassegnata, ma la strana energia negativa che in quella sera nevosa di pieno inverno aveva preso a strisciare tra i ballatoi della casa della luce, la stavano rendendo inquieta come il primo giorno, come se la bilancia che faticosamente reggeva l’umore di quel posto si fosse improvvisamente sbilanciata. Questo stranissimo stato d’animo la spinse ad insistere.

“Ruka… mi spieghi, per favore?”

E come sempre accadeva, la famigliarità di quel nomignolo sciolse la reticenza della bionda che finalmente approcciò i suoi occhi a quelli turchesi dell’altra. “Credo che… che Makoto abbia ucciso una donna.”

“Stai scherzando?!”

“Oddio Michi. - Come toltasi un’occlusione dalla gola, sentì i polmoni liberi di dilatarsi. - Non avrei mai immaginato che potesse fare una cosa del genere. E così poi…”

Sedendosi al suo fianco, l'altra si permise di cingerle le spalle con un braccio. Ed in silenzio ascoltò.

Nel descriverle per sommi capi quello che era accaduto, pian piano Haruka si lasciò andare, rivelando per la prima volta un cuore a tratti ancora ostinatamente innocente.

“E’ stato… E’ stato orribile. Orribile! Nessuno dovrebbe finire la sua vita così e nessuno dovrebbe permettersi di troncarla in maniera tanto abietta. Scommetto che le bestie del mattatoio hanno in sorte una fine migliore." Voltando il viso le grate della finestra, si perse ai fiocchi di neve che stavano turbinando nel grigiore della tarda sera.

Non sarebbe riuscita facilmente a togliersi quel collo mutilato dagli occhi e quell’odore nauseabondo dalle narici. “Non posso credere sia stata Mako.” Affermò sentendosi improvvisamente stanca.

“E’ ovvio! Andiamo Haruka… la conosciamo e non farebbe male ad una mosca.”

“Lo so, ma tutte le guardie, direttrice in testa, credono il contrario. E poi ognuno porta dentro di se un lato oscuro.” Soffiò sentendosi un’ipocrita, perché il proponimento di vendetta che si stava impegnando così stupidamente a perseguire, altro non sarebbe stato che un omicidio, certo non così inumano, ma comunque tale. Con quale diritto ora giudicava quell’azione.

Non sapendo come aiutarla ed incredibilmente attratta da quel suo momento di fragilità, Michiru posò due dita sul finire del mento della bionda costringendola a guardarla. “Non fare così…” Bisbigliò avvertendo i loro fiati fondersi in un unico calore.

“Michi…”

“Sss… - Sibilò lasciando che la punta dei loro nasi si sfiorasse. - Adesso sei qui… con me.”

"Vorrei tanto che il tuo profumo riuscisse a cancellare l'odore di quel sangue."

"Ruka..."

“SPEGNIMENTO LUCI!” Riecheggiò dall’altoparlante del piano sorprendendole ad un passo dal contatto.

“Così presto?” Si lasciò sfuggire Kaioh allontanandosi un poco mentre l’altra abbassava la testa stirando le labbra.

“Evidentemente vogliono tenerci buone.”

Rabbrividì Michiru ed empatica se l’abbracciò stretta al petto sfiorandole la tempia con un bacio lievissimo e senza più paure, senza fremiti, senza scariche di voglia, Haruka la lasciò fare, concedendosi interamente a quell’improvvisa quanto benedetta dolcezza, mentre Kaioh si abbandonava sul materasso portandola giù con se.

“Chiudi gli occhi e cerca di dormire. Domani sarà tutto più chiaro.” Ed iniziando ad l’accarezzarle i capelli, arrivò con l’altra mano a cingerle un fianco attirandosela contro facendo così aderire con forza i loro busti. Aspettò che il ritmo del respiro dell’altra si facesse sempre più lieve, fino ad accompagnandola nell’oblio di un sonno senza sogni.

 

 

Quando lo sgraziato suono metallico dell’apertura della porta le svegliò, si ritrovarono come si erano addormentate. Abbracciate, l’una immersa nel profumo dell’altra, vestite, come se la giornata appena iniziata fosse la prosecuzione di quella appena trascorsa.

“Tenoh alzati. A colloquio con la Direttrice Meioh.”

“Mamma mia, la testa. “ Sbiascicò la ragazza staccandosi dalle braccia di Michiru sentendosi tutta un dolore.

Non aveva avuto incubi, ma aveva dormito male lo stesso. Forse perché abituata a muoversi di continuo, non volendo svegliare Kaioh aveva cercato una quiete non sua, ritrovandosi i muscoli di spalle e collo tutti rattrappiti in un'unica poderosa contrattura.

Buongiorno, si sentì dire la bionda mentre lentamente, molto lentamente, il suo sguardo accarezzava il maglioncino aderente di color blu scuro che imprigionava la rotondità del seno della compagna di cella ancora distesa accanto a lei. Una mano abbandonata sul cuscino, oltre la testa e quella che l’aveva tenuta forte per tutta la notte, ora sul grembo che cadenzato dal respiro si alzava ed abbassava piano. I capelli adagiati sul cuscino, come la sabbia dopo la fine dell'alta marea.

“…Giorno.” Grugnì imbarazzata grattandosi la zazzera mentre anche Michiru si sollevava a sedere.

“Sei riuscita a riposare un po’?” Bisbigliò perché potesse udirla solo lei.

“Mmm… si. Grazie.” Ecco nuovamente quell’atteggiamento sensuale mesciuto a quell’odore buono di lei, che aveva il potere di confondere Haruka deviandole il giudizio e che la sera precedente era riuscito a calmarla avviluppandole le narici.

“Dai Tenoh. Non abbiamo tutto il giorno!”

L’agente Anya sembrava stranamente impaziente se paragonata alla donna docile e materna che veniva a prelevarle ogni mattina. Ennesimo indizio che qualcosa di gravissimo era accaduto, così come il silenzio che stava avvolgendo il ballatoio e il filare di celle stranamente poco animate.

“Eccomi anya egységes. Tutta vostra.”

“Kōtei, voi venite a mensa con me. La colazione si farà un po’ prima del solito oggi.” Sollecitò e una volta uscite le due detenute si accorsero della presenza di Johanna ferma accanto alla rampa delle scale.

“Haruka vai con Horvàth, ti scorterà lei.”

Scambiandosi una specie di sguardo d’intesa, le compagne di cella indugiarono occhi negli occhi per qualche istante per poi dividersi ed immancabilmente, nel vedere la bionda avvicinarsi alla donna in uniforme, Michiru tornò a provare quel sottile bruciore geloso che non riusciva più a frenare e che tanto la faceva sentire una persona orribile.

“Hai novità?” Sussurrò la minore mentre discendevano sulle pedate metalliche.

“Si. Quello che ho capito è che Kino sembra estranea ai fatti.”

“Perfetto, ma si ha idea di chi potrebbe aver commesso quello scempio?”

“No, ma il fatto che Set voglia parlarci non mi piace. Hai visto quella moretta dai capelli lunghi e lo sguardo sicuro che le stava al fianco? - Alla negazione dell’altra proseguì mentre arrivava al piano terra. - E’ un’agente speciale inviato direttamente dal Ministero.”

“Di già?!”

“No, era qui per investigare sul problemuccio all’impianto idrico.”

“Che culo. E’ venuta per un semplice sopralluogo e si ritrova invischiata in un omicidio!” Se la rise Haruka e quella fu l’ultima volta, perché venti minuti dopo, alla presenza dell’agente speciale Hino, alla bionda passò completamente la voglia di sfottere.

“Detenuta 0192: Haruka Tenou, anni ventuno. Nata nel sesto distretto di Budapest il ventisette gennaio del 1930. Motivo della reclusione… - Rei spostò lo sguardo dalla foto che campeggiava sulla prima pagina della scheda personale della ragazza, alla figura originale ferma in piedi davanti a lei - ... aggressione armata ad un agente della Polizia Tributaria.”

Per nulla intimorita da quella presentazione, la bionda stirò un sorrisetto sghembo alzando con tracotanza il mento. Nel riconoscerlo, Johanna pensò inesorabilmente a quanto fosse tronfia la sorella.

“Con chi ho il piacere?”

“Hino. Agente Speciale Rei Hino.”

“Volete farmi gli auguri per il ventisette, agente Hino? Un po' in ritardo, non trovate?” Canzonò visto il compleanno passato da poco.

“Non fate la spiritosa. In questi casi non conviene a nessuno. Piuttosto, ditemi cosa facevate fuori dal vostro blocco dopo l’ora di cena.”

“Il bucato. - Guardando la sorella si mise le mani nelle tasche. - Può confermarlo anche l’agente Horvàth.”

“Giusto. L’agente Johanna Horvàth… Tenoh. - Disse rivolgendosi poi direttamente a Setsuna rimasta in disparte a braccia incrociate. - Sono parenti, non è vero?”

“Sorelle.” Rivelò l'altra mantenendo la calma. Inutile e controproducente negare.

Stringendo la cartellina nelle mani, Rei ebbe come un moto di rabbia, immediatamente represso dal notevole autocontrollo coltivato in anni di quel faticoso esercizio mentale che imponeva al suo carattere fumantino di non bruciare troppo rapidamente.

“Dottoressa Meioh, correggetemi se sbaglio, ma il reclutamento del personale interconnesso con le detenute fino al quarto grado di parentela, nel nostro paese non è forse proibito dalla legge?” L’ennesima mancanza di rigore in una struttura già altamente soggetta a labilità di ogni tipo.

“Si.”

Lo sapeva Setsuna e dal primo sguardo che quella ragazza non avrebbe mai dovuto varcare il cancello della casa della luce. Troppo intelligente. Troppo scaltra. Troppo impicciona.

“E allora spiegatemi perché l’avete assunta! Nel suo fascicolo c’è scritto che ha iniziato a prendere servizio neanche una settimana dopo l’arresto della detenuta 0192!” Sbattendo la cartellina sul pianale si rivolse direttamente a Johanna chiedendole da quale accademia provenisse.

“Agente Hino, c’è carenza di personale e poi Horvàth è un bravo secondino. Il fatto che siano parenti non fa alcuna differenza.” Cercò di mediare la direttrice abbassando braccia e orgoglio.

“Sorelle! Dottoressa, non due cugine alla lontana, ma sorelle. Agente Tenoh, dove diavolo avete ricevuto la vostra preparazione per non sapere neanche le basi di una delle leggi di tutela carceraria più importanti dell'Ungheria!?”

“Ecco, io…”

“Non ha ricevuto alcuna preparazione! - Sbottò Haruka facendo un passo verso la donna. - Che cos’è quest’interrogatorio? Credete forse che quella poveretta l’abbiamo sgozzata noi?!”

“Non è questo il punto…”

“E allora quale sarebbe? Qui abbiamo un problema. Qui si è ammazzato e a quel che ho potuto vedere, anche in maniera piuttosto cruenta e tutto quello che sapete fare è puntare l’indice contro queste due donne che hanno come unico difetto quello di volermi bene?! Johanna ha lasciato tutto per starmi vicina e Set non ha fatto altro che assecondarla.”

“Set?”

“Si, Set! Setsuna Meioh è una cara amica di famiglia e se è reato anche questo, bè… allora sbattete in cella anche lei!”

“Haruka, basta così.” Ordinò la direttrice modulando verso il basso il timbro della voce.

“Fatemi capire bene signorina Johanna… Voi non siete un agente penitenziario?” Chiese Hino rendendo gli occhi due fessure.

“No signora.”

“O ma… che cazzo! Voi tre siete completamente folli! Passi voi Haruka, che in questo caso siete la meno colpevole, ma voi Direttrice, assumere una ragazza per un lavoro tanto delicato, senza nessuna preparazione fisica, psicologica e disciplinare, contravvenendo alla legge e rischiando così di giocarvi la carriera! E voi Tenoh… - Avvicinandosi fissò Johanna alzando l’indice prima verso il suo petto, poi alla porta. - … voi che giocate tanto bene a fare l’agente penitenziaria, sapete il perché della necessità di una legge tanto severa? La scena che avete visto qualche ora fa, vi sembrerebbe nulla se paragonato a quello che potrebbero farvi le delinquenti la fuori se soltanto si spargesse la voce di un vostro legame di sangue con una detenuta.”

“Hino non ammetto che si facciano queste pressioni! Usando il cognome della madre, Johanna è perfettamente al sicuro, perciò evitiamo scenate.”

Rei sogghignò alzando il mento. Proprio non riusciva a farsi comprendere.

Approfittando del momento di silenzio Johanna intervenne facendo un piccolo passo verso l'agente. “Mi dispiace se ho mentito passando per quella che non sono, ma l’ho fatto per restare accanto a mia sorella. Nostro padre è morto da poco e non volevo perdere anche lei.”

“Jo non fare la vittima!” Abbaiò la bionda.

“Non è vittimismo Ruka, ma la pura verità. Agente Hino, vorrei che fosse chiara una cosa; la Direttrice Meioh c’entra poco e niente. Sono stata io ad insistere per farmi assumere. Perciò punite me se volete, ma non…”

“Certo! Immoliamoci anche. - Disse la mora francamente esasperata. - E’ inutile che cerchiate di difendere l’indifendibile."

Provando a calmarsi, Hino si arpionò i fianchi sottili abbassando la testa. "Direttrice, chi altro sa di questa storia?”

“Il capo squadra Shiry.”

Jo spalancò gli occhi. Ecco perché quella donna le assegnava sempre compiti elementari e continuava a trattarla come se fosse un corpo avulso dal resto della squadra.

Mettendosi a sedere, l’agente cercò di riflettere. Più che altro di prendere tempo. Era indecisa sul da farsi. A primo acchito avrebbe voluto segnalare Setsuna Meioh al Ministero di Grazia e Giustizia per poi sbattere Johanna Tenoh dentro il buco più profondo mai scavato da mano umana, ma qualcosa le diceva di fermare la collera. Di essere elastica. Almeno questa volta. Le mancava la conferma, ma quelle due ragazze erano quasi certamente le figlie di Jànos Tenoh, quello stesso uomo le cui urla strazianti aveva sentito più di una volta salire dal seminterrato della casa della giustizia alla tromba delle scale e li, nel silenzio degli ambienti, fin nel suo ufficio. Alle sue orecchie. Soltanto qualche mese prima.

“Chi è quel disgraziato che stanno interrogando da giorni?” Aveva chiesto un giorno ad un collega.

“Un uomo qualunque. Un padre di famiglia. Un uomo che si è messo contro il potere dello Stato e la lobby delle banche.”

Quell'avvenimento aveva scioccato al tal punto la ragazza da spingerla a chiedere un immediato trasferimento.

Vedendo Hino assente, Meioh continuò il colloquio cercando di deviarlo su binari più sicuri. “Johanna, quando stavate rientrando dalla lavanderia, avete visto o sentito niente di strano?”

“In effetti. - Guardò Haruka muovere leggermente il mento. - Non appena ho sentito partire la sirena, mi sono precipitata verso la porta d’ingresso della lavanderia e li… mi è sembrato di vedere un’ombra muoversi velocemente verso il vano caldaie.”

La voce di Rei arrivò stanca. “Siete sicura?”

“L’ho vista anch’io.” Confermò Haruka.

“Altezza?”

Scrollando le spalle il secondino non comprese la domanda. Era solo un’ombra e le ombre non hanno altezza.

Sfiancata da quella situazione per lei inaccettabile e nuovissima, la mora tornò ad alzarsi. “Se foste un vero agente sapreste che quando si avvista qualcosa di sospetto bisogna sempre prendere dei punti di riferimento. Comunque, ho avuto modo di vedere la zona è se fosse come dite questa fantomatica ombra sarebbe dovuta passare per il corridoio dov’è stato commesso l’omicidio. E più di dieci agenti non hanno visto nulla. Indi per cui l’unico nascondiglio rimane il locale tecnico della caldaia, ma è la prima stanza che abbiamo bonificato non trovando assolutamente nessuno.”

“Pensandoci bene, avendo un solo accesso chiunque fosse entrato per nascondersi sarebbe stato scoperto.” Rispose Setsuna venendo però smentita dalla bionda.

“In realtà le porte sarebbero due. Quando stavo lavorando al ripristino della caldaia, ho notato una porticina metallica proprio sotto le scale seminascosta da una pila di scatole di legno. E’ completamente arrugginita e non credo possa essere aperta con tanta facilità, ma una volta avvicinato l’orecchio alla serratura, ho sentito il sibilo di una corrente. Magari è un passaggio che sbuca da qualche altra parte.”

“Lo verificheremo. Ora andate, sempre se la Direttrice non ha da chiedervi altro.”

“No.”

“Devo ritenermi licenziata? Agli arresti? O cosa?!” Chiese Johanna mentre la bionda aveva già la mano sulla maniglia della porta.

“Tutto a tempo debito. Ora abbiamo una cosa più importante da gestire.” Liquidò massaggiandosi la fronte.

Aveva la necessità di parlare con Makoto e metterla al corrente del piano che lentamente stava formandosi nella sua finissima mente da detective.

 

 

Non era poi tanto diversa da come se la ricordava. Stessi occhi verde acqua, grandi e vivaci. Stesso taglio del viso, naturalmente più sfinato dall’entrata nell’età adulta. Stesso sorriso, con qualche incisivo in più. Solo la corporatura era cambiata slanciandosi in maniera notevole rispetto a lei. Poi c'era lo sguardo. Quello aveva avuto un’evoluzione, facendosi da innocente a spudorato.

A trovarsela davanti, distesa sul letto dell’ultima stanza del piano adibito a dormitorio, Rei avrebbe voluto porle mille domande; il perché si trovasse a Budapest, lei figlia delle paludi orientali, cosa avesse fatto negli ultimi undici anni, se fosse riuscita a ritrovare il padre, se era stata felice dopo aver lasciato la masseria della famiglia Hino e cosa più importante di tutte, punto nodale del suo involontario coinvolgimento in quella brutta faccenda, il perché si fosse trasformata in una ladra. Ma non era quello ne il momento, ne il luogo. Le priorità erano altre, forse meno personali, ma sicuramente più pressanti, così prendendo un grosso respiro, attese che la direttrice e l’agente Shiry entrassero nella stanza, chiamandola per riprendere con l’interrogatorio.

“Kino...”

“Quando potrò uscire da qui?” Chiese spostando l’avambraccio fino a quel momento tenuto sulla fronte.

“Dobbiamo parlarti. Siediti per favore.”

Emanando un suono gutturale seguito da una mezza imprecazione, la ragazza obbedì incurvando le spalle e perdendo lo sguardo all'anonimato del muro di fronte. Indomita e per nulla impressionata da quella noncuranza che altro non era che paura, Setsuna prese la sedia dalla scrivania posizionandola davanti alla detenuta.

“Signorina Kino, l’autopsia che il dottor Kiba ha eseguito sulla detenuta 0056, ha confermato la vostra innocenza. - Sedendosi sorrise agli occhi spalancati di lei. - Ma purtroppo non avendo ancora informazioni sufficienti sulla vera assassina, non possiamo riportarvi al Blocco A.”

“Cosa vuol dire!? Se sono innocente perché volete tenermi rinchiusa qui?!”

“Per la sicurezza di tutti.” La donna più grande sapeva che sarebbe stato difficile farle capire, ma si stupì comunque quando Makoto si alzò di colpo mossa da un moto di ribellione.

“Cazzate! Dite le cose come stanno! Non credete fino in fondo alla mia innocenza!” Urlò facendo così scattare Shiry, che mano sinistra serrata al manganello s'insinuo' rapida tra le due.

“Stai calma Kino.”

“Capo squadra… Non preoccupatevi.” Tranquillizzò Setsuna facendola ritirare poco convinta.

Toccò allora a Rei, che afferrandola per le spalle provò a calmare la ragazza. Anche da piccola, Makoto aveva il terrore che gli altri non credessero alle sue parole. Doveva cercare di essere convincente. “Kino cerca di capire. Abbiamo bisogno di una mano. L’assassina è ancora in giro e crediamo che non sia molto stabile di testa. Potrebbe uccidere ancora e mettere in giro la voce sulla tua colpevolezza ci darebbe un’enorme vantaggio per provare a farla uscire allo scoperto.”

Scuotendo la testa e scrollandosi le mani di Rei da dosso, l'altra scrollò le spalle guardandola. "Voi sareste?"

Sorpresa per la domanda Rei rispose lentamente. "Agente speciale Rei Hino."

"Agente speciale..." Ripetè l'altra crollando sul materasso. “Niente di meno..."

"Makoto..."

"Non potete chiedermi questo. Non è giusto!"

“Lo so, ma pensaci bene. - Accovacciandosi accanto alle sue gambe, Rei cercò attenzione modulando la voce verso bassi più dolci. - Fino a prova contraria siamo tutti in pericolo. Detenute, sicurezza, perfino il dottor Kiba. Ci troviamo di fronte ad una persona imprevedibile e se non giochiamo d’astuzia, non riusciremo a prenderla.”

“Abbiamo bisogno di un vantaggio.” Insistette la direttrice.

“Sarebbe meglio dire un sacrificio…” Puntualizzò Makoto guardandola.

“Sacrificio, si.” Ne convenne lei aggiungendo però che un tale gesto non sarebbe stato vano e per una serie di ragioni.

“L'aiutarci in questa storia porterà un vantaggio anche a voi, infatti vi prometto che una volta che questa storia sarà finita, sarà mia premura segnalarlo a chi di dovere, così che se ne possa tenere conto quando il Tribunale dei Minori discuterà il vostro caso. Pensateci Kino. E’ un’ottima offerta.”

“Kino, ti manca un anno. Così facendo potresti uscire tra sei mesi.” Rincarò Rei guardandola negli occhi.

“Non voglio passare le mie giornate in quel buco di seminterrato.”

“Le passerete qui.” Disse la direttrice mentre riponeva al suo posto la sedia.

“Accerchiata da guardie. Bella roba, - Una rapida sbirciatina al viso impassibile del capo squadra ferma a braccia incrociate, per poi accettare. - Va bene. Ma vedete di far presto... per favore.”

“Perfetto. – Ne convenne Meioh andando ad aprire la porta senza aggiungere altro. - Shiry venite.” E lasciando le due parlare da sole, precedette l’ufficiale nel corridoio.

“Ascoltate, essendoci ancora un’assassina in giro la sorveglianza dovrà essere ancora più alta del solito. Non possiamo farci cogliere impreparate un’altra volta, chiaro? - Un ordine che aveva tutto il sapore acre di una critica. - Per rendere questa trappola credibile, nessuna attività del carcere dovrà essere soppressa, incluso il ballo per l’inizio della Quaresima.”

“Ma Direttrice…, l’organico è ridotto al minimo.”

“Lo so Shiry, ma confido sul fatto che voi e la vostra squadra saprete far fronte a questa emergenza.” La chiuse li lasciando l'altra a rimuginarci poco convinta.

Intanto all'interno della camera le due amiche d'infanzia restarono a scavarsi una negli occhi dell'altra.

"Non avrei mai creduto di ritrovarti con i galloni di una guardia." Disse Makoto con sfida.

"Ed io con una pendenza di furto a gravarti sulla testa."

 

 

La capo squadra

 

Passato un giorno abbondante dall'omicidio, la situazione tra gli animi delle detenute sembrava stabile. Le voci sulla morte di una di loro per mano di Makoto Kino avevano naturalmente fatto il giro della struttura, innescando un tourbillon di congetture sul perché una diciassettenne dentro per furto, si fosse improvvisamente trasformata in un’assassina. Una volta venute a conoscenza della dipartita di una di loro, solo il gruppo delle anziane capeggiate dalla Zoppa aveva iniziato a fare domande in giro, spinte dalla convinzione che la responsabile potesse essere la slava e non certo quella ragazzina. Lo si sarebbe potuto chiamare istinto killer.

Johanna respirò profondamente l’aria gelida serrando le dita guantate dietro la schiena. Visto le buone condizioni del tempo e la necessità di pulire il piazzale preposto per le attività all’aperto, gran parte delle detenute si era riversato fuori, tra i mucchi di neve e le lastre di ghiaccio. In lontananza Haruka, Michiru, Usagi e Minako, sedute ad un tavolo che stavano presumibilmente parlando della loro amica Mako e poco oltre, nella sua giacca nera dai bottoni dorati, il capo squadra Shiry, che con un altro paio di colleghe teneva d’occhio che Tesla e la sua cricca di brave ragazze non entrassero in contatto con il comprensibile nervosismo delle anziane ferme vicino al muro di cinta.

Sospirando la ragazza piantò l’attenzione a quella donna graduata che molto le somigliava fisicamente, ma che tanto era diversa da lei. Più grande di una decina d’anni, Annamariah Shiry svolgeva quel lavoro con dedizione e ferrea disciplina, non mostrando mai più di quanto un posto come quello potesse permettere. Cresciuta come agente e maturata come donna all’ombra del filo spinato di quella casa circondariale, Shiry era una delle poche guardie che era riuscita a crearsi una vita al di fuori di quel micro mondo al limite della società, ottenendo al contempo una famiglia ed un’ottima carriera. Johanna l’ammirava, ma se avesse potuto conoscerla due lustri prima, appena uscita dall’Accademia di Pest con gli ideali di giustizia e onore ancora stretti nella propria convinzione di ragazza allegra e spensierata, avrebbe sicuramente notato l’involuzione caratteriale che quella giovane donna aveva subito con il passare del tempo. Pagate a caro prezzo ogni manifestazione di umanità, ogni abbraccio, sorriso o parola gentile che in quegli anni aveva riservato alla popolazione carceraria, il cuore di Shiry si era ormai talmente inaridito d'arrivare a non soffrire più per il gretto squallore di quel posto o per la solitudine imposta dal suo ruolo di comando.

Haruka scherzava spesso sulla somiglianza estetica che aveva con Johanna, domandandosi se anche caratterialmente Anna non fosse una scassa pifferi come la sorella. Stessa corporatura, stesso taglio di capelli portati corti, lo stesso modo di camminare sicuro e mai ciondolante, la stessa postura da guardia. Ma Johanna sapeva da quelle labbra sottili troppo spesso piegate all’ingiù e da quello sguardo castano schivo e riservato, che oltre a quelle sciocche similitudini null’altro le accomunava. Non l’aveva mai vista ridere, neanche durante le ore private che le agenti avevano fra loro dopo la fine dei turni, neanche quando marito e figlio venivano a trovarla per passare con lei qualche scampolo di tempo strappato al suo lavoro. Eppure Shiry era di Budapest e come molti altri secondini e avrebbe potuto passare la notte a casa, con la sua famiglia, tra le sue cose. Invece preferiva rimanere all’interno del carcere, mangiando e dormendo in un ambiente che ormai era diventato casa più di quella costruita in anni di sacrifici, rivelando così un malessere che Johanna non riusciva a comprendere fino in fondo. Lei che aveva abbandonato tutto pur di stare accanto alla sorella, non afferrava come si potesse scegliere quella vita grigia così per intero, senza una valvola di sfogo, con il rischio concreto di spezzare un rapporto coniugale e la gioia dell’essere madre.

Guardandola camminare lentamente tra i tavoli, ripensò alla conversazione avuta con lei la notte precedente, quando ad un orario oscillante tra le due e le due e mezza del mattino, un’inquieta Johanna aveva iniziato a gironzolare per il Blocco C incapace di prendere sonno. Attirata dal rumore di un rivolo d’acqua proveniente dai bagni, aveva visto il suo superiore intenta a prepararsi per la notte. La camicia bianca con i distintivi e le mostrine che la contraddistinguevano dal resto della squadra, aperta e ormai non più impeccabile. L’asciugamano buttato su una spalla.

Era entrata discretamente avvicinandosi e trovandone lo sguardo attraverso il riflesso dello specchio, le aveva sorriso cercando un approccio che nelle più rosee intenzioni avrebbe dovuto portarla a chiederle scusa.

“Ancora sveglia? - Aveva iniziato immaginando quanta frustrazione potesse avere un responsabile della sicurezza di fronte ad un crimine sfuggitogli di mano. - Questa sera la Direttrice Meioh mi ha rivelato che sapevi la mia vera identità già dal primo giorno di servizio.”

Sputando un boccone di dentifricio nel lavandino l’altra non aveva battuto ciglio.

“Hai da dirmi qualcosa Johanna?"”

“Volevo chiederti scusa. Immagino che la mia totale mancanza di preparazione possa averti arrecato noie. Nella gestione del lavoro intendo. Ma spero che tu abbia compreso che l’ho fatto solamente per mia sorella.”

Pulendosi la bocca la donna più grande aveva allora iniziato a ripiegare l’asciuga mani con movimenti lenti e precisi. “Non me ne faccio niente delle tue scuse. A me non interessano le motivazioni che ti hanno portata a chiedere alla Meioh un posto tanto delicato, quello che mi disturba è che attualmente a me e alla mia squadra manca un’agente. - Voltandosi l’aveva fissata negli occhi. - Scommetto che non hai pensato a questo quando sei entrata qui dentro per la prima volta.”

“In realtà no.”

“Come scommetto che non hai neanche pensato al pericolo che avresti corso. L’uniforme che indossi non ti da una protezione, tutt’altro. Non sapendo come difenderti dalle dinamiche mentali e fisiche di un ambiente come questo, sei un pericolo per te e per le altre. L’anello debole della catena. Il perenne assillo alla mia preoccupazione.”

Spostando il viso altrove Johanna non aveva saputo come replicare, perché erano tutte cose giuste, cose che nella frenesia di aiutare Haruka, sia lei che Setsuna non avevano minimamente calcolato.

“La direttrice Meioh è il mio superiore, perciò lungi da me criticarne l’operato, ma per quanto riguarda te il discorso è diverso.”

“Cosa vuol dire?!” Aveva chiesto guardandola avvicinarsi all’uscita.

“Che non voglio ritrovarmi a pagare per una tua inettitudine. Guardati sempre le spalle Tenoh. Sempre. Non dare confidenza alle detenute come invece fai di solito e cerca di non rimanere mai sola per gli ambienti comuni. Il mondo delle carceri è duro e se si cede all’umanità abbassando la guardia si rischia di pagarne un prezzo molto alto.”

Un prezzo molto alto. Era forse stato questo ad avvizzire il cuore del capo squadra? Johanna aveva visto come le detenute più anziane portassero ad Anna rispetto. Ma sicuramente non era sempre stato così. Quasi certamente aveva dovuto soffrire per imparare, per arrivare dov’era, chiudendosi per non essere colpita, attaccando per non essere attaccata, prevedendo ogni mossa con due d’anticipo.

Tornando a guardarsi intorno, Johanna trattenne lo sguardo al tavolo dalla parte opposta del cortile dove il gruppetto della sorella stava parlando. Le mancava il suo apa. Le mancava la sua Ruka allegra e strafottente. Le mancava la sua famiglia. Le mancavano le sue cose. Le mancava persino la sua tesi, dimenticata in un cassetto che forse mai più avrebbe aperto.

 

 

Iniziando a torturarsi un labbro, Haruka guardò le due biondine sedute sulla panca speculare alla sua. Aveva del curioso la compostezza che avevano avuto nel venire a conoscenza di quello che era accaduto. Dell’innaturale. Se una ragazzona come lei aveva avvertito il colpo, perché nel sapere di un delitto tanto truce, Minako e Usagi sembravano così freddamente calme? Certo non avevano potuto impressionarsi nel vedere il cadavere di persona come invece aveva fatto lei, ma almeno avrebbero dovuto stupirsi, oppure aver paura nel riflettere sul fatto che tra loro ci fosse ancora un’assassina libera di girare tra i blocchi. Invece no. Tutto sembravano tranne che preoccupate, spaventate, disgustate o chissà cos’altro. Guardando Michiru ferma accanto a lei, ragionò anche sul suo di comportamento. Non stava arrivando a toccare punte asettiche come le sorelle Tzukino, ma sembrava comunque pienamente padrona della situazione.

Lei invece si sentiva ancora scossa. Lo shock avvertito al ritorno in cella era passato, annientato dal tempo e dalla presenza della sua compagna di cella, ma l’adrenalinica esplosione che quell’avvenimento le aveva provocato, aveva innescato un tentennamento che da quando aveva incontrato il suo táltos non l’aveva mai sfiorata. E se Johanna avesse avuto ragione? Se uccidere quel banchiere fosse stato troppo per un animo buono come il suo?

Strofinandosi apaticamente una guancia, la bionda sentì di stare paurosamente sbandando. Una volta avuto Kaioh davanti, avrebbe mai avuto il coraggio ed il livore di piantargli una lama nello sterno e continuare poi a vivere come prima? Se ci fosse riuscita, che differenza ci sarebbe stata tra lei e quell’assassina? Esisteva veramente il delitto d’onore o era solo un vigliacco paravento, una comoda quanto pericolosa bugia?

Stai vacillando Tenoh! Dimmi,… stai vacillando?! Pensò ormai completamente avulsa dalla conversazione tra le altre tre.

“Usagi, ma sei proprio sicura di averla vista?” Chiese Michiru non badando alla momentanea assenza della compagna di cella.

“Si. Adesso il compito di fare le faccende in gran parte del Blocco C è affidato allo zerbino. Quando questa mattina sono uscita dallo studio del dottor Kiba, me la sono vista davanti e vi assicuro che aveva l’aria di chi è stato pizzicato con le mani nella marmellata.”

Lo zerbino, soprannome abbastanza calzante con il quale Haruka aveva battezzato l’amichetta che Mery usava per i lavoretti sporchi e che era stata la causa del suo isolamento con la questione della rissa nelle docce. Il fatto che fosse stata scelta non era strano, visto che già si occupava della pulizia nel bagno delle guardie, ma quando si trattava del gruppo della slava, non c’era mai da fidarsi troppo.

“Vuol dire che la terremo d’occhio. - Affermò logica Minako, odiando il fatto che la sorellina dovesse aver bisogno di una cura psicologica che le permettesse di affrontare la reclusione. - Ora, acclarato che Mako non c’entra nulla, la domanda è come ci si possa muovere senza dare nell'occhio. Haruka? Haruka, mi ascolti?” La sua voce vibrò nell’aria rarefatta come un trillo telefonico.

Scossa, l’altra puntò loro contro due occhi interrogativi. “Come?”

“Uuu… Tenou, ci sei?!” Canzonò agitandole davanti al viso la destra.

“E piantala!” Le rispose a brutto muso schiaffeggiandogliela.

Alla bionda non andava per niente di giocare all’investigatore privato. Le domande urlate a gran voce dalla propria coscienza la stavano rendendo carica di boria. Aveva altro a cui pensare ed era delusa dalla mancanza di carattere che stava dimostrando verso il suo obbiettivo.

“Ma che modi! Insomma, vogliamo ragionare su come aiutare Mako?”

“Quale ragionamento?! Kino è innocente e l’unica cosa che rimane da fare è quella di aspettare che la moretta dai capelli lisci riesca a beccare la vera colpevole.”

“Scusa e allora perché non l’avrebbero ancora fatta uscire dall’isolamento?” Chiese Minako spostando il busto verso l'altra.

“Che ne so! Avete detto voi di essere delle specie di spie… no?”

Informatrici e poi abbassa la voce!”

“Credo si tratti di un’esca. Una trappola per snidare l’omicida.” S’inserì pensierosa Michiru, proseguendo con la convinzione che così facendo l’assassina si sarebbe sentita al sicuro e forse avrebbe commesso un passo falso.

“Bella roba lasciar dentro un’innocente!”

“Lo so Haruka, ma non è una tattica così rara. Forse per te può risultare sgradevole, ma cerca di guardare il quadro generale. Il sacrificio di uno, per un bene superiore.”

“E questo bene superiore sarebbe la giustizia?”

“Si!” Affermò Kichiru piccandosi nel sentirla ridere.

“Certo, dimenticavo che voi tre siete delle attiviste politiche ed è risaputo che le ragazze di buona famiglia nascano e crescano con sane convinzioni di giustizia.”

“Haruka…” S'intromise Minako vedendosi bloccata da un gesto di Kaioh.

“Aspetta Mina, lasciamola parlare. Adesso Tenoh ci spiega cosa c’entra il fatto che siamo delle attiviste di Buda.”

Tagliando fuori dal discorso le sorelle, la bionda scavallò con una gamba la panca ed arpionandosi le ginocchia con le mani raddrizzò la schiena stirando le labbra in quello che era il suo solito ghigno da battaglia. “Mia cara Kōtei, lo sanno tutti, polizia segreta inclusa, quanto a voi ragazzi dei quartieri alti piaccia da matti giocare a fare i sovversivi formando gruppi nelle università, nelle accademie o nei licei… - Una rapida occhiata alle ragazzine per poi tornare a sfidare lei. - … per andarvene in giro a pungolare lo Stato con, mmm… passami il termine, discutibili opere di guerriglia urbana fatta di lanci di volantini e scritte sui muri inneggianti alla libertà! Vorrei proprio vedervi davanti al fuoco di un cannone.”

“Stai uscendo fuori dai binari della decenza Tenoh. Non fare l’ignorante parlando di cose che conosci solo per sentito dire.”

“Non le conoscerò, o meglio, non frequentando certi ambienti non ho mai avuto il piacere di approfondire il discorso, ma ho sempre trovato oltremodo pavido lanciare sassi nascondendo poi le mani! Per affermare i nostri diritti noi delle fabbriche siamo soliti scioperare e ne converrai che sia molto più concreto che riempirsi la bocca di belle parole.”

Scattando in piedi Michiru strinse i pugni. Nella piega dei ricordi i volti dei suoi amici arrestati dalla ÁHV e dei quali non sapeva più nulla. Lukàs, Anna, Adam e sicuramente tutti gli altri componenti della voce di Buda.

“Non ti permettere!”

Haruka la seguì sovrastandola nuovamente. “Di far cosa?!”

“Non credevo fossi tanto superficiale.” Affondò uscendo dalla seduta con tutta l’intenzione di andarsene.

“Cosa fai, scappi?”

Bloccandosi per tornarle di fronte, Michiru le sussurrò all’orecchio sapendo di avere molti occhi puntati contro. Non voleva fare una scenata.

“Ricordati bene una cosa Haruka, io non sono mai scappata da niente e da nessuno, che fosse una sfida o un bombardamento dal cielo. Di questo puoi starne certa. Ritengo solo che parlare con chi non vuole ascoltare sia solo una grande perdita di tempo e il mio… è molto prezioso.” Così voltando i tacchi si allontanò lasciandola con un pugno di mosche in mano.

E no! Scattando agilmente la bionda la seguì come già accaduto altre volte.

Vista tutta la scena e godendo di quel siparietto gratuito, Mery spostò lo sguardo dalla porta dell’ingresso dove si era appena infilata Tenoh, alla sua sottoposta che stava arrivando di gran carriera. Iniziando a tamburellare con il dito sul pianale di legno grezzo del tavolo dov’era riunita con un altro paio di detenute, aspettò il resoconto della donna.

“Allora? Ci sei riuscita?” Chiese più trepidante di quel che avrebbe voluto dare a vedere.

“Si. Con il casino di questi giorni, la Meioh si è dimenticata di chiudere a chiave l’archivio.”

“Dunque?”

“Purtroppo su Haruka Tenou non c’è più di quanto non si sappia già. Arrestata per aggressione a pubblico ufficiale. Tutto qui.”

“Dannazione!”

“Aspetta. Forse su di lei non ci sarà nulla di nuovo, ma ho avuto il tempo di farmi un giretto nella sezione dedicata al personale. - Disse avendo finalmente tutta l’attenzione che il suo spirito debole bisognoso d’approvazione bramava. - E sono sicura che quello che ho scoperto ti potrà essere molto utile.”

“E cioè?” Domandò accogliendone il parlottare sommesso per poi disegnare sulle labbra livide per il freddo un sorrisetto sardonico.

“Ma bene, bene. Meglio non potevo augurarmi. - Ghignò spostando il busto in direzione di una delle guardie ferme dalla parte opposta dello spiazzo. - Adesso so come colpire entrambe.”

 

 

In quelle settimane le era già capitato d’inseguirla. Sembrava che dalla Festa della vendemmia non facesse altro ed iniziava a detestarlo. A passo svelto per non attirare l’attenzione della vigilanza, Haruka riuscì a raggiungerla verso la metà del tragitto che portava alla loro cella, in un corridoio in quel momento deserto. Arrivandole alle spalle riuscì ad afferrargliele voltandola e costringendola contro il muro.

“Hai detto che non scappi Michiru, ma ultimamente non stai facendo altro!”

“Lasciami!” Urlò cercando di sciogliersi.

“No! Parla con me. Parlami cazzo!”

“Per dirti cosa?!” Sbotto'.

“Pensi davvero che sia una superficiale?!”

“Haruka lasciami o chiamo aiuto!” Minacciò poco convinta mentre l’altra la schiacciava con il proprio corpo bloccandole i polsi alla parete.

“Dimmelo! Se sono tanto superficiale, tanto ignorante, allora perché mi stai sempre accanto, mi sostieni, mi aiuti! Perché Michi?”

“Cosa c’entra questo adesso?!” Guizzò con la rabbia di una sirena stretta in una rete.

“C’entra! C’entra perché non voglio che pensi questo di me. - Sentendola rabbrividire, smorzò la foga abbandonando la presa ai polsi per posarle la fronte sulla sua. - Non voglio.”

“Haruka…”

“Non voglio.” E fasciato il mento nell’incavo di entrambe le mani, si tuffò su quelle labbra meravigliose in un atteso, sperato, bramato bacio di passione.

 

 

 

NOTE: Salve! Sono sospiri e grida di giubilo quelle che sento, o appallamenti per la troppa lunghezza di questa storia?

Su, dai, non lamentatevi o ci schiaffo anche Ami. E sapete che lo faccio ;P

Tralasciando gli scherzi, finalmente Haruka e Michiru hanno ceduto l’una all’altra, o meglio, Kaioh lanciava razzi di segnalazione che Tenoh non voleva vedere fino a centrarne uno in faccia. Credo che lo screzio nato per le loro divergenze sociali, sia stata la scintilla che ha permesso al piccolo falco di darsi una mossa e scendere giù in picchiata sulla piccola gru.

Sottolineando che non sono mai stata attratta dai polizieschi (che francamente mi fanno sentire una mentecatta, perché l’assassino è sempre un altro), ammetto che mi è piaciucchiato affacciarmi a questo mondo. La signora Fletcher, che con la sua canzoncina ed il pigiare come un fabbro sui tasti della sua macchina da scrivere, tanto mi ha traumatizzato l’infanzia, sarebbe fiera di me. Spero lo siate anche voi o almeno mi auguro di non aver scritto corbellerie.

Infine due pensieri, uno per Mery e l’altro per Shiry. La prima inizia ad essere inquietante. Non vorrei che sotto quella faccia lentigginosa si nascondesse una brutta sorpresa. Per la seconda, che fino ad ora non avevo ancora inquadrato fisicamente, mi sono rifatta a Caroline Laplante; il capo delle guardie carcerarie di una serie televisiva canadese chiamata Unitè 9 che sto guardando da qualche giorno. Francamente non ci sto capendo nulla perché non tradotta, ma il personaggio mi piace molto.

A prestissimo!

 

 

 

   
 
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